I provvedimenti illegittimi per vizi procedurali e danno risarcibile
14 Novembre 2022
Massima
L'ingiustizia del danno che fonda la responsabilità dell'Amministrazione per lesione di interessi legittimi si correla alla dimensione sostanzialistica di questi ultimi, quali interessi correlati a un bene della vita coinvolto nell'esercizio della funzione pubblica, e comunque a una situazione soggettiva sostanziale facente parte della sfera giuridica di cui il soggetto è titolare. In tale prospettiva solo se dall'illegittimo esercizio della funzione pubblica sia derivata per il privato una lesione della sua sfera giuridica quest'ultimo può fondatamente domandare il risarcimento per equivalente monetario. Il caso
Ai fini del ristoro del danno risarcibile, non è sufficiente l'allegazione della mera illegittimità degli atti gravati, allorché la stessa si fondi su vizi squisitamente formali, essendo, altresì, necessario il giudizio prognostico circa la fondatezza o meno della pretesa sostanziale alla spettanza del bene della vita, fatta valere in giudizio.
Ne discende che, a fronte di provvedimenti illegittimi, annullati per vizio procedurale e motivazionale (nel caso di specie, trattasi di un provvedimento di sospensione dell'accreditamento; di un provvedimento di revoca dell'accreditamento e di un successivo provvedimento di conferma della revoca) che hanno inibito la prosecuzione dell'attività da parte dell'appellante, solo una successiva riedizione del potere, con modalità emendative dei vizi riscontrati, avrebbe potuto produrre l'effetto impeditivo dell'attività associativa, che altrimenti la stessa aveva titolo per continuare.
Laddove, in ragione dell'onere probatorio legalmente scandito a carico della parte lesa, non emergano, per contro, elementi significativi per comprendere quale sarebbe stato l'esito della riedizione del potere, detta carenza impedisce di valutare proprio la sussistenza, o meno, dei presupposti per l'esercizio dell'azione risarcitoria. La questione
Una prima questione giuridica sottesa alla decisione in commento riguarda la sussistenza dei presupposti per l'accoglimento della domanda risarcitoria.
In base all'art.30 c.p.a. “può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria”.
Il Collegio aderisce all'orientamento che qualifica la responsabilità in cui incorre l'Amministrazione per l'esercizio delle funzioni pubbliche come responsabilità da fatto illecito (cfr. Ad. plen. 23 aprile 2021, n. 7).
I requisiti della responsabilità da fatto illecito sono la presenza di una condotta imputabile, il danno ingiusto, il nesso di causalità e l'elemento soggettivo.
Di tali requisiti due risultano oggetti di analisi nell'ambito della sentenza: l'ingiustizia del danno e il nesso di causalità.
La seconda questione giuridica attiene alla risarcibilità del danno da perdita di chance. Le soluzioni giuridiche
Il Collegio, muovendo dall'impostazione più recente della giustizia amministrativa, giunge alla conclusione che la responsabilità dell'Amministrazione dipende dallo scrutinio del motivo di impugnazione relativo alla spettanza del bene della vita.
Non è, infatti, sufficiente allegare l'illegittimità dei provvedimenti per superare lo scrutinio del requisito (della fattispecie risarcitoria) dell'ingiustizia del danno, specie allorquando l'illegittimità si fonda su mere inadempienze procedurali.
Declinata nel settore relativo al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi, di cui all'art. 7, comma 4, c.p.a., “il requisito dell'ingiustizia del danno implica che il risarcimento potrà essere riconosciuto se l'esercizio illegittimo del potere amministrativo abbia leso un bene della vita del privato, che quest'ultimo avrebbe avuto titolo per mantenere o ottenere, secondo la dicotomia interessi legittimi oppositivi e pretensivi” (Ad. plen. 23 aprile 2021, n. 7).
La pretesa al risarcimento del danno ingiusto derivante dalla lesione dell'interesse legittimo si fonda sulla lettura dell'art. 30 c.p.a. che riferisce il carattere dell'ingiustizia al danno e non alla condotta, di modo che presupposto essenziale della responsabilità — oltre una condotta rimproverabile — è l'evento dannoso che ingiustamente lede una situazione soggettiva protetta dall'ordinamento ed affinché la lesione possa considerarsi ingiusta è necessario verificare attraverso un giudizio prognostico se, a seguito del legittimo agire dell'Amministrazione, il bene della vita sarebbe effettivamente spettato al titolare dell'interesse.
La decisione sulla domanda risarcitoria quindi “dipende dalla decisione in ordine alla spettanza del bene della vita” (Ad. plen. 23 aprile 2021 n. 7; in termini, Cons. Stato, Sez. IV, 2 novembre 2016, n. 4580).
Ciò in quanto l'ingiustizia del danno che fonda la responsabilità dell'Amministrazione per lesione di interessi legittimi si correla alla dimensione sostanzialistica di questi ultimi, quali interessi correlati a un bene della vita coinvolto nell'esercizio della funzione pubblica, e comunque a una situazione soggettiva sostanziale facente parte della sfera giuridica di cui il soggetto è titolare (Cons. giust. amm., Sez. giurisdiz., 16 luglio 2015, n. 555).
In tale prospettiva “solo se dall'illegittimo esercizio della funzione pubblica sia derivata per il privato una lesione della sua sfera giuridica quest'ultimo può fondatamente domandare il risarcimento per equivalente monetario” (Ad. plen. 23 aprile 2021, n. 7).
L'obbligazione risarcitoria (fermo restando la sussistenza degli altri elementi costitutivi dell'illecito civile) affonda le sue radici nella verifica della sostanziale spettanza del bene della vita ed implica un giudizio prognostico in relazione al se, a seguito del corretto agire dell'Amministrazione, il bene della vita sarebbe effettivamente o probabilmente (cioè secondo il canone del « più probabile che non ») spettato al titolare dell'interesse (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 14 giugno 2018, n. 3657).
Vista la necessità che sia accertata la spettanza del bene della vita al privato che chiede il risarcimento per lesione della posizione di vantaggio rispetto al suo conseguimento, in ordine alla possibilità per il giudice amministrativo di condurre tale giudizio, assume rilevanza la distinzione tra attività vincolata e discrezionale della Pubblica Amministrazione.
In presenza di attività vincolata, la giurisprudenza riconosce al giudice il potere di svolgere quel giudizio prognostico necessario ad accertare la spettanza del bene della vita, ciò essendo avvalorato dal disposto dell'art. 31, comma 3, c.p.a. (secondo il quale «il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall'Amministrazione ») (cfr. TAR Trentino-Alto Adige, Trento, Sez. I, 12 luglio 2017, n. 231). L'orientamento maggioritario esclude che tale valutazione possa essere condotta anche in caso di bene della vita che debba essere attribuito attraverso l'esercizio di un potere discrezionale, a ciò ostando la riserva di amministrazione sussistente in capo alla P.A., poiché la verifica da parte del giudice comporterebbe un'obiettiva ingerenza su scelte opinabili e disancorate da parametri normativi.
La domanda di risarcimento del danno causato da un illegittimo provvedimento, annullato in sede giurisdizionale per difetto di motivazione, non può essere accolta ove persistano in capo all'Amministrazione significativi spazi di discrezionalità in sede di riesercizio del potere ed, in tale particolare contesto, il privato ha titolo al risarcimento solo ove, sussistendo gli altri requisiti dell'illecito, riesca a dimostrare, e in questo caso proprio lui, che la propria aspirazione al provvedimento era destinata, secondo un criterio di normalità, ad un esito favorevole (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 16 aprile 2014, n. 1860, secondo cui il risarcimento del danno conseguente a una lesione di interesse legittimo pretensivo è subordinato, pur in presenza di tutti i requisiti dell'illecito aquiliano (condotta, colpa, nesso di causalità ed evento dannoso), all'effettiva dimostrazione che l'aspirazione al provvedimento sia in concreto destinata ad avere esito favorevole, quindi all'avvenuta e concludente dimostrazione della spettanza definitiva e ragionevolmente certa, mediante il corretto sviluppo dell'azione amministrativa, del bene sostanziale della vita collegato a un tale interesse, e comunque fermo l'ambito proprio della discrezionalità amministrativa).
Pertanto, il giudizio di spettanza del bene della vita, necessario a fini risarcitori, potrà essere condotto unicamente laddove l'Amministrazione abbia riesercitato il proprio potere discrezionale a seguito dell'annullamento giurisdizionale, riconoscendo la spettanza del bene al privato e, in tal caso, il danno sarà solo un danno da ritardo; o, deve aggiungersi, il giudizio di spettanza potrà esser condotto dal giudice amministrativo in tutte le ipotesi di c.d. esaurimento della discrezionalità amministrativa che possono ricondursi ad ipotesi di c.d. « giudicato a formazione progressiva » (Cons. Stato, Ad. Plen., 15 gennaio 2013, n. 2), ovvero di limite all'esercizio del potere in termini di c.d. one shot temperato (Cons. Stato, Sez. III, 14 febbraio 2017, n. 660).
In particolare, è onere di chi chiede il risarcimento del danno provare gli elementi della fattispecie e, per quanto attiene all'ingiustizia del danno, non tanto “dimostrare quale altro e diverso contenuto (legittimo) avrebbe dovuto e/o potuto avere l'atto impugnato”, quanto l'insussistenza delle ragioni poste a giustificazione dei provvedimenti adottati e, in particolare, della revoca, atteso il breve lasso di tempo nel quale ha prodotto effetti il provvedimento di sospensione (in termini, Cons. Stato, Sez. V, 10 febbraio 2015, n. 675, secondo cui «il giudicato di annullamento di un provvedimento amministrativo per vizi formali (quali il difetto di istruttoria o di motivazione), in quanto pacificamente non contiene alcun accertamento in ordine alla spettanza del bene della vita coinvolto dal provvedimento impugnato, non consente di fondare la pretesa al risarcimento del danno»).
Né può al riguardo invocarsi l'art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, così onerando l'Amministrazione di provare che il contenuto dei provvedimenti non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, in quanto detta previsione è funzionale a impedire l'annullamento dell'atto, non a paralizzare la domanda di risarcimento danni, rispetto alla quale è la parte istante a dover provare la sussistenza dei presupposti.
Non è infatti sufficiente affermare che i provvedimenti illegittimi hanno provocato conseguenze negative nella sfera giudica del destinatario, dovendosi anche comprovare che dette conseguenze siano ingiuste, circostanza che ricorre, in base all'impostazione dell'Adunanza plenaria n. 7 del 2021, solo in caso sia provata la lesione del bene della vita (Cons. Stato, Sez. II, 20 maggio 2019, n. 3217; Sez. III, 4 marzo 2019, n.1500; Sez. III, 9 giugno 2014, n. 2896).
Non risulta comprovato nemmeno il nesso di causalità fra i provvedimenti annullati, e più in generale la condotta dell'Amministrazione, e il danno richiesto, non essendo dimostrato che i provvedimenti annullati abbiano determinato la mancata erogazione dei finanziamenti (evento lesivo) con conseguente danno economico.
La responsabilità civile della Pubblica amministrazione non consegue automaticamente all'annullamento del provvedimento amministrativo (ovvero all'accertamento della sua illegittimità), in sede giurisdizionale (o di ricorso straordinario o di autotutela); non è infatti sufficiente il solo annullamento dell'atto lesivo (ovvero la declaratoria della sua invalidità), occorrendo la prova che dalla colpevole condotta amministrativa sia derivato, secondo un giudizio di regolarità causale, un pregiudizio direttamente riferibile all'assunzione od all'esecuzione della determinazione contra ius lesivo del bene della vita spettante all'attore; conseguentemente non spetta il risarcimento del danno quando la declaratoria di invalidità del segmento di funzione pubblica, in concreto esercitata, ne consente la riedizione con esiti liberi (Cons. Stato, Sez. II , 7 gennaio 2022 , n. 106).
La domanda di risarcimento del danno da perdita di chance non è, infine, ritenuta meritevole di accoglimento da parte del Collegio.
La risarcibilità della perdita di chance è infatti una figura elaborata al fine di traslare sul versante delle situazioni soggettive, e quindi del danno ingiusto, un problema di causalità incerta: quello cioè delle fattispecie in cui non sia possibile accertare, già in astratto e in termini oggettivi, se un determinato esito vantaggioso (per chi lo invoca) si sarebbe o meno verificato senza l'ingerenza illecita del danneggiante.
Ricorre nel caso delle procedure comparative, quali le procedure ad evidenza pubblica e le procedure concorsuali, nelle quali l'(illegittimo) impedimento a partecipare non rende apprezzabile, in astratto e in termini oggettivi, se sarebbe stato raggiunto l'esito vantaggioso, senza necessità di valutare le chances di raggiungere l'obiettivo in termini concreti, quindi valutando gli specifici elementi che ne condizionano l'ottenimento.
In tali casi vi è un insuperabile impossibilità di conoscere l'esito del procedimento in quanto la partecipazione di più soggetti a una competizione non consente di valutare, qualora un soggetto non vi abbia potuto partecipare, quale sarebbe stato l'esito finale. E ciò, comunque, sul presupposto che avesse titolo per partecipare.
Nel caso di lesione dell'interesse alla partecipazione il procedimento amministrativo non è in alcun modo ripetibile, neppure virtualmente, come invece resta possibile in caso di attività amministrativa volta all'accertamento del titolo per il mantenimento del bene della vita.
La tecnica risarcitoria della chance presuppone pertanto una situazione di fatto immodificabile, nella quale sia definitivamente preclusa all'interessato la possibilità di conseguire il risultato favorevole cui aspirava e rispetto alla quale risulti nel contempo accertata la sussistenza del titolo a parteciparvi.
Nel caso di specie, invece, difetta l'accertamento dell'ottenimento del risultato finale, il mantenimento dell'accreditamento, ma non in quanto è venuta meno la possibilità di partecipare al procedimento, atteso che questo vede come legittimato principale il destinatario del provvedimento, ma in quanto non risultano superati i motivi di merito che hanno giustificato i provvedimenti di revoca impugnati.
In conclusione, la risarcibilità deve essere esclusa in quanto il procedimento amministrativo è ripetibile. Osservazioni
L'esame delle questioni giuridiche indicate consente di svolgere alcune osservazioni.
Per quanto concerne l'ammissibilità della tutela risarcitoria, occorre osservare che in tema di azione avanti all'autorità giudiziaria amministrativa tendente ad ottenere, nei confronti della Pa, il risarcimento del danno da attività provvedimentale illegittima, il principio della non necessità della pregiudiziale impugnativa del provvedimento amministrativo, già affermato dalle Sezioni unite della Cassazione (Cass. civ., Sez. un., 16 dicembre 2010, n. 25395) con riferimento al sistema normativo conseguente alla l. 21 luglio 2000, n. 205, è confermato dall'art. 30 d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (cd. codice del processo amministrativo) secondo cui: a) l'azione di condanna della Pa può essere proposta contestualmente ad altra azione o, nei soli casi di giurisdizione esclusiva e nei casi di cui al presente articolo, anche in via autonoma (1 comma); b) può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria (2 comma); c) la domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo (3 comma).
Secondo la sentenza in commento, ai fini del risarcimento del danno conseguente all'annullamento di un provvedimento, non basta la dichiarazione di illegittimità dell'atto e l'accertamento della colpa dell'amministrazione, ma occorre che sia comprovata in modo certo la spettanza del bene della vita e la correlata lesione derivante dal provvedimento illegittimo e va verificato se l'annullamento per vizio del procedimento sia avvenuto a seguito di una illegittimità di natura formale o di carattere sostanziale; a tale rilevanza del giudizio sulla spettanza non si rinuncia nemmeno in caso di danno da ritardo.
Il risarcimento del danno non può essere avulso da una valutazione concernente la spettanza del bene della vita e deve, quindi, essere subordinato, tra l'altro, anche alla dimostrazione che l'aspirazione al provvedimento sia destinata ad esito favorevole e, quindi, alla dimostrazione della spettanza definitiva del bene sostanziale della vita collegato a un tale interesse (Cons. Stato, Sez. VI, 30 giugno 2011, n. 3887).
Restando fuori dall'area del risarcibile i vizi formali e procedimentali superabili con la rinnovazione del procedimento.
Ai fini del risarcimento del danno conseguente all'annullamento di un provvedimento amministrativo dichiarato illegittimo per vizio procedimentale va distinta l'illegittimità di carattere cd. “sostanziale” dall'illegittimità di natura “formale”, in quanto solo nel primo caso il vizio del provvedimento amministrativo costituisce titolo per il risarcimento del danno subìto dall'interessato, purché risulti comprovata, in modo certo, la spettanza del bene della vita da lui fatta valere e la correlata lesione derivante dal provvedimento illegittimo che, in quella particolare circostanza, contrasta in radice con i presupposti normativi per la sua adozione con un determinato contenuto; e, per contro, la pretesa risarcitoria non può trovare accoglimento qualora il vizio accertato non contenga alcuna valutazione definitiva in ordine al rapporto giuridico controverso, risolvendosi nel riscontro di una violazione del procedimento di formazione del provvedimento, il che avviene in particolare quando, in seguito all'annullamento dell'atto impugnato, l'amministrazione conserva intatto il potere di rinnovare il procedimento, eliminando il vizio riscontrato (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 3 dicembre 2008, n. 13; Cons. St., Sez. V, 22 gennaio 2015, n. 252).
In via generale va osservato che il danno conseguente alla lesione di interessi legittimi può essere allora riconosciuto solo con la dimostrazione della spettanza al ricorrente del bene della vita preteso nella lite, con un rilevante grado di probabilità; tale prova non può essere fornita allorché rimane integro il potere discrezionale dell'Amministrazione; infatti, l'annullamento di un atto dal quale consegue la riedizione del potere amministrativo ha come conseguenza che la domanda di risarcimento del danno causato da detto illegittimo provvedimento non può essere accolta, ove persistano a quest'ultima significativi spazi di discrezionalità amministrativa; in tale caso, dall'annullamento dell'atto non possono farsi derivare conseguenze ulteriori rispetto al ripristino della situazione preesistente e dell'attività rinnovativa dell'Amministrazione.
Il potere e la sua inesauribilità si riflettono sulla questione della spettanza del bene della vita a fini risarcitori, in modo ontologico ed inevitabile.
È tuttavia risarcibile la perdita di chance.
Sennonchè solo ove, a giudizio del giudice amministrativo, non vi sia agevole rinnovabilità delle attività amministrative o delle operazioni di gara, come nei casi di appalti ad aggiudicazione non automatica, il danno vantabile nei confronti dell'amministrazione deve essere visto unicamente nella prospettiva della perdita di chance, quale perdita, definitiva, di un'occasione favorevole di cui il soggetto danneggiato si sarebbe avvalso con ragionevole certezza, ossia nella elisione di un bene, giuridicamente ed economicamente rilevante, già esistente nel patrimonio del soggetto al momento del verificarsi dell'evento dannoso, il cui valore, però, è dato dalle sue utilità future, ovvero dalla sua idoneità strumentale a far sorgere in capo al dominus dello stesso una data e specifica situazione di vantaggio; l'illegittimità dell'atto attraverso cui si manifesta la condotta illecita non è sufficiente per fondare la responsabilità dell'amministrazione, ma è altresì necessario che l'agire della Pubblica amministrazione sia connotato dall'elemento soggettivo della colpa, che non può essere considerato in re ipsa nella violazione della legge o nell'eccesso di potere estrinsecatesi nell'adozione ed esecuzione dell'atto illegittimo (Cons. Stato, Sez. VI, 14 settembre 2006, n. 5323).
Secondo un primo orientamento (ritenuto come esemplificato dalle seguenti pronunce: Sez. III, 9 febbraio 2016, n. 559; Sez. V, 1 ottobre 2015, n. 4592) il risarcimento della chance, a fronte della mancata indizione di una gara, è condizionato dalla prova di un rilevante grado di probabilità di conseguire il bene della vita negato dall'Amministrazione per effetto di atti illegittimi.
Secondo un diverso approccio (ritenuto come esemplificato dalle seguenti decisioni: Sez. V, 1 agosto 2016, n. 3450; id. 8 aprile 2014, n. 1672, id. 2 novembre 2011, n. 5837), in circostanze analoghe, di mancata indizione della gara, va riconosciuto il risarcimento della chance vantata dall'impresa del settore.
Ciò sulla base del rilievo che, in caso di mancato rispetto degli obblighi di evidenza pubblica (o di pubblicità e trasparenza), non è possibile formulare una prognosi sull'esito di una procedura comparativa in effetti mai svolta e che tale impossibilità non può ridondare in danno del soggetto leso dall'altrui illegittimità, per cui la chance di cui lo stesso è titolare deve essere ristorata nella sua obiettiva consistenza, a prescindere dalla verifica probabilistica dell'ipotetico esito della gara.
All'esito del confronto ricostruttivo, la discriminante tra le due opposte configurazioni viene individuata nel rilievo da attribuire alla possibilità di conseguire il bene della vita illegittimamente privato dall'amministrazione e, in particolare, sul grado di probabilità statistica: quale fattore incidente sulla sola quantificazione del danno risarcibile nel primo caso e sull'an stesso del risarcimento nel secondo.
In tale contesto, mentre la teoria della chance ontologica configura tale posizione giuridica come un danno emergente, ovvero come bene giuridico già presente nel patrimonio del soggetto danneggiato, la cui lesione determina una perdita suscettibile di autonoma valutazione sul piano risarcitorio, la teoria eziologica intende la lesione della chance come violazione di un diritto non ancora acquisito nel patrimonio del soggetto, ma potenzialmente raggiungibile, con elevato grado di probabilità, statisticamente pari almeno al 50%. Si tratta di un lucro cessante.
In conclusione, il danno da perdita di “chance” consegue alla lesione “definitiva” dell'interesse pretensivo dell'impresa esclusa da una gara d'appalto, non soddisfatto attraverso il bene della vita cui il partecipante alla gara aspirava.
Tale danno (perdita di “chance”) si distingue, quindi, dalla lesione dell'interesse, che di norma viene soddisfatto in forma specifica attraverso la rinnovazione dell'esercizio del potere e che, per tale ragione (per la possibilità di una diversa forma di tutela, in forma specifica), non deve essere risarcito.
Solo dal nuovo esercizio del potere può, infatti, a rigore, derivare certezza in ordine alla spettanza del bene cui il privato aspira per la necessaria intermediazione del potere pubblico che deve essere nuovamente esercitato.
Nel caso esaminato, l'accertamento della sussistenza dei presupposti per il mantenimento del bene della vita in capo al destinatario del provvedimento non rientra fra quelli per i quali non si può determinare, con valutazione resa in astratto e in termini oggettivi (come richiesto invece in riferimento al danno per perdita di chance), che un determinato esito vantaggioso (per chi lo invoca) si sarebbe o meno verificato senza l'ingerenza illecita del danneggiante.
Dunque, per definizione, non può dirsi spettante ex ante il bene della vita rivendicato (vertendosi in ipotesi di potere discrezionale) e non può dunque trovare risarcimento l'interesse legittimo leso. |