Domanda di sanatoria: legittimazione attiva e limiti per la P. A. per opere abusive in proprietà esclusiva

Adriana Nicoletti
27 Ottobre 2022

Il T.A.R. del Lazio ha ribadito chi sia il soggetto legittimato a depositare la domanda di sanatoria per un'opera abusiva, che ricada integralmente nella proprietà esclusiva senza interferire sui beni condominiali o di altri partecipanti al condominio. Il giudice amministrativo, tuttavia, ha dato una non convincente interpretazione del concetto di tutto ciò che corrisponde alla parte esterna di un edificio, ma non è materialmente individuabile.
Massima

Il legislatore accorda al proprietario dell'immobile (o al titolare di un diritto di godimento sul bene che lo autorizzi a disporne con un intervento “costruttivo”) la legittimazione a chiedere il permesso di costruire, ivi compreso quello rilasciato “in via postuma”, non rilevando, a tale fine, il fatto che l'immobile interessato da opere per le quali venga richiesto il titolo edilizio sia ubicato all'interno di un edificio composto da più unità immobiliari, di proprietà esclusiva di diversi soggetti.

La disciplina dettata dal Testo unico dell'edilizia richiede che, ai fini del rilascio del titolo, l'Amministrazione comunale sia chiamata esclusivamente a verificare la conformità dell'intervento alle previsioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente (art. 12, comma 1), senza essere tenuta a valutare ulteriori profili, segnatamente quelli che attengono ai rapporti privatistici, né accertare l'esistenza di eventuali limitazioni negoziali apposte allo ius aedificandi.

Il caso

Due condomini impugnavano dinanzi al T.A.R., territorialmente competente, il provvedimento di rigetto emesso dal Comune ed avente ad oggetto la domanda di rilascio del permesso di costruire in sanatoria concernente le opere di copertura (in struttura lignea) delle terrazze dell'appartamento di proprietà esclusiva. Ad avviso dell'Ente, l'intervento, di indubbia entità e di incidenza significativa (anche in altezza), aveva modificato i prospetti dell'edificio, mutandone l'originaria architettura e violando il decoro architettonico. Proprio per tale motivo, i ricorrenti non erano legittimati a chiedere il rilascio del titolo edilizio per il quale, invece, la competenza sarebbe spettata al condominio stesso.

Nell'impugnativa, i condomini, da un lato, eccepivano che la struttura, immediatamente rimovibile, non contrastava con le norme stabilite nel piano regolatore di zona e, dall'altro, evidenziavano l'insussistenza di un pregiudizio al decoro architettonico del fabbricato, trattandosi di una tettoia gradevole alla vista ed utile al godimento del proprio bene. Gli attori, infine, rivendicavano la propria legittimazione alla presentazione della domanda in sanatoria in quanto l'intervento era stato effettuato sulla loro proprietà esclusiva e senza il coinvolgimento di parti comuni dell'edificio. In ogni caso, non spettava al Comune interessarsi di aspetti civilistici, che avrebbero dovuto costituire oggetto di un giudizio dinanzi al giudice ordinario, dal momento che l'attività dell'Amministrazione deve limitarsi a valutare l'osservanza dei limiti legali dell'attività edificatoria.

Il Comune contestava gli assunti di parte avversa, ribadendo che la struttura aveva alterato la sagoma del fabbricato e che, a fronte delle contestazioni avanzate dal condominio solo tale soggetto era legittimato a proporre la domanda in sanatoria.

Il ricorso è stato ritenuto fondato, con annullamento del provvedimento impugnato.

La questione

Due le questioni oggetto della controversia: da un lato, a chi spetta il diritto di presentare la domanda in sanatoria di opere eseguite in una porzione esclusiva nel caso in cui le stesse abbiano una visibilità all'esterno, e, dall'altro, se il Comune sia legittimato ad occuparsi anche del profilo privatistico della lite. Più precisamente - come nel caso in esame - se l'Amministrazione possa pronunciarsi in merito ad una eventuale violazione del decoro architettonico dello stabile.

Le soluzioni giuridiche

La prima questione è stata risolta con un rinvio al d.P.R. n. 380/2001 che, con l'art. 11, ha stabilito che il permesso di costruire viene rilasciato al proprietario dell'immobile, mentre l'art. 36 contempla per il responsabile dell'abuso o l'attuale proprietario la possibilità di ottenere il permesso in sanatoria. Ai fini della legittimazione a presentare la domanda, questo esclude, pertanto, qualsivoglia rilevanza della circostanza che l'intervento, asseritamente abusivo, sia stato effettuato in una proprietà esclusiva inserita in un contesto condominiale.

Parimenti illegittima - ad avviso del giudice amministrativo - la decisione del Comune di rifiutare la sanatoria motivando il diniego sulla considerazione che l'intervento aveva violato il decoro architettonico della palazzina, con conseguente modifica della sagoma originaria. I giudici, infatti, hanno evidenziato che l'Ente territoriale, con un'operazione ermeneutica del tutto infondata in punto di diritto, aveva tentato di attribuire una consistenza materiale a concetti astratti, quali quelli di sagoma, decoro architettonico e prospetti. Questi, infatti, sarebbero stati erroneamente configurati come “beni” di appartenenza condominiale, mentre la proprietà indivisa dei condomini attiene a cose che hanno una loro fisicità e tangibilità, quali sono le parti comuni elencate nell'art. 1117 c.c.

Osservazioni

La decisione in commento ha affrontato in modo convincente la problematica posta nel ricorso, anche se per quanto concerne l'eventuale violazione del decoro architettonico dell'edificio e la modifica del suo aspetto estetico, come conseguenza di interventi operati nelle proprietà private, si impone un momento di riflessione.

Il d.P.R. n. 380/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia), nelle sue innumerevoli stesure ed aggiornamenti, determina i principi fondamentali e generali nonché le disposizioni in materia di tutela e di disciplina dell'attività edilizia, lasciando impregiudicate le disposizioni in materia di tutela dei beni culturali ed ambientali di cui al d.lgs. n. 42/2004, abrogativo del precedente d.lgs. n. 490/1999. Restano ugualmente salve le concorrenti normative edilizie di carattere regionale purché nel rispetto dei principi fondamentali dettati dal testo unico sull'edilizia, tenendo conto che le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la propria potestà legislativa esclusiva, nel rispetto e nei limiti degli statuti di autonomia e delle relative norme di attuazione (artt. 1 e 2 Testo unico).

Ciò premesso, va osservato che, per effetto dell'art. 11 del d.P.R. n. 380/2001, il permesso di costruire viene rilasciato al proprietario dell'immobile o a chi abbia titolo per richiederlo; la domanda deve essere sottoscritta da uno dei soggetti legittimati come ivi previsto, ed il provvedimento finale viene notificato dall'ufficio competente direttamente all'interessato (art. 20); la responsabilità per la non corrispondenza delle opere, come indicate nel permesso di costruire, alle norme vigenti ricade, tra gli altri, sul titolare del permesso (art. 29); l'attuale proprietario dell'immobile o il responsabile dell'abuso possono ottenere il permesso in sanatoria quando l'opera sia priva del permesso di costruire oppure risulti in difformità dallo stesso (art. 36).

È stato rilevato (T.A.R. Puglia-Lecce, sez. III, 14 ottobre 2019, n. 1577) che l'art. 36 (accertamento della conformità), avendo riservato la proposizione dell'istanza di sanatoria non solo al proprietario dell'immobile nel quale è stato realizzato l'intervento, ma anche al “responsabile dell'abuso” (da intendersi chi ha eseguito materialmente l'intervento), ha ampliato il campo della legittimazione a chiedere la sanatoria rispetto al dettato dell'art. 11, certamente più circoscritto rispetto al soggetto attivo. Le norme richiamate, pertanto, non possono che escludere il condominio dalla legittimazione a presentare una domanda in sanatoria per un intervento che non sia stato dal medesimo effettuato e che non insista su una proprietà condominiale, quanto piuttosto integralmente su di una proprietà esclusiva.

Definito questo aspetto della controversia, il giudice amministrativo ha accolto il ricorso anche per il secondo motivo di impugnazione, ovvero quello che si riferiva alla parte del provvedimento dell'Ente comunale che aveva ritenuto la struttura modificativa della sagoma ed in violazione del decoro architettonico. Il giudice amministrativo ha ritenuto tale decisione non di competenza del Comune, il quale è chiamato esclusivamente ad indagare la legittimità del manufatto sotto il profilo edilizio-urbanistico, non potendo lo stesso sconfinare nell'ambito privatistico della questione che è di competenza del giudice ordinario. In buona sostanza, è solo la magistratura ordinaria che può valutare se il manufatto sia in contrasto con le disposizioni che disciplinano la materia condominiale e se vi sia stata una violazione delle norme regolamentari che richiedano, come presupposto per la realizzazione dell'opera, un'autorizzazione esplicita dell'assemblea del condominio. Questo per quanto concerne la circostanza che l'intervento interessi esclusivamente una parte di proprietà privata.

La giurisprudenza amministrativa, tuttavia, ha precisato che, nel caso in cui vi sia stato un conclamato dissenso dei condomini/comproprietari alla realizzazione dell'opera (che può essere manifestato anche per fatti concludenti), perché questa potrebbe incidere sui rispettivi diritti, la Pubblica Amministrazione potrebbe negare il rilascio del provvedimento in sanatoria (T.A.R. Sicilia 14 giugno 2016, n. 1477), essendo legittimo che l'Amministrazione possa richiedere la manifestazione del consenso di tali soggetti che vantino diritti sull'area interessata dall'intervento edilizio (Cons. Stato, sez. V, 21 ottobre 2003, n. 6529).

Va, altresì, considerato che il condomino, secondo le disposizioni del codice civile (artt. 1102, 1105 e 1122 c.c.) ha la facoltà di eseguire opere che, pur incidendo su parti comuni dell'edificio, siano strettamente pertinenti alla sua unità immobiliare sotto il profilo funzionale e spaziale. Da ciò consegue che il medesimo va considerato come soggetto avente titolo per ottenere a nome proprio la relativa autorizzazione senza la necessità di conseguire la previa approvazione dell'assemblea condominiale (v., per tutte, T.A.R. Piemonte, sez. II, 2 luglio 2021, n. 686; T.A.R. Campania-Napoli, sez. II, 14 marzo 2018, n. 1590).

Nel caso in esame, peraltro, dalla motivazione della sentenza non risulta che tale aspetto sia stato preso in considerazione dal giudicante, trattandosi di intervento che aveva interessato esclusivamente la terrazza di proprietà dei ricorrenti, malgrado le opposte posizioni processuali manifestate delle parti. I ricorrenti, infatti, avevano affermato che il manufatto era stato realizzato da anni senza alcuna contestazione da parte dei condomini, i quali avrebbero accordato un'autorizzazione per facta concludentia, Il condominio, invece, sia uti singuli sia a mezzo dell'amministratore, sosteneva il contrario.

Desta, invece, qualche perplessità la sentenza nel punto in cui il giudicante ha censurato il provvedimento dell'Ente comunale che avrebbe tentato di attribuire una consistenza materiale a concetti astratti (quali quelli di sagoma, decoro architettonico e prospetti), configurandoli alla stregua di “beni” di appartenenza condominiale (che sarebbero stati violati dalle opere abusive), mentre la proprietà indivisa dei condomini attiene a cose che hanno una loro fisicità e tangibilità, quali sono le parti comuni elencate nell'art. 1117 c.c.

Tale affermazione sembra porsi in netto contrasto con il consolidato orientamento della Cassazione che ha conferito al decoro architettonico anche una valenza economica passibile di pregiudizio. È stato, infatti, affermato (Cass. civ., sez. II, 4 aprile 2008, n. 8830) che il decoro architettonico, quando possa individuarsi nel fabbricato una linea armonica, sia pure estremamente semplice, che ne caratterizzi la fisionomia, è un bene comune, ai sensi dell'art. 1117 c.c., il cui mantenimento è tutelato a prescindere dalla validità estetica assoluta delle modifiche che si intendono apportare. Inoltre, all'alterazione appariscente, di non trascurabile entità e tale da provocare un pregiudizio estetico dell'insieme può conseguire un apprezzabile valutazione economica del danno dalla stessa provocato (Cass. civ., sez. II, 27 ottobre 2003, n. 16098). Non solo ma il decoro architettonico, costituendo una qualità del fabbricato, una volta violato comporta un deprezzamento (inteso come diminuzione del valore di scambio, non del valore d'uso) del fabbricato e delle unità immobiliari: deprezzamento insito nell'accertato danno estetico valutabile nei termini di cui sopra.

Per concludere, quindi, il decoro architettonico e l'aspetto estetico riferito al condominio possono essere considerati beni comuni anche se immateriali.

Guida all'approfondimento

Vanni, Abuso edilizio e obblighi condominiali alla luce del nuovo Superbonus 110, in Diritto.it, 4 marzo 2022;

Acquaviva, Immobile in comproprietà e istanze di sanatoria, in Condominioweb.com, 29 giugno 2021;

Nicoletti, Per ottenere il permesso in sanatoria occorre sempre la doppia conformità, in Condominioelocazione, 4 settembre 2020;

Balsamo, Gli abusi edilizi in condominio, in Condominioweb.com., 6 novembre 2018.

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