Condannata l'Italia nel qualificare “non collaborative” le donne che si oppongono agli incontri dei figli con l'ex coniuge violento

11 Novembre 2022

La Corte europea dei diritti dell'uomo, con la sentenza resa il 10 novembre 2022, nel caso I.M. et autres c. Italie (ricorso n. 25426/20), ha condannato l'Italia in un caso di violenza domestica.

I fatti e le doglianze dei ricorrenti. I ricorrenti sono tre cittadini italiani, residenti in Italia. La prima ricorrente, madre del secondo e del terzo ricorrente, agisce per proprio conto e per conto dei suoi due figli. Secondo la donna, lo Stato italiano è venuto meno al suo dovere di tutelare ed assistere i minori durante gli incontri con il padre, tossicodipendente e alcolista, già accusato di maltrattamenti e minacce verso la donna. Il caso affrontato dalla Corte si occupa anche della decisione dei tribunali nazionali di sospendere la responsabilità genitoriale della ricorrente, qualificata genitore “ostile agli incontri con il padre” poiché, opponendo questioni di violenza domestica e dunque problemi di sicurezza, nel tentativo di proteggere i suoi figli, si è rifiutata di continuare quegli incontri. La donna sostiene in particolare che le visite dell'ex coniuge, non essendosi svolte nell'ambiente fortemente protetto disposto dal tribunale per i minorenni, hanno esposto i ricorrenti al rischio di ulteriori violenze.

La violazione dei diritti dei minori. La Corte edu rileva, invero, che gli incontri non si sono svolti secondo le condizioni, prescritte dal Tribunale per i minorenni, di rigida tutela e alla presenza di uno psicologo. Allo stesso modo, i servizi sociali hanno evidenziato, in una relazione, l'inidoneità dei luoghi scelti, chiedendo al Tribunale per i minorenni, nel dicembre 2015, di intervenire urgentemente con misure di protezione. In particolare, la Corte non comprende le ragioni in forza delle quali lo stesso Tribunale, che ha omesso per quasi quattro mesi di rispondere alle richieste dei servizi sociali ed al quale comunque erano state trasmesse le denunce contro l'uomo già dal 2015, abbia deciso di mantenere gli incontri.

Secondo la Corte edu, il Tribunale per i minorenni non ha valutato sufficientemente il rischio a cui erano esposti i bambini e non ha soppesato gli interessi in gioco, atteso che le considerazioni relative all'interesse superiore dei minori devono prevalere sull'interesse del padre a continuare le visite. Dunque, dal 2015, nonostante gli sforzi compiuti al fine di mantenere un legame tra i figli e il padre, è stato violato il superiore interesse dei minori a non subire incontri in condizioni non protette, violandosi di conseguenza l'articolo 8 CEDU nei confronti del secondo e terzo ricorrente.

La violazione dei diritti della madre. La Corte edu ha dovuto accertare, inoltre, se i giudici italiani abbiano motivato con motivi pertinenti e sufficienti la sospensione per tre anni della responsabilità genitoriale della madre, prima ricorrente, alla luce dei vari interessi coinvolti. Invero, quando la donna non ha voluto più accompagnare i suoi figli alle riunioni programmate, il Tribunale per i minorenni di Roma ha deciso, nel maggio 2016, di considerarla genitore ostile al ristabilimento del rapporto padre-figli e di sospendere la sua responsabilità genitoriale, omettendosi di considerare il contesto di violenza domestica e di effettuare un bilanciamento dei vari interessi coinvolti. In particolare, la decisione non ha tenuto conto della situazione di violenza vissuta dalla prima ricorrente e dai suoi figli né del procedimento penale per maltrattamenti pendente nei confronti dell'uomo. La decisione di sospensione è stata poi confermata dalla Corte d'Appello e revocata solo nel maggio 2019, nonostante le richieste della Procura della Repubblica del novembre 2018 e dei servizi sociali dell'aprile 2019.

Sebbene i minori abbiano mantenuto il domicilio presso la madre, la sospensione della responsabilità genitoriale ha comportato, tra l'altro, la privazione del diritto della stessa madre di decidere nell'interesse dei figli. Così, la Corte edu ha statuito che il Tribunale per i minorenni e la Corte d'Appello non abbiano fornito motivi sufficienti e pertinenti per giustificare la loro decisione di sospendere la responsabilità genitoriale per il periodo compreso tra maggio 2016 e maggio 2019, violandosi di conseguenza l'articolo 8 CEDU anche nei confronti del primo ricorrente.

Il richiamo nella sentenza del rapporto GREVIO sull'Italia. È molto interessante il richiamo da parte della Corte edu del rapporto del 2020 sull'Italia (reperibile al sito www.informareunh.it/wp-content/uploads/GREVIO-RapportoValutazioneItalia2020-ITA.pdf), del Gruppo di esperti sull'azione contro la violenza contro le donne e la violenza domestica (GREVIO), in cui si sottolinea che la sicurezza del genitore non violento e l'interesse superiore del minore devono essere fattori centrali nel decidere in materia di affidamento. Il Gruppo GREVIO ha anche osservato che i tribunali italiani non hanno tenuto nel debito conto l'articolo 31 della Convenzione di Istanbulsulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, in forza del quale «1. Le Parti adottano misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che, al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, siano presi in considerazione gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione. 2 Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che l'esercizio dei diritti di visita o di custodia dei figli non comprometta i diritti e la sicurezza della vittima o dei bambini».

La Corte edu, in particolare, richiama le preoccupazioni del Gruppo di esperti circa l'esistenza di una pratica, molto diffusa tra i tribunali civili italiani, di ritenere le donne, che invocano atti di violenza domestica e si rifiutano di far partecipare i figli agli incontri con il padre, genitori “non collaborativi” e quindi “madri non idonee”, meritevoli di punizione.

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