Va innanzitutto ricordato che il Parlamento europeo ha fornito una definizione molto ampia di IA, ricomprendendo al suo interno sistemi intelligenti fondati su tecniche logic and knowledge-based, statistiche e di machine learning. Più precisamente definisce l'IA come “sistema basato su software o integrato in dispositivi hardware che mostra un comportamento che simula l'intelligenza, tra l'altro raccogliendo e trattando dati, analizzando e interpretando il proprio ambiente e intraprendendo azioni, con un certo grado di autonomia, per raggiungere obiettivi specifici”.
In termini di operatività, il grado di autonomia di tali sistemi intelligenti varia tra sistemi assisted, augmented e autonomous. I sistemi assisted sono utili per l'automazione di processi che presidiano funzioni seriali e ripetitive, identificando modelli e applicando soluzioni predeterminate; i sistemi augmented si focalizzano invecesulla cosiddetta IA “aumentata” e quindi permettono di coadiuvare, ma non di sostituire le funzioni intellettive dell'uomo. I sistemi autonomous infine consentono al software di “assumere una decisione senza alcuna interferenza umana.
Ciò premesso, va quindi considerato come tali sistemi, nelle loro diverse accezioni, possano trovare applicazione nell'ambito della impresa e quindi anche nei processi di governance.
Da un lato, l'utilità dei sistemi di IA nell'attività di impresa ed in particolare nel processo di governance ha spinto le imprese a considerare l'impiego di software intelligenti che siano in grado di prendere decisioni con un elevato grado di correttezza e in tempi particolarmente celeri. Dall'altro, i principi generali cui si informa il codice civile per quanto attiene agli articoli dedicati all'impresa (in particolare alla S.p.A.) nonché, per le imprese quotate, le indicazioni del Codice di Corporate Governance entrato in vigore nel 2021 (ci si riferisce in particolare alla massimizzazione del valore dell'investimento nella società mediante lo svolgimento efficiente della attività di impresa e al perseguimento del successo sostenibile), portano sempre più a considerare gli strumenti di IA uno dei parametri utili a verificare l'adeguatezza degli assetti societari “alla natura e alle dimensioni dell'impresa” richiesta dall'art. 2086 c.c., in special modo con riferimento alle società più strutturate e di maggiori dimensioni.
Ma tali sistemi come possono essere effettivamente inseriti nelle logiche di governo societario?
Dal punto di vista strettamente organizzativo, se è oramai assodato – anche a causa di quanto imposto dalla disciplina emergenziale messa in atto durante la pandemia – che non vi è alcun ostacolo giuridico per la realizzazione di assemblee e riunioni societarie “a distanza” mediante sistemi di audio-videoconferenza e addirittura in taluni casi senza indicazione nell'ordine del giorno del luogo di convocazione, non è così assodato se siano legittime le modalità di voto basate su tecnologie blockchain e le verbalizzazioni supportate da tecnologie di smart contract.
All'estero, come dimostrano le esperienze di Deep Knowledge Ventures, società con sede in Hong Kong, che ha nominato il software VITAL (i.e Validating investment tool for advancing life sciences) membro del consiglio di amministrazione con diritto di voto in assemblea, il mondo imprenditoriale è alla ricerca di strumenti che possano coadiuvare, se non addirittura sostituire, gli amministratori “umani” con forme di intelligenza artificiale che siano in grado di compiere scelte societarie con maggiore velocità, affidabilità e con un ridotto margine di errore. Tale processo sconta tuttavia problematiche giuridiche di non poco conto.
Ci si può chiedere se quanto effettuato da Deep Knowledge Ventures, possa essere replicato legittimamente anche in Italia. Al riguardo, è da segnalare che la legittimità dell'apporto dell'IA nel diritto societario italiano rimane dubbia. Ricordiamo che ai sensi dell'art. 2381, comma 2, c.c. “se lo statuto o l'assemblea lo consentono, il consiglio di amministrazione può delegare proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo composto da alcuni dei suoi componenti, o ad uno o più dei suoi componenti”. Per effetto di tale norma, mentre risulta ammissibile la delega dei poteri all'interno del consiglio di amministrazione stesso, ovvero ad uno o più dei suoi componenti, non risulta consentito invece che la delega di attribuzioni venga conferita a soggetti terzi che siano estranei all'organo amministrativo. La ratio risiede nel fatto che delegare a terzi proprie attribuzioni determinerebbe una dissociazione illegittima tra potere gestorio e profili di responsabilità che devono comunque essere ricondotti in capo all'organo amministrativo. Ne consegue che, delegare poteri ad una IA non potrebbe essere possibile a meno che l'IA non risultasse membro del consiglio di amministrazione. Al riguardo, sappiamo che il nostro diritto societario ammette la nomina di una società di capitali come amministratrice delegata di una società di capitali, ma in tal caso ciò si ritiene ammissibile in quanto nel consiglio di amministrazione siederà il legale rappresentante persona fisica della società di capitali che è amministratrice delegata. Ciò non sarebbe fattibile in caso di nomina di una IA. Al riguardo la massima n. 100 del Consiglio notarile di Milano è molto chiara: “E' legittima la clausola statutaria di s.p.a. o s.r.l. che preveda la possibilità di nominare alla carica di amministratore una o più persone giuridiche o enti diverse dalle persone fisiche (“amministratore persona giuridica”), salvi i limiti o i requisiti derivanti da specifiche disposizioni di legge per determinate tipologie di società.
Ogni amministratore persona giuridica deve designare, per l'esercizio della funzione di amministratore, un rappresentante persona fisica appartenente alla propria organizzazione, il quale assume gli stessi obblighi e le stesse responsabilità civili e penali previsti a carico degli amministratori persone fisiche, ferma restando la responsabilità solidale della persona giuridica amministratore. Il concetto è stato anche ribadito da una sentenza del Tribunale di Milano (n. 3545 del 27 marzo 2017 della Sezione Specializzata in materia di impresa) in uno dei primissimi casi in cui la giurisprudenza ha preso in esame il tema dell'amministrazione di società di capitali affidata a un soggetto diverso dalla persona fisica. Occorre infatti ricordare che gli amministratori sono sottoposti ad un regime di responsabilità che è strettamente collegato alla loro soggettività giuridica. Pur essendo attualmente acceso il dibattito circa l'attribuzione a sistemi particolarmente intelligenti di una soggettività giuridica in grado di renderli fonte di diritti ed obbligazioni, ad oggi non si può affermare che un software intelligente possa essere considerato alla stregua di un soggetto di diritto: una “personalità artificiale”. Se ne deduce che, qualora un consiglio di amministrazione di un'impresa italiana volesse esternalizzare un proprio compito delegandolo ad una macchina intelligente, dovrà necessariamente nominare quest'ultima amministratrice dotandola di personalità giuridica. Ciò peraltro non pare nemmeno sufficiente in quanto occorrerebbe che tale macchina fosse munita anche della capacità di agire, requisito del tutto inimmaginabile allo stato attuale dell'avanzamento tecnologico. E' da ricordare, a tal fine, la recente sentenza n. 25056 del 9 novembre 2020, con la quale la Corte di Cassazione ha riaffermato la piena operatività nel nostro ordinamento della regola di matrice statunitense nota come “Business Judgment Rule”, regola che sancisce il principio di insindacabilità nel merito delle scelte di gestione assunte dagli amministratori nell'espletamento del loro incarico. Più precisamente, si legge che “all'amministratore di una società non può essere imputato, a titolo di responsabilità, di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può pertanto eventualmente rilevare come giusta causa di sua revoca, ma non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società: ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell'amministratore nell'adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione o le modalità e circostanze di tali scelte, anche se presentino profili di rilevante alea economica, ma solo la diligenza mostrata nell'apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all'operazione da intraprendere, e quindi, l'eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità.” E' del tutto evidente che un sistema di IA non può arrivare a detenere la medesima sensibilità di un essere umano, è chiaro che non potrebbe essergli attribuita una sorta di “discrezionalità imprenditoriale”.
Ciò detto, va anche fatta una breve analisi sulla correttezza del processo decisorio adottato dagli strumenti di IA.
In primo luogo, è necessario che la logica utilizzata dal software per giungere ad una decisione sia trasparente e di conseguenza sia comprensibile il ragionamento causale di fondo. Occorre, in estrema sintesi, che il processo logico che ha indotto il software ad esercitare il voto in un senso sia corredato da input corretti, tali per cui l'algoritmo non ponga in essere, ad esempio, alcun tipo di discriminazione nell'adottare una decisione. Se così non fosse vi sarebbe infatti il rischio di scelte e decisioni arbitrarie non adottate nell'interesse della società.
In secondo luogo, vanno esplorati gli strumenti che permettono l'utilizzo dell'IA nell'impresa, ovvero la blockchain e gli smart contracts.
Ricordiamo che la blockchain fa riferimento ad un supporto tecnologico che consente di creare e gestire «libri mastri» o «registri» (distributed ledgers) condivisi tra più soggetti che partecipano a una rete o network comune (i c.d. “nodi” della rete), all'interno del quale sono eseguite e annotate transazioni e informazioni aggregate in «blocchi» (blocks). L'utilizzo della crittografia fa sì che le annotazioni siano certe, sicure e tendenzialmente immodificabili a posteriori, mentre la condivisone del registro tra i partecipanti permette di evitare la presenza di intermediari o di altri soggetti ai quali attribuire i compiti di tenuta del registro e di validazione e certificazione dell'autenticità delle informazioni e degli scambi annotati.
Gli smart contracts sono una particolare applicazione di questa tecnologia, consistente nella programmazione, di regola all'interno di una blockchain, di specifiche istruzioni in linguaggio informatico che vengono eseguite e registrate all'interno della rete, di modo tale che tutti i partecipanti ne conservino traccia.
Ciò che rileva è che gli algoritmi possono essere impiegati per eseguire o automatizzare processi e decisioni (come nel caso della blockchain e degli smart contracts) oppure per estrarre informazioni o dati di supporto al processo decisionale, ovvero per adottare in maniera automatizzata le decisioni suggerite dai dati stessi. In linea di principio, la blockchain e gli smart contracts possono essere impiegati per facilitare il regolamento e la registrazione delle operazioni su azioni, nonché l'identificazione degli azionisti legittimati all'intervento e al voto in assemblea, per consentire l'esercizio del diritto di voto, anche per delega, con sistemi che garantiscono la certezza e la tracciabilità del conteggio dei voti, la verifica del raggiungimento dei quorum e del rispetto delle regole che richiedono la titolarità di determinate percentuali del capitale per l'esercizio ad esempio dei diritti delle minoranze e la verbalizzazione in forma automatica.
Più in generale, l'utilizzo di queste tecnologie permetterebbe lo svolgimento dell'adunanza in forma interamente virtuale, senza i limiti imposti da altre tecnologie che pure facilitano la comunicazione a distanza ma senza le garanzie di certezza fornite dalla blockchain, anzitutto nell'identificazione dei soggetti legittimati a intervenire e nel conteggio dei voti.
In passato, tuttavia, sono state sollevate perplessità circa la possibilità che le applicazioni tecnologiche possano consentire il conseguimento degli stessi risultati che si ottengono con il dibattito assembleare, specialmente per quanto riguarda l'informazione dei soci e la creazione di uno spazio per il confronto e la discussione sugli argomenti posti all'ordine del giorno. Tuttavia, da un lato, nemmeno le assemblee “fisiche” spesso svolgono più dette funzioni in concreto. Specie nelle società quotate infatti la discussione viene sempre più frequentemente “anticipata”, tenuta al di fuori del meccanismo assembleare, in incontri preventivi e spesso esaustivi tra amministratori o esponenti apicali della società e azionisti rilevanti.
Un esempio della possibilità di creare «adunanze virtuali» mediante la blockchain è dato dagli strumenti utilizzati, sempre all'estero, dall'organizzazione “The DAO”. The DAO era un'organizzazione – riconducibile, secondo le categorie tradizionali, allo schema della società di fatto – operante sulla blockchain Ethereum (30), che nel 2016 raccolse un ammontare significativo di criptovalute (Ether) in cambio di DAO token, ossia di token rappresentativi di una quota di partecipazione all'iniziativa comune. The DAO investiva gli Ether raccolti dagli investitori in progetti presentati da contractors, allo scopo di dividere gli utili eventualmente generati dai singoli progetti tra i possessori di DAO tokens. Questa organizzazione è divenuta particolarmente nota perché fu oggetto di un attacco informatico e, successivamente, di un'indagine della Securities and Exchange Commission (“SEC”) statunitense, volta ad accertare se i token in questione fossero “securities” e quindi se la loro offerta al pubblico avesse violato le regole in materia di preventiva registrazione degli strumenti finanziari. La relazione dell'indagine condotta dalla SEC risulta particolarmente interessante non solo per quanto riguarda i profili relativi alla qualificazione giuridica dei token, tuttora oggetto di diverse opinioni, ma anche per la descrizione dei diversi aspetti di governance dell'organizzazione decentralizzata. Si pensi ad esempio che l'esercizio del voto sulle diverse proposte di investimento avveniva interamente sulla blockchain e in maniera proporzionale ai DAO token posseduti, anche grazie all'uso di smart contracts per automatizzare le regole e le procedure di voto. L'organizzazione si serviva, tuttavia anche di altre tecnologie. Il sito Internet di The DAO conteneva ad esempio una piattaforma di messaggistica accessibile ai partecipanti dove questi potevano discutere tra di loro. Inoltre, i dettagli dei possibili progetti da finanziare erano pubblicati sulla blockchain sotto forma di smart contracts e ulteriori informazioni sulle diverse proposte di investimento erano rese note sempre sul sito di The DAO.
L'esempio di The DAO dimostra che la blockchain è in grado di costituire la base tecnologica per lo svolgimento, in forma interamente virtuale, dell'assemblea, ma occorre chiedersi quali cambiamenti il suo utilizzo possa e debba determinare all'interno della attuale impostazione e struttura delle società di capitali italiane.
Certamente pare difficile alla stregua del nostro diritto societario che la blockchain venga utilizzata come strumento per realizzare una organizzazione perfettamente democratica che possa essere “autogestita” anche da un numero elevato di soci senza l'intervento di amministratori o manager. Anche a non voler considerare che la ripartizione delle competenze tra assemblea e organo amministrativo deriva da norme di legge di carattere imperativo, è tuttavia non confutabile che le competenze e le esperienze richieste per l'esercizio della funzione gestoria non possono essere sostituite completamente da tecnologie. Le nuove tecnologie possono sì fornire informazioni, raccomandazioni o indicazioni utili all'assunzione di decisioni gestorie, ma tali dati richiedono a loro volta una specifica preparazione tecnica e competenza per essere compresi e utilizzati.