Limiti di impugnabilità degli atti indicati nell'estratto di ruolo: il nuovo comma 4-bis dell'art. 12 del d.P.R. n. 602/1973

27 Settembre 2022

Il presente contributo analizza l'art. 4-bis dell'art. 12 d.P.R. n. 602/1973 e, specialmente, il fondamento della disciplina di tutela del contribuente a fronte del ruolo e della cartella non notificata o notificata invalidamente.
Massima

”In tema di riscossione a mezzo ruolo, l'art. 3-bis del d.l. 21 ottobre 2021, n. 146, inserito in sede di conversione dalla l. 17 dicembre 2021, n. 215, col quale, novellando l'art. 12 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, è stato inserito il comma 4-bis, si applica ai processi pendenti, poiché specifica, concretizzandolo, l'interesse alla tutela immediata a fronte del ruolo e della cartella non notificata o invalidamente notificata; sono manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale della norma, in riferimento agli artt. 3,24,101,104,113,117 Cost., quest'ultimo con riguardo all'art. 6 della CEDU e all'art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 della Convenzione”.

Il caso

Un contribuente impugnava l'iscrizione ipotecaria compiuta a proprio danno per un debito tributario che egli ignorava e del quale veniva a conoscenza dall'estratto di ruolo. Conseguentemente impugnava anche gli atti presupposti ossia iscrizioni a ruolo, cartelle e intimazioni di pagamento di cui aveva notizia sempre dall'estratto di ruolo, chiedendo contestualmente la dichiarazione di intervenuta prescrizione delle pretese ad esse relative e la illegittimità della iscrizione ipotecaria.

In prime cure la Commissione Tributaria provinciale di Napoli accoglieva il ricorso, ritenendolo tempestivo pur se effettuato contro l'estratto di ruolo perché non vi era prova della rituale notificazione delle cartelle né vi era prova della notifica della comunicazione relativa alla iscrizione ipotecaria. In seconde cure la Commissione Tributaria regionale della Campania rigettava l'appello dell'agente per la riscossione concordando con il giudice di primo grado rispetto all'impugnabilità dell'estratto di ruolo, in quanto atto che riproduce parzialmente il ruolo che è indicato tra gli atti impugnabili ai sensi dell'art. 19 del d.lgs. n. 546/1992.

Inoltre ribadiva la nullità della iscrizione ipotecaria perché non era stata preceduta dalla comunicazione dell'avviso di iscrizione della stessa sull'immobile. Contro questa sentenza proponeva ricorso per cassazione l'agente della riscossione basandolo su tre motivi, contestati con controricorso dal contribuente. La sezione tributaria della Corte di Cassazione individuava una questione di massima di particolare importanza relativa, in particolare, ai limiti di impugnazione fissati dall'art. 3-bis del d.l. 21 ottobre 2021 n. 146, convertito in legge 17 dicembre 2021 n. 215 e sottoponeva al Primo Presidente la valutazione rispetto all'assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite che hanno deciso pronunciando il principio di diritto di cui in massima.

La questione

La questione di massima di particolare importanza individuata dalla Corte concerne la possibilità per il contribuente che non abbia ricevuto la rituale notificazione degli atti della riscossione e che ne venga a conoscenza, come ad esempio in questo caso dall'estratto di ruolo, di impugnarli immediatamente, anche insieme con il ruolo. Su questa possibilità ha inciso l'art. 3-bis del d.l. 146/2021, convertito in legge 17 dicembre 2021, n. 215, che ha limitato l'accesso alla tutela immediata che invece le Sezioni Unite, con la sentenza n. 19704/2015, avevano configurato come alternativa e rimessa alla facoltà della parte, rispetto alla tutela differita prevista dall'art. 19, comma 3, ultima parte, del d.lgs. n. 546/1992. E' necessario pertanto stabilire se la nuova norma, ossia l'art. 3-bis citato, si applichi ai giudizi pendenti e se sia esente dai dubbi di legittimità costituzionale che si potrebbero rispetto ad esso predicare secondo la Procura generale e secondo la stessa ordinanza interlocutoria.

Punto di partenza per l'esame della questione è senz'altro la disamina dell'art. 3-bis e della soluzione offerta in prima battuta dalle Sezioni Unite nel 2015. L'articolo in questione inserisce, dopo il comma 4 dell'art. 12 del d.P.R. n. 602/1973 il seguente comma, rubricato 4-bis, secondo cui: “L'estratto di ruolo non è impugnabile. Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei soli casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall'iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio per la partecipazione a una procedura di appalto, per effetto di quanto previsto nell'art. 80, comma 4, del codice dei contratti pubblici, di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, oppure per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all'art. 1, comma 1, lett. a) del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40, per effetto delle verifiche di cui all'art. 48-bis del presene decreto o infine per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione”.

Come già anticipato, questa norma ha avuto l'effetto di limitare la tutela immediata che le SU avevano invece offerto alla parte, affermando che il contribuente può impugnare la cartella di pagamento della quale, a causa dell'invalidità della relativa notifica sia venuto a conoscenza solo attraverso un estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario della riscossione; a ciò non ostava, secondo le SU, l'ultima parte dell'art. 19 del d.lgs. n. 546/1992, perché una lettura costituzionalmente orientata impone di ritenere che l'impugnabilità dell'atto precedente non notificato unitamente all'atto successivo notificato, impugnabilità prevista dall'art. 19 cit., non costituisca l'unica possibilità di far valere l'invalidità della notifica di un atto di cui il contribuente sia comunque venuto a conoscenza e quindi non escluda la possibilità di far valere l'invalidità della stessa anche prima, giacché l'esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale non può essere compresso, ritardato, reso più difficile o gravoso, ove non ricorra la necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo (Cass., SU, 2 ottobre 2015, n. 19704).

Secondo la Corte pur dovendo essere dichiarato inammissibile il ricorso, la questione in parola, evocata dal primo motivo, deve essere comunque affrontata perché di particolare importanza, ex art. 363 c.p.c. perché “comporta la verifica della tenuta dei principi fissati da queste Sezioni Unite, nonché della portata del diritto sopravvenuto” (sent. in commento, in motivazione, pag. 6).

Le soluzioni giuridiche

La Corte a Sezioni Unite nell'esplicitare il principio di diritto ex art. 363 c.p.c. compie un approfondito excursus dell'interpretazione dell'art. 19 d.lgs. 546/1992 e della impugnabilità del ruolo e della cartella. Le Sezioni Unite del 2015 già citate hanno stabilito l'autonoma impugnabilità del ruolo e della cartella anche in mancanza di rituale notificazione, indipendentemente dal dettato dell'art. 19, ultima parte comma 3. Secondo le Sezioni Unite in commento la lettura costituzionalmente orientata di questa norma comporta che l'impugnabilità dell'atto precedente non notificato insieme con l'atto successivo notificato, non sia l'unica possibilità per far rilevare l'invalidità della notificazione di un atto di cui il contribuente sia comunque venuto a conoscenza, con la conseguenza che non può escludersi l'impugnabilità di tale atto anche prima. In sostanza esse cercano di fare il punto sul coordinamento tra la tutela differita offerta dall'art. 19, cit., e la tutela immediata garantita dalle Sezioni Unite del 2015.

Queste ultime infatti avevano fondato l'esigenza della tutela immediata sulla necessità di impedire che il danno derivante dall'esecuzione forzata diventi irreversibile e sia pertanto ristorabile unicamente in termini risarcitori. Ciò perché, come ben riassumono le Sezioni Unite, qualora fosse andata avanti l'azione esecutiva nonostante l'omessa notificazione della cartella esattoriale o della intimazione di pagamento, vi sarebbero state gravi limitazioni del diritto di difesa, consistenti, precisamente in:

1) Non si poteva adire il giudice tributario per impugnare un atto esecutivo quale il pignoramento perché atto estraneo ai confini della giurisdizione tributaria, così come configurata dall'art. 2 del d.lgs n. 546/1992;

2) L'opposizione ex art. 615 c.p.c. dopo le successive modifiche intervenute sull'art. 54 d.P.R. 602/1973 era limitata alla deduzione della impignorabilità dei beni;

Queste limitazioni nel regime attuale non sono più configurabili, grazie dapprima all'intervento delle Sezioni Unite (sentt. nn. 13913 e 13916/2017; conforme di recente sent. n. 7822/2020) che avevano affermato l'impugnabilità davanti al giudice tributario del pignoramento in quanto primo atto della riscossione, in mancanza di atti prodromici ritualmente notificati, e, dopo, all'intervento del giudice delle leggi che con la sentenza n. 114/2018 ha in primo luogo affermato che se il contribuente contesta il titolo della riscossione coattiva, o la regolarità formale del titolo esecutivo o della notificazione di esso, la tutela è piena e garantita dinanzi al giudice tributario (conforme Cass. sez. un. N. 28709/2020); ma ha anche affermato che l'art. 57 del d.P.R. 602/1973 è illegittimo nella parte in cui non prevede, nelle controversie relative agli atti dell'esecuzione forzata tributaria successivi alla notificazione della cartella o dell'intimazione di pagamento, sono ammesse le opposizioni esecutive di cui all'art. 615 c.p.c.

Con la conseguenza, alla luce di questi interventi, non ultimo quello della Corte Costituzionale, che la tutela immediata riconosciuta dalla citata sentenza del 2015 viene superata dall'ampliamento delle tutele esperibili davanti alla ingiustizia della prosecuzione della sequenza degli atti esecutivi (segue, nella motivazione della sentenza in commento cui si rinvia, una disamina della giurisprudenza che si è occupata dell'interesse a promuovere azione di accertamento negativo della sussistenza dei crediti riportati nell'estratto di ruolo nell'ambito dei giudizi non tributari).

Ne deriva chiaramente un panorama non omogeneo in cui, così come evidenzia la relazione finale della Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria del 30 giugno 2021, continuano a proliferare impugnazioni di atti e contestazioni di crediti contenuti nell'estratto di ruolo, per far valere, anche in modo pretestuoso, eccezioni di qualsivoglia genere nei confronti di cartelle notificate anche molto tempo prima, senza che l'agente della riscossione si fosse attivato per il recupero del credito o anche laddove avesse rinunciato ad esso. A causa dell'inefficienza del sistema della riscossione coattiva si sono infatti stratificati crediti molto antichi non riscossi e, di fatto, non più suscettibili di riscossione.

In questo panorama è intervenuto il legislatore ordinario con la norma dell'art. 3-bis del d.l. 146/2021, inserito in sede di conversione dalla l. n. 215/2021, già riportato.

La norma, che riguarda la riscossione delle entrate pubbliche anche extratributarie, è così strutturata: nella prima parte è ricognitiva della natura dell'estratto di ruolo, che consiste in un semplice elaborato informatico che contiene gli elementi della cartella e che, pertanto, non contiene alcuna pretesa impositiva a differenza del ruolo che è atto impositivo; sicché ciò che viene impugnato è l'atto impositivo o riscossivo che viene menzionato nell'estratto di ruolo. Ciò significa che in materia tributaria è inammissibile l'impugnazione dell'estratto di ruolo riportante il credito erariale trasfuso nella cartella di pagamento che sia stata precedentemente notificata da parte del debitore che chiede di procedere ad accertamento negativo del debito, perché altrimenti si produrrebbe l'effetto distorto di rimettere in termini il contribuente consentendogli di opporre una cartella esattoriale già da lui conosciuta nella sua esistenza e nel suo contenuto per effetto di una regolare notifica (Cass., sez. VI, 5 ottobre 2020, n. 21289).

O ancora si è precisato che in presenza di una intimazione di pagamento regolarmente notificata e non opposta nei termini di legge, è inammissibile l'impugnazione di un estratto di ruolo successivamente ottenuto, rivolta a far valere l'invalidità dell'intimazione per omessa notifica delle prodromiche cartelle di pagamento, perché l'estratto di ruolo non è atto autonomamente impugnabile, non contenendo alcuna pretesa impositiva, né diretta né indiretta (Cass., sez. V, 29 novembre 2019, n. 31240).

Se, quindi, nella sua prima parte, la norma di nuovo conio non crea problemi interpretativi, conformandosi a quanto già evidenziato dalla giurisprudenza ora citata, è la seconda disposizione contenuta nell'art. 3-bis che ha provocato un ampio dibattito. Essa infatti non è una norma di interpretazione autentica, nemmeno dell'art. 19 d.lgs. n. 546/1992 e non è una norma retroattiva, non incide sul novero degli atti impugnabili e non ne esclude ruolo e cartella di pagamento, né introduce altri ulteriori motivi di impugnazione o modifica quelli già previsti.

Secondo la Corte, pertanto, la norma in questione, nel regolamentare le ipotesi di azione diretta (così come la definisce la stessa Corte), stabilisce quando l'invalidità della notificazione della cartella esattoriale provochi di per sé il bisogno di tutela giurisdizionale, dimostrato dalla presenza dell'interesse ad agire che, quale condizione dell'azione, assume diverse configurazioni. Ne deriva che di questo interesse ad agire – che conforma il bisogno di tutela giurisdizionale – è necessario fornire una dimostrazione che si può dare anche nel corso dei giudizi pendenti e che può essere allegato anche nel giudizio di legittimità. Né, secondo la Corte, possono ritenersi fondati i dubbi di legittimità costituzionale della norma, in relazione agli artt. 3, 24, 113 e 117 Cost. né la prospettata intrinseca irrazionalità della norma stessa. Tali dubbi devono essere superati considerando l'ampia discrezionalità di cui il legislatore gode nell'ambito della disciplina del processo, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà.

Ma, premesse tali considerazioni, secondo le Sezioni Unite, la norma di nuovo conio non è né irragionevole né arbitraria; il suo intento è di contrastare la prassi non virtuosa di azioni giudiziarie proposte anche dopo molto tempo dall'emissione delle cartelle a fronte dell'inattività dell'agente della riscossione, nonché pervenire ad una riduzione del contenzioso. Inoltre la norma assicura tutela anche al contribuente, tutela che viene garantita solo rispetto agli atti invalidamente notificati o non notificati, e soltanto nelle ipotesi in essa previste.

Tali casi sono peraltro “tassativi” e “non esemplificativi” e, pertanto, insuscettibili di interpretazione e applicazione analogica o anche semplicemente estensiva. Con la conseguenza che la norma in esame non provoca alcuna compressione della effettività della tutela giurisdizionale dato che, almeno rispetto al giudizio tributario, essa ne provoca un ampliamento; in secondo luogo perché il potere cautelare di cui è fornito il giudice tributario e quello ordinario, anche dell'esecuzione, evita il rischio che si creino zone non coperte dalla tutela giurisdizionale stessa. Infatti, anche laddove la notificazione della cartella esattoriale o dell'intimazione di pagamento sia stata omessa o sia invalida, vi è sempre un giudice che può pronunciarsi sulle doglianze avanzate dal contribuente che impugni l'atto successivo, pur se esecutivo, o alternativo all'esecuzione (come, ad esempio, nel caso concreto che ha originato la pronuncia in commento, l'impugnazione dell'iscrizione ipotecaria).

Il principio è stato in precedenza chiaramente espresso dalle Sezioni Unite che con sentenza n. 7822 del 14 aprile 2020 hanno affermato che la cognizione della questione della nullità, inesistenza, mancata notifica dell'atto presupposto impugnabile davanti al giudice tributario non è deducibile come ragione di impugnazione dell'atto dell'esecuzione davanti al giudice ordinario, perché appartiene alla giurisdizione tributaria. Tuttavia, l'atto esecutivo, in presenza di una notifica invalida, mancante, inesistente, della cartella o della intimazione di pagamento, assume il valore di una “valida notifica” perché informa il contribuente dell'esistenza di questi atti e lo pone in condizione di esercitare il diritto di impugnarli che egli non aveva potuto esercitare per l'invalidità o mancanza della notificazione.

Ugualmente nei giudizi non tributari, laddove manchi o sia invalida la notificazione della cartella o della intimazione di pagamento, il debitore può impugnare l'iscrizione ipotecaria o il fermo dei beni mobili registrati ovvero il relativo preavviso; può anche proporre opposizione all'esecuzione ove contesti il diritto di procedere all'esecuzione forzata.

Nemmeno può configurarsi un vuoto di tutela rispetto al pignoramento di crediti previsto dall'art. 72-bis del d.P.R. n. 602/1973 perché questa forma speciale di pignoramento, pur svolgendosi in via stragiudiziale se manchino opposizioni delle parti, comunque provoca un processo esecutivo per espropriazione di crediti presso terzi e l'intervento del giudice dell'esecuzione è sempre possibile.

Non è nemmeno prospettabile un vuoto di tutela nemmeno nell'ipotesi del fallimento perché la funzione di informare il curatore è assolta dal deposito della domanda di insinuazione al passivo corredata dai documenti dimostrativi del credito, come, appunto l'estratto di ruolo che permette, se sono ancora consentite le contestazioni, rispetto ai crediti tributari, di proporre impugnazione alle Commissioni Tributarie; in relazione agli altri crediti, di integrare la documentazione prodotta.

Infine non vi sono possibili sospetti di incompatibilità con la disciplina di tutela dei diritti offerta dalla CEDU e dal relativo Protocollo addizionale n. 1 perché il diritto ad un equo processo non è assoluto e si presta alle limitazioni relative alle condizioni di ammissibilità della domanda che sono oggetto di regolamentazione dello Stato che gode di un certo margine di discrezionalità.

Osservazioni

La sentenza in commento offre una panoramica esaustiva della disciplina generale all'interno della quale si colloca l'art. 3-bis del d.l. n. 146/2021, inserito in sede di conversione dalla l. n. 215/2021 con cui, novellando l'art. 12 del d.P.R. n. 602/1973 è stato inserito un comma 4-bis che si applica ai processi pendenti perché, come dice la Corte, “specifica, concretizzandolo, l'interesse alla tutela immediata a fronte del ruolo e della cartella non notificata o invalidamente notificata”.

Rinviando alle esaustive argomentazioni offerte dalla Corte a supporto della legittimità costituzionale della norma preme unicamente sottolineare come, a mio parere, il punto fondamentale della sentenza sia la considerazione, già espressa in altre occasioni dalla Corte, della ampia discrezionalità di cui dispone il nostro legislatore in tema di disciplina del processo, nei soli limiti della non manifesta irragionevolezza o arbitrarietà della disciplina processuale introdotta. Non ultimo va segnalato il monito della Corte che giustifica l'introduzione della norma di nuovo conio anche alla luce della evidente finalità deflattiva delle azioni giudiziarie proposte pretestuosamente anche a fronte di cartelle vetuste, in attesa di una significativa e complessiva riforma della disciplina della riscossione esattoriale.

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