Il concetto di “bene mobile” ai fini del calcolo della superficie detentiva goduta dal detenuto

Lorenzo Cattelan
21 Settembre 2022

La questione involge il tema delle modalità di calcolo della superficie della camera di pernottamento da effettuare ai fini del riconoscimento del ristoro previsto dall'art. 35-ter ord. penit.
Massima

Il concetto di “beni mobili” utilizzato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione in tema di calcolo della superficie disponibile nella cella si riferisce soltanto agli arredi che possono essere facilmente spostati da un punto all'altro della cella. Rimane pertanto escluso da detto calcolo lo spazio occupato dagli arredi fissi, tra cui rientra anche il letto a castello. La superficie occupata dai letti singoli, invece, deve essere detratta se essi sono ancorati al suolo, mentre non deve esserlo se possono essere spostati.

Il caso

Il Magistrato di Sorveglianza di Bologna riconosceva a favore di un condannato il risarcimento in forma monetaria ex art. 35-ter ord. penit. con riferimento ad un periodo detentivo trascorso in uno spazio vivibile inferiore a 3 m.q., o comunque compreso tra 3 e 4 m.q., con limitate possibilità di uscita dalla cella (rectius camera di pernottamento; cfr. Circolare DAP 31 marzo 2017).

Avverso tale provvedimento proponeva reclamo il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia.

Il Tribunale di Sorveglianza di Bologna, a questo punto, ribadiva le modalità di calcolo dello spazio disponibile per ogni detenuto e i principi stabiliti dalle note Sezioni Unite con la sentenza n. 6551 del 24 settembre 2020.

Anche tale decisione veniva impugnata – con ricorso per cassazione – dal Ministro della Giustizia deducendo erronea applicazione dell'art. 35-ter ord. penit., con riferimento ai criteri di calcolo della superficie detentiva media goduta dal detenuto.

Più in particolare, secondo il Ministero ricorrente, la giurisprudenza della Corte EDU avrebbe confermato il criterio di calcolo consistente nel non scomputare dalla superficie utile quella ingombrata da tutti i mobili della camera.

L'oggetto del contrasto attiene quindi alla superficie occupata dal letto singolo (e non a castello), trattandosi di oggetto mobile che può essere utilizzato per lo svolgimento di attività quotidiane ulteriori rispetto al riposo. Proprio su questo punto il Tribunale di Sorveglianza avrebbe violato, secondo il ricorrente, l'interpretazione dell'art. 3 CEDU adottata dalle Sezioni Unite nel 2020.

La questione

La questione involge il tema delle modalità di calcolo della superficie della camera di pernottamento da effettuare ai fini del riconoscimento del ristoro previsto dall'art. 35-ter ord. penit.

Nella valutazione dello spazio minimo di tre m.q. da assicurare ad ogni detenuto affinché lo Stato non incorra nella violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, stabilito dall'art. 3 della CEDU, vanno detratti gli arredi – pur “mobili” in senso tecnico ma – che si rivelano concretamente inadatti ad essere spostati? Qual è il concetto di “bene mobile” cui far riferimento ai fini della disciplina del risarcimento di cui all'art. 35-ter ord. penit.?

Ulteriori questioni collegate a quella principale:

  • La considerazione per cui il letto singolo può essere utilizzato per finalità ulteriori rispetto al riposo (leggere, giocare a carte, parlare ecc.), a differenza del letto a castello, rileva per la decisione in punto di sovraffollamento?
  • La superficie occupata dai letti singoli non deve in ogni caso essere detratta?

Gli interrogativi sono significativi in quanto si iscrivono in un dibattito che può essere esemplificativamente scandito in ben cinque tappe evolutive.

Secondo un primo orientamento, formatosi precedentemente alla sentenza Mursic, ai fini del calcolo, dalla superficie lorda della cella doveva essere detratta l'area occupata dagli arredi genericamente considerati (cfr. Cass. pen., sez. I, 19 dicembre 2013, n. 5728, Berni; Cass. pen., sez. I, 19 dicembre 2013, n. 5729, Carnoli; Cass. pen., sez. I, 27 novembre 2014, n. 53011, Min. Giustizia).

Successivamente al 2016 un nuovo orientamento operava una distinzione tra gli arredi fissi, di ostacolo al libero movimento, la cui superficie deve essere detratta dallo spazio minimo, e arredi facilmente rimuovibili (come sgabelli e tavolini), che possono essere inclusi nel calcolo (Cass. pen., sez. I, 17 novembre 2016, n. 13124, Morello; Cass. pen., sez. I, 17 novembre 2016, n. 12338, Agretti; Cass. pen., sez. F., 17 agosto 2017, n. 39207, Gongola; Cass. pen., sez. I, 26 maggio 2017, n. 41211, Gobbi).

All'interno della categoria degli arredi fissi, poi, emerge(va) un contrasto specifico in ordine alla superficie occupata dal letto che, secondo alcuni, doveva essere sottratta in ogni caso; altri invece ritenevano sottraibile tale superficie solo in caso di struttura “a castello” (attesa l'incompatibilità con la seduta eretta) (cfr., Cass. pen., sez. I, 9 settembre 2016, n. 52819, Sciuto).

Un ultimo orientamento, infine, opta(va) per una concezione lorda della superficie, che prescindeva dalla presenza della mobilia.

Le soluzioni giuridiche

Il fondamento del principio di diritto enunciato con la sentenza in commento si rinviene nel già citato arresto delle Sezioni Unite del 2020 in cui si è chiarito che nella valutazione dello spazio individuale minimo di tre metri quadrati, da assicurare ad ogni detenuto affinché lo Stato non incorra nella violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti (art. 3 CEDU), si deve avere riguardo alla superficie che assicura il normale movimento nella cella. Ciò che risulta necessario indagare è quindi la possibilità di movimento del detenuto all'interno della cella e non la vivibilità complessiva all'interno della cella stessa.

Si tratta, del resto, di una logica conseguenza delle argomentazioni rese dalla Corte EDU nel caso Ananyev c. Russia in cui si richiamava «la possibilità di movimento libero fra gli arredi» (Corte EDU, Ananyev c. Russia, 10 gennaio 2012, ric. 42525/07 e 60800/08). Anche la sentenza Mursic c. Croazia evidenziava l'importanza di «determinare se i detenuti hanno la possibilità di muoversi normalmente nella cella» (Corte EDU, Grande Camera, 20 ottobre 2016, Mursic e c. Croazia).

Ciò posto, la Corte di cassazione si sofferma sull'etimologia del sostantivo "mobile", cui corrisponde quello della lingua francese "meuble" (si evidenzia, a tal proposito, che la Corte EDU nella traduzione ufficiale della sentenza Mugie scrive "En revanche, le calcul de la surface disponible dans la cellule doit inclure l'espace occupe' par les meubles"). Ecco dunque che il sostantivo in esame si riferisce ad un oggetto che può essere spostato. In questo senso, «per i detenuti all'interno di una cella, mentre il tavolino, le sedie, i letti singoli possono essere spostati da un punto all'altro della camera (sono, quindi, "mobili"), non altrettanto può dirsi per gli armadi o i letti a castello, sia a causa della loro pesantezza o del loro ancoraggio al suolo o alle pareti, che dalla difficoltà di loro trasporto al di fuori della cella» (p. 3 sentenza in commento).

L'intero discorso viene esplicitamente inquadrato alla luce della peculiare condizione carceraria, caratterizzata da una ridotta libertà di locomozione. Ne deriva che la residua possibilità di movimento (espressamente «il poter compiere alcuni passi per spostarsi») diventa vitale. Per questo la relativa impossibilità rischia di essere intollerabile, degradante e inumana. In questo contesto va poi letto il noto fattore compensativo del sovraffollamento rappresentato dalla possibilità di uscire dalle camere di pernottamento e muoversi in uno spazio più ampio per molte ore del giorno: «una possibilità che rende sopportabile (o almeno: meno insopportabile) la limitatezza dello spazio all'intero della camera» (p. 4).

Di qui la conclusione della Prima Sezione della Suprema Corte: se il letto singolo è ancorato al suolo - non è, cioè, mobile - i detenuti all'interno della cella non possono utilizzare lo spazio dallo stesso occupato per camminare e per spostarsi; se, invece, non è ancorato al suolo, c'è la possibilità di spostarlo durante il giorno per specifiche necessità, al pari delle sedie e di tavolini, e, quindi, di utilizzare il relativo spazio.

Tale argomentare risulta conforme all'arresto delle Sezioni Unite del 2020 in quanto, in tale circostanza, non si è affermato che la superficie occupata dai letti singoli non deve essere detratta. Al contrario, si ricava che tale operazione di scomputo va effettuata se i letti singoli sono ancorati al suolo, perché non sono, in questo caso, "mobili", mentre non deve esserlo se possono essere spostati.

Nel caso portato all'attenzione degli ermellini, infine, non emergendo con chiarezza se il letto singolo di cui si discute fosse o meno ancorato al suolo, l'impugnata ordinanza del Tribunale di Sorveglianza è stata annullata con rinvio allo stesso Collegio di merito per accertare questo elemento di fatto e trarne le conseguenze in punto di rispetto della superficie minima della cella.

Osservazioni

Il ragionamento della Prima Sezione nella decisione in esame è di particolare interesse nella misura in cui integra le motivazioni elaborate dalle Sezioni Unite con la nota sentenza del 24 settembre 2020 (dep. 19 febbraio 2021), n. 6551.

In relazione a tale aspetto, possono svolgersi alcune precisazioni a margine.

Le Sezioni Unite, nel risolvere la questione di massima di particolare importanza, muovevano le fondamenta nel c.d. Ananyev test, ritenuto idoneo a valorizzare gli spazi liberi nella cella una volta scomputate le strutture che ne ingombrano pavimento e pareti.

Prima delle Sezioni Unite, la Magistratura di sorveglianza aveva a lungo sostenuto che non dovesse tenersi conto dello spazio occupato dal letto singolo ai fini della valutazione sui mq a disposizione, poiché lo stesso avrebbe costituito comunque una struttura utilizzabile anche per lo svolgimento di molteplici attività giornaliere, oltre che per dormire, ed in definitiva valorizzabile, ove si fosse acceduto ad una nozione di spazio utile alla quotidianità detentiva, piuttosto che di spazio calpestabile o destinato al movimento (cfr. Gianfilippi).

Successivamente alle Sezioni Unite, invece, si fece larga l'interpretazione per cui il giudice chiamato a valutare il reclamo ex art. 35-ter ord. penit. avrebbe avuto il compito di verificare, attraverso apposita istruttoria, che il letto singolo eventualmente in uso all'interessato avesse caratteristiche di facile amovibilità (da parte del detenuto).

Con la sentenza in commento si è finalmente chiarito come debba essere inteso il concetto di “bene mobile” richiamato dalla giurisprudenza EDU (cui il giudice interno deve riferirsi tanto per volontà dello stesso art. 35-ter ord. penit. quanto per il principio enunciato da Corte cost. 49/2015).

Si è così giunti a chiarire che, ai fini del computo della superficie dei tre metri quadri (limite relativo per garantire la dignità alle condizioni di detenzione del singolo detenuto), occorre:

  • detrarre lo spazio occupato dai servizi igienici e dall'arredamento (v. Circolare DAP 18 aprile 2014);
  • detrarre gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, tra cui i letti a castello (v. sez. un. 2020);
  • detrarre lo spazio occupato dal letto singolo qualora non sia agevolmente amovibile dal pavimento (v. Cass. pen., sez. I, n. 18681/22 in commento).

In conclusione, va comunque ricordato che, conformemente alla sentenza resa sul caso Mursic, il giudice nazionale non potrà accogliere un'istanza presentata ai sensi dell'art. 35-ter ord. penit. qualora il detenuto abbia vissuto in condizioni detentive al di sotto dei 3 metri quadri, ma tale condizione sia perdurata per un breve periodo di tempo, in cui abbia avuto comunque la possibilità di svolgere attività trattamentali adeguate, nonché di fruire di idonee condizioni igieniche, e sempre che gli sia stata garantita la possibilità di libero movimento all'interno della cella (cd. fattori compensativi).

Sul punto, il paragrafo n. 22 del considerato in diritto delle più volte citate sez. un., 24 settembre 2020 (dep. 19 febbraio 2021), n. 6551, afferma che «i fattori compensativi costituiti dalla breve durata della detenzione, dalle dignitose condizioni carcerarie, dalla sufficiente libertà di movimento al di fuori della cella mediante lo svolgimento di adeguate attività, se ricorrono congiuntamente, possono permettere di superare la presunzione di violazione dell'art. 3 CEDU derivante dalla disponibilità nella cella collettiva di uno spazio minimo individuale inferiore a tre metri quadrati; nel caso di disponibilità di uno spazio individuale fra i tre e i quattro metri quadrati, i predetti fattori compensativi, unitamente ad altri di carattere negativo, concorrono nella valutazione unitaria delle condizioni di detenzione richiesta in relazione all'istanza presentata ai sensi dell'art. 35-ter ord. penit.».

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