Memoria per la quantificazione del risarcimento per equivalente (art. 30)

Roberto Chieppa

Inquadramento

Una delle componenti essenziali di una domanda di risarcimento è la quantificazione del danno.

Molto spesso le parti trascurano tale aspetto e invocano poteri officiosi del giudice, come quello di disporre una CTU e rischiano di compromettere la propria domanda di risarcimento, che in tal modo può essere respinta per difetto degli elementi probatori.

La domanda di risarcimento non va apposta come mera clausola di stile di un ricorso di annullamento, ma va proposta quando si ha esatta contezza della sussistenza del danno.

È quindi meglio proporla in un secondo momento (non unitamente all'azione di annullamento) se non si ha ancora tale contezza.

In ogni caso, una volta proposta, va supportata con idonei elementi di prova che non riguardano tanto l'elemento soggettivo (per il quale si possono utilizzare anche presunzioni), ma l'elemento oggettivo e, in particolare, la prova dell'esistenza del danno e della sua quantificazione.

La quantificazione del danno non deve essere dimostrata necessariamente al momento della presentazione della domanda (anche se in tale momento il danno va quantificato) e gli elementi probatori possono essere forniti e argomentati nel corso del giudizio.

Con la presente formula si intende fornire uno spunto per una memoria (anche conclusionale) relativa alla quantificazione del danno.

Formula

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL [ ....] [1]

MEMORIA

Nell'interesse di

....

NEL RICORSO R.G. N. ....

Proposto da [PERSONA FISICA/GIURIDICA], rappresentata e difesa da ...., presso il cui studio è elettivamente domiciliata in ....;

PER L'ANNULLAMENTO

- del provvedimento ...., prot. n. ...., notificato in data ...., avente ad oggetto ...., nonché di ogni altro atto presupposto, connesso e consequenziale, ivi espressamente incluso .....

E PER IL RISARCIMENTO DEL DANNO

FATTO

[ripercorrere sinteticamente i fatti salienti che hanno dato origine alla presente controversia, soffermandosi sui fatti allegati a sostegno della domanda di risarcimento]

DIRITTO

La domanda di risarcimento del danno è stata supportata dalla documentazione prodotta in data e, in particolare, dai seguenti documenti (indicare).

Da tali atti emerge come l'illegittimità commessa dalla amministrazione abbia determinato e stia ancora determinando un grave danno alla società ricorrente.

Sotto il profilo oggettivo è evidente l'ingiustizia del danno conseguito a seguito dell'adozione del provvedimento illegittimo e altrettanto evidente è il nesso di causalità tra danno e provvedimento, in quanto (spiegare)

Con riferimento all'elemento soggettivo, l'illegittimità del provvedimento costituisce indice presuntivo della colpa della parte resistente, che in alcun modo può nel caso di specie invocare alcun errore scusabile (non necessario nel contenzioso appalti), in quanto (descrivere circostanze di fatto e di diritto a sostegno della presunzione).

I documenti prodotti e, in particolare, (indicare i doc.) dimostrano come il danno emergente prodotto dall'amministrazione ammonti ad Euro ...., essendo stato dimostrato come l'illegittimità commessa abbia determinato nel patrimonio del ricorrente una perdita economica, corrispondete a ..... (indicare le voci di danno, con relativa quantificazione e sintetica motivazione; ad esempio in materia di appalti, le spese sostenute per la presentazione della domanda di partecipazione alla gara e le eventuali occasioni di lavoro perse).

Gli ulteriori documenti (citare i doc.) dimostrano altresì che in assenza dell'illegittimità la società ricorrente avrebbe guadagnato un importo pari a Euro ...., che deve quindi essere risarcito a titolo di lucro cessante e corrispondente a: (indicare le voci di danno, con relativa quantificazione e sintetica motivazione; ad esempio in materia di appalti, l'utile economico che sarebbe derivato all'impresa dall'esecuzione dell'appalto).

Per determinare l'utile economico è stato seguito il criterio (indicare) e la quantificazione è dimostrata dai documenti (anche atti formati dalla stessa ricorrente).

La quantificazione del danno pari ad Euro ...., dimostrata dai citati documenti, non è stata adeguatamente contestata da controparte e, di conseguenza, non appaiono necessari ulteriori approfondimenti, rimessi in ogni caso alla valutazione del Collegio.

P.Q.M.

Si insiste per l'accoglimento del ricorso e la condanna dell'amministrazione al risarcimento del danno, quantificato nella misura di Euro .....

Con vittoria di spese e onorari.

Luogo e data ....

Firma Avv. [2] ....

DEPOSITO INFORMATICO

Ai sensi e per gli effetti dell'art. 136, comma 2, c.p.a., il presente atto è depositato con modalità telematiche [3] .

[1]L'atto è indirizzato al T.A.R. adito per il ricorso principale.

[2]Per i ricorsi depositati in giudizio dopo la data del 1° gennaio 2017 e, quindi, soggetti alla normativa sul processo amministrativo telematico (PAT), l'atto di parte sottoscritto dal difensore, deve essere redatto in forma di pdf nativo digitale sottoscritto con firma PAdES e depositata in giudizio con le modalità telematiche previste dall'art. 6 delle Specifiche tecniche del PAT di cui all'all.to 2 del d.P.C.S. 28 luglio 2021 (attraverso il Modulo Deposito Atto).

[3]Ai sensi dell'art. 13, comma 1-ter, dell'allegato 2 al c.p.a., introdotto dall'art. 7, del d.l. n. 168/2016, il Processo amministrativo telematico si applica ai giudizi introdotti con i ricorsi depositati, in primo o in secondo grado, a far data dal 1° gennaio 2017. Ai ricorsi depositati anteriormente a tale data, continuano ad applicarsi, fino all'esaurimento del grado di giudizio nel quale sono pendenti alla data stessa e comunque non oltre il 1° gennaio 2018, le norme previgenti. Ai fini del deposito telematico, il ricorrente dovrà utilizzare gli appositi moduli presenti sul sito della Giustizia Amministrativa. È stato definitivamente abrogato l'obbligo di depositare di depositare una copia cartacea conforme all'originale telematico del ricorso e degli scritti difensivi.

Commento

Il risarcimento per equivalente

Con il risarcimento per equivalente viene garantita non la diretta rimozione della lesione e delle sue conseguenze, ma la compensazione pecuniaria del danno attraverso il riconoscimento del diritto a ricevere una somma corrispondente al valore del bene della vita leso per effetto dell'illecito.

Per i danni derivanti dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa la quantificazione del danno risarcibile non è sempre agevole, specie in presenza di lesione di interessi legittimi pretensivi o procedimentali, nei quali la verifica della spettanza del bene della vita postula un'intermediazione amministrativa favorevole e risultano, quindi, difficilmente apprezzabili le effettive implicazioni economiche della violazione accertata, mentre si rivela più agevole la quantificazione del danno nei casi di lesione di interessi oppositivi, nei quali si tratta di determinare il valore del bene illegittimamente sacrificato.

La necessità di dimostrare e quantificare il danno

La domanda di risarcimento del danno, anche se in ipotesi proposta con motivi aggiunti dopo il ricorso per l'annullamento, non deve ripetere i motivi dedotti per dimostrare l'illegittimità dell'atto fonte del danno, ma deve essere formulata in modo che emergano gli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità dell'amministrazione, oltre che supportata con argomenti probatori di carattere specifico.

Una domanda avanzata con mera clausola di stile è inammissibile.

La domanda di risarcimento deve essere fondata su una puntuale prospettazione del danno, in relazione alle concrete modalità della fattispecie e alla illegittimità procedimentale che ha determinato l'annullamento giurisdizionale della aggiudicazione.

La prova del danno può essere fornita anche nel corso del giudizio, ma deve in ogni caso essere introdotta dal ricorrente che non può fare affidamento sui poteri del giudice.

Infatti, il c.d. principio dispositivo attenuato con metodo acquisitivo, che regola il processo amministrativo, si giustifica in ragione della disponibilità degli elementi probatori in capo alla pubblica amministrazione. Laddove tali elementi rientrino nella disponibilità del ricorrente, come accade nel giudizio risarcitorio, ove soprattutto (se non esclusivamente) l'istante è a conoscenza di quali danni ha subito ed è in possesso degli elementi idonei a provarli, il giudizio non può che essere governato dal principio dell'onere della prova e occorre che il ricorrente supporti la propria domanda dimostrando la sussistenza del danno medesimo.

Il ricorrente deve necessariamente allegare e dimostrare in giudizio tutti gli elementi costitutivi della sua pretesa risarcitoria e il metodo acquisitivo può essere utilizzato laddove siano stati allegati tali fatti, ma il privato, per la sua posizione di disparità sostanziale con l'amministrazione, non sia in grado di provarli.

Si applica la regola generale di cui all'art. 2697 c.c., in base alla quale il danneggiato ha l'onere di provare tutti gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento (danno e sua quantificazione, nesso di causalità, colpa) per illecito della P.A.

L'onere della prova non è circoscritto alla sussistenza del pregiudizio subito, ma si estende alla sua entità.

Ciò comporta che, a fronte della prova del danno e dei criteri di quantificazioni forniti dal ricorrente, il giudice potrà vagliare la condivisibilità dei criteri di quantificazione attraverso un CTU; tuttavia, la consulenza tecnica, pur disposta d'ufficio, non potrà certo destinata ad esonerare la parte dalla prova dei fatti dalla stessa dedotti e posti a base delle proprie richieste, fatti che devono essere dimostrati dalla medesima parte alla stregua dei criteri di ripartizione dell'onere della prova posti dall'art. 2697 c.c.

Il metodo di liquidazione equitativa dettato dagli artt. 2056 e 1226 c.c. è certamente utilizzabile anche dal giudice amministrativo ma solo in caso di impossibilità di dimostrare la misura esatta del danno, ovvero quando il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare perché il fatto che ne avrebbe consentito la quantificazione non è avvenuto e non può avvenire, sicché occorre procedere in via presuntiva secondo la regola dell'id quod plerumque accidit, mentre a tale criterio non può farsi ricorso quando i fatti causativi del danno sono avvenuti e sarebbero suscettibili di dimostrazione non potendo il criterio essere utilizzato per supplire al mancato assolvimento dell'onere della prova posto a carico del danneggiato.

Va inoltre considerato che l'esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., espressione del più generale potere di cui all'art. 115 c.p.c., dà luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, che, pertanto, da un lato è subordinato alla condizione che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare, dall'altro non ricomprende anche l'accertamento del pregiudizio della cui liquidazione si tratta, presupponendo già assolto l'onere della parte di dimostrare la sussistenza e l'entità materiale del danno, né esonera la parte stessa dal fornire gli elementi probatori e i dati di fatto dei quali possa ragionevolmente disporre, affinché l'apprezzamento equitativo sia per quanto possibile, ricondotto alla sua funzione di colmare solo le lacune insuperabili nell'iter della determinazione dell'equivalente pecuniario del danno» (Cons. St. III, n. 2181/2019, che richiama Cass. II, n. 4310/2018).

Per questi motivi si suggerisce di supportare la domanda di risarcimento con idonea documentazione (anche perizie di parte o altri documenti sempre di parte idonei a dimostrare il danno), in modo che solo in caso di contestazione o di necessità di approfondimento da parte del giudice, quest'ultimo possa in caso avvalersi della CTU.

La documentazione va prodotta al più tardi entro il termine per produrre documenti, fissato dall'art. 73 (40 giorni liberi prima dell'udienza in caso di rito ordinario) e con la successiva memoria (30 giorni liberi prima dell'udienza) vanno illustrati i criteri di quantificazione.

L'importanza di produrre documentazione anche di parte a sostegno della domanda risiede nel fatto che in questo modo si costringe controparte a contrastarla e si dà la possibilità al giudice di disporre eventualmente una CTU; al contrario, l'utilizzo di sole presunzioni e un richiamo del ricorrente all'eventuale CTU può comportare il rischio che il giudice ritenga non assolto l'onere probatorio.

La quantificazione nel settore degli appalti

Nel settore degli appalti, la giurisprudenza ha individuato i seguenti criteri per la quantificazione del danno subito da un concorrente, che si sarebbe aggiudicato l'appalto se l'amministrazione avesse operato correttamente: a titolo di danno emergente vengono risarcite le spese sostenute per la presentazione della domanda di partecipazione alla gara e le eventuali occasioni di lavoro perse, se dimostrate; a titolo di mancato guadagno si tiene conto dell'utile economico che sarebbe derivato all'impresa dall'esecuzione dell'appalto. Per determinare l'utile economico, la giurisprudenza ha individuato come parametro di valutazione la misura presuntiva dell'utile d'impresa complessivamente realizzabile dal danneggiato, pari al 10% dell'importo a base d'asta, come ribassata dall'offerta presentata dall'appaltatore medesimo, ricorrendo all'applicazione analogica dell'art. 345 della l. 20 marzo 1865, allegato F, in base al quale l'amministrazione può risolvere in qualunque tempo il contratto, mediante il pagamento all'appaltatore «dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell'importo delle opere non eseguite».

Il criterio trova ulteriori riscontri nell'art. 122 del d.P.R. n. 554/1999 e nel poi abrogato art. 37-septies, comma 1, l. n. 109/1994, laddove prevede, in materia di project financing, che, nelle ipotesi in cui la concessione sia risolta per inadempimento del concedente o revocata per motivi di interesse pubblico, al concessionario spetti un indennizzo, a titolo di risarcimento del mancato guadagno, pari al 10% delle opere ancora da eseguire.

È stato tuttavia precisato che il danno derivante ad una impresa dal mancato affidamento di un appalto è quantificabile nel 10% del prezzo offerto, solo se e in quanto l'impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l'espletamento di altri servizi, mentre quando tale dimostrazione non sia stata offerta, è da ritenere che l'impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri, analoghi servizi, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità, con conseguente riduzione in via equitativa del danno risarcibile, liquidato nel caso di specie nella misura del 5% (Cons. St. V, n. 5860/2002; Cons. St. VI, n. 1114/2007). In altre fattispecie, il danno è stato ridotto di un terzo in considerazione dell'avvenuto annullamento in autotutela del provvedimento, fonte del danno: comportamento della p.a. da valutare positivamente e che rende meno grave il precedente illecito (Cons. St. IV, n. 4401/2007).

Nei casi in cui nell'offerta è stata indicata la percentuale di utile la produzione di tale documento rende superfluo l'utilizzo di presunzioni o di altri criteri; spesso tale documento non viene prodotto per convenienza dalla parte danneggiata, che spera di ottenere un risarcimento più alto con le presunzioni, ma corre in questo modo anche il rischio che il giudice acquisisca comunque il documento o decida in altro modo il punto.

Quando il ricorrente allega solo la perdita di una chance a sostegno della pretesa risarcitoria (e cioè quando non riesce a provare che l'aggiudicazione dell'appalto spettava a lui in assenza della illegittimità commessa dall'amministrazione), la somma commisurata all'utile d'impresa deve essere proporzionalmente ridotta in ragione delle concrete possibilità di vittoria risultanti dagli atti della procedura, facendo anche ricorso al criterio di quantificazione della chance in misura corrispondente al numero di partecipanti alla gara, ipotizzando uguali possibilità per ciascuno.

[In questi casi, quando la ricorrente vittoriosa è il gestore uscente del servizio a cui è stata preclusa illegittimamente la partecipazione alla gara, si può utilizzare il diverso criterio dell'utile percepito appunto quale gestore uscente: Cons. St. V, n. 5307/2019).

Cons. St. V, n. 5803/2019 ha escluso la pretesa di ottenere l'equivalente del dieci per cento dell'importo a base d'asta, sia perché detto criterio esula storicamente dalla materia risarcitoria, sia perché non può essere oggetto di applicazione automatica ed indifferenziata (non potendo formularsi un giudizio di probabilità fondato sull'id quod plerumque accidit secondo il quale, allegato l'importo a base d'asta, può presumersi che il danno da lucro cessante del danneggiato sia commisurabile al dieci per cento del detto importo).

Sul grado di probabilità necessario per il risarcimento è stata rimessa alla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato la questione se spetti, in caso di affidamento diretto, senza gara, di un appalto, il risarcimento danni per equivalente derivante da perdita di chance ad una impresa concorrente che avrebbe potuto concorrere quale operatore del settore economico (Cons. St. V, n. 118/2018); la Plenaria ha tuttavia restituito gli atti alla sezione remittente potendo la definizione della questione interferire con profili già esaminati dalla sezione con la sentenza non definitiva (Cons. St., Ad. plen., n. 7/2018).

La giurisprudenza successiva ha tuttavia ribadito che il richiamo alla ‘elevata probabilità' (ad es., almeno pari al 50%) di realizzazione, quale condizione affinché la chance acquisti rilevanza giuridica, è fuorviante, in quanto così facendo si assimila il trattamento giuridico della chance alla causalità civile ordinaria (ovvero alla causalità del risultato sperato), mentre la risarcibilità della perdita di chance è stata elaborata al fine di ‘traslare' sul versante delle situazioni soggettive e, quindi, del danno ingiusto, un problema di causalità incerta non per accertare l'esistenza della chance come bene a sé stante, bensì per misurare in modo equitativo il ‘valore' economico della stessa, in sede di liquidazione del quantum risarcibile (Cons. St. VI, n. 6268/2021, che ha anche sottolineato che la tecnica risarcitoria della chance presuppone una situazione di fatto immodificabile, che abbia definitivamente precluso all'interessato la possibilità di conseguire il risultato favorevole cui aspirava).

Nell'ipotesi di responsabilità precontrattuale il danno risarcibile consiste, secondo la costante giurisprudenza, nella diminuzione patrimoniale che è diretta conseguenza del comportamento del soggetto che ha violato l'obbligo della correttezza, definito comunemente «interesse contrattuale negativo». In tal caso, possono essere riconosciute, a titolo risarcitorio, le spese sopportate per la partecipazione alla gara e la eventuale perdita delle occasioni di lavoro alternative, per la quale è necessaria la dimostrazione dell'entità dell'asserito pregiudizio derivante dalla perdita di altre occasioni.

Nel caso di mancata aggiudicazione il risarcimento del danno conseguente al lucro cessante si identifica con l'interesse c.d. positivo, che ricomprende sia il mancato profitto (che l'impresa avrebbe ricavato dall'esecuzione dell'appalto), sia il danno c.d. curricolare (ovvero il pregiudizio subìto dall'impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum e dell'immagine professionale per non poter indicare in esso l'avvenuta esecuzione dell'appalto): non essendo, invero, dubitabile che il fatto stesso di eseguire un appalto pubblico (anche a prescindere dal lucro che l'impresa ne ricava grazie al corrispettivo pagato dalla stazione appaltante) possa essere, comunque, fonte per l'impresa di un vantaggio economicamente valutabile, perché accresce la capacità di competere sul mercato e, quindi, la chance di aggiudicarsi ulteriori e futuri appalti.

In via di principio, che il riconoscimento del lucro cessante deve ritenersi subordinato:

a) all'assolvimento, in positivo, di un preciso onere probatorio, inteso a dimostrarne, anche per via indiziaria, la consistenza, avuto riguardo alle caratteristiche dell'appalto, al mercato di riferimento, alle condizioni operative dell'impresa, alle dimensioni organizzative, alle risorse reali e finanziarie disponibili, alle multiformi peculiarità della fattispecie;

b) alla dimostrazione, in negativo, anche qui per via indiziaria (e, per esempio, mediante la non disagevole allegazione dei libri contabili) della mancata interinale utilizzazione delle proprie risorse reali e personali e della obiettiva ed involontaria immobilizzazione delle stesse, nonché della diligente condotta imprenditoriale, preordinata a non trascurare occasioni di utile impiego, nell'esclusivo e non commendevole intento di aggravare il danno da mancata aggiudicazione (Cons. St. V, n. 5803/2019).

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