Concessione della semilibertà: non è condizione ostativa la mancata ammissione degli addebiti

Leonardo Degl'Innocenti
14 Settembre 2022

Ai fini della concessione della semilibertà non integra una condizione ostativa la mancata ammissione degli addebiti da parte del condannato, avendo egli il diritto di non ammettere le proprie responsabilità, in quanto ciò che assume rilievo sono i progressi compiuti nel corso del trattamento in funzione del graduale reinserimento sociale del reo.
Il caso

Il ricorrente, già socio accomandante di una società in accomandita semplice, è stato riconosciuto colpevole dei delitti di omicidio premeditato e detenzione illegale di armi commessi in danno del curatore fallimentare della società che aveva assunto l'iniziativa di chiedere l'estensione del fallimento anche nei suoi confronti.

Dalla motivazione della sentenza emessa il 14.03.2008, con la quale la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, emerge che l'aggravante della premeditazione è stata ritenuta sussistente anche in ragione della «circostanza che sulla punta dei proiettili repertati sono state trovate tracce di intaglio, operazione atta ad aumentare la potenzialità lesiva dei proiettili stessi che si frantumano al momento dell'urto con il bersaglio».

Per tali reati il ricorrente è stato condannato all'ergastolo; l'espiazione della pena ha avuto inizio il 9.03.2004 e il Tribunale di Sorveglianza con ordinanza emessa in data 16.12.2021, ha rigettato la domanda di semilibertà.

A fondamento di tale decisione il Tribunale ha indicato due diverse ragioni: da un lato, ha evidenziato l'inadeguatezza dell'attività lavorativa prospettata dal condannato, ritenuta non «pienamente e continuativamente impegnativa e remunerativa» e «troppo sbilanciata a favore del volontariato gratuito», dall'altro, ha sottolineato l'assenza di progressi «sul versante della revisione critica della condotta delittuosa tenuta e della possibilità di penetrare più nel profondo la personalità del detenuto e la sua evoluzione» in modo che fosse possibile «verificare il superamento di quelle contraddizioni e inadeguatezze esitate in una violenta esplosione palesemente sostenuta da istinti vendicativi massimamente censurabili per come del tutto privi di ragione e giustificazione».

Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione ha annullato la decisione del Tribunale di Sorveglianzaritenendo la motivazione inficiata da una non corretta applicazione delle norme che definiscono le condizioni per l'ammissione al regime di semilibertà.

L'istituto

La semilibertà può essere definita come il beneficio penitenziario che consente al condannato «di trascorrere parte del giorno fuori dall'Istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale» (art. 48, comma 1 ord. penit.).

Nel disegno originario tracciato dalla legge penitenziaria del 1975 la semilibertà costituiva un beneficio destinato essenzialmente ai condannati a pene medio-lunghe avente una funzione propedeutica al ritorno del soggetto in libertà, da attuarsi, eventualmente, mediante la concessione della liberazione condizionale (cfr., in merito al beneficio della semilibertà, Ardita - Degl'Innocenti - Faldi, in Diritto Penitenziario, Laurus Robuffo, 2020, pagg. 324 - 336).

Segue. I presupposti per la concessione del beneficio: i requisiti formali

Ai fini della ammissione al regime di semilibertà che (secondo la communis opinio) non costituisce una vera e propria misura alternativa, ma una modalità di espiazione della pena detentiva connotata da un significativo affievolimento della componente retributivo-afflittiva in funzione del reinserimento sociale del reo, occorre innanzitutto che il condannato abbia espiato il quantum di pena stabilito dalla legge che varia in funzione della natura del reato e della tipologia della pena inflitta.

Sul punto occorre tener presente che la “base di calcolo” alla quale commisurare la soglia di ammissione del reo alla semilibertà «va computata avendo riguardo non già alla pena irrogata con la sentenza di condanna, ma a quella che deve espiarsi dopo le detrazioni conseguenti all'eventuale applicazione delle cause di estinzione della pena in particolare dell'indulto» (Cass. pen., sez. I, 11 gennaio 2022, n. 3631, Galgano, inedita; Cass. Sez. I, 9 ottobre 2012, n.43080, Speranza, in C.E.D. Cass., n. 253267) e che sul quantum di pena così determinato deve tenersi conto della pena effettivamente scontata alla quale deve essere sommato il periodo oggetto di concessione della liberazione anticipata ex art. 54 ord. penit..

Ciò premesso, occorre osservare:

a) in caso di condanna per un reato comune (intendendosi per tale i reati diversi da quelli indicati nell'art. 4-bis ord. penit. comunemente definiti come reati ostativi) l'ammissione al regime di semilibertà è subordinata all'espiazione di metà della pena.

La commissione di un nuovo reato nel corso dell'esecuzione della pena comporta che l'espiazione della metà della pena, quale condizione per l'ammissione alla semilibertà, venga calcolata sul cumulo costituito dalla pena residua da espiare e da quella inflitta per il nuovo reato, «con decorrenza non dall'inizio dell'esecuzione per i reati precedentemente commessi, ma dalla data di commissione del nuovo reato» (Cass. pen., sez. I, 25 ottobre 2019, n. 44429, Manfredini, in C.E.D. Cass., n. 277235);

b) in caso di condanna per un reato compreso nell'art. 4-bis ord. penit. l'ammissione alla semilibertà è subordinata all'espiazione di due terzi della pena, salvo l'accertamento della intervenuta collaborazione ai sensi dell'art. 58-ter ord. penit.: in tal caso il condannato può essere ammesso a fruire della semilibertà dopo l'espiazione del termine ordinario di metà della pena.

Occorre tuttavia precisare:

b1) che per i delitti elencati nell'art. 4-bis, comma 1 ord. penit. (reati ostativi di prima fascia) l'accertamento della collaborazione (effettiva, impossibile, irrilevante) costituisce una condizione di ammissibilità al beneficio.

Cass. pen., sez. I, 1 aprile 2021, n. 17100, Gallico, in C.E.D. Cass., n.281416, ha infatti escluso che i principi enunciati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 253/2019 siano applicabili ai benefici diversi dai permessi premio.

Come noto con la predetta sentenza la Corte costituzionale ha svincolato, sia pure a determinate condizioni, la concessione del permesso premio al condannato detenuto in espiazione di pena inflitta per uno dei delitti indicati nel comma 1 dell'art. 4-bis ord. penit. al preventivo accertamento della collaborazione.

Tale requisito, come affermato anche dal precedente di legittimità sopra richiamato, resta invece rilevante per l'ammissione del condannato al regime di semilibertà, con la conseguenza che la relativa istanza, non corredata dal preventivo accertamento della collaborazione, deve essere dichiarata inammissibile.

Per i reati ostativi previsti dal comma 1-ter della norma (detti reati ostativi di seconda fascia) l'accertamento della collaborazione nei termini indicati dall'art. 58-ter ord. penit. (quindi la sola collaborazione effettiva, vale dire quella realmente prestata dal condannato) non costituisce una condizione di ammissibilità al beneficio, ma comporta l'abbassamento del quantum di pena che occorre aver espiato da due terzi alla metà.

b2) che il ripristino del termine ordinario di metà della pena a favore del condannato per uno dei reati previsti dall'art. 4-bis ord. penit. opera soltanto nel caso in cui l'interessato abbia ottenuto l'accertamento della collaborazione effettiva di cui all'art. 58-ter ord. penit., ma non anche nel caso in cui abbia ottenuto l'accertamento delle altre forme di collaborazione (impossibile o irrilevante) previste dal comma 1-bis della norma. In questi casi il condannato potrà essere ammesso alla semilibertà dopo aver espiato due terzi della pena.

In caso di cumulo materiale comprensivo di pene inflitte per delitti ostativi e comuni il dies a quo per il computo del periodo minimo di pena espiata previsto come condizione per la concessione della semilibertà decorre, qualora non sia intervenuto l'accertamento della collaborazione, dal giorno nel quale è terminata l'espiazione della quota di pena imputabile al reato ostativo e non dal giorno nel quale ha avuto inizio la carcerazione (Cass. pen., sez. I, 4 luglio 2017, n. 51037, Topo, in C.E.D. Cass., n. 271297; Cass. pen., sez. I, 11 febbraio 2022, n. 8182, Rossa, inedita).

Un problema particolare si pone allorquando il provvedimento di cumulo, comprendente pene inflitte per reati ostativi e reati comuni, comporta una pena complessiva superiore a 30 anni di reclusione, poi ricondotta a tale limite grazie al criterio moderatore di cui all'art. 78 c.p. (es.: pena complessiva di anni 35 di reclusione di cui 29 imputabile a delitti ostativi e 6 imputabile a reati comuni). Con riguardo a tale fattispecie Cass. pen., sez. I, 18 maggio 2022, n. 24014, Cascone, inedita, ha statuito che ai fini dello scioglimento del cumulo la pena relativa al reato ostativo va considerata nella sua entità originaria senza operare alcuna riduzione proporzionale delle pene concorrenti in conseguenza dell'applicazione del criterio moderatore di cui all'art. 78 c.p. (principio che era già stato affermato da Cass. pen., sez. I, 26 marzo 2019, n. 18239, Mondo, in C.E.D. Cass., n. 275670).

In senso contrario cfr. Cass. pen., sez. I, 8 marzo 2019, n. 35794, Farina, in C.E.D. Cass., n. 276723 ha affermato che «ai fini dello scioglimento del cumulo è necessario individuare il titolo di reato effettivamente in espiazione valutando mediante un'operazione algebrica, in che proporzione il criterio moderatore di cui all'art. 78 c.p. abbia inciso sulla pena complessiva risultante dal cumulo materiale, così da applicare la percentuale ottenuta su ciascun reato, ed imputando la frazione già espiata all'esecuzione dei reati ostativi».

In argomento deve essere segnalato che Cass. pen., sez. I, 3 giugno 2022, n. 25005, Zavetteri, inedita, ha ravvisato un contrasto giurisprudenziale, suscettibile di determinare decisioni difformi da parte dei giudici di merito, ed ha conseguentemente deciso di rimettere la questione alle Sezioni Unite.

c) in caso di condanna per uno dei reati indicati nei commi 1-ter (es. omicidio) e 1-quater (es. violenza sessuale) dell'art. 4-bis la semilibertà può essere concessa anche a prescindere all'avvenuta espiazione di metà della pena quando, a giudizio del Tribunale, non ricorrono le condizioni per l'applicazione dell'affidamento in prova al servizio sociale.

Si tratta della c.d. semilibertà sostitutiva o surrogatoria dell'affidamento in prova la cui applicazione richiede in ogni caso che l'entità della pena residua da espiare in concreto non superi i quattro anni (limite entro il quale è concedibile la misura alternativa di cui all'art. 47 ord. penit.).

In dottrina si è criticato l'eccessiva genericità dei criteri applicativi di questa specie di semilibertà determinata dalla formulazione negativa - “se mancano i presupposti per l'affidamento in prova” – adottata dal legislatore (Della Casa - Presutti, in Ordinamento Penitenziario commentato, a cura di Della Casa e Giostra, Cedam, 2019, pagg.738-740).

Sul punto, e a titolo esemplificativo, può essere utile richiamare la motivazione con la quale la Corte di Cassazione ha ritenuto legittima la decisione del Tribunale di Sorveglianza che, previo rigetto della domanda di affidamento in prova, ha applicato al condannato la misura alternativa maggiormente contenitiva della semilibertà: «e in vero, il Tribunale ha ritenuto che Siciliano non fosse meritevole della concessione delle invocate misure alternative alla detenzione, in considerazione dalla particolare gravità dei fatti per cui era intervenuta condanna, consistiti nel tentativo di introdurre all'interno di un istituto penitenziario un ingente quantitativo di sostanza stupefacente e un telefono cellulare, nonché della circostanza che, nei confronti della predetta, risultava pendente procedimento penale, in relazione al quale aveva subito condanna in primo grado alla pena di anni uno, mesi due di reclusione e, altresì, una denuncia della Squadra Mobile di Salerno in data 11.9.2019 per violazione della normativa in materia di armi; ha aggiunto che detti elementi inducevano a reputare necessario sottoporre la Siciliano a un congruo periodo di osservazione intramuraria, al fine di verificarne l'effettiva maturazione circa le gravi condotte poste in essere. Ebbene, tale motivazione è, a giudizio del Collegio, idonea a sorreggere la decisione adottata, atteso che il Tribunale ha messo in rilievo la particolare gravità delle condotte delittuose poste in essere dalla Siciliano, attribuendo a detto dato valore preminente e assorbente rispetto a ogni altra considerazione, come appare chiaro dall'affermazione in precedenza riportata, secondo cui, al fine di verificare l'effettiva maturazione circa le gravi condotte poste in essere, era necessario sottoporre la condannata a un congruo periodo di osservazione intramuraria. Né tale argomentare risulta affetto da vizi giuridici di sorta, essendo il giudizio del Tribunale di sorveglianza espressione del giudizio discrezionale tipico del giudice del merito che, se adeguatamente e congruamente motivato - come nel caso di specie - resiste alle censure difensive che finiscono per prospettare una diversa e più favorevole valutazione degli elementi procedimentali» (Cass. pen., sez. I, 3 novembre 2021, n. 1666, Siciliano, inedita).

In sostanza sembra possibile affermare che la semilibertà surrogatoria dell'affidamento in prova può essere legittimante applicata in tutti i casi nei quali, a giudizio del Tribunale di Sorveglianza, non ricorrono le condizioni per la formulazione del giudizio prognostico positivo al quale è subordinata ex art. 47 ord. penit. l'applicazione dell'affidamento in prova: come accade nel caso in cui il nuovo reato è stato commesso dopo che il condannato aveva terminato di espiare la pena in regime di affidamento.

La ricaduta nel delitto costituisce, infatti, una circostanza univocamente dimostrativa della inidoneità dell'affidamento a favorire il recupero sociale del reo e ad evitare la commissione di ulteriori reati.

Non possono beneficiare di questa forma di semilibertà i detenuti condannati per uno dei delitti indicati nel comma 1 dell'art. 4-bis ord. penit. (salvo che, in caso di cumulo materiale o giuridico comprensivo di pene inflitte per delitti ostativi e reati comuni, abbiano interamente espiato la quota di pena imputabile al reato ostativo); mentre il beneficio de quo può essere concesso anche al condannato libero, rectius, al condannato che ha beneficiato della sospensione dell'efficacia esecutiva dell'ordine di carcerazione ex art. 656, commi 5 e 6 c.p.p. (quindi a prescindere dal fatto che il reo abbia iniziato ad espiare la pena in carcere).

d) la persona condanna all'ergastolo può essere ammessa alla semilibertà dopo l'espiazione di almeno venti anni di pena.

In caso di cumulo di pene detentive temporanee con la pena dell'ergastolo ai fini del computo della quota di pena da espiare quale condizione per l'ammissione alla semilibertà deve assumersi quale dies a quo «la data di inizio della carcerazione per il reato per il quale è stato inflitto l'ergastolo e ciò sia che l'ergastolo sia stato inflitto per reato commesso durante l'espiazione delle pene temporanee, sia che le pene temporanee siano state inflitte per reati commessi durante l'espiazione dell'ergastolo» (Cass. pen., sez. I, 29 settembre 2011, n. 3123, Donatiello, in C.E.D. Cass., n. 251818 e pag. 3 della motivazione).

e) l'internato può essere ammesso al beneficio de quo in ogni tempo.

Segue. I requisiti sostanziali

Sotto il profilo sostanziale l'ammissione al regime di semilibertà è subordinata alla verifica di due requisiti: da un lato, la disponibilità di una attività risocializzante, che può consistere, come puntualizzato dalla giurisprudenza di legittimità anche in una attività di volontariato o in una attività lavorativa non retribuita (Cass. pen., sez. I, 25 novembre 2009, n. 47130, De Stasio, in C.E.D. Cass., n. 245724; Cass. pen., sez. I, 21 dicembre 2000, n. 11299, Campisi, ivi, n.218581), e, dall'altro, la sussistenza delle condizioni per il graduale reinserimento sociale del condannato, in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento.

Ai fini dell'accertamento di questo secondo requisito «sono richieste due distinte indagini, una concernente i risultati del trattamento individualizzato … l'altra relativa all'esistenza delle condizioni che garantiscono un graduale reinserimento del condannato nella società, implicanti la presa di coscienza, attraverso l'analisi delle negative esperienze del passato e la riflessione critica proiettata verso il ravvedimento» (Cass. pen., sez. I, 9 aprile 2014, n. 20005, Bertotti, in C.E.D. Cass., n. 259622, Cass. pen., sez. I, 11 dicembre 2020, n. 49, Serpa, ivi, 280211; Cass. pen., sez. I, 10 dicembre 2021, Cozzolino, inedita), senza che peraltro sia indispensabile la preventiva ammissione del detenuto «a misure extramurarie meno impegnative (nella specie, permessi-premio) attraverso le quali verificare l'esito positivo del percorso dal medesimo intrapreso, atteso che l'art. 50 ord. penit. non prevede alcuna obbligatoria gradualità, demandando invece al giudice di compiere una valutazione non rigidamente predeterminata - di cui è tenuto a render conto nella motivazione del provvedimento - in ordine ai progressi compiuti dal detenuto nel corso del trattamento, ferma la necessità che ricorrano altresì le condizioni per un suo graduale reinserimento nella società» (Cass. pen., sez. I, 16 luglio 2020, n. 23666, Ianculeasa, ivi n. 279457).

La regula iuris da ultimo enunciata suscita non poche perplessità.

Al riguardo è sufficiente osservare che appare difficile accertare l'effettiva sussistenza dei progressi compiuti dal condannato ove si ritenga di prescindere dalla valutazione della condotta tenuta dal medesimo nel corso dei permessi premio la cui fruizione, come noto, costituisce parte integrante del trattamento stesso, tanto più se si tiene conto che la stessa Suprema Corte ha statuito che «essendo il presupposto per l'ammissione del condannato al regime di semilibertà rappresentato dalla evoluzione positiva del trattamento penitenziario esso deve essere assolutamente certo ed il relativo giudizio deve essere tanto più prudente e cauto quanto più sia da considerare elevata l'originaria pericolosità del soggetto» (Cass. pen., sez. I, 21 settembre 2012, n. 16641, Ucciero, ivi, n. 255681).

Sembra pertanto preferibile l'orientamento secondo cui la semilibertà «non può essere deliberata se non all'esito di previe e positive esperienze di concessioni all'esterno meno significative» (Cass. pen., sez. I, 14 ottobre 2008, n. 40992, Cantelli, in C.E.D. Cass., n. 241430; Cass. pen., sez. I, 29 settembre 2009, n. 41914, Mavilla, ivi, n. 245053; più di recente Cass. pen., sez. I, 4 novembre 2021, n. 45433, Leo, inedita, ha affermato che la «mancata fruizione di permessi premio, rilevante nell'ottica di una progressione trattamentale tanto più opportuna in rapporto ai gravi precedenti» rientra nel novero degli elementi valutabili dal Tribunale ai fini del diniego della domanda tendente ad ottenere il beneficio de quo).

In ogni caso sembra pacifico che i due elementi devono essere intesi come cumulativi di talché in caso di mancanza di uno di essi il condannato non potrà accedere al beneficio (cfr. Della Casa - Presutti, in Ordinamento Penitenziario commentato, a cura di Della Casa e Giostra, Cedam, 2019, pagg. 734-737).

Ai fini della valutazione del requisito in esame assumono una rilevanza le risultanze dell'osservazione penitenziaria; Cass. pen., sez. I, 28 ottobre 2021, n. 203, Cricrì, inedita, ha affermato che grava sul Tribunale di Sorveglianza «l'onere di chiedere ed acquisire di ufficio la relazione sull'osservazione del condannato condotta in istituto, se del caso anche mediante il rinvio dell'udienza, non potendo la sua mancanza agli atti ricadere negativamente sull'interessato» (principio enunciato in materia di affidamento in prova ma sicuramente riferibile anche alla semilibertà; cfr. anche Cass. pen., sez. I, 11 aprile 2019, n. 26301, Koci, inedita).

È appena il caso di ricordare che la valutazione dei progressi compiuti nel corso del trattamento non è richiesta, né sarebbe d'altra parte configurabile, nei casi in cui la domanda di semilibertà sia stata avanzata, eventualmente in via subordinata rispetto a quella di affidamento in prova, dal condannato che si sia avvalso della sospensione dell'esecuzione ai sensi dell'art. 656, commi 5 e 6 c.p.p.

Occorre inoltre rammentare che una disciplina particolare è dettata con riguardo agli autori dei delitti sessuali indicati dall'art. 4-bis, comma 1-quater ord. penit.

Infatti per effetto delle modifiche introdotte dal decreto legge n. 11/2009, convertito, con modificazioni, nella legge n. 39/2009, i benefici penitenziari elencati nel comma 1 dell'art. 4-bis ord. penit possono essere concessi solo sulla base dei risultati dell'osservazione scientifica della personalità condotta collegialmente per almeno un anno anche con la partecipazione degli esperti di cui al quarto comma dell'art. 80 ord. penit. (ossia i professionisti esperti in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica, oltre che i mediatori sociali e gli interpreti). Inoltre per effetto della legge n. 172/2012 (di ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007), ai fini della concessione dei suddetti benefici ai detenuti e internati per delitti sessuali commessi in danno di minori, il Magistrato di sorveglianza o il Tribunale di sorveglianza valuta la positiva partecipazione al programma di riabilitazione specifica di cui all'art. 13-bis ord. penit.: norma, quest'ultima, relativa al trattamento psicologico per i condannati per reati sessuali in danno di minori, anch'essa introdotta dalla legge n. 172/2012, secondo la quale le persone condannate per determinati delitti, fra i quali quello di cui all'art. 609-quater c.p., se commessi in danno di persona minorenne, possono sottoporsi a un trattamento psicologico con finalità di recupero e di sostegno: la partecipazione a tale trattamento è valutata ai sensi dell'art. 4-bis, comma 1-quinquies, ord. penit. ai fini della concessione dei benefici previsti dalla medesima.

Come affermato da Cass. pen., sez. I, 22 giugno 2020, n. 23822, Ruggieri, inedita, con la quale è stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale relativa alla necessità dell'osservazione criminologica annuale, il legislatore con le riforme del 2009 e del 2012, ha inteso creare«un percorso differenziato per gli autori di una serie reati contro la libertà sessuale perseguendo, così, in modo più adeguato l'obiettivo del recupero e della risocializzazione degli stessi attraverso la scansione del percorso rieducativo in guisa tale che la corrispondente attività, protratta per quel lasso temporale minimo ed inderogabile, abbia la concreta possibilità di condurre il gruppo di osservazione - integrato dalla presenza di figure professionali particolarmente competenti - all'affidante valutazione della personalità del detenuto (o dell'internato)»,e che tale trattamento differenziato si «radica sull'acquisizione sedimentata che i condannati per quei delitti necessitano, per l'impostazione e il conseguimento di un'emenda effettiva, di un tempo di osservazione ordinariamente maggiore rispetto a quello normalmente previsto per gli altri condannati, anche perché connotato dal coinvolgimento nell'osservazione di diversi professionisti esperti nelle discipline congruenti (ex art. 80, comma 4, ord. penit.): tempo rispetto al quale - anche in ragione della corrispondente articolazione dell'offerta trattamentale - l'individuazione del minimum di un anno integra il risultato della discrezionale scelta legislativa, esercitata in modo non irragionevole».

Rammentato che il requisito dell'osservazione criminologica annuale non è richiesto, in forza di quanto prevede expressis verbis l'art. 4-bis, comma 1-quater ord. penit., in caso di condanna per il delitto di violenza sessuale allorquando sia stata applicata l'attenuante di cui all'ultimo comma della norma (che prevede la riduzione di pena in misura non eccedente i due terzi nei casi di minore gravità), mette conto segnalare:

a) che il requisito dell'osservazione della personalità, svolta per un anno e condotta collegialmente, «non ammette equipollenti in quanto solo tale valutazione consente il superamento della presunzione di pericolosità prevista» per i delitti de quibus (Cass. pen., sez. I, 18 febbraio 2022, n. 9228, Fasolato, inedita; Cass. pen., sez. I, 22 giugno 2020, n. 23822; Cass. pen., sez. I, 9 aprile 2019, n. 39985, Marni, in C.E.D. Cass., n. 277487);

b) che il requisito de quo, che integra una vera e propria condizione di ammissibilità alla quale è subordinata l'applicazione dei benefici penitenziari, tra i quali la semilibertà, assume rilievo nel caso di condanna per il delitto di violenza sessuale aggravato ex art. 609-ter c.p. anche quando al condannato sia stata concessa l'attenuante di cui all'art. 609-bis ult. comma c.p. (Cass. pen., sez. I, 9 aprile 2019, n. 39985).

La decisione della Corte

La questione sulla quale verte l'ordinanza del Tribunale e la decisione della Corte riguarda l'individuazione degli elementi in presenza dei quali può essere ritenuta sussistente la progressione trattamentale di cui all'art. 50 comma 4 ord. penit.

Deve ritenersi che il requisito de quo consista nella evoluzione positiva della personalità del condannato che, pur non identificandosi col sicuro ravvedimento (requisito che assume rilievo ai fini dell'applicazione della liberazione condizionale), induca a ritenere positivamente avviato quel processo di revisione critica dei disvalori che hanno determinato la condotta deviante (Cass. pen., sez. I, 30 gennaio 1995, n. 550, Vadalà, in C.E.D. Cass., n. 200790; Cass. pen., sez. I, 28 aprile 2022, n. 20902, Lisi, inedita).

Secondo Cass. pen., sez. I, 20 novembre 1998, n. 5773, Bellanova, ivi, n. 212446, il requisito della progressione trattamentale «implica una profonda revisione critica, tale da far fondatamente ritenere che il detenuto realmente aspiri al reinserimento sociale» (nella massima si precisa che il requisito in esame non si identifica, né si esaurisce nella collaborazione con la giustizia), mentre Cass. pen., sez. I, 9 luglio 2008, n. 32932, Talamè, ivi, n.240685, ritiene necessario che il condannato abbia maturato una «rivisitazione critica del proprio passato” e dimostri “un concreto impegno per un diverso stile di vita».

Come detto il Tribunale, pur dando atto del corretto svolgimento della carcerazione, ha rigettato la domanda di semilibertà valorizzando l'insufficienza di revisione critica del grave reato commesso, rispetto al quale il detenuto continuava a rivendicare la propria innocenza (nonostante che la Corte di Appello competente per territorio avesse rigettato la domanda di revisione e che la Corte di Cassazione avesse dichiarato inammissibile il ricorso), insufficienza desunta anche dall'assenza di iniziative riparatorie nei confronti dei congiunti della vittima.

Tali elementi, a giudizio del collegio, inducevano ad escludere che nel caso di specie i progressi compiuti dal condannato nel corso del trattamento avessero ancora raggiunto uno spessore tale giustificare, avuto riguardo anche alla gravità del reato commesso, l'ammissione al regime di semilibertà (peraltro il Tribunale aveva anche ritenuto inidonea l'attività risocializzante prospettata dal condannato, aspetto che, tuttavia, non sembra essere stato preso in esame dalla Corte).

I giudici di legittimità, viceversa, hanno affermato che la progressione trattamentale deve essere ritenuta sussistente una volta accertata la presenza di elementi positivi quali l'assenza di pendenze, il regolare svolgimento della carcerazione, contrassegnata dalla fruizione della liberazione anticipata, dalla corretta fruizione dei permessi premio e dell'ammissione al lavoro esterno ex art. 21 ord. penit., mentre la mancata ammissione del reato non può di per sé giustificare il diniego della misura stante il diritto del condannato di continuare a professarsi innocente anche dopo la condanna definitiva, essendo per contro sufficiente accertare se egli abbia accettato la sentenza e la sanzione inflitta (per un precedente dello stesso tenore: Cass. pen., sez. I, 3 aprile 2000, n. 2481, Ferrante, in C.E.D. Cass., n. 216037 secondo cui «l'esistenza delle condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella società, quali richieste, ai fini della concessione della semilibertà, dall'art.50, comma 4, ord. penit., non può essere esclusa per il solo fatto che il condannato rifiuti di ammettere la propria colpevolezza, dovendosi invece aver riguardo essenzialmente, in armonia con la visione laica cui si ispira l'ordinamento giuridico, alla prospettiva che lo stesso condannato acquisisca consapevolezza della necessità di rispettare le leggi penali e di conformare, in genere, il proprio agire ai doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale sanciti dall'ordinamento»).

Nessun riferimento è rintracciabile nella sentenza della Corte in merito all'assenza di iniziative riparatorie, anche con valenza non patrimoniale, nei confronti dei congiunti della vittima.

D'altra parte se è vero che, nel caso di specie, l'atteggiamento di negazione del reato non sembra aver impedito al condannato di partecipare all'opera di rieducazione, appare problematico ritenere sussistente una reale revisione critica nell'atteggiamento del condannato che, pur a fronte dell'esito negativo del giudizio di revisione, non ha acquisito una effettiva consapevolezza del disvalore del reato commesso.

Tuttavia proprio in casi come quello in esame di condanna all'ergastolo la revisione critica, intesa nei termini più stringenti sopra richiamati, oltre ad imprimere il necessario spessore al requisito indicato dall'art. 50, comma 4 ord. penit., sembra costituire, come evidenziato anche dal Tribunale nella motivazione dell'ordinanza annullata, il necessario punto di partenza del percorso che dovrebbe condurre il reo al raggiungimento del requisito del sicuro ravvedimento al quale è subordinata la concessione della liberazione condizionale (cfr. Cass. pen., sez. I, 5 luglio 1995, n. 4066, Ortelio, in C.E.D. Cass., n. 202414, secondo cui le condizioni che garantiscono il graduale reinserimento sociale del condannato implicano «la presa di coscienza, attraverso l'analisi delle negative esperienze del passato e la riflessione critica proiettata verso il ravvedimento»).

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