Controversie per il rilascio di titoli edilizi: il mero interesse demolitorio non configura l'interesse ad agire

Carola Bova
13 Ottobre 2022

L'interesse ad agire nelle controversie aventi ad oggetto il rilascio del titolo edilizio: la pronuncia del Consiglio di Stato.
Massima

Nei casi di impugnazione di un titolo autorizzatorio edilizio, una volta affermata la distinzione e l'autonomia tra la legittimazione e l'interesse al ricorso quali condizioni dell'azione, è necessario che il giudice accerti, anche d'ufficio, la sussistenza di entrambi e non può affermarsi che il criterio della vicinitas, costituente elemento fisico-spaziale quale stabile collegamento tra un determinato soggetto e il territorio o l'area sul quale sono destinati a prodursi gli effetti dell'atto contestato, valga da solo e in automatico a dimostrare la sussistenza dell'interesse al ricorso, che va inteso come specifico pregiudizio derivante dall'atto impugnato.

Va dunque valutato caso per caso se l'eventuale annullamento del titolo edilizio possa comportare effetti di riduzione in pristino rispetto all'opera edilizia, che si rivelino concretamente utili per il ricorrente, e non meramente emulativi, non essendo sufficiente la mera finalità demolitoria: l'interesse a ricorrere consiste (deve consistere) in un'utilità ulteriore che il ricorrente mira a conseguire proponendo la sua azione. L'ordinamento non tutela infatti azioni meramente emulative.

Il caso

La vicenda in esame scaturisce dall'opposizione, proposta dal terzo, avverso la sentenza con cui il Consiglio di Stato aveva accolto la domanda di annullamento - avanzata dal ricorrente sul mero presupposto della vicinitas - della concessione edilizia rilasciata per la realizzazione di fabbricati in un lotto vicino alla sua abitazione.

Il Supremo Consesso ha in tale sede riformato la propria precedente decisione, pronunciata in grado di appello, confermando per l'effetto la sentenza di primo grado del Tar Calabria, in quanto ha ritenuto insussistente in capo al ricorrente l'interesse ad agire avverso una concessione edilizia, laddove tale interesse coincida con la mera finalità demolitoria.

La questione

La questione giuridica sottesa alla decisione in commento riguarda i presupposti indispensabili per l'impugnazione del titolo edilizio rilasciato ad un terzo.

Più precisamente, si è valutato se sia sufficiente il mero interesse demolitorio del ricorrente, la cui abitazione si trovi vicino al luogo in cui è stata autorizzata la costruzione di nuovi fabbricati, o se, invece, la proponibilità di tale domanda richieda un quid pluris in termini di utilità concreta.

Le soluzioni giuridiche

Il Collegio, nell'analizzare i presupposti legittimanti la domanda di annullamento del titolo edilizio altrui concesso, si è soffermato sulle condizioni di tale azione e, in particolare, sull'interesse ad agire richiesto in capo al ricorrente.

In particolare, si è chiesto se tale interesse potesse ritenersi sussistente in virtù della mera vicinanza tra il soggetto e il territorio ove sono destinati a prodursi gli effetti del provvedimento impugnato (id est, la realizzazione dell'opera edilizia).

Al riguardo, il Consiglio di Stato ha aderito ad un'impostazione rigorosa che non ritiene sufficiente il mero interesse demolitorio, fondato sulla cosiddetta “vicinitas”, la quale “da sola non basta a fondare anche l'interesse, dovendo il ricorrente fornire la prova concreta di un pregiudizio sofferto” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 16 giugno 2021, n. 4650; sez. IV, 7 febbraio 2020, n. 962; sez. VI, 18 ottobre 2017, n. 4830; C.g.a., 30 giugno 2020, n. 488; Cass., sez. un., n. 20869 del 2022).

In tal senso, il Supremo Consesso ha ribadito la necessità di individuare un interesse ulteriore in capo al ricorrente, il quale può giustificare la propria domanda solo dimostrando di poter ricavare un'utilità concreta dal suo accoglimento: il che impone al giudice di verificare, di volta in volta, se l'eventuale annullamento del titolo edilizio possa comportare effetti di riduzione in pristino rispetto all'opera edilizia, che si rivelino concretamente utili per il ricorrente, e non meramente emulativi, non essendo sufficiente la mera finalità demolitoria”.

Ad avviso del Collegio, invero, “l'interesse a ricorrere consiste (deve consistere) in un'utilità ulteriore che il ricorrente mira a conseguire proponendo la sua azione”. Ciò in quanto, come noto, l'ordinamento giuridico non ammette azioni meramente emulative, il cui fine si esaurisce nel recare molestia ad altri, ma richiede il perseguimento di un'utilità concreta, solo in presenza della quale può dirsi soddisfatta la condizione dell'interesse ad agire.

Logico corollario del principio di diritto così tracciato è che, laddove il ricorrente non sia in grado di provare il vulnus specifico derivante dall'atto impugnato, il giudizio non potrà che concludersi con la dichiarazione di inammissibilità del ricorso per difetto di interesse ad agire.

Osservazioni

La sentenza in commento si palesa netta laddove propende per una interpretazione rigorosa delle condizioni dell'azione e, in particolare, dell'interesse ad agire, quale esigenza di colui che propone la domanda di ottenere un risultato utile e giuridicamente apprezzabile, non conseguibile senza l'intervento del giudice (ex multis, Cass. 15355/10).

In tal senso, il percorso argomentativo delineato dal Consiglio di Stato, nella parte in cui esclude l'ammissibilità di azioni meramente emulative, si pone in continuità anche con l'orientamento ermeneutico - ormai consolidato - in materia di abuso del diritto e del processo, stigmatizzati negativamente quali violazione del fondamentale principio di buona fede, e va pertanto condiviso.

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