Conto corrente cointestato: cosa accade in caso di morte di uno dei titolari?

Nelson Alberto Cimmino
20 Ottobre 2022

Quale quota del saldo attivo di un conto corrente cointestato deve essere ricompresa nell'asse ereditario?
Massima

Qualora il conto corrente (bancario o postale) sia cointestato a più persone anche con facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, tutti i loro rapporti interni vengono disciplinati non dall'art. 1854 c.c., riguardante i rapporti con la banca, ma dall'art. 1298, comma 2, c.c., in base al quale i debiti e i crediti si suddividono in parti uguali, salvo che non risulti diversamente.

Pertanto in sede di successione ereditaria, ove il saldo attivo del conto corrente risulti discendere dal versamento di denaro di pertinenza di un solo correntista va escluso che gli altri intestatari del conto corrente possano avanzare diritti su predetto saldo.

Il caso

Tizia, erede testamentaria della madre Mevia, conveniva in giudizio davanti al Tribunale la sorella e coerede Caia, chiedendo di disporre la divisione dell'asse ereditario e di accertare l'avvenuto prelievo dal conto corrente della de cuius, ad opera della convenuta, di ingenti somme di denaro senza giustificazione.

L'attrice precisava che il testamento olografo di Mevia aveva disposto che il denaro in giacenza sul conto corrente, cointestato alla medesima Mevia ed a Caia, doveva essere suddiviso in parti uguali tra le figlie.

Il Tribunale disponeva lo scioglimento della comunione, previa collazione ai sensi dell'art. 737 c.c., delle donazioni effettuate da Mevia in favore di Caia.

Il Tribunale reputava documentalmente provato dagli estratti conto allegati dall'attrice che il conto corrente bancario cointestato a Mevia e Caia fosse alimentato esclusivamente dai versamenti relativi alla pensione di Mevia, dando perciò per superata la presunzione ex art. 1854 c.c. e art. 1298, comma 2, c.c.

Potendo le correntiste inizialmente operare solo congiuntamente, la sentenza di primo grado ravvisava la volontà di Mevia di attribuire a Caia un vantaggio patrimoniale per spirito di liberalità nell'apposizione della firma da parte della prima per tutti quei prelievi che non trovavano giustificazione nel rimborso di spese sostenute dalla figlia. L'animus donandi, ad avviso del Tribunale, connotava poi anche le operazioni in conto corrente eseguite successivamente, quando le correntiste potevano disporre disgiuntamente, avendo Mevia attraverso il vaglio degli estratti conto e delle comunicazioni riassuntive bancarie, “ratificato” i prelievi compiuti dalla figlia Caia, in quanto donazioni effettuate a titolo di mera e spontanea elargizione.

Il Tribunale aveva, quindi, accolto la domanda di Tizia, intendendo la stessa come azione di divisione ereditaria previa collazione dei prelievi di somme dal conto corrente cointestato e ravvisando in tali operazioni bancarie atti di liberalità, con i quali si era realizzato un arricchimento della donataria Caia, correlato ad un impoverimento della donante Mevia.

Caia proponeva appello affermando che giammai l'attrice Tizia aveva qualificato come “donazione” i prelievi dal conto corrente cointestato.

La Corte d'appello respingeva il gravame avanzato da Caia, affermando - quanto alla lamentata nullità della domanda per indeterminatezza delle richieste relative ai “prelievi anomali” ed alla ultrapetizione per aver il Tribunale incluso nella collazione somme non indicate dall'attrice come donazioni - che la domanda inerente ai prelievi sul conto corrente cointestato era chiara e chiedeva di imputare gli stessi alla massa. In particolare, la Corte d'appello evidenziava come operazioni anomale un bonifico disposto da Caia in favore del marito ed il trasferimento di una altra somma di denaro in favore del conto della stessa Caia, qualificandole come donazioni.

Ad avviso dei giudici di appello, avrebbe dovuto, dunque, ricomprendersi nella massa ereditaria la somma delle due specifiche operazioni, da unire al relictum, il che avrebbe giustificato una maggior pretesa di Tizia.

Caia ricorre in Cassazione.

La questione

In presenza di un conto corrente cointestato a due o più persone, alla morte di uno dei cointestatari quale quota del saldo attivo deve essere ricompresa nell'asse ereditario?

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione ribadisce il principio, più volte affermato e del tutto pacifico, secondo cui nel conto corrente bancario intestato a più persone i rapporti interni tra correntisti, anche aventi facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, sono regolati non dall'art. 1854 c.c., riguardante i rapporti con la banca, bensì dell'art. 1298, comma 2, c.c., in virtù del quale debito e credito solidale si dividono in quote uguali solo se non risulti diversamente; ne consegue che, ove si provi che il saldo attivo risulti discendere dal versamento di somme di pertinenza di uno solo dei correntisti, si deve escludere che l'altro possa, nel rapporto interno, avanzare diritti sul saldo medesimo.

Una volta superata la presunzione di proprietà comune delle somme giacenti sul conto, è altresì necessario verificare, al fine di stabilire quale quota del saldo attivo debba essere ricompresa nell'asse ereditario, se atti di disposizione del saldo attivo, operati con firma congiunta o disgiunta, abbiano dato luogo a donazioni (dirette o indirette) da parte del cointestatario realmente proprietario delle somme a favore dell'altro soggetto solo formalmente cointestatario.

In conclusione, in presenza di un conto corrente cointestato a due o più persone, alla morte di una di esse il saldo attivo deve essere ricompreso per intero nell'asse ereditario solo laddove risulti superata la presunzione di parità delle parti, cioè nel caso in cui sia dimostrata che le somme giacenti provenivano dal correntista defunto e che siano effettivamente rimaste di sua proprietà esclusiva.

Osservazioni

Nel conto corrente bancario cointestato, le parti di ciascuno si presumono uguali, se non risulta diversamente (art. 1298, comma 2, c.c.).

Trattasi di una presunzione legale iuris tantum che dà luogo all'inversione dell'onere probatorio, cioè l'onere di fornire la prova contraria è posto a carico della parte che deduce una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa (Cass. 26 ottobre 1981, n. 5584).

La presunzione in esame può essere superata attraverso presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti (Cass. 1° febbraio 2000, n. 1087; Cass. 5 dicembre 2008, n. 28839).

Tali principi operano anche nei rapporti fra coniugi, per cui è stata ritenuta provata l'esclusiva appartenenza al marito delle somme depositate su un conto corrente cointestato al medesimo e alla moglie sulla base dei seguenti fatti secondari: precedente intestazione al marito di un conto con depositi di importo superiore, brevissima durata del matrimonio, impossibilità di risparmi familiari apprezzabili (Cass. 1° febbraio 2000, n. 1087).

In senso conforme è stato deciso che ove il saldo attivo del conto corrente cointestato a due coniugi in regime di separazione dei beni risulti discendere dal versamento di somme di pertinenza di uno soltanto di essi, deve escludersi che l'altro coniuge possa avanzare diritti sul saldo medesimo (Trib. Verona 8 aprile 1994).

In sostanza, la mera cointestazione del conto corrente non incide sulla effettiva titolarità delle somme ivi depositate (salvo quanto preciseremo più avanti), nel senso che ne può sempre essere dimostrata da uno dei cointestatari la titolarità esclusiva.

Nel caso di morte di uno dei cointestatari, possono dunque verificarsi le seguenti situazioni:

a) gli eredi del cointestatario defunto dimostrano che le somme giacenti sul conto erano di proprietà esclusiva del de cuius, per cui l'intero saldo attivo deve essere ricompreso nell'asse ereditario;

b) gli eredi del cointestatario defunto non riescono a fornire la prova della titolarità esclusiva delle somme, per cui deve essere ricompresa nell'asse ereditario solo la quota di spettanza del cointestatario defunto;

c) il cointestatario vivente dimostri che la somma depositata in conto è di sua esclusiva proprietà; di conseguenza nulla deve essere ricompreso nell'asse ereditario del cointestatario defunto.

Al di là della titolarità delle somme, ovviamente la cointestazione incide sulla gestione pratica del conto corrente.

A tal proposito, la Cassazione ha precisato che il saldo di conto corrente bancario cointestato, con facoltà di disposizione disgiunta di ciascuno dei contitolari, non può costituire credito “contratto nell'interesse esclusivo” di alcuno dei contitolari del credito stesso, ai sensi dell'art. 1298, comma 1, c.c. Ciò contrasterebbe, infatti, con la funzione del contratto di conto corrente bancario, il quale è finalizzato all'espletamento del servizio di cassa in favore - dunque nell'interesse - di tutti i contitolari, i quali, infatti, possono liberamente disporre del saldo attivo (Cass. 21 gennaio 2004 n. 886; Cass. 22 luglio 2004 n. 13663).

Ne consegue che l'operazione di prelievo effettuata da uno dei cointestatari del contro corrente è pienamente legittima, non necessitando né del consenso, né dell'autorizzazione dell'altro cointestatario (Cass. 8 settembre 2006, n. 19305).

In altri termini, la cointestazione del conto, salva prova di diversa volontà delle parti, è di per sé atto unilaterale idoneo a trasferire la legittimazione ad operare sul conto e, quindi, rappresenta una forma di procura, ma non anche la titolarità del credito, in quanto il trasferimento della proprietà del contenuto di un conto corrente è una forma di cessione del credito (che il correntista ha verso la banca) e, quindi, presuppone un contratto tra cedente e cessionario (Cass. 3 settembre 2019, n. 21963).

Tuttavia, nei rapporti interni tra correntisti ciascun cointestatario, anche se avente facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, non può disporre in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito dell'altro, della somma depositata in misura eccedente la quota parte di sua spettanza, e ciò in relazione sia al saldo finale del conto, sia all'intero svolgimento del rapporto (Cass. 19 febbraio 2009, n. 4066; Cass. 2 dicembre 2013, n. 26991; Cass. 4 gennaio 2018, n. 77).

La Suprema Corte ha così affermato che è configurabile il reato di appropriazione indebita a carico del cointestatario di un conto corrente bancario il quale, pur se facoltizzato a compiere operazioni separatamente, disponga in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito degli altri cointestatari, della somma in deposito in misura eccedente la quota parte da considerarsi di sua pertinenza, in base al criterio stabilito dagli artt. 1298 e 1854 c.c., secondo cui le parti di ciascun concreditore solidale si presumono, fino a prova contraria, uguali (Cass. pen. 4 aprile 2006, n. 17239; Cass. pen. 28 settembre 1999, n. 4018).

Analogamente, gli ermellini hanno sostenuto che commette il reato di appropriazione indebita il cointestatario di conto corrente bancario, il quale realizzi l'intero credito e si dichiari proprietario esclusivo dello stesso; il mutamento del titolo, in base al quale il soggetto possiede la parte di danaro che non è sua, integra l'ipotesi della interversio possessionis, che costituisce il presupposto del reato di appropriazione indebita; infatti, se la solidarietà attiva consente la realizzazione dell'intero credito da parte di un solo creditore, questi tuttavia non acquista anche la proprietà delle quote altrui, che egli possiede e detiene in funzione del regolamento successivo del rapporto interno che, in base alla disciplina civilistica dell'obbligazione solidale attiva vista all'interno dei creditori, lo obbliga a non disporre per sé della parte della somma ad altri spettante (Cass. pen. 31 marzo 1982).

Si è in precedenza detto che la mera cointestazione del conto corrente non incide, di regola, sulla effettiva titolarità delle somme ivi depositate, nel senso che ne può sempre essere dimostrata da uno dei cointestatari la proprietà esclusiva.

Tuttavia, in ambito civilistico, si è ricondotta alla donazione indiretta la cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito, qualora detta somma, all'atto della cointestazione, risulti essere appartenuta ad uno solo dei cointestatari, rilevandosi che, in tal caso, con il mezzo del contratto di deposito bancario, si realizza l'arricchimento senza corrispettivo dell'altro cointestatario (Cass., sez. U, 27 luglio 2017, n. 18725; Cass. 10 aprile 1999, n. 3499; Cass. 22 settembre 2000, n. 12552).

La possibilità che costituisca donazione indiretta l'atto di cointestazione, con firma e disponibilità disgiunte, di una somma di denaro depositata presso un istituto di credito, è tuttavia legata all'apprezzamento dell'esistenza dell'animus donandi, consistente nell'accertamento che il proprietario del denaro non aveva, nel momento della cointestazione, altro scopo che quello della liberalità (Cass. 12 novembre 2008, n. 26983).

In atri termini, tale fattispecie, “integrerebbe non una donazione diretta delle somme di denaro ma una donazione indiretta laddove sia provato l'intento liberale (rectius: animus donandi) di colui che, consentendo la cointestazione del libretto su cui sono versate somme di cui è esclusivo titolare, ha, di conseguenza, messo a disposizione del beneficiario le somme di denaro (rectius : la metà delle somme di denaro) giacenti sul libretto stesso. La fattispecie, nella sua complessità, sarà composta da un contratto bancario di apertura di conto corrente (…) e da una o più dazioni di somme di denaro da parte di uno solo dei cointestatari, ovvero da versamenti effettuati da entrambi i cointestatari ma non in proporzione alle quote di diritto spettanti. La messa a disposizione e l'utilizzo di somme di denaro da parte di un cointestatario, in modo non corrispondente ai versamenti effettuati, non darà luogo ad obblighi di restituzione o integrazione, qualora sia provato l'animus donandi” (M. Krogh, Tracciabilità delle movimentazioni finanziarie nel sistema delle donazioni e degli atti ricognitivi di liberalità, Studio n. 107-2009/C del Consiglio Nazionale del Notariato).

Segnaliamo, infine, una interessante pronuncia di merito (Trib. Torino 5 aprile 2012), che tratta il caso di un conto corrente bancario per il quale un intestatario, poi defunto, aveva rilasciato procura speciale, anche per incassare in proprio, ad un suo conoscente. Alla morte del correntista il procuratore pretendeva l'incasso delle giacenze, allegando una pregressa donazione indiretta, realizzata con il rilascio di una procura in contemporanea ad una dichiarazione orale ove il rappresentato manifestava una volontà liberale a favore del procuratore. Gli eredi del defunto contestano la pretesa ed agiscono in giudizio per sentir condannare l'ex-mandatario a rimettere loro tutto ciò che aveva ricevuto a causa del mandato.

Il Tribunale respinge la domanda in quanto ritiene provata una donazione indiretta: la prova è ritenuta raggiunta in forza della procura (delega bancaria) e di testimonianze sull'intento liberale e remuneratorio che avrebbe accompagnato il rilascio della delega “a favore” del delegato (sull'argomento v. G. Baralis, Procura bancaria, inserimento di altro nominativo in conto corrente bancario e liberalità indiretta, Studio n. 437-2012/C del Consiglio Nazionale del Notariato).

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