Opposizione a decreto ingiuntivo: non vi è l’obbligo di mettere in mora il condomino moroso

Adriana Nicoletti
13 Ottobre 2022

La congenita morosità dei condomini nel pagamento delle quote condominiali porta alla richiesta di un decreto ingiuntivo nei loro confronti ed alla successiva fase cognitiva di opposizione al provvedimento monitorio.
Massima

In sede di opposizione a decreto ingiuntivo non è rilevante la contestazione relativa all'avvenuta o meno costituzione in mora ex art. 1219 c.c. Sul piano sostanziale, la previa formale costituzione in mora del debitore non è infatti prescritta al fine di rendere esigibile o financo esistente il credito comunque vantato, ma per altri scopi previsti dal legislatore (spostamento sul debitore del rischio dell'impossibilità sopravvenuta, risarcimento danni, interruzione della prescrizione del credito ed altre fattispecie che in questa sede non assumono rilievo). In ambito condominiale, pur potendo il regolamento disporre diversamente, la mancata preventiva messa in mora del condomino inadempiente, in violazione di una norma regolamentare che preveda come obbligatoria la formale contestazione della morosità, non preclude all'amministratore condominiale di agire in via monitoria, potendo - al più - la violazione di tale regola di condotta far discendere in capo all'amministratore medesimo una responsabilità da inesatto adempimento del mandato.

Il caso

Due condomini, che non avevano impugnato la delibera assembleare, proponevano opposizione al decreto ingiuntivo agli stessi notificato a cura del condominio per oneri condominiali straordinari non versati.

I fatti di causa, che possono dedursi solo dalla motivazione della sentenza, sembrerebbero consistere nella domanda, da parte degli opponenti, di declaratoria di annullabilità/nullità della delibera assembleare posta a fondamento dell'ingiunzione di pagamento per asserita modifica dei criteri di riparto, normativi o regolamentari, degli oneri condominiali, ovvero per un possibile contrasto del rendiconto consuntivo con il bilancio preventivo e, ancora, per una mancata costituzione in mora del condomino inadempiente.

Il Tribunale rigettava l'opposizione con condanna degli attori, in solido, al pagamento delle spese di lite.

La questione

Le questioni affrontate nella decisione del Tribunale sono molteplici e, specificatamente,: la possibilità di eccepire, in sede di impugnazione del decreto ingiuntivo l'annullabilità della delibera assembleare, posta a fondamento dell'ingiunzione, non tempestivamente impugnata; l'esame, da parte dei condomini, dei giustificativi di spesa dopo l'approvazione del bilancio consuntivo e, infine, l'obbligo o meno di costituire formalmente in mora il debitore condominiale ai sensi dell'art. 1219 c.c.

Le soluzioni giuridiche

Il tema concernente la possibilità di chiedere la nullità o annullabilità di una delibera che non sia stata impugnata nella sede appropriata non è argomento nuovo perchè è stato oggetto di plurime decisioni della Corte di cui, la più recente, è rappresentata da quella emessa dalle Sezioni Unite (Cass., sez. un, 14 aprile 2021, n. 9839). Il Tribunale si è, pertanto, allineato al principio dettato dai giudici di legittimità secondo cui il giudice può sindacare la nullità, dedotta dalla parte o rilevata d'ufficio, mentre l'annullabilità può costituire oggetto di esame solo se la relativa domanda sia stata introdotta in via riconvenzionale nell'atto di citazione in opposizione e non in via di eccezione.

Nel caso concreto la delibera impugnata era stata approvata con il voto favorevole di uno dei due opponenti il quale aveva, quindi, manifestato una volontà negoziale idonea ad incidere validamente nella sfera patrimoniale di propria competenza. Pur volendo svincolarsi da un fatto tanto determinante per un esito negativo della controversia nei confronti degli attori, il giudice del merito evidenziava che nella fattispecie non era stata sollevata alcuna violazione in merito ai criteri legali di ripartizione delle spese, quanto piuttosto dell'art. 1126 c.c. Violazione che, nella prima ipotesi, avrebbe causato la nullità della delibera.

Per quanto concerne il contrasto tra rendiconto e bilancio preventivo alla luce di un esame della documentazione contabile successiva all'approvazione della deliberazione il giudicante ne rilevava l'infondatezza, dal momento che - secondo precedente orientamento giurisprudenziale (Cass. civ., sez. II, 23 maggio 1981, n. 3402) – una volta il bilancio consuntivo regolarmente approvato costituisce il naturale precedente per l'ottenimento del decreto ingiuntivo nei confronti dei condomini morosi, talchè non vi è un obbligo a carico dell'amministratore di concedere agli stessi un nuovo esame della documentazione contabile.

Da ultimo il Tribunale rigettava anche il terzo motivo di impugnativa (mancata costituzione in mora del condomino) non essendovi, per i debiti condominiali, un simile onere da parte dell'amministratore. In questo senso, peraltro, neppure l'esistenza di una norma regolamentare, non rispettata, potrebbe essere causa di illegittimità della deliberazione traducendosi la stessa violazione di una regola di condotta da parte dell'amministratore.

Osservazioni

Delle tre questioni evidenziate, la prima è stata – come anticipato – al centro di innumerevoli decisioni giurisprudenziali ed il problema della possibilità di chiedere, in sede di opposizione al decreto ingiuntivo di natura condominiale, la declaratoria di nullità o di annullabilità della deliberazione assembleare ha trovato una soluzione pacifica nella richiamata sentenza della Cassazione a Sezioni Unite, che ha composto un contrasto giurisprudenziale, emerso sul punto e sotto vari profili, in seno alla stessa Corte.

Ribadita la differenza tra delibere nulle ed annullabili come enunciata in precedenza (Cass. sez. un., 7 marzo 2005, n. 4806) l'ultima pronuncia ha affermato che la categoriadell'annullabilità rappresenta la “regola generale” delle invalidità delle deliberazioni assembleari, mentre la “nullità” delle stesse ne costituisce una specie residuale. In questo ambito è stato dichiarato (come da Relazione della stessa Corte di cassazione) che soltanto la delibera con “funzione normativa”, che a maggioranza stabilisca, “in astratto e per il futuro”, modalità di distribuzione degli esborsi per parti comuni in deroga o difformità alla disciplina legale o convenzionale, esorbita in radice dalle attribuzioni dell'organo collegiale ed è, per conseguenza, affetta da nullità per impossibilità giuridica dell'oggetto. Per quanto concerne, invece, le deliberazioni annullabili con la recente decisione la Corte Suprema, anche per motivi di economia processuale, ha esteso il potere del giudice dell'opposizione alla valutazione della validità della deliberazione al solo caso in cui la domanda abbia il carattere di domanda riconvenzionale piuttosto che di eccezione riconvenzionale.

In effetti, mentre la prima è l'espressione di una posizione autonoma del convenuto con la quale questi chiede la pronuncia di un provvedimento a sé favorevole ed in contrasto con la domanda dell'attore, la seconda rappresenta la manifestazione di una linea difensiva che tende a paralizzare il diritto della controparte (giurisprudenza costante: per tutte si veda Cass. civ., sez. III, 16 marzo 2021, n. 7292).

Altro argomento trattato ha riguardato la tempistica, rispetto alla deliberazione di approvazione del rendiconto condominiale, della richiesta del condomino di visionare la documentazione contabile e se, in caso di rifiuto dell'amministratore, tale comportamento possa influire sulla validità della delibera stessa. Richiesta che – come emerge dalla motivazione della decisione in esame - non sarebbe stata finalizzata ad una mera consultazione dei giustificativi di spesa concernenti la deliberazione medesima, quanto piuttosto a porre ostacoli all'azione ingiuntiva mettendo in discussione quanto deliberato, dal momento che - come sembrerebbe - al di fuori dell'ambito assembleare l'opponente aveva riscontrato errori che avrebbero influito sul rendiconto approvato.

La questione è stata risolta facendo riferimento ad una risalente decisione della Corte di cassazione che ha fermato l'esame della documentazione, attinente alla rendicontazione, ad un momento antecedente alla riunione assembleare, poiché una volta approvata regolarmente la delibera, la stessa rappresenta il titolo per consentire all'amministratore di procedere in via ingiuntiva ed ottenere il pagamento delle somme risultanti dal bilancio.

Occorre a questo proposito considerare che l'amministratore è obbligato a riscuotere i contributi per la manutenzione ordinaria delle parti e dei servizi comuni (art. 1130, n. 3, c.c.) e deve, salvo espressa dispensa dall'assemblea, agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale il credito esigibile è compreso, anche procedendo ai sensi dell'art. 63 disp.att. c.c. (art. 1129, comma 9, c.c.).

Premesso che la violazione di tale disposizione non prevede sanzione specifica (anche se il comportamento omissivo, indizio di mancata diligenza nell'espletamento del mandato, costituisce una grave irregolarità che può portare alla revoca giudiziaria dell'amministratore), la previsione di un periodo di tempo alquanto dilatato per promuovere giudiziariamente il recupero dei crediti condominiali potrebbe consentire una revisione della situazione contabile ad opera della stessa assemblea, nel momento in cui l'amministratore consentisse al condomino di verificare, a posteriori, i giustificativi di spesa ed emergessero situazioni tali da inficiare la delibera assembleare già approvata. Occorre ricordare, infatti, che secondo l'art. 1130-bis, c.c. condomini e titolari di diritti reali di godimento sulle unità immobiliari hanno diritto di prendere visione dei documenti giustificativi di spese in ogni tempo, nonché di estrarne copia a proprie spese e tale diritto dovrebbe sussistere anche successivamente alla deliberazione di approvazione del consuntivo.

In questo caso, vista la successione delle leggi ed il mutare della giurisprudenza nel tempo, appare anacronistico richiamare un precedente giurisprudenziale che sembra oramai sbiadito, considerato che un eventuale errore di contestazione sollevato nei termini qui indicati non può essere liquidato come il prodotto di una inammissibile facoltà postuma del condomino di contestare i conti per rimettere in discussione il provvedimento adottato dalla maggioranza. Al contrario l'attività tardiva del condomino, potenzialmente debitore, potrebbe risolversi in un quid di positivo per il condominio chiamato nuovamente a deliberare, e questa volta su conteggi corretti, così evitando l'azione monitoria sicuramente seguita dal giudizio di opposizione.

Ultimo (ma solo per seguire l'iter della motivazione) punto da considerare è quello concernente la necessità di costituire in mora il condomino debitore prima di procedere all'ingiunzione di pagamento.

La norma richiamata dal giudicante è l'art. 1219 c.c. che, in via generale, riguarda l'inadempimento delle obbligazioni. L'effetto della costituzione in mora del debitore è evitare che sul debito cada la prescrizione, presupponendo la stessa la sussistenza di tre requisiti: l'esigibilità del credito, l'intimazione a adempiere e l'inadempimento ingiustificato. L'intimazione non richiede un atto rigorosamente formale, mentre necessita di una comunicazione scritta che sia portata a conoscenza del debitore, nei confronti del quale viene manifestata la volontà di ottenere il risarcimento del proprio diritto (Cass. civ., sez. II, 31 maggio 2021, n. 15140). L'atto stragiudiziale di costituzione in mora può essere tanto una lettera raccomandata inoltrata a mezzo del servizio postale (meglio se con avviso di ricevimento) quanto un'intimazione tramite ufficiale giudiziario proprio in considerazione del fatto che l'atto ha natura ricettizia.

A tale proposito va, comunque, evidenziato che l'utilizzo del mezzo postale fa presumere che l'atto sia giunto a destinazione sulla base dell'attestazione della spedizione da parte del corrispondente ufficio, pur in mancanza dell'avviso di ricevimento, spettando al destinatario l'onere di dimostrare che il plico non contiene alcuna lettera al suo interno, ovvero contiene una lettera di contenuto diverso da quello indicato dal mittente" (Cass. civ., sez. III, 27 aprile 2010, n. 10058).

In ambito condominiale, tuttavia, tale adempimento formale, finalizzato al recupero del credito come desunto dallo stato di riparto approvato dall'assemblea non è imposto all'amministratore il quale, in relazione alle sue attribuzioni, deve agire per il recupero dei mancati pagamenti anche senza delibera autorizzativa dell'assemblea (Trib. Roma 5 febbraio 2021, n. 2053). Un orientamento che ha chiaramente tenuto conto del principio espresso in passato dalla Corte di Cassazione ed ora fatto proprio dal Tribunale di Catania.

Piuttosto va evidenziato che è sempre opportuno che l'amministratore, prima di procedere in via ingiuntiva nei confronti del condomino moroso, invii una lettera di sollecito che, pur non avendo i caratteri della costituzione in mora come delineati dall'art. 1219 c.c., può sicuramente indurre il condomino (magari solo distratto) ad adempiere alla propria obbligazione, evitando il ricorso alle aule giudiziarie.

Da non dimenticare, infine, che nel caso di un debito di rilevante portata, che spesso è il prodotto dell'inerzia dell'amministratore, se il condomino chieda un piano di rientro, la decisione non spetta all'amministratore ma all'assemblea.

Riferimenti

Bordolli, Il decreto ingiuntivo nei confronti del condomino moroso non deve essere preceduto da lettera di messa in mora, in Diritto.it, 24 marzo 2021;

Acquaviva, Messa in mora inutile se c'è da recuperare un credito condominiale, in Condominioweb.com, 25 febbraio 2021.

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