Revoca dell'assegno divorzile e diritto alla quota del TFR dell'ex coniuge

10 Ottobre 2022

La Corte con una lunga disamina affronta la questione relativa al diritto dell'ex coniuge alla quota di tfr del partner non più obbligato a corrispondere l'assegno divorzile.
Massima

La presenza di patologie croniche che comportano la necessità di sostenere spese mediche continuative, tali da poter incidere sulle disponibilità economiche dell'obbligato, deve essere attentamente valutata ai fini della permanenza del diritto a percepire l'assegno divorzile. Tuttavia, la revoca dell'emolumento, già concesso in sede di divorzio, non assume rilevanza ai fini dell'assegnazione della quota di TFR percepita dall'ex coniuge ai sensi dell'art. 12-bis l. n. 898/1970, qualora la stessa sia successiva al momento della maturazione del diritto a percepire il trattamento di fine rapporto.

Il caso

Il Tribunale di Macerata, appositamente adito, dichiarava il diritto della ex moglie a percepire una quota del trattamento di fine rapporto liquidata in favore dell'ex coniuge, ma revocava – in accoglimento della proposta domanda riconvenzionale - l'assegno divorzile previsto in favore di quest'ultima, a suo tempo concesso con la sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio, con decorrenza dalla proposizione della relativa domanda giudiziale. La pronuncia veniva impugnata dinanzi la Corte di Appello di Ancona, la quale, a modifica delle statuizioni assunte in primo grado, ripristinava l'obbligo dell'appellato alla corresponsione dell'assegno divorzile e lo condannava ad integrare le somme a versarsi alla ex moglie ai sensi dell'art. 12 l. n. 898/1970, computando nel calcolo della percentuale dovuta anche gli ulteriori importi da questo percepiti in corso di causa a titolo di TRF. Avverso detta decisione proponeva ricorso per Cassazione l'ex marito, formulando vari motivi di censura legati sia alla omessa valutazione da parte della Corte territoriale di circostanze decisive ai fini della valutazione delle condizioni legittimanti il diritto del coniuge a percepire l'assegno divorzile - tra cui l'autosufficienza della resistente e il miglioramento delle sue condizioni reddituali e, di contro, il peggioramento di quelle del ricorrente causate dall'aggravamento delle sue condizioni di salute - che all'erronea attribuzione in favore della ex moglie di somme aggiuntive, erroneamente calcolate sull'importo di TFR percepito dal ricorrente in pendenza di lite e non solo su quelle liquidate a tale titolo al momento dell'istaurazione del giudizio.

Con la pronuncia in esame, la Corte di Cassazione, richiamando il consolidato orientamento giurisprudenziale, rigettava i motivi di doglianza legati all'ultimo dei dedotti profili di illegittimità, accogliendo, invece, in parte quelli afferenti alla sussistenza dei presupposti integranti il riconoscimento del diritto a percepire l'assegno divorzile, con remissione della causa alla Corte di Appello di Ancona affinchè, in diversa composizione, proceda ad una valutazione della questione alla luce dei principi dalla stessa evidenziati, oltre che alla liquidazione delle spese di giudizio.

La questione

La Corte nella sentenza in commento ritorna a statuire circa la sussistenza dei presupposti ai fini del riconoscimento dell'assegno divorzile, e in particolare delle condizioni legittimanti la modifica della statuizione a suo tempo assunta, oltre che ad affrontare la questione relativa al riconoscimento del diritto a percepire una quota del TFR liquidato in favore dell'atro coniuge, fornendo – attraverso una lunga disamina della questione - importanti precisazioni sia in relazione alla ratio della norma di cui all'art. 12-bis, l. 898/1970, alle modalità di calcolo della quota spettante all'ex coniuge nonché in relazione agli effetti dell'eventuale revoca dell'assegno divorzile inizialmente riconosciuto.

Le soluzioni giuridiche

Con il proposto ricorso per Cassazione il ricorrente ha dedotto l'illegittimità della pronuncia impugnata in relazione a due aspetti, ossia al diritto della resistente a percepire l'assegno divorzile che alla quantificazione della quota di TFR attribuita all'ex coniuge.

Con riferimento al primo dei citati profili, la Corte ha escluso rilevanza al miglioramento della situazione economica della resistente connessa, secondo la prospettazione avversa, sia all'aumento del suo patrimonio immobiliare, derivante dall'apertura della successione materna, che alla maggiorazione della pensione dalla stessa percepita, dichiarando l'inammissibilità dei motivi di gravame formulati sul punto, in quanto tesi a pervenire a una valutazione in fatto diversa da quella già operata dal giudice del merito.

Decisività è stata attribuita, invece, al peggioramento delle condizioni economiche del ricorrente dovute all'aggravamento della posizione della nuova moglie dello stesso che all'insorgenza di patologie di natura cronica a carico dell'obbligato, tali da incidere sulle sue disponibilità economiche in considerazione dei frequenti controlli clinici e specialistici cui sarà costretto a sottoporsi con frequenza periodica.

Quanto all'ulteriore questione sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità, la Corte - nel dichiarare l'inammissibilità del motivo di gravame formulato - ha avuto modo di ripercorrere i tratti salienti dell'istituto, come previsto e disciplinato dall'art. 12-bis l. n. 898/1970, valorizzandone i profili assistenziali, desunti dalla necessità che il beneficiario sia titolare di un assegno divorzile del quale l'indennità in commento ne rappresenta la continuazione in un'ottica di solidarietà post-coniugale, oltre che compensativi legati all'importanza data dallo svolgimento del rapporto di lavoro durante la vita matrimoniale, in modo da attuare una partecipazione, seppur posticipata, alle fortune economiche costruite dai coniugi nel corso della loro unione.

Tale diritto, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale formatosi sul punto, sorge contestualmente al diritto del lavoratore a percepire il trattamento di fine rapporto e, dunque, con la cessazione dell'attività lavorativa da parte dell'ex coniuge, a patto che, a tale momento, sussistano tutti i requisiti previsti dalla citata norma, quali la titolarità dell'assegno divorzile e il mancato passaggio ad altre nozze.

Diversamente si configura, invece, l'esigibilità del relativo emolumento, connessa, secondo le precisazioni fornite dalla Corte, al momento in cui le somme vengono concretamente percepite dal titolare del trattamento.

Da qui ne deriva l'irrilevanza di qualsivoglia modifica nella sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della relativa quota di TFR in favore dell'ex coniuge, intervenuta successivamente all'insorgenza del relativo diritto, tra cui la revoca dell'assegno divorzile conseguente all'accoglimento di una domanda giudiziaria formulata allorchè il diritto in questione era già insorto.

Ulteriore corollario del principio innanzi enunciato, specificatamente esaminato dalla Corte in quanto oggetto di gravame, è relativo alla quantificazione della quota di spettanza dell'ex coniuge, da calcolarsi sull'intero importo dovuto a titolo di TRF e non solo, come addotto dal ricorrente, sulla parte dell'emolumento già liquidato al momento della proposizione della relativa domanda. Per i giudici di legittimità, infatti, la sentenza che decide il giudizio deve accogliere la domanda formulata da una delle parti qualora sia stata riscontrata la sussistenza dei fatti costitutivi del relativo diritto anche se maturati in corso di causa (Cfr Cass. civ., 16 luglio 2020, n. 15224), potendo, nel caso di specie, l'erogazione differita delle relative somme incidere esclusivamente sulla effettiva esigibilità del relativo importo da parte dell'ex coniuge.

Osservazioni

Punto di interesse della pronuncia in esame è la disamina offerta dalla Corte relativamente all'interpretazione dell'art. 12 bis della l. n. 898/1970, e più precisamente alla questione concernente la sussistenza delle condizioni legittimati l'insorgenza del relativo diritto da parte dell'ex coniuge.

Come è noto la citata norma attribuisce al titolare dell'assegno divorzile che non sia passato a nuove nozze, il diritto di percepire una quota dell'indennità di fine rapporto corrisposta all'onerato del trattamento a seguito della cessazione del rapporto di lavoro, quantificata nella misura del 40% delle somme percepite in relazione al periodo in cui l'attività lavorativa sia concisa con il matrimonio.

Di notevole interesse è il dibattito giurisprudenziale formatosi in relazione al tenore letterale della disposizione in esame, soprattutto per la necessità di chiarire con precisione la portata dei presupposti legittimanti l'insorgenza del relativo diritto per il caso di liquidazione dell'assegno divorzile con modalità una tantum o in riferimento agli effetti della successiva revoca dell'emolumento.

Ebbene, mentre con riferimento al primo dei citati profili, la Corte ha escluso la ricorrenza delle condizioni di cui all'art. 12-bis l. n. 898/1970 rifacendosi all'effetto tombale che accompagna tale liquidazione che preclude al beneficiario di poter proporre ulteriori e successive domande aventi contenuto economico; invece, nel caso di revoca dell'assegno divorzile i giudici di legittimità, rifacendosi al consolidato orientamento giurisprudenziale esistente sul punto, hanno valorizzato il momento della maturazione del diritto da parte del lavoratore - obbligato a percepire il trattamento di fine rapporto, statuendo per l'irrilevanza dell'eventuale revoca dell'emolumento che sia la conseguenza di una domanda giudiziaria che sia stata introitata tra detto momento e l'effettiva erogazione del TRF, la cui incidenza è limitata alla sola esigibilità delle relative somme.

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