Il ruolo del CTU e i poteri/doveri del giudice per riequilibrare il rapporto tra diritto e scienza

Raffaella Caminiti
08 Settembre 2022

Il Focus pone in evidenza la rilevanza della prova scientifica nel processo, in specie in tema di responsabilità medico-sanitaria, e il ruolo cardine che riveste il giudice nell'esercizio del proprio potere discrezionale nel governo della prova scientifica e come custode della stessa.
Premessa

A inizio anno due sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione (Cass. civ., sez. un., 01/02/2022, n. 3086; Cass. civ., sez. un., 28/02/2022, n. 6500) hanno ampliato i poteri del consulente tecnico d'ufficio nell'ambito delle indagini affidategli dal giudice.

Restringendo l'analisi alla consulenza nei giudizi di responsabilità sanitaria, la dottrina giuridica e quella medico-legale hanno ben evidenziato alcune criticità di queste pronunce per le difficoltà di distinguere tra i fatti principali inerenti all'oggetto della lite rispetto a quelli secondari per i quali l'ausiliario del giudice può anche acquisire documenti non versati dalle parti (Ilaria Gentile, I poteri del CTU e le conseguenze in ipotesi di CTU che abbia esorbitato il mandato peritale e/o abbia acquisito documenti non versati dalle parti, 22 Febbraio 2022; Luigi Mastroroberto, Enrico Pizzorno, La CTU medico legale e la recente giurisprudenza delle Sezioni Unite: nuova luce o nuove ombre? 16 giugno 2022; Andrea Gentilomo, I poteri del CTU medico-legale: osservazioni sulle sentenze delle Sezioni Unite, 13 giugno 2022).

È stato anche prospettato (Mastroroberto, Pizzorno, Gentilomo) l'elevato rischio che i principi affermati dalla Suprema Corte aumentino le difficoltà di gestione delle singole consulenze con una ricaduta negativa sui tempi delle indagini peritali e, per l'effetto, del processo.

L'attenzione è stata posta anche su un'altra possibile ricaduta pratica, ovvero un utilizzo selettivo delle indicazioni delle Sezioni Unite, in particolare di quelle contenute nella sentenza n. 3086/2022, con il rischio che il processo si trasformi in una sorta di “delega” al consulente ad opera del giudice e delle parti alla ricerca dei fatti utili e delle prove pertinenti (Gentile, I poteri del CTU, cit.), sì da arrivare ad una sentenza “giusta” che, di fatto, si limiti a recepire le risposte fornite dalla scienza.

Ebbene, l'esame della prassi dei tribunali porta a ritenere che questo rischio, seppur in parte, si sia già avverato ancor prima dei principi in questione.

Già da alcuni anni si assiste ad una “eclissi” della concezione del giudice come “peritus peritorum e, riprendendo le parole della sentenza delle Sezioni Unite sopra indicata, “pur nella diversità dei ruoli”, è ravvisabile sul piano ordinamentale “un'oggettiva convergenza di funzioni tra giudice e consulente tecnico, le attività di entrambi, quando beninteso il primo giudichi necessaria quella del secondo, rivelandosi infatti complementari ai fini dell'ufficio giurisdizionale”.

È, quindi, ribadito “il convincimento più volte espresso che il consulente tecnico, allorché, nella sua veste di ausiliario fornisca il proprio apporto di competenze specialistiche al giudice che ne ravvisi la necessità, coadiuvi questo nell'esercizio del suo ufficio e ne integri l'operato rendendo possibile la giustizia del caso concreto e scongiurando così il pericolo di una pronuncia di non liquet”.

“La necessità, invero, di assicurare un'effettiva tutela del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost. , nell'ambito del rispetto dei principi del giusto processo di cui all'art. 111 Cost., comma 2 , e in coerenza con l'art. 6 CEDU” – prosegue la sentenza in esame –“comporta l'attribuzione di una maggiore rilevanza allo scopo del processo che non è e non può essere rigida applicazione di regole, segnatamente, di ordine formale che quel diritto ingiustamente penalizzino, ma deve mirare a garantire attraverso una pronuncia sul merito della contesa, l'interesse delle parti al conseguimento di una decisione per quanto più è possibile giusta”.

Orbene, un'equiparazione dei poteri del CTU a quelli del giudice suscita un po' di “inquietudine” nei termini che si andranno ad esporre.

Come rilevato da Gentilomo (I poteri del CTU medico-legale, cit.), lo scienziato che interviene nel processo deve essere consapevole della cornice procedurale entro la quale si inserisce il proprio intervento, con esclusione di valutazioni e consequenziali decisioni su temi di stretta pertinenza del giudice, così come, secondo una prospettiva “speculare”, a quest'ultimo non competono valutazioni autonome su temi tecnici. Sul punto si tornerà nel prosieguo.

La sentenza richiama più volte anche lo scopo dell'ausiliare del giudice nel processo, che è quello di fargli conoscere la verità scientifica, “che è il fine ultimo a cui tende l'attività consulenziale”. Ma, come da insegnamento che ci proviene dalla filosofia della scienza, la verità assoluta non esiste e la scienza è sempre fallibile (Karl R. Popper, Logica della scoperta scientifica, Il carattere autocorrettivo della scienza, Torino, 1998).

Inoltre, non bisogna mai dimenticare che, accanto al percorso di verità (non assoluta, come si è detto), che si raggiunge attraverso l'indefettibile contributo della scienza, il giudice deve sempre valutare le regole epistemiche, logiche e valoriali dettate dal legislatore, dalla giurisprudenza di legittimità e dalla Carta costituzionale prima di affermare la responsabilità di un medico o di una struttura sanitaria.

Si pensi, a titolo esemplificativo, al principio del contraddittorio e, con particolare riguardo al processo civile, al principio della preponderanza dell'evidenza o del “più probabile che non”, mentre in ambito penale alla regola principe della presunzione di innocenza dell'imputato a fronte dell'enunciato dell'accusa, al diritto alla confutazione della prova e al principio della colpevolezza in ordine al reato contestato “al di là di ogni ragionevole dubbio”.

Ma quali sono in particolare i poteri/doveri del giudice nei processi per presunta colpa medica?

Selezionare i consulenti e i periti sulla base delle loro specifiche competenze

Per prima cosa è onere del giudice, nei procedimenti civili e in quelli penali aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, scegliere e selezionare i consulenti e i periti.

In applicazione dell'art. 15, comma 1, l. 8 marzo 2017, n. 24, la consulenza tecnica e la perizia devono essere affidate “a un medico specializzato in medicina legale e a uno o più specialisti nella disciplina che abbiano specifica e pratica conoscenza di quanto oggetto del procedimento, avendo cura che i soggetti da nominare, scelti tra gli iscritti negli albi di cui ai commi 2 e 3, non siano in posizione di conflitto di interessi nello specifico procedimento o in altri connessi”.

Nell'ambito del procedimento di consulenza tecnica preventiva per l'espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all'art. 8, comma 1 l. cit., i consulenti tecnici d'ufficio da nominare devono essere, inoltre, “in possesso di adeguate e comprovate competenze nell'ambito della conciliazione acquisite anche mediante specifici percorsi formativi”.

È sicuramente una scelta molto complessa perché, a differenza di altri Paesi, non esiste ancora un Albo rigoroso costruito dalle Accademie. Negli Stati Uniti, invece, come osservato da Gentilomo (Le indagini tecniche nelle ipotesi di colpa medica, Ridare 6 febbraio 2020), le società scientifiche di branca indicano alcuni requisiti essenziali per la partecipazione dello specialista al processo, facilitando in tal modo il compito del giudice.

Qualcosa, tuttavia, è mutato anche nel nostro Paese in forza dell'art. 15 l. cit., che ha introdotto una novità relativa alla formazione degli albi dei consulenti e dei periti, prevedendo l'indicazione e la documentazione delle “specializzazioni degli iscritti esperti in medicina” come pure, in sede di revisione, l'indicazione della “esperienza professionale maturata, con particolare riferimento al numero e alla tipologia degli incarichi conferiti e di quelli revocati” (comma 2).

È altresì previsto l'aggiornamento degli albi “con cadenza almeno quinquennale, al fine di garantire, oltre a quella medico-legale, un'idonea e adeguata rappresentanza di esperti delle discipline specialistiche riferite a tutte le professioni sanitarie, tra i quali scegliere per la nomina tenendo conto della disciplina interessata nel procedimento” (comma 3).

Va, inoltre, segnalata la sottoscrizione di un Protocollo d'intesa tra il Consiglio Nazionale Forense, il Consiglio Superiore della Magistratura e la Federazione Nazionale dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (reperibile sul sito del CNF), per “promuovere e orientare la revisionedegli albi dei periti e dei consulenti tecnici presso i Tribunali attraverso linee guida coerenti con le disposizioni della legge n. 24/2017, capaci di armonizzare i criteri e le modalità della revisione e della successiva tenuta a regime degli albi stessi, in base a standard condivisi a livello nazionale” (art. 1, comma 1).

La formulazione del quesito

Altra importante funzione del giudice è la formulazione del quesito (si veda, in proposito, quello proposto dall'Osservatorio sulla Giustizia civile di Milano, pubblicato unitamente alle Tabelle Ed. 2021), non demandabile ai consulenti né ai difensori delle parti, che deve essere il frutto di uno studio molto approfondito, “a monte”, della vicenda clinica oggetto di causa.

È stato sottolineato in premessa il rischio paventato in dottrina di una “delega”, persino “in bianco”, da parte del giudice al consulente nell'accertamento delle responsabilità. Rischio tanto più concreto se si considera la formulazione di taluni quesiti, rinvenibili nella prassi, ove è richiesto al collegio dei consulenti di compiere valutazioni di natura propriamente giuridica, come l'esistenza o meno di una condotta colposa dell'esercente la professione sanitaria, il grado della colpa o, addirittura, se sussista o meno una sua responsabilità professionale o ancora, in caso di prestazioni poste in essere da più professionisti e/o strutture sanitarie, la graduazione delle quote di responsabilità.

Come è stato rilevato da Rossetti, “la colpa e l'inadempimento costituiscono oggetto di apprezzamento in iure, che in nessun caso possono essere demandati al consulente. [...] in tema di responsabilità professionale del medico, potrà essere chiesto al c.t.u. quale sia la corretta tecnica di esecuzione di un intervento secondo le leges artis, e quale sia stata nel caso concreto la tecnica effettivamente eseguita: ma spetterà sempre al giudice stabilire se l'eventuale scollamento tra leges artis e condotta concreta integri o meno gli estremi di un atto colposo, o se la colpa sia stata lieve o grave” (Marco Rossetti, Il danno alla salute, Padova, 2017, pagg. 470 e s.).

Anche in relazione all'adempimento dell'obbligo informativo e, in particolare, alla completezza delle informazioni rese dai medici ai pazienti, si registra nella prassi la richiesta ai consulenti tecnici d'ufficio di accertare se sia stato o meno acquisito un valido consenso informato mediante sottoscrizione degli appositi moduli, benché ciò sia l'atto conclusivo di un processo comunicativo ampio e articolato tra medico e paziente, che non può ridursi all'espletamento di una mera procedura burocratica. Pertanto, la circostanza che il modulo informativo risulti completo non è di per sé dirimente della formazione di un effettivo consenso informato del paziente, così come, per contro, un modulo che risulti carente non implica, sic et simpliciter, che vi sia stata una violazione dell'obbligo informativo da parte di medici e strutture sanitarie.

Eventuali inesattezze nella formulazione del quesito potrebbero essere “neutralizzate” dagli stessi consulenti i quali, esaminato il quesito, dovrebbero astenersi dal fornire risposte che travalichino le loro competenze, sconfinando nel campo giuridico. Purtroppo, non sempre è così.

Non di rado lo scienziato, come aveva rilevato molti anni fa con lungimiranza un insigne medico legale e accademico italiano, si trasforma in un “grottesco centauro”, mezzo medico e mezzo giudice (Aldo Franchini, Medicina legale in materia civile, II ed, Padova, 1968). E così il magistrato, anziché governare la scienza e la prova scientifica, “abdica” alla propria funzione e “delega” allo scienziato valutazioni che sono di propria esclusiva pertinenza.

Decodificare il linguaggio scientifico e testare l'affidabilità del metodo scientifico utilizzato

È poi compito del giudice decodificare il linguaggio scientifico dei consulenti e dei periti, testando anche l'affidabilità del metodo scientifico.

In molti suoi scritti Canzio si è soffermato su questo aspetto, evidenziando come il giudice non debba diventare un mero “consumatore” e “recettore passivo” delle conoscenze tecniche e delle leggi scientifiche formulate all'esterno e veicolate nel processo ad opera degli esperti, ma deve rielaborare le risposte fornire da consulenti e periti, interpretarle e testare l'affidabilità del metodo scientifico utilizzato (Giovanni Canzio, La motivazione della sentenza e la prova scientifica: reasoning by probabilities, in G. Canzio e L. Luparia, Prova scientifica e processo penale, Padova, 2017, pagg. 3 e ss., ove l'Autore rileva che “anche il processo tecnologico e il metodo scientifico più avanzato o connotato da scarsi margini di errore è in grado di offrire risposte, nel processo, solo in termini di probabilità, talora bassa o medio-bassa, altre volte alta o medio-alta”).

Canzio ricorda la necessità di implementare ed arricchire il ruolo e la funzione del giudice, chiamato ad essere il “gatekeeper” del procedimento acquisitivo e valutativo dell'evidenza scientifica.

Il giudice deve anche testare l'affidabilità delle risposte dei consulenti, il che postula l'utilizzo di metodi di controllo che devono essere ben conosciuti dal giudice stesso, tra i quali la qualità dei consulenti e dei periti, il report dei loro errori, l'effettiva affidabilità di una teoria o di un metodo scientifico.

Sotto questo profilo vengono in rilievo i principi affermati dalla Cassazione penale la nota con sentenza del 2010 in materia di nesso causale tra l'esposizione all'amianto e morte per cancerogenesi da mesotelioma pleurico (Cass. pen., sez. IV, 17/09/2010, n. 43786).

In questa pronuncia (meglio nota come “sentenza Cozzini”) è valorizzato il ruolo del giudice, il quale deve assurgere a custode della prova scientifica e del metodo utilizzato: “Per valutare l'attendibilità di una teoria occorre esaminare gli studi che la sorreggono. Le basi fattuali sui quali essi sono condotti. L'ampiezza, la rigorosità, l'oggettività della ricerca. Il grado di sostegno che i fatti accordano alla tesi. La discussione critica che ha accompagnato l'elaborazione dello studio, focalizzata sia sui fatti che mettono in discussione l'ipotesi sia sulle diverse opinioni che nel corso della discussione si sono formate. L'attitudine esplicativa dell'elaborazione teorica. Ancora, rileva il grado di consenso che la tesi raccoglie nella comunità scientifica. Infine, dal punto di vista del giudice, che risolve casi ed esamina conflitti aspri, è di preminente rilievo l'identità, l'autorità indiscussa, l'indipendenza del soggetto che gestisce la ricerca, le finalità per le quali si muove. È ovvio che, in tema di amianto, un conto è un'indagine condotta da un organismo pubblico, istituzionale, realmente indipendente; ed altra cosa è un'indagine commissionata o gestita da soggetti coinvolti nelle dispute giuridiche. D'altra parte, in questo come in tutti gli altri casi critici, si registra comunque una varietà di teorie in opposizione. Il problema è, allora, che dopo aver valutato l'affidabilità metodologica e l'integrità delle intenzioni, occorre infine tirare le fila e valutare se esista una teoria sufficientemente affidabile ed in grado di fornire concrete, significative ed attendibili informazioni idonee a sorreggere l'argomentazione probatoria inerente allo specifico caso esaminato. In breve, una teoria sulla quale si registra un preponderante, condiviso consenso”.

In conclusione

Il ruolo della prova scientifica nel processo civile e penale, avente ad oggetto una presunta responsabilità sanitaria, è sempre più centrale e prezioso.

Lo dimostrano anche i principi affermati dalle Sezioni Unite della Cassazione nel febbraio di quest'anno.

Per evitare però un ingresso troppo “invasivo” della scienza nel mondo del diritto con la conseguente “eclissi” della concezione classica del giudice come peritus peritorum, occorre implementare e arricchire la sua funzione: rifuggendo il ruolo di mero “consumatore passivo” delle conclusioni alle quali giungono consulenze e perizie, il giudice non può demandare allo scienziato risposte a quesiti che sottendono valutazioni di natura giuridica.

Come è stato affermato da autorevole dottrina (Canzio) e dalla stessa giurisprudenza di legittimità, il giudice deve essere, o tornare ad essere, il garante e il custode del metodo scientifico.

Nel prossimo futuro, diritto e scienza sono mondi destinati ad incontrarsi sempre di più.

Auspicabilmente la scienza contribuirà ad abbreviare i tempi della giustizia e quei percorsi di verità affermati più volte dalla Suprema Corte per arrivare ad una sentenza il più possibile “giusta”.

Ma per evitare il rischio che l'ingresso della scienza possa alterare le regole procedurali e valoriali che governano il processo, civile e penale, un ruolo centrale deve essere rivestito dal giudice, il quale è chiamato oggi (e lo sarà sempre di più in futuro) a svolgere una delicata e complessa opera di controllo e gestione della prova scientifica, partendo dalla selezione dei consulenti e periti in rapporto alla res iudicanda, per proseguire con la formulazione del quesito, la decodificazione del loro linguaggio e il test di affidabilità del metodo scientifico utilizzato.

Riferimenti

Giovanni Canzio, La motivazione della sentenza e la prova scientifica: reasoning by probabilities, in G. Canzio e L. Luparia, Prova scientifica e processo penale, Padova, 2017, pagg. 3 e ss.;

Aldo Franchini, Medicina legale in materia civile, II ed, Padova, 1968;

Giuseppe Gennari, I criteri di ammissione della prova scientifica nel contesto internazionale, in G. Canzio e L. Luparia, Prova scientifica e processo penale, Padova, 2017;

Karl R. Popper, Logica della scoperta scientifica, Il carattere autocorrettivo della scienza, Torino, 1998;

Marco Rossetti, Il danno alla salute, Padova, 2017, pagg. 470 e ss.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario