Piccolo spaccio: la presunzione di redditività dell'attività delittuosa è incostituzionale?

07 Novembre 2022

I fatti di “piccolo spaccio” si caratterizzano per un'offensività contenuta, in considerazione del modesto quantitativo di sostanze stupefacenti oggetto di cessione.

Ammissione al gratuito patrocinio: si presume che lo spacciatore sia “abbiente”. La pronuncia in commento trae origine dalla questione di legittimità costituzionale dell'art. 76, comma 4-bis, d.P.R. n. 115/2002, nella parte in cui ricomprende anche i soggetti condannati con sentenza definitiva per i reati di cui all'art. 73 TU stupefacenti (“Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope”), qualora ricorrano le ipotesi aggravate previste dall'art. 80, comma 1, lettere a) o g), del medesimo testo unico, tra quelli per i quali si presume che abbiano un reddito superiore ai limiti previsti per l'accesso al patrocinio a spese dello Stato.

Le censure del giudice a quo. Secondo il rimettente, la norma censurata violerebbe, innanzitutto, l'art. 3 Cost., dal momento che la sua ratio – che vuole evitare che soggetti in possesso di ingenti ricchezze, acquisite con le proprie attività delittuose, possano fruire del beneficio dell'accesso al patrocinio a spese dello Stato, riservato ai non abbienti dall'art. 24, comma 3, Cost. – non sussisterebbe almeno rispetto ad alcune fattispecie aggravate del reato previsto e punito dall'art. 73 TU stupefacenti, comprese quelle per le quali era stato condannato l'imputato nel processo a quo, ossia quella relativa a fatti di “lieve entità”, aggravata dalla cessione di tali sostanze a soggetti minori di età in prossimità delle scuole.

In particolare, il giudice rimettente sottolinea che l'integrazione di tali circostanze, se è vero che incide indubbiamente sul disvalore del fatto, tuttavia, non determina una maggiore redditività dell'attività delittuosa, con conseguente incoerenza della ricomprensione di tali fattispecie aggravate nell'ambito di quelle che fanno scattare la presunzione del possesso di un reddito superiore ai limiti contemplati per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Inoltre, l'onere di fornire una prova contraria a fronte di tale presunzione renderebbe più gravoso l'accesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato all'imputato “non abbiente” che sia stato, in precedenza, condannato in via definitiva per reati di cui all'art. 73 TU stupefacenti rispetto a chi sia stato condannato, in via definitiva, per reati diversi, con conseguente violazione dell'art. 24, commi 2 e 3, Cost.

Gratuito patrocinio: il quadro normativo. La pronuncia in commento premette una sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento. L'art. 76, comma 1, d.P.R. n. 115/2002 individua una soglia di reddito il cui mancato superamento consente di ottenere l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato in attuazione del disposto costituzionale che vuole che siano assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione (art. 24, comma 3, Cost.).

Tale condizione reddituale è, peraltro, l'unica richiesta per accedere al beneficio all'indagato e all'imputato nel processo penale, a differenza di quanto avviene per le parti di processi di altra natura, per i quali è necessario anche un previo vaglio in ordine alla non manifesta infondatezza della difesa. Questa diversa regolamentazione si giustifica perché il processo penale è caratterizzato da innegabili specificità quali, da un lato, l'essere frutto di un'azione dell'organo pubblico che viene “subita” dal soggetto che aspira al beneficio in parola e, dall'altro, avere, come posta in gioco, il bene supremo della libertà personale (cfr., ad es., C. cost., n. 47/2020).

L'istanza di ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato deve essere corredata da una dichiarazione sostitutiva di certificazione da parte dell'interessato attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l'ammissione, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini, con soglia fissata, da ultimo, in un reddito annuo ai fini IRPEF di euro 11.746,68. Tale dichiarazione di parte è sufficiente per ottenere il beneficio, salva la richiesta di ulteriore documentazione proveniente dall'autorità giudiziaria, nonché i diversi esiti risultanti dalle verifiche disposte dalla stessa a mezzo della Guardia di finanza.

In ogni caso, anche con successivo decreto motivato, dopo l'ammissione, il giudice può revocare la stessa ove accerti, d'ufficio o su richiesta dell'ufficio finanziario competente, la mancanza, originaria o sopravvenuta, delle condizioni di reddito per accedere al beneficio.

Come si calcola la soglia di reddito? Ai fini dell'integrazione della soglia di reddito per ottenere l'ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, assumono rilevanza anche redditi che non sono stati assoggettati ad imposta, sia perché non rientranti nella base imponibile, sia perché esenti, sia perché di fatto non hanno subìto alcuna imposizione (C. cost., n. 144/1992). Pertanto, devono essere considerati tutti i redditi dei richiedenti, compresi quelli derivanti da attività illecite che non siano stati sottoposti a tassazione (cfr., ex multis, Cass. pen., n. 53387/2016), da accertarsi con tutti i mezzi di prova, comprese presunzioni, purché gravi, precise e concordanti, emergenti, ad esempio, dal tenore di vita del contribuente (Cass. pen., n. 45159/2005).

In questo contesto, è intervenuto il legislatore con la norma censurata ( comma 4-bis nell'art. 76 d.P.R. n. 115/2002, introdotto dall'art. 12-ter d.l. n. 92/2008), stabilendo una presunzione di superamento dei limiti di reddito per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato a fronte della condanna del ricorrente in via definitiva per alcuni reati, sul duplice presupposto della particolare “redditività” degli stessi e della maggiore possibilità di occultamento dei profitti da parte dei componenti, specie di vertice, delle associazioni criminali. A seguito della parziale declaratoria di incostituzionalità da parte della sentenza n. 139/2010, la presunzione, da assoluta che era, è divenuta relativa.

La presunzione di redditività per il “piccolo spaccio” è irragionevole. La disposizione censurata ha operato, nella sostanza, il bilanciamento di due esigenze contrapposte: per un verso, garantire la difesa ai non abbienti, e, per un altro, evitare che possa giovarsi del beneficio colui il quale, sebbene formalmente nullatenente, di fatto possieda adeguate risorse finanziarie, a volte anche ingenti, derivanti dal compimento di attività criminose.

Nella fattispecie concreta demandata alla decisione del giudice a quo, l'imputato era stato condannato in via definitiva per due fatti di reato di cessione di sostanze stupefacenti “di lieve entità”, aggravati ai sensi dell'art. 80 TU stupefacenti. Ebbene, secondo il giudice delle leggi, la disciplina impugnata si pone in contrasto, per incoerenza rispetto allo scopo perseguito, con l'art. 3 Cost., nella parte in cui ricomprende nel proprio ambito di applicazione anche fatti “di lieve entità”.

Ed infatti, dal momento che i fatti di “piccolo spaccio” si caratterizzano per un'offensività contenuta, in considerazione del modesto quantitativo di sostanze stupefacenti oggetto di cessione, non è ragionevole presumere che la “redditività” dell'attività delittuosa sia stata tale da determinare il superamento da parte del reo dei limiti di reddito contemplati per ottenere l'ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato. Né a conclusioni diverse si può addivenire sulla base delle circostanze aggravanti elencate dall'art. 80, comma 1, TU stupefacenti, atteso che queste si connotano per la spiccata riprovevolezza della condotta del soggetto agente, ma non sono automaticamente suscettibili di incidere sul profitto tratto dall'attività delittuosa. È anzi vero il contrario: si tratta spesso di reati commessi dalla manovalanza utilizzata dalla criminalità organizzata e proveniente dalle fasce marginali dei “non abbienti”, ossia di quelli che sono sprovvisti dei mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione (art. 24, comma 3, Cost.).

La disposizione censurata, pertanto, vìola l'art. 3 Cost. sotto il profilo dell'intrinseca irrazionalità.

Presunzione di redditività per i fatti di lieve entità: violato il diritto dei non abbienti al gratuito patrocinio. Per motivazioni analoghe, la questione di legittimità costituzionale è fondata anche in riferimento all'art. 24, commi 2 e 3, Cost. È costante nella giurisprudenza costituzionale l'affermazione del principio secondo il quale il diritto dei non abbienti al patrocinio a spese dello Stato è inviolabile nel suo nucleo intangibile, quale strumento fondamentale per assicurare l'effettività del diritto di azione e di difesa in giudizio (C. cost. n. 10/2022, C. cost. n. 157/2021 e C. cost. n. 80/2020).

La presunzione posta dalla disciplina impugnata viola tale fondamentale diritto, rendendo più gravoso l'onere probatorio posto a carico del richiedente per essere ammesso (o per conservare) il beneficio, anche per i soggetti come quelli condannati per il reato di cessione di sostanze stupefacenti “di lieve entità” (o condotta equiparata), quand'anche aggravato dal citato art. 80, con conseguente violazione dell'art. 24, commi 2 e 3, Cost.

*Fonte: DirittoeGiustizia

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