Quali distinzioni tra diffamazione e ingiuria su WhatsApp?

Ilenia Alagna
26 Agosto 2022

La Cassazione, richiamando una sua precedente pronuncia (n. 13252/2021), si è interrogata sulla natura ingiuriosa o diffamatoria dell'invio di e-mail o messaggi Whatsapp a più destinatari, tra cui anche l'offeso.

Il caso. Una donna inviava plurimi messaggi scritti e audio in una chat di Whatsapp a cui partecipavano un suo contatto ed altre giovani ragazze, dal contenuto pesantemente offensivo nei confronti del contatto stesso. Messaggi scatenati dal fatto che quest'ultimo le aveva restituito, perché non in grado di accudirlo, un cucciolo di cane che l'imputata gli aveva regalato.

L'imputata evidenziava che dalla lettura della chat risultava che la persona offesa aveva immediatamente replicato alle offese pronunziate nei suoi confronti. Il che (a suo dire) significava che era presente e che, quindi, si trattava di ingiuria e non di diffamazione.

Sostiene il precedente evocato che:

- l'offesa diretta a una persona presente costituisce sempre ingiuria, anche se sono presenti altre persone;
- l'offesa diretta a una persona "distante" costituisce ingiuria solo quando la comunicazione offensiva avviene, esclusivamente, tra autore e destinatario;
- se la comunicazione "a distanza" è indirizzata ad altre persone oltre all'offeso, si configura il reato di diffamazione;
- l'offesa riguardante un assente comunicata ad almeno due persone (presenti o distanti), integra sempre la diffamazione.
Il provvedimento analizzato ha poi approfondito il concetto di "presenza" rispetto ai moderni sistemi di comunicazione, ritenendo che riguardo alla persona offesa vi siano situazioni sostanzialmente equiparabili, realizzate con l'ausilio dei moderni sistemi tecnologici (call conference, audioconferenza o videoconferenza), in cui si può ravvisare una presenza virtuale del destinatario delle affermazioni.

Secondo la Suprema Corte occorre, dunque, valutare caso per caso: se l'offesa viene operata nel corso di una riunione "a distanza" (ovvero "da remoto"), tra più persone contestualmente collegate, alla quale partecipa anche l'offeso, ricorrerà l'ipotesi della ingiuria commessa alla presenza di più persone. Al contrario, laddove vengano in rilievo comunicazioni scritte o vocali, indirizzate all'offeso e ad altre persone non contestualmente "presenti" (in accezione estesa alla presenza "virtuale" o "da remoto"), ricorreranno i presupposti della diffamazione.

Sulla base delle delineate coordinante ermeneutiche la Corte di Cassazione ha quindi evidenziato che la chat di gruppo di Whatsapp consente l'invio contestuale di messaggi a più persone, che possono riceverli immediatamente o in tempi differiti a seconda dell'efficienza del collegamento a Internet del terminale su cui l'applicazione viene da loro utilizzata. I destinatari possono, poi, leggere i messaggi in tempo reale perché stanno consultando, in quel momento, proprio quella specifica chat, e, quindi, rispondere con immediatezza; ovvero, come accade molto più spesso, possono leggerli, anche a distanza di tempo, quando non sono on-line ovvero, pur essendo collegati a Whatsapp, si trovino impegnati in altra conversazione virtuale e non consultino immediatamente la conversazione nell'ambito della quale il messaggio è stato inviato.

Se questo è il funzionamento del servizio di messaggistica istantanea che viene in rilievo in casi come quello in vicenda, se ne può dedurre che la percezione da parte della vittima dell'offesa può essere contestuale ovvero differita. Ciò a seconda che stia consultando proprio quella specifica chat di Whatsapp o meno. Nel primo caso, vi sarà ingiuria aggravata dalla presenza di più persone quanti sono i membri della chat perché la persona offesa dovrà ritenersi virtualmente presente. Nel secondo caso si avrà diffamazione, in quanto la vittima dovrà essere considerata assente. Sotto il profilo della prova delle circostanze, per discernere l'ipotesi alla quale ricondurre il fatto storico, dovrà verificarsi se la persona offesa era virtualmente presente o assente al momento della ricezione dei messaggi offensivi. Attraverso i dati di fatto dovrà comprendersi se la persona offesa abbia percepito in tempo reale l'offesa proveniente dall'autore del fatto. Accertamento che - quando non siano disponibili dati tecnici più precisi quanto ai collegamenti della persona offesa con il servizio di messaggistica - potrà passare attraverso la verifica dei tempi e dei modi dell'invio dei messaggi e dell'"atteggiamento" della vittima.

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