Nota di deposito al T.A.R. del regolamento preventivo di giurisdizioneInquadramentoNotificato il regolamento preventivo di giurisdizione, il ricorrente deve depositare, nel giudizio a quo, copia del ricorso, con la prova delle avvenute notificazioni nei confronti delle altre parti del giudizio, ai sensi dell'art. 367, comma 1, c.p.c., che è richiamato dall'art. 10, comma 1 c.p.a. Tale adempimento è funzionale alla eventuale sospensione del giudizio in attesa della pronuncia delle sezioni unite. Non sussiste, peraltro, più l'obbligo di sospendere il giudizio per effetto della sola presentazione del ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, essendo invece rimessa al giudice a quo la decisione sulla sospensione, e ciò al fine di evitare un uso distorto e dilatorio del regolamento stesso; la sospensione del processo dipende quindi da una valutazione del giudice di merito circa la non manifesta inammissibilità o la non manifesta infondatezza dell'istanza, da compiersi a seguito di una previa sommaria delibazione della domanda e della documentazione versata in atti. FormulaTribunale Amministrativo Regionale sede [ ... ] Nota di deposito del ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione In relazione al ricorso R.G. n. ... proposto da ... L'Avv. ..., nell'interesse del Sig. ..., deposita copia del ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione per regolamento di giurisdizione, con la prova delle eseguite notificazioni alle altre parti, ai sensi e per gli effetti dell'art. 367, comma 1, c.p.c. Chiede, pertanto, che codesto Ecc.mo Tribunale voglia disporre la sospensione del processo. Luogo e data ... Firma Avv. ... [1] DEPOSITO INFORMATICO Ai sensi e per gli effetti dell'art. 136, comma 2, c.p.a., il presente atto, e i documenti ad esso allegati, conformi agli originali cartacei, sono depositati con modalità telematiche [2]. 1. Per i ricorsi depositati in giudizio dopo la data del 1° gennaio 2017 e, quindi, soggetti alla normativa sul processo amministrativo telematico (PAT), l'atto di parte sottoscritto dal difensore, deve essere redatto in forma di PDF nativo digitale sottoscritto con firma PAdES e depositata in giudizio con le modalità telematiche previste dal d.P.C.S. n. 28 luglio 2021 (attraverso il Modulo deposito Atto). 2. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-ter, dell'allegato 2 al c.p.a., introdotto dall'art. 7, del d.l. n. 168/2016, il Processo amministrativo telematico si applica ai giudizi introdotti con i ricorsi depositati, in primo o in secondo grado, a far data dal 1° gennaio 2017. Ai ricorsi depositati anteriormente a tale data, continuano ad applicarsi, fino all'esaurimento del grado di giudizio nel quale sono pendenti alla data stessa e comunque non oltre il 1° gennaio 2018, le norme previgenti. Ai fini del deposito telematico, il ricorrente dovrà utilizzare gli appositi moduli presenti sul sito della Giustizia Amministrativa. È stato definitivamente abrogato l'obbligo di depositare una copia cartacea conforme all'originale telematico del ricorso e degli scritti difensivi (cfr. art. 4 d.l. n. 28/2020). CommentoLa giurisdizione rappresenta il presupposto processuale di esistenza del processo e, come tale, deve essere accertato per primo dal giudice. La giurisdizione amministrativa presuppone la sussistenza dell'interesse legittimo (e del diritto soggettivo, in caso di giurisdizione esclusiva) in capo a chi introduce il giudizio. Sotto questo profilo non sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo se si verte in materia di diritti soggettivi e la p.a. non agisce come autorità, secondo la visione della Corte cost., n. 204/2004). In tali casi le relative controversie restano devolute al giudice ordinario. Sul versante interno la giurisdizione amministrativa si ripartisce in giurisdizione generale di legittimità, in giurisdizione esclusiva e in giurisdizione estesa al merito. Il sistema giurisdizionale, quindi, può definirsi dualista, perché il legislatore ha creato il riparto di giurisdizione per fornire un quadro di tutela più ampio nei confronti del cittadino e non per renderlo più difficoltoso o complicato (Corte cost., n. 77/2007, in tema di translatio iudicii). Un criterio di riparto sempre fondato sulla posizione giuridica sostanziale in concreto sussistente (criterio del petitum sostanziale o della causa petendi), ma che concede sempre più spazi a quello fondato sul potere autoritativo della P.A., accolto in relazione alle molteplici e rilevantissime ipotesi di giurisdizione esclusiva. L'ordinamento, tuttavia, offre un sistema giurisdizionale di tutela del cittadino nei confronti della p.a. non sempre facile da decifrare. È, tuttavia, in via di cambiamento anche il concetto stesso di giurisdizione. Nella visione tradizionale della dottrina, la giurisdizione, in quanto espressione di attività giurisdizionale, è manifestazione di sovranità e, quindi, appartiene allo Stato, del quale costituisce l'unica attività coessenziale all'ordinamento giuridico (Caianiello, Diritto processuale amministrativo, 2003, 80). È applicazione della norma al caso concreto da parte di un soggetto terzo ed imparziale (Mandrioli, Diritto processuale civile, I, 21); rappresenta la parte di potere affidata ad un giudice nei rapporti con un giudice di ordine diverso. La visione tradizionale della giurisdizione è oggetto di profonda rivisitazione ad opera della Corte di Cassazione la quale ha chiarito che l'evoluzione del quadro legislativo, ordinario e costituzionale, mostra l'affievolimento della centralità del principio di giurisdizione intesa come espressione della sovranità statale, accompagnata dalla simmetrica emersione della esigenza di sburocratizzare la giustizia, non più espressione esclusiva del potere statale, ma servizio per la collettività, che abbia come parametro di riferimento l'efficienza delle soluzioni e la tempestività del prodotto-sentenza, in un mutato contesto globale in cui anche la giustizia deve adeguarsi alle regole della concorrenza (si parla infatti di concorrenza degli ordinamenti giuridici). Le numerose questioni di giurisdizione che tradizionalmente vengono trattate dalla giurisprudenza dipendono dalla contestata figura dell'interesse legittimo. Si tratta di una posizione giuridica soggettiva collegata ad un bene della vita la cui protezione (interesse legittimo oppositivo) o il cui ottenimento (interesse legittimo pretensivo) dipendono da un provvedimento amministrativo legittimo. È una figura soggettiva, quindi, che, pur autonoma, perché preesiste al processo, dipende dal provvedimento amministrativo. In via speculare, può anche dirsi che come la posizione giuridica del privato dipenda dal provvedimento amministrativo, così l'autorità pubblica, per certi versi, dipenda dal privato, che può influenzare, con gli strumenti di tutela riconosciuti dal c.p.a., l'esercizio concreto del potere della P.A. La circostanza che l'accertamento della giurisdizione cumula in sé una valutazione allo stesso tempo tipicamente processuale e sostanziale spiega il perché nel percorso di progressiva definizione dell'interesse legittimo la Corte di Cassazione, giudice regolatore dei conflitti di giurisdizione, abbia avuto un ruolo fondamentale. La giurisprudenza ha evidenziato che l'interesse legittimo pretensivo, sebbene considerato come situazione strumentale secondo la tipica natura dell'interesse legittimo, lo è sempre nel senso che si tratta di situazione giuridica di vantaggio per il privato nella sua proiezione rivolta alla consecuzione del provvedimento e non certo in quella di situazione che sia indifferente a tale consecuzione ed abbia come oggetto e contenuto il provvedere della P.A. in modo legittimo e non il provvedere in modo positivo. La crescita esponenziale delle ipotesi di giurisdizione esclusiva, rende, tuttavia, attuale il dibattito su quale sia la forma di giurisdizione prevalente. Nel disegno del legislatore, e per tradizione storica, la giurisdizione generale di legittimità è il modello principale di giurisdizione, cui si affiancano quella esclusiva e quella di merito. Non può, tuttavia, sfuggire, semplicemente osservando l'art. 133 c.p.a., che le ipotesi di giurisdizione esclusiva, oltre ad essere numerosissime e ad ampio spettro, riguardano le ipotesi più rilevanti delle controversie che interessano il diritto amministrativo. L'art. 7, comma 1, c.p.a. testimonia come, in realtà, oggi il tradizionale criterio di riparto fondato sulla distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi vada riletto ed integrato alla luce degli insegnamenti della giurisprudenza costituzionale cristallizzati nelle storiche sentenze Corte cost., n. 204/2004 e Corte cost., n. 121/2006, ed in particolare alla luce del principio – ivi affermato – della necessaria afferenza al potere autoritativo del contenzioso che il legislatore può legittimamente attribuire alla giurisdizione del g.a. Il riparto di giurisdizione è stato, comunque, creato per garantire una tutela maggiore e più ampia e non deve, quindi, mai andare a danno del privato (Corte cost., n. 77/2007). Su questa scia, come è noto, è stato introdotto il principio della translatio iudicii, che trova espressa disciplina nell'art. 11 c.p.a., secondo cui quando la giurisdizione è declinata dal giudice amministrativo in favore di altro giudice nazionale o viceversa, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda se il processo è riproposto innanzi al giudice indicato nella pronuncia che declina la giurisdizione, entro il termine perentorio di tre mesi dal suo passaggio in giudicato. Tale principio, quindi, avvicina le giurisdizioni, impedendo che l'errore della parte nell'individuazione del giudice avente giurisdizione possa pregiudicare la sua posizione processuale. Si veda sul punto l'art. 11 c.p.a. Nella medesima prospettiva si è posto il principio dell'overruling processuale come temperamento della rigidità delle questioni di giurisdizione, secondo cui il cambio di orientamento della giurisprudenza su una questione di giurisdizione, in determinati casi, non può pregiudicare la domanda introdotto prima di tale momento. La Corte di Cassazione, sez. un., con sentenza Cass. S.U., n. 1514/2011, ha precisato che il fenomeno del c.d. overruling ricorre quando si registra una svolta inopinata e repentina rispetto ad un precedente diritto vivente consolidato che si risolve in una compromissione del diritto di azione e di difesa di una parte nei cui confronti potrebbe essere dichiarata inammissibile una domanda per difetto di giurisdizione ritualmente instaurato al momento della proposizione del ricorso, alla luce dell'orientamento giurisprudenziale allora vigente. Il fenomeno dell'overruling processuale, quindi, impedisce che il cambio di giurisprudenza possa incidere sulla giurisdizione: il nuovo orientamento giurisprudenziale produce effetti solo ex nunc. Perché ciò possa avvenire la giurisprudenza richiedere la contestuale ricorrenza dei seguenti elementi: l'orientamento giurisprudenziale deve avere ad oggetto una norma processuale, deve rappresentare un mutamento imprevedibile e deve determinare un effetto preclusivo del diritto di azione o difesa. In applicazione, quindi, del valore del giusto processo, deve essere esclusa l'operatività della preclusione derivante dall'overruling nei confronti della parte che abbia confidato nella consolidata precedente interpretazione della regola stessa. Per essa, quindi, la tempestività dell'atto e la sussistenza della giurisdizione deve essere valutata con riferimento alla giurisprudenza vigente al momento della proposizione dell'atto stesso. Su questa scia ci si è interrogati se sia possibile derogare alla giurisdizione per motivi di connessione. Attenendosi al dato letterale della norma, la soluzione non può che essere negativa, in quanto il Titolo I, Capo I, Sezione IV del codice di procedura civile disciplina, agli artt. 31-36, le modificazioni della competenza per ragione di connessione e non è prevista analoga norma in relazione alla giurisdizione che è disciplinata alla sezione successiva. Da qui si può ritenere che le modifiche della giurisdizione per ragioni di connessione non siano ammissibili. Soluzione che, peraltro, potrebbe risultare coerente con la nozione di giurisdizione che rappresenta un presupposto di esistenza del processo, che non può essere mai derogato, attenendo allo stesso potere del giudice di emettere la sentenza. L'attenuazione della rigidità delle questioni di giurisdizione, unitamente all'emersione dei principi di concentrazione e di economia del processo, come corollari del principio di effettività, hanno indotto la Corte di Cassazione, in alcuni casi, a derogare alla giurisdizione per motivi di connessione. Il criterio utilizzato per individuare il giudice avente giurisdizione è quello della prevalenza. In due occasioni le sezioni unite della Corte di Cassazione (Cass. S.U., n. 14805/2009 e Cass. S.U., n. 24824/2015) hanno evidenziato che in ipotesi di promiscua ricorrenza in un unico rapporto di profili appartenenti alla giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo, bisogna adottare il criterio della prevalenza e attribuire la giurisdizione al giudice che, nel caso specifico, ha la giurisdizione sulla parte prevalente delle controversie. Ne deriva che la giurisdizione, seguendo tale criterio, viene, almeno in parte, riconosciuta al giudice che per legge è privo di giurisdizione. Cass. S.U., n. 4090/2017 ha evidenziato che la trattazione dinanzi a giudici diversi, in contrasto con il principio di economia processuale, di una medesima vicenda "esistenziale", sia pure connotata da aspetti in parte dissimili, incide negativamente sulla "giustizia" sostanziale della decisione (che può essere meglio assicurata veicolando nello stesso processo tutti i diversi aspetti e le possibili ricadute della stessa vicenda, evitando di fornire al giudice la conoscenza parziale di una realtà artificiosamente frammentata), sulla durata ragionevole dei processi (in relazione alla possibile duplicazione di attività istruttoria e decisionale) nonché, infine, sulla stabilità dei rapporti (in relazione al rischio di giudicati contrastanti). Si fa, invece, portavoce dell'orientamento contrario il T.A.R. Campania (Salerno), che, con ordinanza n. 528 del 9 marzo 2016, ha rimesso gli atti alla Corte di Cassazione, sollevando conflitto di giurisdizione, ritenendo che la tendenza giurisprudenziale volta a legittimare il principio di derogabilità della giurisdizione debba lasciare il passo al tradizionale principio dell'inderogabilità della giurisdizione, evidenziato da Cass. S.U., n. 5914/2008. In particolare, laddove siano in gioco le competenze di ordini giurisdizionali diversi, solo al legislatore compete, in via di principio, di valutare discrezionalmente la necessità e le modalità con cui realizzare la concentrazione della tutela presso il giudice amministrativo; inoltre, la generalizzazione della regola dello spostamento della giurisdizione per ragioni di connessione potrebbe portare ad una implausibile deminutio della tutela giurisdizionale, sottraendo alle parti private l'esperibilità del ricorso per cassazione per far valere vizi di legittimità, non essendo impugnabili per tali motivi le sentenze del Consiglio di Stato. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha dichiarato inammissibile il conflitto di giurisdizione. Più di recente, però, il Cons. St., ad. pl., con sentenza n. 2/2017, ha evidenziato che, salvo deroghe espresse, nell'ordinamento processuale vige il principio generale dell'inderogabilità della giurisdizione per ragioni di connessione. In base a tale principio, l'Adunanza Plenaria ha dichiarato il difetto di giurisdizione sulla domanda che la parte privata danneggiata dall'impossibilità di ottenere l'esecuzione in forma specifica del giudicato propone nei confronti dell'altra parte privata. Le Sezioni Unite possono risolvere sia conflitti reali di giurisdizione sia conflitti virtuali. I primi si verificano quando vi siano più pronunce giurisdizionali contrastanti sulla spettanza della giurisdizione, i secondi quando si configura la possibilità che un conflitto reale possa sorgere. Il regolamento preventivo di giurisdizione può essere visto sia come negatoria iurisdictionis se sollevato dalla parte resistente che punta ad una declaratoria di inammissibilità del ricorso, sia come strumento per dissipare le incertezze sulla sussistenza della giurisdizione amministrativa, se sollevato dalla parte ricorrente. Va, peraltro, evidenziato che in seguito alla sentenza Cass. S.U., n. 21260/2016, il regolamento preventivo di giurisdizione diventa lo strumento privilegiato per il ricorrente che vuole accertarsi della bontà della propria scelta, non potendo contestarla in appello, pena l'inammissibilità della domanda. Lo scrutinio della Corte di Cassazione non può che essere limitato ai soli profili necessari per dirimere la questione di giurisdizione, potendo tale sindacato avere una portata dirompente perché interviene in una fase in cui il giudice amministrativo ancora non si è pronunciato nel merito e in cui le posizioni delle parti sono ancora tutte da accertare. In questo senso, l'art. 386 c.p.c. prevede che la decisione sulla giurisdizione è determinata dall'oggetto della domanda e, quando prosegue il giudizio, non pregiudica la questione sulla pertinenza del diritto e sulla proponibilità della domanda”. Va, tuttavia, rilevato che un intervento della Corte di Cassazione limitato solo ai profili processuali della giurisdizione non è in realtà del tutto possibile, perché l'accertamento della giurisdizione, fondandosi sul criterio del petitum sostanziale presuppone valutazioni di merito. Non è un caso che sia stata proprio la Corte di Cassazione ha dare un sostanziale apporto nella delineazione della figura dell'interesse legittimo (sul punto si veda, oltre alla nota Cass. S.U., n. 500/1999, anche Cass., n. 17586/2015). La giurisprudenza ha, peraltro, chiarito che il regolamento preventivo di giurisdizione può essere proposto anche in presenza di un provvedimento cautelare già emesso, non potendosi configurare lo stesso quale decisione che definisce il giudizio; in effetti la proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione non è preclusa dalla circostanza che il giudice adito per il merito abbia provveduto su una richiesta di provvedimento cautelare, pur se, ai fini della pronuncia, abbia risolto in senso affermativo o negativo una questione attinente alla giurisdizione, ovvero sia intervenuta pronunzia sul reclamo avverso il provvedimento cautelare, in quanto il provvedimento reso sull'istanza cautelare non costituisce sentenza e la pronunzia sul reclamo mantiene il carattere di provvisorietà proprio del provvedimento cautelare (Cons. St. IV, n. 1839/2017). Inoltre, in virtù dell'art. 367 c.p.c., al quale rinvia l'art. 9 comma 1, c.p.a., nel testo novellato dalla l. n. 353/1990, non sussiste più l'obbligo di sospendere il giudizio per effetto della sola presentazione del ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, essendo invece rimessa al giudice a quo la decisione sulla sospensione, e ciò al fine di evitare un uso distorto e dilatorio del regolamento stesso; la sospensione del processo dipende quindi da una valutazione del giudice di merito circa la non manifesta inammissibilità o la non manifesta infondatezza dell'istanza, da compiersi a seguito di una previa sommaria delibazione della domanda e della documentazione versata in atti (T.A.R. Abruzzo (Pescara), I, 27 giugno 2016, n. 236). Nel processo civile la questione di giurisdizione può essere sollevata anche dall'amministrazione che non sia parte in causa. L'art. 41, comma 2, c.p.c. dispone che l'amministrazione può chiedere attraverso il ricorso per Cassazione, in ogni stato e grado del processo, e finché la giurisdizione non sia stata affermata con sentenza passata in giudicato, che sia dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in considerazione dei poteri attribuiti dalla legge all'amministrazione stessa. L'estensione di tale norma al processo amministrativo è, tuttavia, dubbia. Da un lato, la norma fa espresso riferimento al giudice ordinario; dall'altro, è difficile immaginare una questione di difetto assoluto di giurisdizione suscettibile di essere sollevata da un'amministrazione che non sia parte in causa, in quanto il processo amministrativo si svolge sempre nei confronti di un'amministrazione che è necessariamente parte in causa. |