Il fallimento per estensione del socio accomandante

Girolamo Lazoppina
13 Ottobre 2022

In caso di fallimento di una società in accomandita semplice, il fallimento si estende anche al socio accomandante che si sia ingerito nella gestione della società? E in caso positivo, il termine per la dichiarazione di fallimento da quando decorre?

In caso di fallimento di una società in accomandita semplice, il fallimento si estende anche al socio accomandante che si sia ingerito nella gestione della società? E in caso positivo, il termine per la dichiarazione di fallimento da quando decorre?


Il fallimento della società in accomandita semplice si estende anche al socio accomandante che si sia ingerito nella gestione societaria in violazione dell'art. 2320 c.c.

La soluzione trova l'avallo di consolidati principi giurisprudenziali.

La società in accomandita semplice si caratterizza per la presenza di due tipi di soci: i soci accomandatari e i soci accomandanti.

I primi rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali mentre i secondi rispondono limitatamente alla quota conferita. Soltanto i soci accomandatari però possono amministrare la società; viceversa, normalmente e salve le eccezioni di cui all'art. 2320 c.c., i soci accomandanti sono esclusi dalla gestione societaria. L'art. 2320 c.c. prevede, infatti, che i soci accomandanti non possono compiere atti di amministrazione, né trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli affari. Il socio accomandante che contravviene a tale divieto assume responsabilità illimitata e solidale verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali e può essere escluso a norma dell'art. 2286 c.c.

Il secondo comma prevede poi che i soci accomandanti possono prestare la loro opera sotto la direzione degli amministratori e, se l'atto costitutivo lo consente, dare autorizzazioni e pareri per determinate operazioni e compiere atti di ispezione e di sorveglianza.

Altra norma rilevante per la soluzione del quesito è l'art. 147 L. Fall. Tale norma prevede che la sentenza che dichiara il fallimento di una società appartenente ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro V del codice civile, e quindi anche il fallimento di una società in accomandita semplice, produce anche il fallimento dei soci, pur se non persone fisiche, illimitatamente responsabili. Il fallimento dei predetti soci non può essere dichiarato decorso un anno dallo scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata. Va da sé che, conseguentemente, il fallimento della società si estenda anche ai soci accomandanti se e in quanto assumano responsabilità illimitata verso i terzi.

La Corte di Cassazione, intervenuta di recente sul tema (Cass. 1 marzo 2022 n. 6771), ha chiarito che la dichiarazione di fallimento del socio illimitatamente responsabile resta assoggettata esclusivamente al termine previsto dall'art. 147 c. 2 L.Fall., decorrente dall'iscrizione nel registro delle imprese di una vicenda, personale o societaria, che abbia determinato il venir meno della responsabilità illimitata, e tale disciplina trova applicazione anche al fallimento in estensione del socio accomandante di una società in accomandita semplice che, in quanto ingeritosi nella gestione, sia tenuto a rispondere illimitatamente per le obbligazioni sociali. E' stato infatti osservato che l'accomandante che abbia violato il divieto di cui all'art. 2320 c.c. si trova in una posizione equiparabile a quella dell'accomandatario occulto, sicché, proprio in virtù del principio di certezza delle situazioni giuridiche, il termine per la dichiarazione di fallimento non decorre né dalla data del recesso, né da quella della dichiarazione di fallimento della società, ma unicamente dal giorno in cui lo scioglimento del rapporto sociale con il socio sia portato a conoscenza dei creditori con idonee forme di pubblicità (Cass. 28 febbraio 2017 n. 5069; Cass. 6 novembre 2014 n. 23651; Cass. 25 novembre 2015 n. 24112).

Dunque, anche alla luce della giurisprudenza più recente, appare corretto affermare che, una volta fallita la società in accomandita semplice, fallisca per estensione anche il socio accomandante che si sia ingerito nella gestione societaria.

Quanto al grado (rectius: intensità) dell'ingerenza del socio accomandante nella gestione societaria che ai sensi dell'art. 2320 c.c. giustifica la responsabilità illimitata del socio accomandante per le obbligazioni sociali, è necessario che l'accomandante contravvenga al divieto di trattare o concludere affari in nome della società o di compiere atti aventi influenza decisiva o almeno rilevante sull'amministrazione della stessa (Cass. 23 febbraio 2018 n. 4498; Cass. 31 maggio 2016, n. 11250).

Secondo i supremi giudici i connotati di decisività e rilevanza necessari ai fini della configurabilità dell'indebita ingerenza non dipendono tanto dalla durata nel tempo dell'attività complessivamente posta in essere dall'accomandante o dalla reiterazione e dalla frequenza degli atti da lui compiuti, quanto dall'ascrivibilità degli stessi all'ambito delle scelte spettanti al titolare dell'impresa, in cui si concreta la direzione della società, ed in particolare dalla loro attinenza ai rapporti obbligatori con i terzi estranei alla società, restando conseguentemente esclusi gli aspetti di carattere esecutivo inerenti all'adempimento delle obbligazioni che da quei rapporti derivano (Cass. 6 giugno 2000, n. 7554).


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