Responsabilità civile dei magistrati: anche senza privazione della libertà personale, il danno è risarcibile

Giuseppe Marino
19 Settembre 2022

Con riferimento alla responsabilità civile dei magistrati, la selezione di un solo diritto inviolabile della persona (la libertà personale) da proteggere con il risarcimento dei danni non patrimoniali, anche fuori dai casi di reato, non è giustificata dalla specificità dell'illecito civile da esercizio della funzione giudiziaria. Lo ha affermato la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 205, pubblicata il 15 settembre 2022.

La pronuncia in commento trae origine dalla questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 1, della l. n. 117/1988 (nel testo antecedente alla modifica apportata dalla l. n. 18/2015), nella parte in cui limita la risarcibilità dei danni non patrimoniali ai soli danni derivanti da privazione della libertà personale.

La disciplina impugnata – applicabile, ratione temporis, al giudizio a quo – ricollegava il diritto al risarcimento ai soli danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti dalla privazione della libertà personale per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia. La novella del 2015 – non applicabile retroattivamente – ha eliminato le parole “che derivino da privazione della libertà personale”, con l'effetto di estendere l'ambito di operatività della responsabilità risarcitoria a carico dello Stato.

Il rimettente ritiene che la previgente disciplina legislativa arrecasse un vulnus agli artt. 2,3 e 32 Cost., comportando un sacrificio di diritti della persona di rango costituzionale non ragionevolmente giustificato da esigenze di bilanciamento con i principi dell'indipendenza dei magistrati e dell'autonomia della funzione giudiziaria.

Il perimetro tracciato dal legislatore del 1988 risultava ispirato ad una duplice scelta. Da un lato, veniva garantito il risarcimento dei medesimi danni suscettibili di essere liquidati, in quel momento storico, sulla base delle norme generali: il danno patrimoniale, il danno biologico (inquadrato, all'epoca, nell'art. 2043 c.c., quale tertium genus ascrivibile al danno ingiusto o quale danno lato sensu patrimoniale) ed il danno non patrimoniale da reato. Dall'altro lato, il legislatore dell'epoca ammetteva la piena protezione risarcitoria, estesa a tali danni, nella sola ipotesi di privazione della libertà personale.

Veniva, dunque, selezionato e protetto il solo diritto inviolabile di cui all'art. 13 Cost., implicato a fronte di coercizioni fisiche, ovvero di forme di “privazione o restrizione”, aventi a oggetto il corpo della persona, non astrattamente previste dalla legge e irrogate senza un regolare giudizio.

Successivamente, dopo circa tre lustri, la regola generale di cui all'art. 2059 c.c. è stata sottoposta ad un radicale cambiamento ermeneutico. Con cinque pronunce, di identico tenore, la Cassazione (Cass. n. 8828/2003, n. 8827/2003, n. 7283/2003, n. 7282/2003 e n. 7281/2003) – dopo oltre un ventennio di riflessioni dottrinali incentrate sulla necessità di estendere, a tutela della persona, la risarcibilità dei danni non patrimoniali – ha optato per un'interpretazione adeguatrice alla Costituzione dell'art. 2059 c.c.

In particolare, la lesione dei diritti inviolabili della persona, di cui all'art. 2 Cost., è stata ascritta ai casi previsti dalla legge, che ai sensi dell'art. 2059 c.c. consentono il risarcimento dei danni non patrimoniali. Ai diritti inviolabili della persona non può negarsi la tutela civile offerta dal risarcimento dei danni non patrimoniali che, non differenziando i danneggiati in base alla loro capacità di produrre reddito, assicura una protezione basilare, riconoscibile a tutti e idonea a svolgere una funzione solidaristico-satisfattiva, talora integrata – in presenza di una particolare gravità soggettiva dell'illecito e relativamente alla componente del danno morale – anche da una funzione individual-deterrente.

La Consulta ha riconosciuto alle sentenze della Cassazione l'indubbio pregio di aver ricondotto a razionalità e coerenza il tormentato capitolo della tutela risarcitoria del danno alla persona, in virtù di un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cod. civ., tesa a ricomprendere nell'astratta previsione della norma ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona, incluso il danno biologico (Corte Cost., n. 233/2003).

L'evoluzione ermeneutica dell'art. 2059 c.c., di fatto, ha finito per rendere ancora più evidente il contrasto fra la scelta selettiva operata dall'art. 2, co. 1, della l. n. 117/1988 e l'esigenza di una piena tutela risarcitoria di tutti i diritti inviolabili della persona.

Per il giudice delle leggi, la selezione di un unico diritto inviolabile della persona (la libertà di cui all'art. 13 Cost.), cui garantire, a fronte di un illecito civile, piena ed effettiva tutela risarcitoria, con il maturare della consapevolezza circa la rilevanza e le funzioni del risarcimento dei danni non patrimoniali a tutela dei diritti inviolabili della persona, rivela, oggi, i tratti dell'irragionevolezza e, dunque, della contrarietà all'art. 3 Cost.

In particolare, non è possibile rinvenire alcuna giustificazione che possa sottrarre la valutazione effettuata dal legislatore al giudizio di irragionevolezza. In primo luogo, la selezione di un solo diritto inviolabile della persona da proteggere con il risarcimento dei danni non patrimoniali, anche fuori dai casi di reato, non è giustificata dalla specificità dell'illecito civile da esercizio della funzione giudiziaria. In secondo luogo, se è vero che la libertà personale, di cui all'art. 13 Cost., può ritenersi esposta a subire pregiudizi particolarmente gravi per effetto dell'illecito del magistrato, simile circostanza rileva su un piano meramente di fatto, del tutto inidoneo a giustificare l'esclusione dalla tutela degli altri diritti inviolabili della persona, parimenti suscettibili di subire danni in conseguenza di una acclarata responsabilità del magistrato.

Ed infatti, pur potendosi ben configurare, in concreto, diversi livelli di gravità dell'illecito, nondimeno è certamente da escludere un'astratta differenziazione tra i diritti inviolabili della persona evocatrice, sotto il profilo risarcitorio, di una insostenibile gerarchia interna a tale categoria di diritti.

In definitiva, la disciplina è costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede il risarcimento dei danni non patrimoniali da lesione di diritti inviolabili della persona anche diversi dalla libertà personale.

(Fonte: dirittoegiustizia.it)

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