La sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti de libertate

Wanda Nocerino
08 Settembre 2022

La questione che dà origine alla pronuncia in commento involge la correlazione tra il dettato di cui all'art. 588 c.p.p. e quello previsto dall'art. 310 c.p.p.
Massima

Il provvedimento con cui il Tribunale del riesame, a seguito di appello proposto dal pubblico ministero, fornisce una diversa qualificazione giuridica del fatto, con il riconoscimento di una circostanza aggravante, non ha effetto sospensivo in ragione della natura eccezionale del disposto di cui all'art. 310, comma 3 c.p.p.

Il caso

Il Tribunale del riesame di Potenza, in qualità di giudice di appello, confermava il provvedimento con cui il g.i.p. aveva rigettato la richiesta di declaratoria di inefficacia della custodia cautelare in carcere ovvero, in subordine, la sostituzione della stessa con quella degli arresti domiciliari.

Ricorre per cassazione il difensore dell'imputato, lamentando violazione di legge e difetto di motivazione, posto che il Tribunale del riesame, nel riconoscere in appello la sussistenza dell'aggravante ad affetto speciale dell'agevolazione mafiosa – e, dunque, portato da sei mesi ad un anno il termine di durata massima della misura (art. 303, comma 1, lett. a, nn. 2 e 3), c.p.p. –, aveva escluso la previsione dell'art. 310 comma 3, ossia l'effetto sospensivo dell'esecuzione che opera nel caso in cui sia il Tribunale a disporre la misura.

Il difensore richiede l'annullamento dell'ordinanza impugnata e la immediata scarcerazione dell'imputato sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, ovvero, in subordine, l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata.

La questione

La questione che dà origine alla pronuncia in commento involge la correlazione tra il dettato di cui all'art. 588 c.p.p. e quello previsto dall'art. 310 c.p.p.

Più nel dettaglio, ci si chiede se la norma per cui «le impugnazioni contro i provvedimenti in materia di libertà personale non hanno effetto sospensivo» (art. 588, comma 2, c.p.p.) debba operare in ogni caso, ovvero sussistano dei limiti scaturenti da situazioni “eccezionali” quale è il caso di accoglimento dell'appello del p.m. da parte del Tribunale della libertà (art. 310, comma 3, c.p.p.).

In questo senso, va anche chiarita la portata dell'eccezione alla regola, ossia se questa debba essere limitata ai soli casi di aggravamento di una misura o la creazione di un nuovo titolo di reato cui si estende la cautela oppure debba valere tout court per qualsivoglia provvedimento con il quale il Tribunale del riesame accoglie l'appello del p.m. e, dunque, anche nel caso di diversa definizione giuridica del fatto con il riconoscimento di una circostanza aggravante.

Dunque, le quaestiones devolute la vaglio di legittimità possono essere così sintetizzate:

  1. qual è il rapporto che lega il dettato di cui all'art. 588, comma 2, c.p.p. a quello di cui all'art. 310, comma 3, c.p.p.? L'art. 588 c.p.p. è regola o eccezione rispetto al dictum di cui all'art. 310 c.p.p.?
  2. La sospensione dell'esecuzione delle decisioni cautelari con il Tribunale accoglie l'appello del p.m. opera in ogni caso oppure nelle sole ipotesi di aggravamento della misura o di estensione della misura a un nuovo reato?
  3. L'effetto sospensivo dell'esecuzione di una misura cautelare va escluso nel caso in cui il tribunale si limiti a contestare una circostanza aggravante ovvero a riqualificare il fatto?
Le soluzioni giuridiche

A parere dei giudici di legittimità il ricorso va rigettato perché infondato.

In primis, i giudici di legittimità chiariscono la portata della correlazione tra il disposto dell'art. 310, comma 3 e l'art. 588, comma 2, c.p.p.

Rimarcando la sussistenza di un rapporto di genere a specie, la Corte chiarisce che l'art. 310, comma 3, c.p.p. costituisce un'ipotesi eccezionale alla regola generale secondo cui i provvedimenti in materia di libertà personale sono immediatamente esecutivi.

A sostegno di tale posizione, la Corte richiama l'orientamento della giurisprudenza ormai consolidatasi sul punto (Cass. pen., sez. un., 23 aprile 2020, n. 19214, in Dir. pen. proc., 2021, p. 451), secondo il quale «l'art. 310, comma 3, c.p.p. è di stretta interpretazione, derogando la stessa al principio generale di cui all'art. 588, comma 2, c.p.p. per cui le impugnazioni contro i provvedimenti in materia di libertà personale non hanno in alcun caso effetto sospensivo».

Invero, in materia sussiste un orientamento – richiamato dal ricorrente – per il quale «[L]'esecuzione del provvedimento con cui il Tribunale della Libertà, a seguito di appello proposto dal pubblico ministero, disponga l'aggravamento della misura cautelare rimane sospesa fino a che la decisione non sia divenuta definitiva» (Cass. pen., sez. VI, 30 settembre 2010 (dep. 22 ottobre 2010), n. 37773 Rv. 248595; Cass. pen., sez. VI, 9 luglio 2010 (dep. 31 agosto 2020), n. 32526 Rv. 248158; Cass. pen., sez. IV, 4 dicembre 2002 (dep. 3 ottobre 2003), n. 37718 Rv. 226267).

Ma, a ben guardare, si tratta di ipotesi tutte accomunate dal fatto che la misura originariamente disposta risultava “stravolta” per effetto dell'appello del p.m.: perciò, secondo i giudici, l'eccezione di cui all'art. 310, comma 3, c.p.p. può trovare giustificazione sono nell'ipotesi in cui il Tribunale, in accoglimento dell'impugnazione del p.m., aggravi la misura originariamente disposta oppure estenda la misura a un ulteriore reato.

Nel caso di specie, invece, in sede di appello non vi è stato alcun aggravamento della misura che, sin dall'origine era quella della custodia cautelare in carcere, né la contestazione di un ulteriore reato, trattandosi, invece, di una diversa definizione giuridica del fatto con il riconoscimento di una circostanza aggravante.

Pertanto, la Corte conclude ritenendo che non vi sono i presupposti per derogare alla disposizione generale nel caso in cui il tribunale, in accoglimento dell'appello del pubblico ministero, dia al fatto una diversa qualificazione giuridica ovvero – come nella fattispecie – riconosca la sussistenza di una circostanza aggravante a effetto speciale (in senso conforme Cass. pen., sez. V, 27 marzo 2019, n. 31996, in C.E.D. Cass., 277249).

Osservazioni

La regola della inoperatività dell'effetto sospensivo delle impugnazioni contro i provvedimenti in materia di libertà personale (art. 588, comma 2, c.p.p.) trova, come noto, una eccezione nel caso in cui il Tribunale della libertà, accogliendo l'appello del p.m. dispone una misura cautelare (art. 310, comma 3, c.p.p.). E tale regola, si è detto, è conforme al principio generale in materia di effetto sospensivo delle impugnazioni (Corte cost. 124/1994) con lo scopo di valorizzare il favor libertatis.

Allora, se la disciplina derogatoria (rectius: eccezionale) si applica anche nel caso in cui la misura cautelare – per effetto dell'accoglimento dell'appello proposto dal p.m. – subisce un aggravamento, non si rinviene la ragione per cui tale effetto non debba operare nel caso in cui venga contestata una circostanza aggravante ad affetto speciale come quella dell'agevolazione mafiosa.

A ben riflettere, anche nel caso che qui si commenta la posizione del soggetto risulta “aggravata” quantomeno con riferimento ai termini di durata massima della misura, passando da sei mesi ad un anno per effetto del disposto di cui all'art. 303, comma 1, lett. a, c.p.p.

Di conseguenza, si ritiene sussistente l'interesse ad impugnare del ricorrente che non solo subisce un pregiudizio dalla decisione del Tribunale della libertà ma persegue anche la finalità “concreta ed attuale” (Cass. pen., sez. V, 6 ottobre 2021, n. 2747, in C.E.D. Cass., n. 282542) di rimuovere la situazione di svantaggio processuale e di conseguire una decisione più vantaggiosa rispetto a quella oggetto del gravame (Cass. pen., sez. un., 27 ottobre 2011, n. 6624, in Cass. pen., 2013, p. 105, con nota di Bargis, Ricorso per Cassazione inammissibile e principio di diritto nell'interesse della legge ex art. 363, comma 3, c.p.c.: un istituto esportabile in sede penale a fini nomofilattici?).

Riferimenti
  • Marandola, Le disposizioni generali, Impugnazioni, vol. V, Trattato di procedura penale, G. Spangher (a cura di), Utet, 2009, pp. 2-267;
  • Marandola, I motivi di impugnazione. I. Disposizioni generali e giudizio d'appello, Cedam, 2008;
  • Marandola, Il dies a quo per l'impugnazione da parte del difensore dei provvedimenti cautelari personali, in Riv. it. dir. proc. pen., 2003, pp. 809-842;
  • Spangher, voce Impugnazioni penali, in Dig. disc. pen., VI, Utet, 1992, p. 217;
  • Spangher, voce Impugnazioni. II) Diritto processuale penale: profili generali, in Enc. giur., XVI, Treccani, 2002.

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