L'Ufficio del PM nella Procura non può essere ritenuto luogo di privata dimora in caso di intercettazioni

Redazione scientifica
01 Settembre 2022

La Corte di Cassazione ha avuto modo di esprimersi sulla responsabilità di un imputato, accusato dei reati di corruzione in atti giudiziari, induzione a dare o promettere utilità e rivelazione di segreto d'ufficio, commessi abusando della propria qualità di sostituto presso la Procura della Repubblica di una città campana.

Nel caso di specie, il profilo rilevante riguarda l'illegittimità dei decreti autorizzatori delle intercettazioni tra presenti per carente indicazione del luogo delle captazioni e per difetto dell'autorizzazione a procedere alle suddette operazioni in un luogo di privata dimora, quale l'Ufficio del Procuratore della Repubblica.

Le SSUU hanno già avuto modo di sottolineare che «ai fini della configurabilità del reato previsto dall'art. 624 bis c.p., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico nè accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale» (Cass. n. 31345/2017).

Ed hanno precisato anche che la nozione di privata dimora deve essere definita «in ragione della concorrenza degli indefettibili elementi della: a) utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni della vita privata (riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere), in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne; b) durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità; c) non accessibilità del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare».

Ed occorre rilevare che tale nozione non può essere automaticamente trasposta nell'esegesi dell'apparente omologa nozione dettata dall'art. 266, comma 2, c.p.p., in quanto «diversi sono i bilanciamenti posti in essere dal legislatore nel delineare il concetto di domicilio, a seconda che il suo intervento operi in funzione della tutela penale di un ambito di riservatezza contro le violazioni e le interferenze illecite altrui o al fine di porre un limite allo svolgimento delle indagini, realizzate nel pubblico interesse al perseguimento dei reati».

La Suprema Corte, seguendo tali indicazioni, ha affermato quindi che per «il concetto di domicilio non può essere esteso fino a farlo coincidere con un qualunque ambiente che tende a garantire intimità e riservatezza; ciò in quanto il rapporto tra la persona e il luogo deve essere tale da giustificare la tutela di questo anche quando la persona è assente. In altre parole la vita personale che vi si svolge, anche se per un periodo di tempo limitato, fa sì che il domicilio diventi un luogo che esclude violazioni intrusive, indipendentemente dalla presenza della persona che ne ha la titolarità, perché il luogo rimane connotato dalla personalità del titolare, sia o meno questi presente [...] Solo il requisito della stabilità anche se intesa in senso relativo, può trasformare un luogo in un domicilio, nel senso che può fargli acquistare un'autonomia rispetto alla persona che ne ha la titolarità» (Cass. n. 49286/2015, n. 1707/2011, n. 24161/2010).

Pertanto, deve escludersi che possa considerarsi luogo di privata dimora ai sensi dell'art. 614 c.p. ogni luogo al quale è consentito l'accesso ad un numero indiscriminato o comunque elevato di persone.

Ne consegue che l'Ufficio del PM nella Procura non può essere ritenuto tale, in quanto luogo nel quale è ammesso l'accesso, per ragioni d'ufficio, ad una platea ampia di persone, anche in assenza del suo titolare.

(Fonte: dirittoegiustizia.it)

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