La giurisprudenza della S.C. sul diritto dei detenuti al “41-bis” di acquistare e cuocere cibi

17 Ottobre 2022

La giurisprudenza affronta le ricadute della sentenza n. 186/2018, con la quale la Consulta ha dichiarato incostituzionale il divieto di cuocere cibi per i detenuti sottoposti al 41-bis.
Massima

I detenuti sottoposti al regime penitenziario di cui all'art. 41-bis ord. penit. possono acquistare al sopravvitto gli stessi generi alimentari consentiti alla restante popolazione penitenziaria e possono cuocere cibi con la stessa libertà di orario assegnata alla restante popolazione penitenziaria.

Il caso

La Corte costituzionale, con la sent. 12 ottobre 2018, n. 186, rimuoveva il divieto, previsto per i detenuti sottoposti al regime penitenziario di cui all'art. 41-bis ord. penit., di cuocere cibi, perché «incongruo e inutile alla luce degli obbiettivi cui tendono le misure restrittive autorizzate dalla disposizione in questione», e perciò «dotato di valenza meramente e ulteriormente afflittiva».

Il Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, all'indomani di quella sentenza, aggiornava la circolare del 2 ottobre 2017 – che prevede la disciplina di dettaglio del regime speciale – consentendo ai 41-bis la cottura dei cibi e disponendo che il loro “modello 72”, ossia l'elenco, formato dagli Istituti, contenente i beni acquistabili extra-vitto all'interno del carcere (c.d. “sopravvitto”), dovesse essere integrato con l'inserimento di una serie di generi alimentari suscettibili di cottura; beni che venivano indicati in una apposita tabella.

La stessa circolare disponeva che le Direzioni degli Istituti penitenziari dovessero regolamentare il periodo in cui consentire la cottura dei cibi nella “sezione 41-bis”, mediante la previsione di due fasce orarie, una per il pranzo e una per la cena, in modo da garantire la salubrità degli ambienti, l'ordinata convivenza, il rispetto del lavoro del personale e l'assenza di condizionamento dei tempi previsti per le attività trattamentali.

Pertanto, le Direzioni degli Istituti penitenziari modificavano il “modello 72” dei detenuti in regime speciale e prevedevano due fasce orarie per la cottura dei cibi, come prescritto dalla stessa circolare.

Un detenuto ristretto nel circuito 41-bis della Casa circondariale di Spoleto, con il “reclamo giurisdizionale” ex art. 35-bis ord. penit., censurava il mancato inserimento nel “modello 72” di una serie di generi alimentari e contestava la legittimità della previsione delle fasce orarie individuate dall'Istituto (11:00-14:00 per il pranzo e 16:30-19:00 per la cena).

Il Magistrato di sorveglianza di Spoleto accoglieva il reclamo, disponendo che la Direzione dell'Istituto consentisse al reclamante di acquistare al sopravvitto degli stessi generi alimentari inclusi nel “modello 72” dei restanti detenuti e di cuocere i cibi con la stessa libertà di orario assegnata a questi ultimi.

Il Tribunale di sorveglianza di Perugia respingeva il reclamo proposto dall'Amministrazione avverso la prima decisione, osservando che entrambe le limitazioni, non essendo rispondenti alle finalità che giustificano la sospensione delle ordinarie regole di trattamento, fossero ingiustificate e quindi meramente afflittive.

Il Ministero della giustizia, con il ricorso per Cassazione, negava i presupposti per il reclamo giurisdizionale, ossia la sussistenza di un pregiudizio ad un diritto soggettivo del detenuto cagionato da un comportamento dell'Amministrazione posto in violazione delle norme di diritto penitenziario, evidenziando la ragionevolezza di entrambe le previsioni: la scelta di non omologare i due “modelli 72” sarebbe volta ad impedire che i detenuti in regime speciale possano rafforzare la loro posizione di potere all'interno del carcere in ragione della quantità o della qualità dei cibi acquistati; la previsione di fasce orarie, invece, varrebbe a contemperare le esigenze correlate alla gestione dell'istituto. Doveva comunque ritenersi insussistente qualsivoglia discriminazione tra ristretti, tenuto conto della pericolosità dei 41-bis.

La Prima sezione penale della Corte di cassazione, ritenuto il ricorso parzialmente fondato, ha annullato l'ordinanza impugnata limitatamente alle fasce orarie per la cottura dei cibi e rinviato per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di sorveglianza di Perugia. Il Collegio ha così deciso anche negli altri analoghi procedimenti sottoposti al suo esame (Cass. pen., sez. I, 12 novembre 2021, n. 30779; Cass. pen., sez. I, 12 novembre 2021, n. 30780; Cass. pen., sez. I, 12 novembre 2021, n. 30781; Cass. pen., sez. I, 12 novembre 2021, n. 30782; Cass. pen., sez. I, 12 novembre 2021, n. 30783; Cass. pen., sez. I, 12 novembre 2021, n. 30784; Cass. pen., sez. I, 12 novembre 2021, n. 30785).

La questione

La Suprema Corte ha affrontato due questioni relative alla legittimità della regolamentazione prevista per i detenuti al regime detentivo di cui all'art. 41-bis ord. penit., in materia di acquisto e cottura degli alimenti, e al conseguente potere-dovere della magistratura di sorveglianza di disapplicare i relativi atti organizzativi.

Le questioni sono le seguenti: 1) è ragionevole vietare ai 41-bis l'acquisto di generi alimentari consentiti alla restante popolazione penitenziaria?; 2) è ragionevole imporre ai soli 41-bis la previsione di fasce orarie per la cottura dei cibi?

Le soluzioni giuridiche

Relativamente alla questione sub 1), la giurisprudenza appare ormai consolidata.

In una prima fase, la Corte di cassazione annullava le ordinanze dei giudici di sorveglianza richiedendo di verificare, in sede di rinvio, quali fossero i beni di cui si chiedeva di volta in volta l'inclusione nel “modello 72” del circuito speciale, e di effettuare uno scrutinio di ragionevolezza della differenziazione trattamentale in relazione ad ogni singolo bene, avendo riguardo alle finalità del regime differenziato (Cass. pen., sez. I, 15 febbraio 2021, n. 21118; Cass. pen., sez. I, 19 gennaio 2021, n. 7192; Cass. pen., sez. I, 4 dicembre 2020, n. 4030). Invero, secondo questo indirizzo interpretativo, la diversificazione trattamentale in esame è legittima se giustificata dalla necessità di impedire che, mediante l'acquisto di determinati beni, i detenuti al 41-bis possano rafforzare carisma e potere criminale, considerato anche che la Consulta, con la sent. 5 maggio 2020, n. 97, ha loro consentito di scambiare oggetti con gli appartenenti allo stesso gruppo di socialità.

Secondo l'orientamento più recente, maturato man mano che le decisioni dei giudici di sorveglianza hanno reso esplicita la concreta assenza del pericolo suindicato, in ragione del carattere assolutamente ordinario dei beni acquistabili, oltre che della modestia dell'importo spendibile, la differenziazione in esame è di per sé irragionevole, se prevista con atti a contenuto organizzativo di portata generale, essendo al più consentita con provvedimenti individuali.

In questa seconda fase, la Corte dichiara inammissibili o rigetta i ricorsi dell'Amministrazione, osservando che l'omologazione tra gli alimenti di cui ai “modelli 72” non determina alcun vulnus funzionale al regime speciale, che ha la sua giustificazione nell'impedire, da un lato, forme pericolose di comunicazione con l'esterno e, dall'altro, lo sviluppo di logiche associative criminali nel contesto penitenziario.

La sentenza in commento aderisce a tale ultima impostazione, che è supportata da molteplici argomenti. Sotto il profilo qualitativo, la possibilità di acquisire generi alimentari “di lusso” o “pregiati” è di per sé esclusa per tutti i detenuti, posto che non sono tali i generi inclusi nel “modello 72” dei detenuti comuni. Sotto il profilo quantitativo, l'art. 14 d.p.r. 30 giugno 2000, n. 230 introduce disposizioni volte ad evitare l'anomala acquisizione di beni (Cass. pen., sez. I, 8 aprile 2021, n. 17341; Cass. pen., sez. I, 21 aprile 2021, n. 26274). Inoltre, il potere di spesa dei detenuti in regime speciale è più limitato di quello degli altri ristretti (Cass. pen., sez. I, 15 luglio 2021, n. 33917).

Per altro verso, si evidenzia che la sospensione delle regole ordinarie di trattamento non risponde di per sé al fine di garantire la sicurezza interna all'Istituto penitenziario, che può essere messa in pericolo dall'eventuale uso improprio di alcuni beni: a tal fine vanno applicati infatti gli istituti appositi “ordinari”, come il regime di sorveglianza particolare ex art. 14-bis ord. penit., o comunque misure individuali (Cass. pen., sez. I, 21 aprile 2021, n. 22052).

Quanto alla questione sub 2), la giurisprudenza della Suprema Corte adotta soluzioni diverse, fondate su differenti impostazioni metodologiche.

Per una pronuncia, rimasta isolata, l'individuazione delle fasce orarie nei confronti dei detenuti 41-bis è legittima, non incidendo sul diritto a cuocere cibi, ma soltanto sulle «modalità di esercizio» di tale diritto, «in una logica di ragionevole bilanciamento tra le differenti esigenze in rilievo, che connotano la vita in comune»; diritto che veniva ritenuto in concreto comunque «suscettibile di ampia fruizione», visto che il detenuto poteva cucinare in almeno cinque ore al giorno (Cass. pen., sez. I, 17 dicembre 2019, n. 8560).

Questa decisione si spiega in ragione del consolidato principio secondo cui «la sola negazione del diritto in quanto tale integra lesione suscettibile di reclamo giurisdizionale, mentre le modalità di esplicazione del diritto restano affidate alle scelte discrezionali dell'Amministrazione penitenziaria, in funzione delle esigenze di ordine e disciplina interne, che, ove non manifestamente irragionevoli, ovvero sostanzialmente inibenti la fruizione del diritto, non sono sindacabili in sede giudiziaria (Cass. pen., sez. I, 19 maggio 2022, n. 34574; Cass. pen., sez. VII, 29 maggio 2014, n. 373).

Attualmente si confrontano due filoni giurisprudenziali.

Secondo un primo gruppo di decisioni, la previsione delle fasce orarie per i soli ristretti 41-bis è di per sé discriminatoria, poiché non è correlata alla finalità preventiva del regime speciale, l'unica che potrebbe giustificare deroghe rispetto al regime carcerario ordinario.

In alcune pronunce, la Corte, dopo aver mostrato di condividere quanto osservato dai Tribunali di sorveglianza, ossia che la restrizione in esame è illegittima in quanto sganciata dalle finalità preventive del regime speciale, annulla con rinvio, chiedendo di chiarire se la disciplina in esame «sia circoscritta, all'interno dell'Istituto, ai soli detenuti sottoposti al regime differenziato». Tale profilo andrebbe chiarito «al fine di verificare se l'esercizio della potestà organizzatoria da parte dell'Amministrazione possa, in realtà, celare una differenziazione del regime penitenziario del tutto ingiustificata, tale da assumere, in concreto, un carattere sostanzialmente vessatorio» (Cass. pen., sez. I, 19 gennaio 2021, n. 7194; Cass. pen., sez. I, 4 dicembre 2020, n. 4031).

La sentenza in commento richiama queste decisioni in senso adesivo e, nel disporre l'annullamento con rinvio con esclusivo riguardo alla verifica della portata soggettiva della misura, afferma che «il divieto di cottura in determinate fasce orarie è legittimo a condizione che riguardi tutti i detenuti e non solo quelli sottoposti al regime detentivo di cui all'art. 41-bis ord. pen., risolvendosi, in tal caso, in un'ingiustificata differenziazione del regime penitenziario tale da assumere, in concreto, un carattere sostanzialmente vessatorio».

In termini altrettanto netti, la Corte, in un caso nel quale era noto che le fasce orarie per la cottura dei cibi fossero previste per i soli ristretti 41-bis, dopo aver ricordato che le «differenziazioni tra le condizioni di detenzione sono pacificamente possibili [solo] se funzionali e conformi agli scopi costituzionali della misura di maggiore rigore», dichiara il ricorso dell'Amministrazione penitenziaria inammissibile, per l'assenza di valide spiegazioni della «diversificazione in funzione della finalità tipica della misura di maggior rigore» (Cass. pen., sez. I, 8 aprile 2021, n. 17341).

Per un terzo gruppo di pronunce, al contrario, per concludere nel senso della legittimità o della illegittimità della misura, occorre effettuare una verifica caso per caso, avendo riguardo anche alle esigenze organizzative che connotano la sezione 41-bis dell'Istituto.

Si tratta di sentenze di annullamento con rinvio per nuovo esame volto a se la restrizione sia prevista«solo per i detenuti assoggettati al regime differenziato», e se, in tal caso, «sia in concreto esorbitante dall'esercizio del potere organizzatorio» dell'Amministrazione. Dovrebbe ritenersi tale la misura «del tutto avuls[a] dal perseguimento delle esigenze connotanti il regime differenziato e nemmeno in concreto funzionale alla regolare attuazione dello stesso all'interno della sezione». La Corte conclude in questo senso dopo aver rilevato che i giudici di sorveglianza non avevano spiegato perché la scelta amministrativa di vietare ai detenuti in regime differenziato di cuocere cibi al di fuori di fasce orarie predeterminate dovesse ritenersi esorbitante dal ragionevole contemperamento tra l'interesse dei ristretti alla cottura dei cibi e le «eventuali concrete esigenze organizzative vigenti all'interno della sezione 41-bis» dell'Istituto, esigenze che «potrebbero giustificare una differenziazione delle regole rispetto a quelle adottate nelle sezioni a circuito ordinario» (Cass. pen., sez. I, 30 marzo 2022, n. 25789; Cass. pen., sez. I, 15 luglio 2021, n. 33919).

Osservazioni

I risvolti applicativi dei tre indirizzi giurisprudenziali sono radicalmente diversi.

Ritenendo che la regola, imposta ai detenuti 41-bis, di non cuocere cibi al di fuori di certe fasce orarie sia legittima, incidendo sulle sole modalità di esercizio del diritto di cuocere cibi, il sindacato giurisdizionale sull'esercizio del potere amministrativo si esaurisce nel verificare l'adeguatezza delle fasce orarie, e quindi che non venga reintrodotto in concreto il divieto dichiarato incostituzionale. Al contrario, assumendo che la misura, se imposta ai soli 41-bis, sia illegittima, in quanto sganciata da ogni finalità preventiva, il giudice di sorveglianza deve ordinare la disapplicazione degli atti amministrativi che la prevedono. Ammettendo, infine, che questa scelta sia illegittima soltanto se risulti, per il singolo Istituto, esorbitante dal potere organizzatorio dell'Amministrazione, il giudice di merito deve verificare se la stessa possa trovare giustificazione in base alle differenze organizzative tra la sezione 41-bis e le altre sezioni dell'Istituto.

Se le prime due impostazioni non convincono, la terza richiede un chiarimento.

La prima tesi esamina partitamente il circuito speciale, limitandosi a constatare che la previsione di fasce orarie non pone in discussione il diritto del detenuto di cuocere cibi, ma incide sulle sue modalità di esercizio. Tuttavia, se è vero che le regole di organizzazione penitenziaria, a differenza delle regole del trattamento penitenziario, in principio, incidono solo sulle modalità di esercizio dei diritti dei detenuti, e quindi non consentono l'attivazione del reclamo giurisdizionale, è altrettanto vero che nel caso in cui il detenuto lamenti la violazione del principio di eguaglianza-ragionevolezza, questi non fa valere un generico interesse di fatto, ma il diritto alla non discriminazione e a non essere sottoposto a trattamenti meramente afflittivi, e quindi degradanti; pregiudizio la cui sussistenza deve essere approfondita, essendo l'oggetto principale del giudizio.

La seconda tesi equipara le regole del trattamento penitenziario e le regole di organizzazione penitenziaria, richiedendo che entrambe debbano essere correlate alle finalità preventive del regime detentivo speciale. Tuttavia, il legislatore, per la seconda tipologia di regole, non prevede e non potrebbe prevedere tale limite. Invero, ogni circuito penitenziario, ospitando ristretti con analoghe esigenze trattamentali o omogenei livelli di pericolosità, ha specifiche esigenze organizzative, e dunque richiede diversi sistemi di organizzazione. In particolare, l'art. 41-bis ord. penit., istituisce un autonomo circuito: i ristretti in regime speciale, infatti, sono ospitati in appositi Istituti o in sezionilogisticamente separate dal resto dell'Istituto”, in cui la vigilanza è affidata a “reparti specializzati della polizia penitenziaria” e trovano applicazione “misure di elevata sicurezza interna ed esterna”. Se è vero che il legislatore attribuisce una finalità preventiva a queste misure, è altrettanto vero che le stesse complicano la già complessa gestione di una sezione detentiva. In ipotesi, dunque, possono giustificare restrizioni prettamente organizzatorie che non siano previste negli altri circuiti.

In merito al terzo indirizzo, va evidenziato che il vaglio di ragionevolezza-eguaglianza non va compiuto “in negativo”, verificando se la disciplina in esame non possa trovare soddisfacente applicazione nelle sezioni diverse dalla sezione 41-bis, perché, ad esempio, potrebbe favorirebbe la concentrazione di fumi e odori in ragione della collocazione dei ristretti in celle multiple e determinare la sovrapposizione degli orari per la cottura dei cibi con quelli delle attività lavorative, che impegnano i detenuti per la gran parte della giornata (cfr. rispetto alla Casa circondariale di L'Aquila: Cass. pen., sez. V, 19 maggio 2022, n. 24925; Cass. pen., sez. I, 5 maggio 2022, n. 26011). Al contrario, poiché la maggiore compressione dell'esercizio di un diritto deve essere ragionevole e proporzionata, il giudice deve valutare se le misure di elevata sicurezza del circuito speciale rendano necessario adottare una “restrizione aggiuntiva” per il perseguimento delle comuni esigenze di ordine e sicurezza individuate dal DAP.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.