Concorso di colpa nella responsabilità da circolazione dei veicoli ex art. 2054 c.c.: brevi note di riflessione

Enrico Tosto
29 Agosto 2022

Il presente contributo si propone di restituire un'analisi dei principali orientamenti nomofilattici in tema di responsabilità da collisione tra veicoli. Lo scopo sotteso alle pagine che seguono consiste, essenzialmente, nel tentativo di evidenziare pregi e difetti di un'impostazione giurisprudenziale ormai stratificata in subiecta materia, rivelatasi non del tutto coerente con le premesse teoriche da cui muove.
Inquadramento generale

La responsabilità per danni da circolazione dei veicoli a motore è delineata, nei suoi tratti fondamentali, dall'art. 2054 c.c. Come noto, la disposizione in commento definisce, sotto il profilo della distribuzione del carico probatorio, un regime divergente dal modello archetipico di cui all'art. 2043 c.c.: il danneggiato, infatti, integrerà la prova della pretesa tramite la dimostrazione della mera relazione causale tra la circolazione e il danno, restando per il resto allocato in capo al solo danneggiante l'onere dell'esimente tipica “di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno”. In estrema sintesi, la norma tratteggia dunque un'ipotesi di responsabilità aggravata, giacché solleva il danneggiato dall'onere della prova dell'elemento soggettivo, ritenuto dalla legge presuntivamente sussistente a carico del conducente.

Prescindendo tuttavia dai problemi ermeneutici che la disposizione nel suo complesso pone, occorre interessarsi più da vicino della regola contemplata dal secondo comma: “nel caso di scontro tra veicoli si presume fino a prova contraria che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a produrre il danno subito dai singoli veicoli”.

Si tratta, com'è pacifico, di norma ispirata a logiche di equità sostanziale in una particolare ipotesi di concorso multifattoriale nella produzione del danno: lo scontro tra veicoli. Tuttavia, sebbene non risultino particolari incertezze in relazione al suo inquadramento generale, maggiori dubbi si riscontrano nell'esatta individuazione dell'oggetto. E difatti, pur a fronte dell'apparente nitore nella formulazione, la regola in commento appare oscura, allorché l'indagine si concentri sul fatto effettivamente presunto.

Né deve credersi che il problema assuma sapore puramente speculativo, posto che dalla sua risoluzione discendono rilevanti implicazioni pratiche, a partire dalla configurazione del potere di autonomo apprezzamento del giudice. Se, infatti, per definizione, le presunzioni legali dispensano il fruitore dall'onere di provarne il referente, il problema della loro perimetrazione riveste cruciale importanza nelle fattispecie speciali di responsabilità, in cui, come sopra anticipato, già la dimostrazione dell'an segue un regime di riparto sfavorevole per il danneggiante.

Va poi considerato che il contenzioso in materia è spesso caratterizzato dalla contumacia del convenuto conducente, sicché, in mancanza di controdeduzioni, il conseguente ricorso ad automatismi presuntivi reca inevitabile il rischio di esiti liquidatori non sempre corrispondenti alla gravità storica del fatto contestato.

Il proponimento del lavoro è quindi offrire un vaglio critico della più rilevante giurisprudenza di legittimità, che, pur mossa dalla finalità di restituire risposte convincenti alle suddette esigenze operative, ha tuttavia elaborato soluzioni non sempre appaganti sotto il profilo squisitamente teorico. Anzi, nel prosieguo dell'indagine, si apprezzerà come gli sforzi pretori stentino a restituire un panorama ricostruttivo lineare. Nella condivisone degli intenti perseguiti, si cercherà quindi di tratteggiare una differente impostazione della questione, con la finalità precipua di contribuire a chiarirne i nodi più problematici.

Rilevanza del problema

A titolo di inquadramento generale, va preliminarmente ricordato che la lettura più diffusa dell' art. 2054 c.c. presunzione semplice. Simile assunto è pianamente suggerito dalla formulazione letterale della norma, che fa seguire all'allegazione della collisione un (vincibile) regime giuridico di paritetica imputazione delle sue conseguenze dannose: “nel caso di scontro tra veicoli si presume fino a prova contraria che ciascuno dei conducenti abbia concorso ugualmente a produrre il danno subito dai singoli veicoli”.

Più nel dettaglio, si tratta di una regola processuale di tipo suppletivo, volta cioè ad attribuire un criterio presuntivo di ascrizione dell'evento in mancanza di ricostruzione certa sullo scontro: “In tema di scontro tra veicoli, la presunzione di eguale concorso di colpa stabilita dall'art. 2054, comma 2 c.c. ha funzione sussidiaria, operando soltanto nel caso in cui le risultanze probatorie non consentano di accertare in modo concreto in quale misura la condotta dei due conducenti abbia cagionato l'evento dannoso e di attribuire le effettive responsabilità del sinistro." (Cass. civ., sez. III, 4 aprile 2019, n. 9353).

Tuttavia, se quanto appena evidenziato non sembra foriero di particolari perplessità, maggiori problematiche suscita, come accennato, l'interrogativo circa la reale portata della regola in esame. Né, d'altro canto, il problema pare essere mai stato affrontato ex professo dalla giurisprudenza di legittimità.

Si evidenzia, infatti, come da una semplice lettura dei precedenti anche più risalenti della Suprema Corte, emergano risposte di segno non univoco. Più nello specifico, allorché la Corte faccia applicazione del disposto di cui all' art. 2054, comma 2 c.c., mostra una assoluta promiscuità terminologica in relazione al suo oggetto: la stessa formula, in altri termini, viene spesso intesa - talvolta nella stessa pronuncia (cfr., Cass. civ., sez. III, 20 marzo 2020, n. 17479) e in significati del tutto equipollenti - indifferentemente come “presunzione di pari concorso di colpa” o come “presunzione di pari responsabilità”.

Prima di scendere nel dettaglio rispetto alle implicazioni che ciascuna delle perifrasi evocate reca, appare opportuno sin d'ora rilevare che la divisata commistione semantica ha comportato non poche complicazioni pratiche per i giudici di merito. Il ricorso a formule poco perspicue ha reso, infatti, incerto il reale ambito operativo della presunzione in commento, risultando in definitiva assai controverso se la dispensa probatoria ivi contemplata riguardi il complessivo regime della responsabilità da circolazione (tesi della presunzione di pari responsabilità), ovvero un suo specifico elemento (tesi del pari concorso di colpa). Dalla risoluzione di questo preliminare dubbio discende la risposta al problema immediatamente conseguente circa la individuazione della parte onerata della prova contraria.

Si consideri a questo punto l'impostazione che qualifica la regola come espressiva di un criterio di “pari responsabilità presunta”.

In quest'ottica all'attore basterà dimostrare la ricorrenza di un episodio collisivo, perché possa presumersi una responsabilità equamente bipartita in capo ai conducenti. Ciò che comporta, al contempo, conseguenze favorevoli e pregiudizievoli in capo all'attore: la prova dello scontro, infatti, permetterà a costui di imputare la responsabilità del sinistro in capo alla controparte, pur in assenza di una specifica dimostrazione del nesso di causa tra circolazione e danno; tuttavia, l'attivazione del meccanismo presuntivo in commento comporterebbe, in assenza di prova contraria, l'inconveniente di una dimidiazione delle proprie pretese risarcitorie.

Inoltre, deve ritenersi che la presunzione in esame, esonerando semplicemente la parte che se ne avvale dall'onere di dimostrare i presupposti tipici di una responsabilità da circolazione, in nulla eccettui il regime sostanziale di cui al primo comma. In altri termini, una volta presunta la pari responsabilità dei concorrenti, la prova contraria graverà esclusivamente sul convenuto conducente, con conseguente inammissibilità di autonome valutazione giudiziarie su eventuali divergenti gradazioni della colpa. Pertanto, in difetto di contestazione, il giudice non potrebbe ritenere superata detta presunzione e si vedrà costretto a liquidare una posta risarcitoria sempre dimidiata.

Il tutto salvo la sussistenza di un preliminare requisito: il nesso di causa. Ove, infatti, possa accertarsi che la condotta di uno dei due conducenti abbia assunto efficacia determinante nella causazione dello scontro, la regola recata dal comma 2 non troverà applicazione, giacché, sul piano della causalità, l'evento di danno è già stato ascritto alla condotta esclusiva di una delle parti.

Merita poi considerazione il fatto che, laddove si raggiunga la prova del solo scontro, l'operatività della presunzione in commento comporterebbe comunque l'inversione dell'onere della prova con riguardo allo stesso requisito della causalità, che, da elemento costitutivo della domanda attrice nel caso del primo comma, trasmoderebbe in fatto impeditivo della pretesa presunta, stavolta perciò di spettanza del solo convenuto.

Tuttavia, detto inquadramento risulta insoddisfacente, in ragione della contraddizione pratica che le relative applicazioni palesano. Ed infatti, ove si concludesse per una presunzione legale sul regime complessivo della responsabilità, difficilmente si potrebbe negare che, in difetto di prova contraria, il giudice possa discostarsi dall'unica regola in concreto applicabile: dimezzare le poste di danno. In altri termini, l'inquadramento della figura ex art. 2054, comma 2 c.c. alla stregua di “presunzione di pari responsabilità”, ridurrebbe di molto le possibilità di un autonomo apprezzamento del fatto storico da parte del giudice, il quale, stretto nel rigido regime di cui al primo comma, sarebbe comunque vincolato alle deduzioni di parte sulla prova contraria e ciò pure al cospetto di misure di responsabilità effettivamente divaricate in capo alle parti.

Si consideri a titolo di esempio la seguente ipotesi. A fronte di una domanda di risarcimento per sinistro da collisione, l'attore non riesce a provare l'imputazione esclusiva dello scontro alla controparte processuale; tuttavia, la dinamica dell'evento mostra un incontestabile differenziale nel grado di imprudenza serbata dai conducenti, poiché, ad esempio, a fronte di una scorretta esecuzione di una manovra di guida, l'altro ha integrato la ben più grave violazione dell'obbligo di precedenza. Ebbene, nella situazione in cui le allegazioni di parte si concentrino unicamente sulla responsabilità esclusiva di quanto occorso, difetterebbero evidentemente articolazioni difensive sulla prova contraria ex art. 2054, comma 2 c.c., sicché il giudice non potrà che fare applicazione della regola di pari responsabilità ivi contemplata.

Come può dunque apprezzarsi, il risultato complessivo di tale opzione ermeneutica appare insoddisfacente, posto che configurerebbe il rischio di accertamenti giudiziali meramente virtuali.

Altra espressione ricorrentemente associata alla previsione di cui al comma 2 art. cit. è la perifrasi “pari concorso di colpa”. Ci si concentra, in altri termini, sul proprium del regime giuridico del danno da circolazione – come si è visto, la presunzione di colpa in capo al fruitore del veicolo - e si individua una misura presunta della colpa gravante su ambo i conducenti.

In questi termini, sarebbe possibile una graduazione della colpa nella misura risultante dalle allegazioni di parte e, restringendo il campo operativo della presunzione al solo elemento colposo, risulterebbe comunque allocato in capo all'attore l'onere di provare la sussistenza del nesso di causa tra la circolazione del convenuto e il danno. In ciò la predetta tesi diverge dalla variante ermeneutica della pari responsabilità presunta, giacché, una volta dimostrata l'origine concorsuale dello scontro, ciascuno dei conducenti in collisione verserebbe presuntivamente in una colpa di guida paritetica.

Si noti che simili assunti paiono confortati dall'esame della conferente giurisprudenza di legittimità, che impedisce il ricorso alla disposizione dettata dal comma 2 laddove risulti, anche prescindendo dai rilievi di parte, che non sussiste correlazione causale tra la condotta del conducente e la successiva collisione:La circostanza che non vi sia stato scontro tra veicoli impedisce l'applicazione della presunzione di ugual concorso di colpa di cui al secondo comma dell'art. 2054 c.c., ma non la presunzione di responsabilità prevista nel primo comma dello stesso articolo, poiché tale presunzione sorge a carico del conducente sempre che sia accertato il nesso di causalità tra la circolazione di un veicolo e la condotta del conducente dello stesso e il danno all'altro veicolo. Ove invece, in concreto venga riconosciuta la responsabilità esclusiva di uno dei conducenti, ma il nesso di causalità sia escluso, non scatta né la presunzione legale né, di conseguenza, l'onere di fornire la prova liberatoria di aver fatto il possibile per evitare il danno”(Cass. civ., sez. III, 27 febbraio 2020, n. 5433). Con specifico riferimento all'elemento causale, quindi, la giurisprudenza sembrerebbe considerare le fattispecie previste dai commi 1 e 2 dell'art. 2054 c.c. in rapporto di progressione scalare, giacché l'operatività della presunzione di ugual concorso nella collisione presupporrebbe comunque la prioritaria prova del collegamento eziologico tra circolazione del danneggiante e danno prodotto.

Eppure, anche l'adozione di una simile opzione ermeneutica non appare esente da perplessità.

Preliminarmente va rilevato che la disposizione non specifica la parte onerata della dimostrazione di detta prova contraria, sicché, argomentando dalla natura squisitamente processuale della disposizione in oggetto, non può che nuovamente concludersi per l'applicazione del regime sostanziale di cui al primo comma: il danneggiato prova il nesso tra circolazione e danno, mentre il danneggiante fornisce la prova dell'esimente. Il che, all'evidenza, ripropone i medesimi inconvenienti in cui era incorsa la tesi della pari responsabilità presunta, allorché manchino articolazioni difensive sul diverso atteggiarsi delle colpe concorrenti.

Non va poi sottaciuto come al riconoscimento presuntivo di una pari misura di colpa dovrebbe corrispondere un'equivalenza di regime in materia di prova contraria: in altri termini, se entrambi i conducenti sono considerati di diritto pari cooperanti colposi, ciascuno dovrebbe essere gravato da un onere della prova liberatoria di contenuto speculare a quello altrui. Ciò che, come si vedrà, appare disatteso dall'esame dei più tralatici arresti della giurisprudenza di legittimità, la quale invece pare propugnare la tesi di un diverso carico probatorio tra le parti in giudizio.

In linea di prima approssimazione, quindi, entrambe le concezioni testé esaminate, benché vertenti su oggetti differenti, inciampano nelle medesime aporie: nessuna di queste, infatti, parrebbe concedere al giudice la possibilità di una autonoma valutazione circa la colpa dei concorrenti, così concretando il rischio di un risarcimento livellato. Il che, si ripete, altro non rappresenta se non l'effetto della rigida bipartizione del regime presuntivo tipico della responsabilità da circolazione: il comma 1 dell'art. 2054 c.c. definisce il contenuto sostanziale dell'illecito in esame, mentre il comma 2 lumeggia una regola di giudizio dall'oggetto non particolarmente definito (colpa o responsabilità).

La risposta della giurisprudenza. Un problema di confusione dogmatica

Simili preoccupazioni di ordine teorico paiono del tutto pretermesse dall'esame della conferente giurisprudenza di legittimità, la quale è invece assestata su posizioni ampiamente cristallizzate.

In primo luogo, è ricorrente l'insegnamento per cui “in tema di responsabilità derivante da circolazione stradale, nel caso di scontro tra veicoli, ove il giudice abbia accertato la colpa di uno dei conducenti, questi non può, per ciò solo, ritenere superata la presunzione posta a carico anche dell'altro dall'art. 2054, comma 2, c.c., ma è tenuto a verificare in concreto se quest'ultimo abbia o meno tenuto una condotta di guida corretta”(Cass. civ., sez. III, 20 marzo 2020, n. 7479; cfr., ultra, Cass. civ, sez. III, 16 maggio 2008, n. 1244; Cass. civ., sez. III, 4 novembre 2014, n. 23431).

Si tratta, all'evidenza, di un orientamento armonico con l'assetto ermeneutico sopra ricordato, per il quale, sul piano del diritto sostanziale, ciascun conducente risponde dei danni derivanti dalla circolazione del proprio veicolo ai sensi del comma 1 art. cit. ed è inoltre gravato dalla presunzione di cui al comma 2 nel caso di collisione con altra vettura. Mostrando pertanto adesione a tali premesse, coerentemente la giurisprudenza nega rilievo alla dimostrazione dell'altrui colpa ai fini dell'esenzione dall'addebito risarcitorio (ex plurimis, cfr. Cass., Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 13672 del 21/05/2019, secondo cui ciascun conducente dei veicoli in collisione è cumulativamente gravato “dalla presunzione di concorrente responsabilità fissata in via sussidiaria dall'art. 2054, comma 2 c.c., nonché dall'onere di provare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno”).

Per contro, più ombrose appaiono le massime rassegnate in tema di integrazione della prova contraria. Sul punto, infatti, la Cassazione è ormai consolidata nel ritenere che: “Nel caso di scontro tra veicoli, l'accertamento della colpa esclusiva di uno dei conducenti e della regolare condotta di guida dell'altro libera quest'ultimo dalla presunzione di concorrente responsabilità fissata in via sussidiaria dall'art. 2054, comma 2 c.c., nonché dall'onere di provare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno”. Né chiarimenti di sorta paiono rinvenirsi dall'esame dei precedenti sul tema attiguo della prova indiretta dell'esimente: “ [la] prova liberatoria per il superamento di detta presunzione può essere acquisita anche indirettamente tramite l'accertamento del collegamento eziologico esclusivo o assorbente dell'evento dannoso col comportamento dell'altro conducente” (Cass., Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 13672 del 21/05/2019; trattasi di principi ormai consolidati in seno alla giurisprudenza di Cassazione a far data dal 1977: cfr., Cass., n. 2532/1977; Cass., n. 9550/2009).

Ed invero l'esame degli indirizzi in commento non può che suscitare perplessità. Se si considera, infatti, che la Corte individua nella previsione di cui all' art. 2054, comma 2 c.c. una non meglio precisata ipotesi di “presunzione di concorrente responsabilità” – talvolta indicata come presunzione di pari concorso di colpa, altre volte come “presunzione di pari responsabilità” -, è giocoforza ritenere che ciascun conducente sia soggetto ad un regime giuridico altrettanto uniforme: il che vale a dire che ognuno di essi è ritenuto, secondo la giurisprudenza prima ricordata, alternativamente concorrente colposo o corresponsabile dello scontro fino al raggiungimento della prova “di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno” ex art. 2054, comma 1 c.c. E tuttavia, la Corte parrebbe distribuire il carico probatorio in esame secondo modalità assolutamente sperequate.

Come pure si evince dalla semplice lettura della prima (tralaticia) massima riportata, infatti, pur gravando sulle parti una presunzione di eguale corresponsabilità, il convenuto risulterà immune dagli addebiti risarcitori se, una volta accertata la colpa dell'altro, dimostrerà semplicemente la propria “regolare condotta di guida”. Ciò che, invero, appare sorprendente, se raffrontato al rigore che la medesima giurisprudenza notoriamente riserva nel definire l'esimente tipica di cui al primo comma. In altri termini, pur nella medesima situazione di scontro, i concorrenti risultano gravati da regimi probatori sensibilmente diversificati: l'uno, dalla dimostrazione di osservanza non solo delle regole ordinarie di circolazione - ivi inclusa “l'adozione di misure atte a prevenire eventuali imperizie degli altri utenti della strada” - ma anche di ogni altra regola di cautela extrastradale passibile, secondo le circostanze del caso concreto, di evitare la produzione di sinistri; l'altro, unicamente dall'onere di allegare l'ordinario rispetto delle norme di guida.

Le incongruenze si amplificano allorché si esaminino più da vicino i precedenti in tema di accertamento indiretto della prova contraria. Come si è visto, infatti, la Cassazione giudica esente da responsabilità il convenuto circolante, che, in via diretta, accanto alla colpa dell'altro dimostri di aver serbato nella dinamica collisiva un regolare contegno di guida, ovvero che, in via indiretta, raggiunga la prova “del collegamento eziologico esclusivo o assorbente dell'evento dannoso col comportamento dell'altro conducente” (cfr., Cass., n. 13672/2019, cit.).

Come accennato, un simile orientamento ingenera perplessità stavolta di ordine prettamente dogmatico. Se, infatti, l'esimente tipica della responsabilità da circolazione mira al superamento di una colpa presunta, risulterebbe inspiegato come la relativa prova indiretta, vertendo semplicemente su un fatto secondario che dimostri la diligenza del convenuto, conduca invece all'esclusione dell'elemento causale. Insomma, in maniera del tutto peculiare nella collisione dei veicoli, la prova indiretta sulla circostanza “di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno” del secondo conducente si risolve, di fatto, nell'esclusione del collegamento eziologico tra la sua condotta e il sinistro (!).

Quanto evidenziato giustifica all'evidenza l'opinione di chi ravvisa, nel caso di specie, gli estremi di una indebita commistione tra i distinti profili della causalità e della colpa.

Né simile operazione appare, invero, del tutto arbitraria, posto che l'orientamento in commento mostra l'indubbio pregio di superare le obiezioni teoriche prima accennate. Infatti, il parziale accostamento della prova contraria ex art. 2054, comma 2 c.c. alla dimensione della causalità appare funzionale, nella logica dei precedenti citati, ad attribuire al giudice un potere di apprezzamento autonomo circa l'effettiva incidenza delle condotte concorrenti (Cfr., Cass. Civ., sez. III, 20 marzo 2020, n. 7479 del, secondo cui, il giudice, in caso di contro di veicoli, “è tenuto a verificare in concreto se quest'ultimo abbia o meno tenuto una condotta di guida corretta”). In quest'ottica, allora, l'esclusione della causalità comporta, come affermato dalla giurisprudenza di cui al par. 2, il rigetto della domanda attrice, non perché il convenuto abbia assolto al proprio onere di fornire la propria contraria, bensì perché l'attore non ha provato un elemento costitutivo della propria pretesa.

In definitiva, può dunque affermarsi che la giurisprudenza abbia comunque approntato un (parziale) potere di autonomo apprezzamento del giudice, in grado tanto di aggirare la rigidità dei meccanismi presuntivi di cui ai commi 1 e 2 art. cit., quanto di affrancare la sorte della domanda risarcitoria dalla regola della necessaria allegazione di parte.

Permangono tuttavia incertezze in ordine tanto al contenuto effettivo della presunzione di cui al comma 2, quanto alla esatta configurazione del regime della prova contraria. Non è affatto chiaro come orientamenti apparentemente così divaricati, quali quelli ricordati in materia di prova liberatoria e sul tema prossimo della prova indiretta, possano collimare con un sistema di distribuzione probatoria così definito, quale quello che complessivamente tratteggia la disciplina di cui all'art. 2054 c.c. Come evidenziato sin dall'inizio della presente indagine, ricomporre le contraddizioni di volta in volta emerse rappresenta infatti operazione cruciale ai fini della corretta individuazione dei poteri del giudice, in ipotesi in cui il rischio di una responsabilità disancorata dal fatto storico appare consistente.

Per una proposta ricostruttiva

Le menzionate criticità appaiono superabili tramite l'accoglimento di una impostazione differente da quella tradizionale, che cioè, pur non tacendo le problematiche di ordine teorico appena espresse, risulti coerente con le finalità sottese alle massime rassegnate.

Il problema va quindi ripensato, a parere di chi scrive, a partire da una lettura del testo normativo scevra dai condizionamenti pretori che si intendono superare. Più in particolare, è d'uopo sin d'ora rilevare che, tanto la lettura della “pari responsabilità presunta”, quanto quella della “presunzione di pari concorso di colpa” risultino estranee al dettato del disposto di cui all'art. 2054, comma 2 c.c. La norma in commento, piuttosto, si limita a presumere, fino a prova contraria che, nell'ipotesi di collisione, ciascun conducente “abbia concorso ugualmente a produrre il danno subito dai singoli veicoli”.

Nell'ottica in questa sede assunta, oggetto della divisata presunzione non sarebbe quindi né l'elemento soggettivo né il regime complessivo della responsabilità, bensì il nesso causale. Più precisamente la norma in commento prescriverebbe la sussistenza, fino a prova contraria, di una pari efficienza eziologica di ciascuna condotta di guida nella produzione dello scontro, così esonerando il giudice e le parti dall'onere di procedere ad un rigoroso accertamento del relativo decorso causale.

Simili conclusioni sembrano trovare avallo proprio nella summenzionata distonia ermeneutica in materia di oggetto della prova indiretta, la quale, come si è visto, risulterebbe integrata allorché il secondo conducente dimostri “l'accertamento del collegamento eziologico esclusivo o assorbente dell'evento dannoso col comportamento dell'altro conducente” (cfr., ex multis, Cass. Civ., sez. VI 21 maggio 2019, n. 13672). All'evidenza, infatti, il passaggio in commento pare riferirsi alla eventualità storica in cui la collisione non venga prodotta dalla convergente attività delle parti, ma risulti in realtà subita da uno dei conducenti coinvolti.

Quanto evidenziato pare decisivo per operare altresì una rilettura del menzionato frasario giurisprudenziale sul contenuto della prova contraria, che si è visto risultare irragionevolmente sperequato a seconda del conducente che se ne avvalga.

Nella valutazione di chi scrive, in altri termini, una volta accertata la colpa nel contegno del primo conducente, la prova della “regolare condotta di guida” – requisito dal contenuto certamente indefinito, ma indubbiamente meno stringente rispetto all'oggetto della esimente tipica di cui al comma 1 – non varrebbe ad escludere la colpevolezza del secondo, ma concreterebbe più semplicemente un elemento escludente della propria condotta alla collisione. È di tutta evidenza, infatti, che chi, uniformandosi alle prescrizioni del codice stradale, venga travolto da altro veicolo incurante delle medesime, in realtà non può essere considerato un concorrente nell'avvenimento infausto, bensì ne è vittima: non ha recato alcun apporto alla verificazione dell'evento, ma ne è attinto.

Dalla condivisione delle riflessioni rassegnate parrebbe allora dischiudersi la via di ricomposizione delle contraddizioni interpretative summenzionate. Ed invero, se oggetto della presunzione scandita dall' art. 2054, comma 2 c.c. consta del solo concorso del danneggiato nella produzione dello scontro, non potrebbe che inferirsi che la relativa prova contraria concerna la sola causalità. Più specificamente, quest'ultima mirerebbe non già al superamento di una colpa (o di una responsabilità) presunta nei termini definiti dall'esimente tipica di cui al comma 1, bensì il diverso atteggiarsi della causalità. Muovendo allora dall'inquadramento esposto, le ricordate discrasie giurisprudenziali sull'integrazione della prova contraria e il relativo accertamento indiretto paiono finalmente convergere verso un obiettivo unitario: l'esclusione del nesso eziologico tra la condotta del convenuto e l'evento collisivo.

Occorre quindi a questo punto operare un rimodellamento del quadro normativo applicabile. Se, infatti, il secondo comma dell'art. cit. contempla solo una presunzione di sussistenza del concorso di cause, parrebbe allora consequenziale opinare che i poteri valutativi del giudice vadano disancorati dal peculiare regime probatorio tratteggiato dall'art. 2054 c.c.

E difatti sarebbe difficile ravvisare un margine autonomo di apprezzamento giudiziale in un sistema di presunzioni tanto scandito, quale quello della responsabilità da circolazione; piuttosto, se intesa come presuntiva di una fattispecie tipica di condotte concorrenti tra danneggiante e danneggiato, la regola di cui al comma 2 art. cit. legittimerebbe il giudice all'esercizio di una propria valutazione sull'incidenza di ciascuna già ai sensi dell'art. 1227 c.c.

Quest'ultima, infatti, è norma pacificamente inquadrata nell'alveo della disciplina della causalità, imponendo al giudice la diminuzione ufficiosa del risarcimento secondo la gravità della colpa del danneggiato e in ragione dell'entità delle conseguenze connesse alla sua condotta. Il giudice adito, allora, in caso di scontro tra veicoli, potrebbe già ex art. 1227 c.c. esprimere il proprio giudizio sul grado di colpa effettivamente ravvisabile in capo ai concorrenti, così modulando la liquidazione delle poste risarcitorie in ragione della responsabilità storica dell'episodio collisivo.

Nel descritto quadro ermeneutico, allora, l' art. 2054, comma 2 c.c. tratteggerebbe una regola presuntiva di pari incidenza eziologica nella produzione del danno, in forza delle quale quest'ultimo è fittiziamente ascritto alla condotta di ciascun conducente, salva ovviamente prova contraria dell'imputazione esclusiva dell'evento ad uno solo di questi e impregiudicata la correlazione tra quantum risarcitorio e grado di colpa effettivamente riscontrabile.

Si noti che le conclusioni testé rassegnate non paiono collidere con la medesima giurisprudenza esaminata, la quale, pur muovendo da coordinate teoriche poco definite, giunge a concentrare il proprio scrutinio, in fase di applicazione pratica, proprio sul profilo eziologico e non su quello (dichiarato) della misura della colpa.

Significativo in tal senso l'orientamento propugnato in materia di motivi di impugnazione, ove si afferma: “In tema di giudizio d'appello, ove l'appellante deduca che l'incidente stradale da scontro di veicoli si sia verificato per colpa esclusiva dell'altro conducente, ciò non basta perché, nel caso di insuccesso sul motivo predetto, e quindi di conferma del giudizio sulla sussistenza del concorso di colpa di entrambi i conducenti dei due veicoli, il giudice debba tuttavia riesaminare il problema della graduazione delle colpe concorrenti, potendo tale indagine trovare ingresso o se vi sia apposita censura o se, quanto meno, siano versati nel giudizio di appello, situazioni o elementi di fatto modificativi, o comunque diversi da quelli accertati nel pregresso giudizio di primo grado, influenti sulla commisurazione delle colpe” (Cass. civ., sez. III, 14 ottobre 2021, n. 28014). Nella specie, l'orientamento massimato esprimerebbe una deroga al principio devolutivo valevole in materia di mezzi di gravame, che non troverebbe alcuna giustificazione se non sulla base del carattere ufficioso del giudizio di cui all'art. 1227 c.c. Così ragionando, allora, anche in assenza di specifica censura, al giudice dell'impugnazione non sarebbe precluso il riesame autonomo della commisurazione delle colpe, purché, naturalmente, questo si fondi su elementi di fatto già acquisiti al processo.

Si rinviene pertanto un'ulteriore conferma della fondatezza degli assunti sviluppati: il disposto di cui all'art. 2054, comma 2 c.c. consente di ravvisare nello scontro un'ipotesi presunta di evento concausale, la cui ricorrenza legittima il pieno scrutinio giudiziale sul grado di colpa ai sensi dell'art. 1227 c.c.

Da ultimo, merita di essere comunque sottolineato che a favore della citata ricostruzione militerebbe altresì il tenore letterale della disposizione di cui all'art. 2054, comma 2 c.c., che, nel descrivere la circostanza oggetto della presunzione ricorre a una formula lessicale speculare a quella adoperata dall'art. 1227 c.c. (si presume fino a prova contraria che ciascun conducente abbia concorso ugualmente a produrre il danno subito dai singoli veicoli).

Conclusioni

Volendo a questo punto tracciare un quadro di sintesi del percorso sin qui svolto, può ben dirsi che molte delle complessità evocate altro non rappresentino se non il tentativo di una stratificata giurisprudenza di evitare soluzioni incongrue. Ed infatti, la lettura della cospicua elaborazione pretoria esaminata ha permesso di evidenziare come la singolare promiscuità terminologica che interessa l'art. 2054, comma 2 c.c. non abbia impedito al giudice nomofilattico di tratteggiare un potere di delibazione giudiziale autonomo, quanto meno con riferimento al profilo dell'imputabilità oggettiva. Simile risultato appare tuttavia insoddisfacente se rapportato alle premesse di partenza, che parrebbero sovrapporre il problema della colpa con quello della causalità.

Nell'intenzione di superare le menzionate discrasie, l'approdo cui si è pervenuti può essere così descritto.

Anzitutto, la presunzione di cui all'art. 2054, comma 2 c.c. ha ad oggetto un'ipotesi tipica di concorso di cause, sicché la prova contraria ivi contemplata riguarda esclusivamente la diversa efficienza eziologica concretamente riscontrabile incondotta concorrente. Una volta però acclarata l'origine concorsuale dello scontro, il Giudice farà applicazione dell'art. 1227 c.c. ai fini dell'apprezzamento del grado di colpa in capo a ciascun conducente, così modulando o escludendo la pretesa risarcitoria richiesta.

Questi risultati sono condivisi nella sostanza anche dalla giurisprudenza, che tuttavia parte da coordinate ermeneutiche ondivaghe (presunzione di colpa/responsabilità), la cui applicazione risulta poi incoerente sul piano pratico, operando un'indebita commistione tra diverse categorie dogmatiche sul piano del contenuto della prova liberatoria (colpa e nesso causale).

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