Inappellabile il decreto monocratico del T.a.r. che respinge il ricorso per decreto ingiuntivo

Redazione Scientifica
06 Ottobre 2022

Il decreto di rigetto di un ricorso per decreto ingiuntivo del T.a.r. non è appellabile; in sede di eventuale impugnazione, considerata l'inesistenza del rimedio giurisdizionale esperito, il giudice di appello dovrà emettere una pronuncia di non luogo a provvedere per inesistenza del rimedio giuridico richiesto, piuttosto che di rigetto per inammissibilità.

Il Collegio afferma che il decreto monocratico del T.a.r. che respinge il ricorso per decreto ingiuntivo è inappellabile al Consiglio di Stato (o Cgars).

Le funzioni monocratiche decisorie del giudice amministrativo sono tassative e di stretta interpretazione, in quanto derogano alla regola della collegialità.

Nessuna previsione del c.p.a. prevede che il giudice di appello possa, in sede monocratica, pronunciarsi su un decreto di rigetto di istanza di decreto ingiuntivo o consente di presentare appello al Consiglio di Stato (o al Cgars) inaudita altera parte, omessa ogni previa notificazione alle altre parti, oppure che si possa chiedere il decreto ingiuntivo ex novo al Consiglio di Stato, sicché deve escludersi qualsiasi utilizzo del procedimento ingiuntivo in appello. Non sono inoltre ammessi poteri monocratici “impliciti”.

Nel rito monitorio avanti il giudice amministrativo il decreto di rigetto non è suscettibile di dar luogo a una pronuncia definitiva, essendo consentita la riproposizione della domanda respinta, e quindi, non essendo suscettibile di passare in cosa giudicata, non è impugnabile.

Perciò, piuttosto che una pronuncia di rigetto che si basa sulla esistenza del rimedio giuridico richiesto, si impone una pronuncia di non luogo a provvedere sulla domanda, per inesistenza del rimedio giuridico richiesto.

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