L'esclusione del nesso di causalità per “eccentricità” del rischio derivante dalla condotta del lavoratore

03 Ottobre 2022

La questione riguarda il tema della interruzione del nesso causale tra la condotta colposa del datore di lavoro e l'evento, in ragione della “eccentricità del rischio” determinato dalla condotta del lavoratore
Massima

La condotta colposa del lavoratore è idonea a interrompere il nesso di causalità tra condotta e evento se tale da determinare un “rischio eccentrico” in quanto esorbitante dall' “area di rischio” governata dal soggetto sul quale ricade la relativa gestione. La delimitazione, nella singola fattispecie, del rischio oggetto di valutazione e misura, quindi da gestire, necessita di una sua identificazione in termini astratti, quale rischio tipologico, e successiva considerazione con riferimento alla concreta attività svolta dal lavoratore e alle condizioni di contesto della relativa esecuzione, quindi al rischio in concreto determinatosi in ragione dell'attività lavorativa (rientrante o meno nelle specifiche mansioni attribuite).

Il caso

La Corte d'Appello di Palermo, assolvendo l'imputato per insussistenza dei fatti, riformava la sentenza con la quale egli era stato condannato dal GUP del Tribunale di Termini Imerese, all'esito di giudizio abbreviato, con riguardo al delitto di omicidio colposo di cui all'art. 589, comma 2, c.p., di un lavoratore deceduto per arresto cardiocircolatorio da folgorazione verificatosi durante il tentativo di riparare i cavi elettrici da lui tranciati, con la benna dell'escavatore, nell'atto di eseguire lavori di scavo presso un piazzale dell'azienda agricola nella titolarità dell'imputato.

In particolare, il giudice di secondo grado ha pronunciato l'assoluzione ritenendo, difformemente dalla perizia, meramente probabile la realizzazione di un cortocircuito, e che qualora fosse stato presente un interruttore magnotermico non avrebbe comunque operato l'interruzione del circuito in tempo utile. La Corte aveva, quindi, ritenuto l'interruzione del nesso causale in virtù della condotta “abnorme” del lavoratore, il quale, avendo eseguito di propria iniziativa un compito (la riparazione dei cavi) non impartito dal datore di lavoro, aveva creato un rischio nuovo o comunque esorbitante rispetto alla sfera di rischio governata dal soggetto titolare della “posizione di garanzia”.

La moglie e i figli del deceduto, nelle loro qualità di parti civili, proponevano ricorso per cassazione per manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata.

La questione

La questione riguarda il tema della interruzione del nesso causale tra la condotta colposa del datore di lavoro e l'evento, in ragione della “eccentricità del rischio” determinatodalla condotta del lavoratore.

Quando la condotta “abnorme” del lavoratore attiva un rischio che travalica la sfera di rischio governata dal datore di lavoro?

Cosa s'intende per “rischio eccentrico” causato dal comportamento del lavoratore?

Come si determina l'“area di rischio” oggetto di gestione da parte del titolare della posizione di garanzia?

Le soluzioni giuridiche

Nella sentenza in rassegna, la Corte di Cassazione sposa quel recente orientamento giurisprudenziale che tende ad abbandonare il criterio della imprevedibilità del comportamento del lavoratore nella verifica del nesso casule tra condotta ed evento, ritenendo rilevante solamente che un simile comportamento determini un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto al quale viene attribuito l'evento (in questo senso, cfr. ex multis Cass. pen., sez. un., 24 aprile 2014, n. 38343).

In particolare, la soluzione adottata si colloca lungo il solco tracciato dalla giurisprudenza consolidata di legittimità, in base alla quale il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità quando il comportamento del lavoratore, rientrante nelle mansioni che gli sono proprie, sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro (cfr. di recente Cass. pen., sez. IV, 10 gennaio 2018, n. 7188; Cass. pen., sez. IV, 10 novembre 2009, n. 7267). Affinché la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea a escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l'evento lesivo - si è evidenziato - «è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto, che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto sul quale ricade la relativa gestione» (cfr. da ultimo Cass. pen., sez. IV, 26 gennaio 2021, n. 5794; Cass. pen., sez. IV, 13 dicembre 2016, n. 15124); con la precisazione che è, altresì, necessario che il gestore del rischio abbia posto in essere anche le cautele che sono finalizzate proprio alla disciplina e al governo del rischio di comportamento imprudente, cosicché, solo in questo caso, l'evento verificatosi potrà essere ricondotto alla negligenza del lavoratore, piuttosto che alla condotta del gestore del rischio (sul punto cfr. Cass. pen., sez. IV, 20 marzo 2019, n. 27871).

Secondo tale impostazione, il datore di lavoro è esonerato da responsabilità soltanto qualora «il comportamento del lavoratore e le sue conseguenze presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute» (così Cass. pen., sez. IV, 23 maggio 2007, n. 25532; Cass. pen., sez. IV, 23 marzo 2007, n. 21587); e nel caso in cui l'evento sia riconducibile alla violazione di una molteplicità di disposizioni in materia di prevenzione e sicurezza del lavoro, il comportamento del lavoratore che abbia disapplicato elementari norme di sicurezza non può considerarsi eccentrico o esorbitante dall'area di rischio propria del titolare della posizione di garanzia, poiché «l'inesistenza di qualsiasi forma di tutela determina un ampliamento della stessa sfera di rischio fino a ricomprendervi atti il cui prodursi dipende dall'inerzia del datore di lavoro» (in questi termini cfr. Cass. pen., sez. IV, 13 dicembre 2017, n. 15174).

Chiarito ciò, la Corte di Cassazione procede all'individuazione dell'“area di rischio” gestita dal datore di lavoro per poter valutare se il rischio causato dalla condotta del lavoratore sia qualificabile come “eccentrico” rispetto alla stessa: a tal fine, richiamando le disposizioni del Testo Unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro, la Corte afferma che «è dalla integrazione di obbligo di diligenza e regola cautelare che risulta dunque definita l'“area di rischio”, altrimenti ridotta alla mera titolarità della posizione gestoria». In particolare, si osserva come dall'insieme delle principali disposizioni contenute nel d.lgs. n. 81/2008 emerga la necessità di una valutazione che, muovendo da una individuazione astratta del rischio tipologico, passi successivamente ad una considerazione dell'area di rischio da gestire «con riferimento alla concreta attività svolta dal lavoratore e alle condizioni di contesto della relativa esecuzione, quindi al rischio in concreto determinatosi in ragione dell'attività lavorativa svolta (rientrante o meno nelle specifiche mansioni attribuite al lavoratore)».

Alla luce delle precedenti considerazioni, la Corte di Cassazione ammette che la condotta colposa del lavoratore, qualora sia tale da determinare un “rischio eccentrico” o esorbitante dall' “area di rischio” governata dal datore di lavoro, possa essere idonea a interrompere il nesso di causalità tra condotta e evento, mettendo in luce come la demarcazione di tale area di rischio richieda non solo una suo inquadramento in astratto, ma anche una successiva considerazione con riferimento alla concreta attività svolta dal lavoratore e alle condizioni di contesto della relativa esecuzione, e dunque al rischio in concreto determinatosi in ragione dell'attività lavorativa, rientrante o meno nelle specifiche mansioni attribuite.

Ciò posto, i giudici di legittimità rilevano come tale principio sia stato disatteso dal giudice di secondo grado, essendosi quest'ultimo limitato ad identificare l'area di rischio in termini meramente astratti, ritenendo «il nesso eziologico, tra la condotta del datore di lavoro (“gestore del rischio”) e l'evento, interrotto in ragione della mera equazione per cui all'esecuzione di attività non rientrante nelle specifiche mansioni del lavoratore consegue l'eccentricità del rischio». Inoltre, la Corte d'appello avrebbe trascurato la valutazione di talune circostanze risultanti dal processo, tra le quali spiccano: l'essere la persona offesa assunta da (altra) società, specializzata proprio nel campo della realizzazione di impianti elettrici; e l'aver espletato, per l'imputato, attività lavorativa senza formale assunzione volta alla riparazione dell'escavatore e all'esecuzione di opere di scavo.

Di conseguenza, la Corte di Cassazione annulla, agli effetti civili, la sentenza impugnata, rinviando per nuovo giudizio al giudice civile competente.

Osservazioni

La pronuncia conferma il recente trend della giurisprudenza di legittimità, asseverato peraltro nel 2014 dalle Sezioni Unite nel caso ThyssenKrupp (Cass. pen., sez. un., 24 aprile 2014, n. 38343), il quale, abbandonando il criterio più risalente di eccezionalità/imprevedibilità/ abnormità del comportamento imprudente del lavoratore, mantiene pur sempre la verifica sul piano del nesso causale e valorizza la tipologia di rischio attivata dal lavoratore negligente.

Anche l'utilizzo di questa “variante” desta, tuttavia, delle perplessità, convergendo comunque in esiti “colpevolisti” della figura datoriale. È, difatti, evidente come dal comportamento scorretto del lavoratore, che abbia determinato un rischio comunque già presente sul luogo di lavoro, discenderà automaticamente la responsabilità del datore di lavoro per una sua omissione di qualche tipo, in quanto sarà sempre possibile individuare una misura più rigorosa o una cautela anticipata collocabile a monte del comportamento imprudente del lavoratore, e quindi riconducibile alla figura apicale. Ciò trova una conferma pressoché costante nell'ambito del panorama giurisprudenziale di legittimità, come nel recente arresto del 2021, dove il criticato approccio emerge in maniera più tangibile a partire dal principio enunciato: «In tema di prevenzione degli infortuni, il datore di lavoro ha l'obbligo di analizzare e individuare con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda, avuto riguardo alla casistica concretamente verificabile in relazione alla singola lavorazione o all'ambiente di lavoro, e, all'esito, deve redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi previsto dall'art. 28 d.lgs. n. 81/2008, all'interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori. Dunque, qualora l'evento sia riconducibile alla violazione di una molteplicità di disposizioni in materia di prevenzione e sicurezza del lavoro, il comportamento del lavoratore che abbia disapplicato anche elementari norme di sicurezza non può considerarsi eccentrico o esorbitante dall'area di rischio propria del titolare della posizione di garanzia. Ciò in quanto la carenza delle necessarie forme di tutela determinano un ampliamento della stessa sfera di rischio fino a ricomprendervi atti il cui prodursi dipende dall'inerzia del datore di lavoro» (così Cass. pen., sez. IV, 11 novembre 2021, n. 7093).

Una regola di giudizio che sfocia in un automatismo inevitabile (causalità della violazione=colpa per l'evento), imponendo nella quasi totalità dei casi la condanna del datore di lavoro, non può quindi essere ritenuta condivisibile. Il datore di lavoro sarà garante anche della correttezza dell'agire del lavoratore, ma ciò non basta per renderlo comunque responsabile dell'infortunio.

Bisognerebbe piuttosto mantenere i piani di imputazione della causalità e della colpa ben distinti, al fine di procedere alle rispettive autonome valutazioni. In altre parole, dopo aver accertato la posizione di garanzia e il nesso di causalità – recte, la mancata interruzione del nesso da parte del comportamento della vittima -, occorrerà procedere all'accertamento della colpa del datore.

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