Inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 53 l. n. 689/1981

14 Novembre 2022

Ormai modificato dalla prossima Riforma Cartabia.

Il caso. Il giudice rimettente è investito dell'opposizione avverso un decreto penale di condanna proposta dall'imputato dopo aver concordato con il pubblico ministero l'applicazione della pena di 65 giorni di reclusione, sostituiti da 4.875 euro di multa, determinata – ai sensi dell'art. 459, comma 1-bis, c.p.p. – al tasso di 75 euro per ogni giorno di pena detentiva. Tuttavia, per il giudice a quo, il criterio di ragguaglio tra pena detentiva e pena pecuniaria applicabile nella fattispecie non sarebbe quello indicato dalle parti processuali, bensì quello previsto dall'art. 53, comma 2, l. n. 689/1981 (Modifiche al sistema penale); disposizione che – attraverso il richiamo all'art. 135 c.p. – determina il tasso giornaliero nella somma minima di 250 euro, così dando luogo a una pena pecuniaria sostitutiva pari a 16.250 euro. Il giudice a quo solleva, quindi, la questione di legittimità costituzionale del citato secondo comma dell'art. 53 nella parte in cui non prevede che, nel determinare l'ammontare della pena pecuniaria in sostituzione della pena detentiva di durata sino a sei mesi, il giudice individui il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l'imputato in quello di cui all'art. 459, comma 1-bis, c.p.p. ovvero possa fare applicazione dei meccanismi di adeguamento di cui all'art. 133-bis c.p. in luogo di quello di cui all'art. 135 c.p.

Le censure del rimettente. Ad avviso del rimettente, la disciplina impugnata sarebbe irrazionale e contraria al principio di uguaglianza sostanziale e alla funzione rieducativa della pena. Ed infatti, la disposizione censurata richiama soltanto l'art. 133-ter c.p. – che permette la rateizzazione della pena pecuniaria – e non anche l'art. 133-bis c.p., che consente al giudice di diminuire la pena pecuniaria stabilita dalla legge sino ad un terzo quando, per le condizioni economiche del reo, la misura minima sia eccessivamente gravosa, sicché l'eliminazione del rinvio all'art. 133-bis c.p. precluderebbe di ridurre l'ammontare della pena pecuniaria al di sotto del minimo legale. L'attuale sistema normativo contempla due diversi criteri di ragguaglio tra pena detentiva e pena pecuniaria: da un lato, quello, più favorevole all'imputato (previsto dall'art. 459, comma 1-bis, c.p.p.), che equipara un giorno di pena detentiva a una somma compresa tra 75 e 225 euro; dall'altro lato, quello (disciplinato dall'art. 53, comma 2, l. n. 689/1981) che determina il tasso giornaliero di sostituzione della pena detentiva in una somma non inferiore a 250 euro. Secondo il rimettente, l'applicazione di tale ultimo criterio di ragguaglio darebbe luogo a pene pecuniarie eccessivamente onerose, con conseguente trasformazione della pena sostitutiva in un privilegio per persone abbienti. Inoltre, a seconda della modalità di esercizio dell'azione penale scelta discrezionalmente dal pubblico ministero, con richiesta di decreto penale di condanna, oppure con rinvio a giudizio, o, ancora, con emissione di decreto di citazione a giudizio, si produrrebbero conseguenze sensibilmente diverse, in maniera del tutto ingiustificata, sotto il profilo sanzionatorio, in netto contrasto con l'art. 3 Cost. Da ultimo, sarebbe violato anche l'art. 27, comma 3, Cost., poiché una pena pecuniaria eccessivamente onerosa rispetto alle condizioni economiche del condannato sarebbe percepita dallo stesso come ingiusta (oltre ad essere in concreto ineseguibile), e ciò vanificherebbe la funzione rieducativa.

Disciplina incostituzionale? Ci hanno già pensato sia la Consulta che il legislatore. La pronuncia in commento rileva come il giudice delle leggi sia già intervenuto, con decisione successiva all'ordinanza di rimessione del giudice a quo, sulla disciplina censurata, dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'art. 53, comma 2, l. n. 689/1981, nella parte in cui prevede che il valore giornaliero non può essere inferiore alla somma indicata dall'art. 135 c.p. e non può superare di dieci volte tale ammontare, anziché stabilire che il valore giornaliero non può essere inferiore a 75 euro e non può superare di dieci volte la somma indicata dall'art. 135 c.p. (C. cost., n. 28/2022). Peraltro, il testo del citato art. 53 è stato recentemente sostituito dall'art. 71, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 150/2022 – la cui entrata in vigore è prevista per il 30 dicembre 2022 – prevedendo una ancor più favorevole disciplina del tasso di ragguaglio tra pena detentiva e pena pecuniaria sostitutiva. A fronte del duplice intervento della Consulta e del legislatore, la questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice a quo risulta, quindi, manifestamente inammissibile, perché ormai priva di oggetto (cfr., ex plurimis, da ultimo, C. cost., n. 206/2022, n. 204/2022 e n. 172/2022).

*Fonte: DirittoeGiustizia

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