Comportamenti di carattere iperprotettivo nei confronti del figlio minore. È configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia?

Aurelio Panetta
Francesca Panetta
26 Settembre 2022

Integra il delitto di maltrattamenti in famiglia il genitore che tenga nei confronti del figlio minore comportamenti di carattere iperprotettivo, tali da incidere sullo sviluppo psicofisico dello stesso, a prescindere dal fatto che il minore abbia o meno percepito tali comportamenti come un maltrattamento o vi abbia acconsentito.

In applicazione di tale principio la Corte di cassazione ha annullato senza rinvio un'ordinanza del Tribunale di Catanzaro limitatamente ai reati di maltrattamenti e ha dichiarato cessata l'efficacia della misura degli arresti domiciliari agli stessi riferita.

Il caso. I fatti traggono origine dalla denuncia sporta dal ricorrente avente ad oggetto i maltrattamenti della ex compagna ai danni del figlio minore. In particolare, quanto al reato di maltrattamenti ai danni del figlio minore, sono state contestate una serie di condotte sostanzialmente riconducibili a tre categorie: a) condotte volte ad impedire un sereno rapporto del minore con la madre, i nonni e con le maestre, consistite, tra l'altro, nell'ostacolarne il diritto di visita disciplinato dal Tribunale; b) condotte di eccessivo accudimento del minore, sottoposto a continue “controvisite” mediche rispetto a quelle cui veniva sottoposto su iniziativa della madre; c) condotte attinenti al rapporto tra l'indagato e il figlio. In tale categoria vengono ricompresi imprecisati comportamenti di “esasperazione” del rapporto con il figlio.

Le soluzioni giuridiche. Dal punto di vista contenutistico la sentenza della S.C. pone in rilievo non solo il tema riguardante i comportamenti iperprotettivi di un genitore verso il figlio ma pure il problema se la cessata convivenza con la donna costituisce un fattore ostativo alla configurabilità del reato, ex art. 572 c.p. (su questioni sostanziali e processuali v. AA.VV. (a cura di) Fidelbo, Diritto penale della famiglia, Giappichelli, 2022).

Invero, per quanto qui rileva ad avviso del Collegio, le condotte contestate al ricorrente, come descritte nell'imputazione e ricostruite nell'ordinanza impugnata, non sono riconducibili al paradigma dell'art. 572 c.p. Le condotte, pur valutate unitamente agli ulteriori comportamenti (registrazioni delle conversazioni e la sottoposizione a “controvisite mediche”), sebbene rilevanti ai fini della valutazione relativa al corretto esercizio della responsabilità genitoriale ed alle correlate determinazioni riservate al giudice civile, come ricostruite dall'ordinanza impugnata, per la Corte non appaiono superare la soglia minima di offensività, rappresentata dall'inflizione abituale di sofferenze fisiche o psicologiche idonee ad incidere sullo sviluppo del minore ed a lederne l'integrità, che, anche a prescindere dalla soglia di sensibilità della vittima, consenta di qualificarle come maltrattamenti.

Secondo la costante lezione ermeneutica della Corte, infatti, il reato è integrato dalla condotta di chi infligge abitualmente vessazioni e sofferenze, fisiche o morali, a un'altra persona, che ne rimane succube, imponendole un regime di vita persecutorio e umiliante. Quanto, invece, ai maltrattamenti in danno della ex compagna convivente, il Collegio ha rilevato che la cessazione della convivenza con la donna costituisce un fattore ostativo alla configurabilità del reato, dovendosi, al riguardo, ribadire l'indirizzo ermeneutico secondo il quale non è configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia, bensì l'ipotesi aggravata del reato di atti persecutori (art. 612-bis c.p.) in presenza di condotte illecite poste in essere da parte di uno dei conviventi "more uxorio” ai danni dell'altro dopo la cessazione della convivenza e tanto nella consapevolezza di un diverso orientamento interpretativo.

Secondo la Corte muovendo dall'esegesi letterale dell'art. 572 c.p., la nozione di “persona comunque convivente” inserita dal legislatore con la novella del 2012, deve essere intesa nell'accezione più ristretta, con riferimento alla sole relazioni fondate su una stabile condivisione dell'abitazione, ancorché non necessariamente continua. Precisa la Sesta sezione che accezione “restrittiva” della nozione di “persona della famiglia o comunque convivente”, non appare in contrasto con l'interpretazione estensiva della nozione di “prossimo congiunto” recentemente adottata dalle Sezioni Unite di questa Corte in relazione all'art. 384 c.p., trattandosi, in tale ultimo caso, di un'operazione in bonam partem che ha comportato l'adozione di una soluzione più favorevole per l'imputato.

La soluzione cui è pervenuta la S.C. infatti, oltre a trovare un solido fondamento nel dato testuale, rappresenta una sintesi delle interpretazioni giurisprudenziali sui temi affrontati.

*Fonte: DirittoeGiustizia

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