Divieto di bis in idem e reati associativi

Andrea Nocera
12 Ottobre 2022

L'ambito di operatività, in tema di condotte di partecipazione a delitti associativi, della preclusione al procedimento penale, prevista dall'art. 649 c.p.p.
Massima

Non opera la preclusione del giudicato, ai sensi dell'art. 649 c.p.p., per diversità del fatto, nel caso in cui un soggetto faccia parte, anche in coincidenza temporale, di due associazioni criminose, parzialmente differenti per composizione strutturale e aree geografiche di incidenza, risultando il divieto violato solo ove risultino sovrapponibili i segmenti di condotta presi in esame dalle singole sentenze passate in giudicato. Nel caso di specie, la Corte ha escluso la sussistenza dell'”idem factum” in relazione alle condotte di partecipazione a due associazioni finalizzate al traffico di stupefacenti, cui aveva aderito l'imputato in tempi parzialmente coincidenti, per la differenza dei rispettivi programmi delittuosi e degli ambiti territoriali di influenza, rappresentando la figura dell'imputato l'unico elemento di collegamento tra i sodalizi.

Il caso

La Corte di appello di Potenza, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato gli imputati per il delitto di partecipazione in associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (art. 74 d.P.R. n. 309/1990). La Corte di merito ha escluso l'identità dei fatti oggetto di contestazione, relativi alla partecipazione ad un sodalizio criminale operante nel materano, con quelli oggetto della sentenza di condanna pronunciata dalla Corte di appello di Firenze, divenuta irrevocabile, posti in essere tra il 2003 e il 2005 in Toscana e, in particolare, in territorio di Montescaglioso,

Con ricorso per cassazione la difesa, tra gli altri motivi, ha eccepito la violazione dell'art. 649 c.p.p., essendo già stata riconosciuta, con precedente giudicato, la responsabilità penale dell'imputato per analoghe condotte delittuose ex artt. 74 e 73 d.P.R. n. 309/1990, per essersi associato con più persone al fine di cedere stupefacente per mezzo di corrieri, anch'essi associati, dall'inizio del 2002. Nella specie, la partecipazione dell'imputato era consistita nel ruolo, svolto per l'organizzazione, di fornitore dello stupefacente per conto del soggetto che sovrintendeva al gruppo toscano.

La questione

La questione prospettata dalla difesa riguarda l'individuazione dell'ambito di operatività, in tema di condotte di partecipazione a delitti associativi, della preclusione al procedimento penale, prevista dall'art. 649 c.p.p.

Quali sono gli elementi ed i parametri di valutazione che fondano la valutazione di identità o diversità del fatto in relazione a fattispecie associative (nel caso di specie, finalizzate al traffico di stupefacenti), tale da dar luogo alla preclusione derivante dalla precedente condanna definitiva, in ragione del divieto di bis in idem?

La peculiarità del tema emerge dal fatto che nelle fattispecie di reato permanente la condotta partecipativa si sviluppa e si attua in un ampio arco temporale, presuppone la interazione con altri soggetti, che hanno un ruolo ben definibile nell'attuazione del programma del sodalizio criminale, funzionale alla sua attuazione in un ambito territoriale non necessariamente ristretto.

La giurisprudenza di legittimità ha elaborato intuitivi parametri fattuali di valutazione dell'idem factum in tema di reati associativi, ai fini della verifica di una piena sovrapponibilità delle condotte già giudicate rispetto ai fatti per i quali si procede (ex multis, Cass. pen., sez. III, n. 52499/2014, Balzano).

Le soluzioni giuridiche

In materia di delitti associativi un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio secondo il quale, al fine di controllare il rispetto del principio del ne bis in idem, anche in rapporto alla commissione dei reati scopo, occorre verificare in concreto i segmenti di condotta presi in esame dalle singole sentenze passate in giudicato. Si osserva che il suddetto principio risulta violato solo ove vi sia sovrapposizione tra le medesime condotte oggetto di giudicato. Il principio è stato, in particolare, espresso in relazione a sentenza di condanna per reati relativi a contrabbando di TLE, successiva a precedente decisione irrevocabile riguardante il solo delitto di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di tali reati, in cui la Corte ha escluso la violazione del divieto sebbene nel capo di imputazione concernente la fattispecie associativa fossero indicati come elementi fattuali a carico, anche i singoli reati fine (Cass. pen. sez. III, n. 52499/2014, Balzano; Cass. pen. sez. I, n. 12700/2008, Cosenza).

Nella medesima ottica, ma in senso maggiormente restrittivo, si è più di recente affermato che il divieto di bis in idem previsto dall'art. 649 c.p.p. non opera, per diversità del fatto, nel caso in cui un soggetto faccia parte, anche in coincidenza temporale, di due diverse associazioni criminose (Cass. pen., sez. VI, n. 36555/2020, Bello). Nella specie, relativa proprio ad ipotesi di reato di cui all'art. 74 d.P.R. n. 309/1990, la condotta di partecipazione all'organizzazione criminale assunta come preclusiva si riferiva ad un sodalizio che aveva operato in un periodo precedente a quello in cui era stato costituito il nuovo gruppo organizzato, del quale erano entrati a far parte nuovi soggetti unitamente a componenti di altra associazione e che aveva iniziato a concretizzare il suo programma delittuoso in epoca più recente, in zone almeno in parte diverse. L'esclusione della identità dei due sodalizi cui avevano aderito i ricorrenti ha trovato fondamento, nella valutazione della S.C., sul differente programma delittuoso, sulla operatività in aree geografiche ed epoche solo parzialmente coincidenti, nonché con compagini soggettive in parte diversificate.

L'approccio ermeneutico più rigoroso investe i parametri ai quali occorre far riferimento per l'accertamento dell'identità del fatto.

Si afferma, infatti, che, ai fini della preclusione del giudicato, l'identità del fatto è configurabile solo ove le condotte siano caratterizzate dalle medesime condizioni di tempo, di luogo e di persone, sicché costituisce fatto diverso quello che, pur violando la stessa norma e integrando gli estremi del medesimo reato, rappresenti ulteriore estrinsecazione dell'attività delittuosa, distinta nello spazio e nel tempo da quella pregressa (cfr. la citata Cass. pen., sez. III, n. 52499/2014, Balzano, con riferimento a fattispecie di partecipazione ad associazione mafiosa in cui la Corte ha escluso la violazione del principio del ne bis in idem, in quanto la contestazione afferiva a un periodo temporale successivo rispetto a quello oggetto del precedente procedimento già definito con sentenza irrevocabile e si fondava su fatti nuovi, indicativi della persistente intraneità del ricorrente).

L'interpretazione restrittiva dei presupposti di operatività dell'art. 649 c.p.p. trova un autorevole precedente, sia pur in materia cautelare ed ai fini della retrodatazione dei termini di durata, in quanto significativamente sostenuto da Cass. pen., sez. II, n. 12984/2006, Locorotondo, secondo cui non sussiste medesimezza del fatto non solo laddove vi sia stato mutamento nella composizione soggettiva di una associazione criminosa, ma si possa affermare che si sia stata la nascita di una compagine diversa, avente ad oggetto condotte delittuose distinte da quelle che avevano interessato un preesistente differente sodalizio (nella parte motiva si osserva che “non ricorre lo stesso fatto quando uno degli elementi essenziali della condotta materiale, relativo appunto al tempo di commissione del reato, muti”).

L'arresto in commento condivide la linea ermeneutica più rigorosa.

Si ribadisce, in premessa, l'accezione storico-naturalistica dell'identità del fatto, ai fini della preclusione connessa al principio ne bis in idem, tale che la corrispondenza deve riguardare la configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) ed anche con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (Cass. pen., sez. un., n. 35655/2005, P.G. in proc. Donati), secondo l'interpretazione avallata dalla Corte costituzionale.

Come affermato dalla Corte costituzionale (C. cost. n. 200/2016), ai fini della decisione sull'applicabilità del divieto di bis in idem ciò che assume rilievo è "solo il giudizio sul fatto storico" oggetto di imputazione nei diversi procedimenti e, in particolare, «sulla base della triade condotta-nesso causale-evento naturalistico, il giudice può affermare che il fatto oggetto del nuovo giudizio è il medesimo solo se riscontra la coincidenza di tutti questi elementi, assunti in una dimensione empirica».

Con riferimento al caso di specie, in cui la preclusione per precedente giudicato si riferisce al delitto associativo ex art. 74 d.P.R. n. 309/1990, la Corte ha escluso la sussistenza, ai fini della valutazione di identità del fatto, della medesimezza dei componenti il sodalizio criminoso e del contesto spazio-temporale, solo parzialmente coincidente, in cui ha operato l'associazione.

Si fa espresso richiamo in sentenza ai precedenti arresti della Corte che, in tema di reati associativi, richiede che la verifica per la preclusione riguardi i segmenti delle condotte di partecipazione, in relazione alle caratteristiche identificative del sodalizio, per composizione soggettiva, ambito territoriale e programma criminoso.

Al mutare anche di uno solo di tali elementi corrisponde una diversa condotta delittuosa di partecipazione perché diverso il gruppo di riferimento.

Si pensi, ad esempio, al caso di successiva o contemporanea adesione del soggetto ad un sodalizio avente ad oggetto un differente programma delittuoso, ovvero al quale abbiano aderito nuovi soggetti, con mutamento della composizione di quel gruppo criminale, anche attraverso una sorta di fusione con componenti di altra associazione.

Le evidenziate diversità emergono, dunque, in relazione agli elementi identitari della composizione strutturale e del programma criminoso.

Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto che i giudici di merito abbiano fatto corretta applicazione dei citati canoni ermeneutici, escludendo, con doppia valutazione convergente, la medesimezza del delitto associativo già definitivamente giudicato con quello contestato, per «la diversità strutturale delle due compagini, operanti in contesti territoriali e temporali pure differenti», che avevano quale unico dato comune un unico soggetto concorrente, che aveva assunto ruolo apicale in relazione alla prima associazione e che, dopo un periodo di carcerazione «si era circondato di nuovi personaggi e aveva costituito un nuovo sodalizio». Da ciò i giudici di merito avevano desunto che la realizzazione delle finalità della prima condotta ed il contributo di partecipazione fornito dal ricorrente (fornitura di droga al gruppo di Montescaglioso) si fossero esauriti nell'ambito e nel fuoco dell'associazione toscana, definitivamente accertata con la sentenza di condanna passata in giudicato.

Elementi di diversità dei sodalizi emergevano, inoltre, nella ricostruzione di merito, nella assenza nell'azione del nuovo gruppo criminale delle condotte di violenza (“episodi di pestaggio”), che avevano caratterizzato la prima associazione, «nei confronti di coloro che erano scoperti a "sgarrare" rispetto alle direttive impartite».

A fronte di tali profili differenziali, non assume rilievo la circostanza che nel capo di imputazione giudicato a Firenze vi fossero occasionali riferimenti al gruppo di Montescaglioso o alla Basilicata in genere.

Di qui l'affermazione del principio secondo cui, ai fini della individuazione del presupposto della medesimezza del fatto materiale, deve essere operata una verifica in senso rigoroso dell'elemento identitario del gruppo criminale di riferimento, nei suoi caratteri strutturali di composizione soggettiva e spazio-temporale, e della relativa condotta partecipativa dell'associato, quale materiale attività di supporto e contributo al sodalizio. Non è sufficiente, a tal fine, come affermato nella sentenza in commento, che nel capo di imputazione del precedente giudicato siano indicati occasionali elementi di sovrapponibilità per ambito territoriale o di contiguità temporale tra le condotte associative.

Osservazioni

Con la sentenza in commento la S.C. intende dare continuità, in tema di canoni applicativi nelle fattispecie associative della preclusione prevista dall'art. 649 c.p.p., per il divieto di bis in idem, alla linea ermeneutica più rigorosa cui è approdata la giurisprudenza di legittimità.

Con riferimento alle fattispecie associative si esclude la sussistenza del presupposto dell'idem factum anche nei casi in cui si verifichi una parziale coincidenza temporale tra le condotte di partecipazione, da valutarsi in relazione al contributo fornito al gruppo dal singolo associato e dei segmenti di condotta che lo esprimono, quando emergano elementi differenziali tra i sodalizi, per composizione soggettiva, ambito territoriale e programma criminoso.

Deve osservarsi che, proprio in ragione della natura permanente del reato associativo, il dato temporale assume tendenzialmente scarsa efficacia individualizzante il programma associativo riferibile alla precedente condotta di reato assunta come preclusiva.

In tali fattispecie di reato, il tempus commissi delicti viene riferito al periodo di riconosciuta operatività del gruppo, facendo ricorso nella formulazione della contestazione, alla indicazione di “permanenza” delle condotte delittuose, in aggiunta alla delimitazione temporale (“fino al…”).

Del resto, nei reati permanenti, nel caso di contestazione in forma cosiddetta "aperta", la "identità del fatto", che rileva ai fini dell'operatività del principio del ne bis in idem, non sussiste qualora, in relazione a due diversi reati di partecipazione alla stessa associazione in periodi diversi, per uno sia intervenuta sentenza di accertamento della responsabilità e per il secondo sia, successivamente, stata applicata una misura cautelare (Cass. pen., sez. VI, n. 51803/2018, Iazzetta, in cui la Corte ha escluso la violazione di tale principio nel caso in cui, in relazione al reato di partecipazione ad associazione camorristica riguardante un primo periodo, il quale, dopo una prima contestazione "aperta", è stato poi circoscritto ad una certa data e per il quale è intervenuta sentenza di condanna, è poi seguita l'applicazione di una misura cautelare relativa alla partecipazione in posizione apicale alla stessa associazione, in relazione a un periodo successivo).

Il dato temporale – desumibile nei citati termini dalla formale contestazione del reato contestato nel precedente processo – finisce, dunque, per essere interpretato, alla verifica per la valutazione della medesimezza del fatto, in senso fortemente restrittivo.

Si è, infatti, affermato, in tema di applicazione del principio del "ne bis in idem" nei reati associativi (nella specie, il reato di cui all'art.416-bis c.p.), che il precedente giudicato non impedisce la configurabilità di un nuovo reato del medesimo tipo in relazione ad un periodo immediatamente successivo, quand'anche le condotte poste in essere siano identiche, per tipologia e modalità, a quelle già giudicate, trattandosi in ogni caso di fatti diversi sotto il profilo storico-naturalistico e frutto di un rinnovato "prendere parte" al fenomeno associativo (Cass. pen., sez. VI, n. 40899/2018, C.; conf., ex multis, Cass. pen., sez. I, n. 26784/2022, M.A.M. ed altri).

Ai medesimi fini, maggior impatto deve riconoscersi al dato territoriale nelle fattispecie associative, in cui manca la realizzazione di un evento in senso naturalistico, che rappresenta elemento strutturale identificativo del contenuto del programma delittuoso del gruppo criminale, direttamente connesso alla sfera di vita ed operatività dei partecipi e di coloro che assumono un ruolo apicale.

Riferimenti
  • C. Conti, La preclusione nel processo penale, Milano, 2014;
  • P. Fimiani, Doppio binario sanzionatorio e ne bis in idem. Luci e ombre della recente giurisprudenza, in ilpenalista.it, 21 Gennaio 2019;
  • S. Mendicino, Secondo giudizio precluso per l'idem factum: che rapporto c'è tra il reato di favoreggiamento e quello associativo? in DirittoeGiustizia, fasc.0, 2013, pag. 537;
  • A. Procaccino, Ne bis in idem: un principio in evoluzione - assestamenti e osmosi nazionali sul bis in idem, in Giur. It., 2019, 6, 1457.

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