Decreto Trasparenza: nuovi obblighi informativi del datore di lavoro nei confronti dei dipendenti

19 Settembre 2022

Il 13 agosto scorso è divenuto operativo il Decreto Legislativo n. 104 del 27 giugno 2022, noto come Decreto Trasparenza, che recepisce la Direttiva UE 2019/1152, con l'obbiettivo di garantire a tutti i lavoratori italiani una conoscenza approfondita delle condizioni che regolano il loro impiego. Per quanto il compito del decreto sia garantire il diritto dei lavoratori alla trasparenza, come lo stesso titolo indica, il timore di osservatori ed esperti è che esso finisca per aumentare gli oneri burocratici a carico delle imprese, generando sovrapposizioni con altre norme che regolano il trattamento dei dati personali (come il GDPR) e causando grande confusione tra i destinatari della tutela che si è introdotta, invece che migliorarne le sorti.
Premessa: una garanzia di maggior tutela rispetto a quanto previsto dalla Direttiva Europea

La nuova normativa modifica il precedente Decreto Legislativo n. 152 del 26 maggio 1997, concernente l'obbligo del datore di lavoro di informare il lavoratore delle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro. Con essa, il Legislatore ha scelto di garantire tutele maggiori, rispetto a quanto stabilito dalla Direttiva recepita, introducendo nuovi obblighi informativi in capo al datore, da assolvere in gran parte al momento della stipula contrattuale.

L'applicazione è assai ampia, giacché la normativa viene applicata a tutti i contratti di lavoro subordinato, inclusi i contratti atipici (come le collaborazioni organizzate tramite piattaforma digitale), le prestazioni occasionali, il lavoro intermittente e quello domestico.

Vengono invece esclusi dall'applicazione del Decreto quei rapporti di lavoro la cui durata media sia inferiore alle tre ore settimanali, i rapporti di lavoro autonomo e i contratti di agenzia.

I nuovi obblighi informativi devono essere assolti dal datore di lavoro in formato cartaceo o elettronico, al momento dell'istaurazione del rapporto di lavoro e prima dell'inizio dell'attività lavorativa, per tutti gli assunti a partire dal 13 agosto 2022.

Per i lavoratori già in organico al 1° agosto 2022, l'obbligo per il datore è quello di fornire tali informazioni entro 60 giorni dalla relativa richiesta.

Tutte le ulteriori informazioni obbligatorie dovranno essere fornite per iscritto, con le stesse modalità, ovvero in formato cartaceo o elettronico, entro sette giorni dall'inizio della prestazione lavorativa.

È ammessa la dilazione di 30 giorni per alcune informazioni che non dovessero essere contenute nella lettera di assunzione o nella comunicazione obbligatoria di inizio rapporto. Eventuali modifiche delle condizioni devono essere comunicate per iscritto al lavoratore, con almeno 24 ore di anticipo.

Il Decreto interviene a modificare diversi aspetti che disciplinano il rapporto di lavoro, dal cumulo degli impieghi, alla durata massima del periodo di prova ed alla formazione obbligatoria. È inoltre importante sottolineare come la nuova normativa preveda espressamente anche le modalità con cui devono essere fornite le informazioni al lavoratore.

| Quali sono le informazioni da fornire

Oltre all'identità delle parti (inclusi eventuali co-datori), al luogo di lavoro ed alla sede del datore, andranno comunicati l'inquadramento, il livello e la qualifica attribuiti al lavoratore, la data di inizio del rapporto e la tipologia del rapporto previsto, la durata dell'eventuale periodo di prova, l'importo iniziale della retribuzione ed i relativi elementi costitutivi, con l'indicazione del periodo e delle modalità̀ di pagamento.

Vanno inoltre comunicati il CCNL e l'eventuale accordo integrativo aziendale applicato, con l'indicazione delle parti sottoscriventi, la programmazione dell'orario normale di lavoro, le condizioni relative al lavoro straordinario e alla sua retribuzione, le condizioni e il preavviso per l'eventuale cambio di turni.

Se il rapporto di lavoro fosse caratterizzato da modalità organizzative in qualche modo imprevedibili, occorrerà specificare:

  • la variabilità̀ della programmazione del lavoro, l'ammontare minimo delle ore retribuite garantite e la retribuzione per il lavoro prestato in aggiunta alle ore garantite;
  • le ore e i giorni di riferimento in cui il lavoratore è tenuto a svolgere le prestazioni lavorative;
  • il preavviso con cui lavoratore ha diritto prima dell'inizio della prestazione lavorativa e, ove ciò sia consentito dalla tipologia contrattuale in uso e sia stato pattuito, il termine minimo (24 ore), entro cui il datore di lavoro può annullare l'incarico, pena la corresponsione di una indennità pari almeno al 50% del compenso per la prestazione tardivamente annullata;
  • la possibilità per il lavoratore di rifiutare la prestazione, in caso di mancato congruo preavviso.

In caso di utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati (ovvero di strumenti che consentono di prendere decisioni impiegando mezzi tecnologici, come macchinari o algoritmi), andranno indicati:

  • gli aspetti del rapporto di lavoro sui quali incide l'utilizzo dei sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati;
  • gli scopi e le finalità dei sistemi, la loro logica ed il loro funzionamento;
  • le categorie di dati e i parametri principali utilizzati per programmare o addestrare i sistemi, inclusi i meccanismi di valutazione delle prestazioni;
  • le misure di controllo adottate per le decisioni automatizzate, gli eventuali processi di correzione e il responsabile del sistema di gestione della qualità;
  • il livello di accuratezza, robustezza e cybersicurezza dei sistemi e le metriche utilizzate per misurare tali parametri ;
  • gli impatti potenzialmente discriminatori delle metriche stesse.

Infine, nel caso di distacco del lavoratore all'estero, andranno indicati, prima della partenza, anche:

  • i paesi in cui deve essere svolto il lavoro all'estero e la durata prevista;
  • la valuta in cui verrà corrisposta la retribuzione;
  • le eventuali prestazioni ulteriori in denaro o in natura inerenti agli incarichi svolti;
  • ove sia previsto il rimpatrio, le condizioni che lo disciplinano;
  • la retribuzione cui ha diritto il lavoratore, conformemente al diritto applicabile dello Stato membro ospitante;
  • le eventuali indennità specifiche per il distacco e le modalità di rimborso delle spese di viaggio, vitto e alloggio;
  • l'indirizzo del sito internet istituzionale dello Stato membro ospitante in cui sono pubblicate le informazioni sul distacco.

Ad una prima occhiata, ci troviamo di fronte a ragguagli che la maggior parte delle aziende dovrebbe già fornire ai lavoratori in sede di assunzione, ma in realtà la questione è più complicata.

Innanzi tutto, il numero delle informazioni da fornire è piuttosto ampio e particolareggiato. Inoltre, si tratta di indicazioni che è ormai tassativamente obbligatorio inserire e non tutte le società sono ancora in grado di formulare lettere di assunzione tanto precise e circostanziate, da fornire immediatamente, all'atto dell'assunzione.

Le possibili interferenze con le norme previste dal GDPR

A complicare la situazione, bisogna aggiungere che il datore di lavoro o il committente sono comunque tenuti a integrare l'informativa con le istruzioni per il lavoratore in merito alla sicurezza dei dati, verificando che gli strumenti utilizzati per lo svolgimento della prestazione lavorativa siano conformi alle disposizioni previste dal GDPR.

In ottemperanza alla normativa ivi prevista, il datore di lavoro dovrà dunque effettuare un'analisi dei rischi e una valutazione d'impatto degli stessi trattamenti, procedendo alla consultazione preventiva del Garante per la protezione dei dati personali, ove sussistano i presupposti indicati dal Regolamento medesimo.

Ricordiamo poi che il lavoratore, direttamente o attraverso le rappresentanze sindacali, ha diritto di richiedere ulteriori informazioni concernenti gli obblighi sull'impatto dei sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati nel rapporto di lavoro e che il datore di lavoro è tenuto a dare risposta entro 30 giorni dalla richiesta e comunque a comunicare - almeno con 24 ore di anticipo - ogni modifica delle informazioni già fornite che comporti una variazione delle condizioni di lavoro.

In assenza della comunicazione ai dipendenti sono previste sanzioni pecuniarie differenziate per tipologia (mancanza, ritardo, omissioni), che variano da 250 a 1500 euro per ogni lavoratore interessato. È possibile che le aziende non assumano nello stesso tempo un gran numero di nuovi dipendenti, ma l'ammontare delle sanzioni da pagare potrebbe comunque arrivare ad importi piuttosto cospicui.

Non è difficile immaginare quanto tutto questo possa comportare, in termini di aggravio dei costi e delle procedure, per le aziende italiane che faticano ancora ad accogliere il GDPR tra le procedure routinarie, come purtroppo risulta dalle più recenti ricerche effettuate dal Garante e dagli addetti ai lavori.

La questione della trasparenza in una prospettiva europea e le perplessità degli addetti ai lavori

La questione della trasparenza rappresenta un concetto ormai consolidato nel diritto dell'Unione Europea: essa viene considerata come elemento indispensabile per avvicinare i cittadini alle attività ed alle istituzioni dell'Unione, rendendo possibile un maggior controllo dei cittadini su quanto operato dai pubblici poteri e permettendo una maggiore crescita degli operatori economici e lo sviluppo della concorrenza, attraverso un migliore e più corretto funzionamento del mercato.

Sotto questo profilo, garantire la trasparenza nelle informazioni costituisce un principio cardine anche nell'ambito della protezione dei dati.

L'art. 12 del GDPR definisce infatti “l'istituto della trasparenza”, nel quale è previsto l'obbligo generale per i titolari del trattamento di fornire informazioni trasparenti e comunicare le modalità con cui gli interessati possono esercitare i propri diritti.

La trasparenza, insomma, dovendo infondere fiducia ai cittadini nei processi che li riguardano, deve permettere loro di comprenderli e, se necessario, di opporvisi. È dunque necessario che le informazioni destinate al pubblico o all'interessato siano concise, facilmente accessibili e di facile comprensione e che sia usato un linguaggio semplice e chiaro.

Ma è qui che sbocciano le tante perplessità che comporta l'applicazione del Decreto.

Se in esso la trasparenza si concretizza nell'obbligo informativo che il datore di lavoro deve assolvere nei confronti del lavoratore, è inevitabile che l'informativa stessa comprenda tutto ciò che caratterizza il rapporto di lavoro, il che amplia gli obblighi già previsti dal GDPR.

Ciò può comportare la produzione di documenti lunghi, complessi e poco comprensibili, con un approccio ben lontano dall'idea di semplificazione ed efficacia adombrata già a partire dalle Linee Guida sulla Trasparenza sulle quali hanno lavorato gli esperti della protezione dei dati ed alle quali si è in parte ispirato il Decreto.

È infatti necessario individuare approcci per semplificare l'onere sostenuto dai Titolari del trattamento che operano all'interno delle aziende ed essere nel contempo efficaci nel fornire le informazioni, ora obbligatorie, alle diverse tipologie di interessati.

Insomma, il fine di rendere più trasparenti i termini del rapporto di lavoro appare lodevole e condivisibile, ma risulta criticabile la complessità della legge, che introduce una serie di complicazioni burocratiche non richieste dalla normativa europea, con una tempistica poco felice, per via dell'entrata in vigore del provvedimento in pieno mese di agosto.

I datori di lavoro dovranno riconsiderare attentamente le norme introdotte, anche alla luce di quelle già in vigore sulla protezione dei dati, rivedendo le proprie informative ed integrandole con quanto richiesto dalla novella.

Si tratterà di studiare in maniera approfondita le disposizioni della contrattazione collettiva e applicarle al caso specifico, tenendo conto dei rinnovi e delle modifiche intervenute rispetto alle condizioni indicate in sede di assunzione, non essendo più possibile rinviare il dipendente alla contrattazione collettiva del settore e dovendo dettagliare tutte queste informazioni direttamente ai lavoratori.

In poche parole, di fronte alle molteplici criticità operative evidenziate ed alla scelta di non avvalersi dei processi di semplificazione e digitalizzazione previsti dalla disciplina europea, si potrebbe finire col vanificare la finalità sostanziale del diritto all'informazione, dando vita a documenti poco comprensibili e di pochissima utilità per i lavoratori.

Il Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro ha quindi indirizzato una lettera al Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, per chiedere la revisione del Decreto e per rilevare l'assenza di rinvio ai contenuti dei CCNL nei contratti di assunzione, evidenziando come la nuova norma abbia scelto di andare oltre la portata dei contenuti della Direttiva europea 2019/1152 recepita, la quale prevede espressamente che una cospicua parte delle informazioni rese obbligatorie dal decreto possa essere fornita facendo riferimento a precedenti disposizioni legislative o ai contratti collettivi coinvolti.

Le conseguenze per la responsabilità datoriale

Al di là delle sanzioni previste in caso di inadempienza, le conseguenze sul piano della responsabilità datoriale possono essere diverse.

Una lettura testuale da parte del giudice del lavoro potrebbe determinare conseguenze in caso di vertenze con i lavoratori ed un aggravamento della posizione del datore, dal momento che sarà difficile per le aziende allinearsi in poco tempo alle richieste della nuova norma, data l'ampiezza della sua applicazione e le possibili interferenze con altri provvedimenti.

Come si è accennato, il GDPR - entrato in vigore il 24 maggio 2016 e applicabile dal 25 maggio 2018 - fa ancora una certa fatica ad essere inserito by design and by default nelle procedure rutinarie adottate dalle aziende, come dimostrano le tante sanzioni imposte dal Garante anche sul piano dei rapporti interni alle società.

Si pensi poi al fatto che il nuovo decreto stabilisce che non si possa più impedire al lavoratore di svolgere un'altra attività lavorativa al di fuori della programmazione concordata e a questo proposito potrebbero verificarsi problemi sugli accordi di riservatezza che ciascun datore impone ai propri dipendenti e collaboratori.

C'è poi da tenere presente che la nuova norma prevede che la formazione obbligatoria sia erogata gratuitamente e debba essere svolta il più possibile durante l'orario ordinario di lavoro, il che comporterà non poche questioni con gli interessati, soprattutto per quelle attività che prevedono il controllo delle ore di formazione, pena la non operatività delle coperture assicurative eventualmente in vigore per la responsabilità contrattuale.

Le oggettive difficoltà previste per adempiere a questo complesso sistema di norme induce gli assicuratori a porre limitazioni sulla validità delle polizze che assicurano la responsabilità datoriale e spesso tali restrizioni riguardano proprio il trattamento dei dati e l'applicazione del GDPR.

In definitiva, è possibile ritenere che l'ammontare dei danni complessivi che un datore di lavoro potrebbe dover corrispondere alla luce dell'applicazione del Decreto può far decollare i relativi risarcimenti, giustificando una presa di posizione difensiva da parte delle compagnie di assicurazione che erogano polizze RCO.

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