Riforma processo civile: le ordinanze provvisorie di accoglimento e di rigetto della domanda

15 Novembre 2022

Il d.lgs. n. 149/2022, al fine di realizzare la semplificazione dei procedimenti, introduce le ordinanze di accoglimento e di rigetto della domanda previste, rispettivamente, dai nuovi artt. 183-ter e 183-quater c.p.c.
Inquadramento

La riforma del processo civile (d.lgs. n. 149/2022 in attuazione della legge delega n. 206/2021), al fine di realizzare la semplificazione dei procedimenti, introduce l'istituto dell'ordinanza di accoglimento o di rigetto della domanda, da pronunciarsi, su istanza di parte, nel corso del giudizio di primo grado, nelle controversie di competenza del tribunale aventi ad oggetto diritti disponibili. Tale ordinanza è reclamabile ex art. 669-terdecies c.p.c. e, pur essendo idonea a definire il giudizio, è priva dell'autorità di giudicato. L'obiettivo di semplificazione e accelerazione della fase di decisione della causa è perseguito principalmente mediante l'omissione degli scritti difensionali, posto che, sotto il profilo degli oneri motivazionali, l'ordinanza non diverge in modo significativo dalla sentenza. Tuttavia, il carattere di provvisorietà riconosciuto dal legislatore a tale ordinanza sembra ridurne l'utilità pratica rispetto ad altri assimilabili provvedimenti già previsti nel nostro ordinamento giuridico (es. ordinanze anticipatorie di condanna o di “condanna con riserva”) e in presenza di strumenti processuali comunque in grado di assicurare un rapido iter decisorio (v. art. 281-sexies c.p.c.).

L'ordinanza provvisoria di accoglimento della domanda: il nuovo art. 183-ter c.p.c.

Al fine di garantire decisioni semplificate e più veloci, il nuovo art. 183-ter c.p.c. consente di definire la lite con l'adozione di un'ordinanza provvisoria di accoglimento della domanda.

Tale ordinanza può essere pronunciata dal giudice, su istanza di parte, nel corso del giudizio di primo grado, limitatamente alle controversie di competenza del tribunale aventi ad oggetto diritti disponibili. L'emissione dell'ordinanza è, pertanto, esclusa per i procedimenti di competenza del Giudice di Pace, per i giudizi di impugnazione e per quelli aventi ad oggetto diritti indisponibili. La previsione secondo cui l'ordinanza di accoglimento è reclamabile ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c. sembra precludere l'utilizzabilità di tale istituto per le cause ancora riservate alla decisione collegiale ai sensi del novellato art. 50-bis c.p.c.

Presupposti per l'emanazione dell'ordinanza sono il raggiungimento della prova dei fatti costitutivi della domanda e la valutazione giudiziale della manifesta infondatezza delle difese della controparte. La pronuncia di tale ordinanza è, quindi, subordinata, alla valutazione discrezionale del giudice.

Nel caso di pluralità di domande, detti presupposti devono ricorrere per tutte, tenuto conto della natura definitoria dell'ordinanza. In presenza, quindi, di c.d. domande cumulate, l'ordinanza di accoglimento non può essere adottata se sola una di esse presenti i citati requisiti.

L'ordinanza può essere pronunciata su istanza di parte.

Facendo leva sulla natura dell'ordinanza “completamente definitoria del giudizio” (v. relazione illustrativa del d.lgs. n. 149/2022) e tenuto conto della finalità acceleratoria e di semplificazione della decisione, sembra ragionevole ritenere che la disciplina in commento sia modellata sul processo avente ad oggetto una o più domande proposte dalla stessa parte, il cui accoglimento è idoneo a definire la lite. Del resto, è la stessa norma che esclude la prosecuzione del giudizio dopo la pronuncia dell'ordinanza, richiedendo la sussistenza dei presupposti citati per tutte le domande cumulate nello stesso procedimento.

In considerazione di ciò, è plausibile affermare che l'istanza possa essere avanzata dall'attore, con preclusione della pronuncia in caso di domande del convenuto (es. domande riconvenzionali, trasversali o di garanzia) o di altre parti del giudizio (terzo interveniente o terzo chiamato in causa). Tuttavia, ci si potrebbe domandare se, in presenza di più domande tra le stesse o tra diverse parti, la funzione di semplificazione della decisione possa essere attuata con riferimento alle domande autonome, mediante la separazione delle cause.

Il legislatore non precisa i termini iniziali per la presentazione dell'istanza e per la pronuncia dell'ordinanza.

Fermo restando che l'ordinanza non possa essere emessa prima della scadenza del termine per la costituzione della parte convenuta, il problema che si pone è se l'ordinanza possa o meno essere adottata anche prima della nuova udienza ex art. 183 c.p.c., tramite la fissazione di un'apposita udienza.

La circostanza che il legislatore della riforma abbia previsto espressamente il dies a quo solo per la pronuncia dell'ordinanza provvisoria di rigetto, coincidente con l'esito dell'udienza di cui all'art. 183 c.p.c., potrebbe indurre a ritenere che l'ordinanza in esame possa essere adottata in limine litis.

Tale conclusione, a parere di chi scrive, può suscitare degli inconvenienti.

Innanzitutto, l'adozione dell'ordinanza di accoglimento prima dell'udienza ex art. 183 c.p.c. può trovare un ostacolo nel reintrodotto obbligo del giudice di esperire in tale sede il tentativo di conciliazione. A ciò si aggiunge la considerazione che l'ammissibilità della pronuncia in limine litis risente della nuova forma dell'appendice scritta ex art. 171-ter c.p.c., non più condizionata alla richiesta di una delle parti o alla valutazione discrezionale del giudice (al riguardo v. Cass. n. 7474/2017; Cass. n. 4767/2016), venendo in considerazione termini previsti ex lege per tutte le parti, decorrenti (a ritroso) dalla data della prima udienza ex art. 183 c.p.c.. Ne consegue che i presupposti del raggiungimento della prova dei fatti costitutivi della domanda e di valutazione giudiziale di manifesta infondatezza delle difese della controparte potrebbero emergere già a seguito dello scambio degli atti introduttivi o in caso di rinuncia delle parti alle memorie integrative o riconoscendo al giudice il potere di valutare in limine litis se le allegazione delle parti e i documenti già prodotti consentano l'immediata decisione senza ulteriori appendici assertive e istruttorie, con necessari e notevoli adattamenti alla nuova disciplina.

Quanto al termine finale dell'istanza, nel silenzio della norma, il momento ultimo potrebbe essere quello a partire dal quale si verifica l'effettivo passaggio in decisione della causa.

Sotto il profilo dell'efficacia, l'ordinanza di accoglimento costituisce titolo esecutivo, com'è naturale giusta la finalità di soddisfare l'interesse della parte a conseguire rapidamente un titolo esecutivo. Ciò nonostante, essa non è idonea ad acquisire autorità di cosa giudicata e la sua autorità non può essere invocata in altro giudizio. È, pertanto, concreto il rischio che la parte soccombente introduca un nuovo procedimento per ottenere una decisione definitiva, con incremento del contenzioso e conseguente fallimento dell'obiettivo della riforma di riduzione dei carichi giudiziari.

Mancando l'espressa previsione di legge, l'ordinanza non è titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale. Ciò, a parere di chi scrive, riduce gli spazi di utilità processuale della decisione rispetto all'ordinanza anticipatoria di condanna di cui all'art. 186-ter c.p.c. e alla condanna con riserva ex art. 648 c.p.c..

La norma esclude la prosecuzione del giudizio dopo la pronuncia dell'ordinanza di accoglimento, avendo essa natura e scopo definitorio della lite. In tale prospettiva, l'ordinanza in commento, in caso di rigetto del reclamo o di mancata impugnazione, è idonea a definire il giudizio, perché non ulteriormente impugnabile. Per questo motivo essa deve contenere la liquidazione delle spese di lite.

Diversamente, in caso di accoglimento del reclamo, l'ordinanza sarà revocata dal Collegio e il giudizio proseguirà dinanzi ad un magistrato diverso da quello che ha pronunciato l'ordinanza reclamata, costituendo l'ordinanza manifestazione del convincimento del giudice. Ciò significa che il provvedimento in commento, seppur teso a garantire la semplificazione e l'accelerazione della fase decisoria, rischia di aggravare il carico degli uffici giudiziari, potendo investire tre giudici del Collegio e determinare il mutamento del giudice assegnatario, con conseguente compromissione dell'esigenza di speditezza del processo civile. Tale previsione sembra avvalorare, altresì, la conclusione che l'ordinanza non è adottabile per le decisioni riservate al Collegio dall'art. 50-bis c.p.c., atteso che la norma prevede espressamente che, in caso di accoglimento del reclamo, la causa prosegue dinanzi a un “magistrato” diverso.

Nell'ipotesi di rigetto dell'istanza, il giudizio proseguirà dinanzi allo stesso giudice. Tale provvedimento, non avendo natura decisoria, non è reclamabile e non deve contenere la liquidazione delle spese di lite.

Con specifico riferimento all'ambito di applicazione della norma, l'ordinanza in commento non sembra adottabile nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, dovendosene escludere la compatibilità con il decreto ingiuntivo già emesso dal giudice del procedimento monitorio e non residuando comunque margini di utilità per l'ordinanza a fronte di un provvedimento già munito della provvisoria esecuzione (ex artt. 642 e 648 c.p.c.), specie se si considera che, a norma dell'art. 655 c.p.c., il decreto dichiarato esecutivo costituisce titolo per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale, a differenza dell'ordinanza in esame.

In astratto, potrebbe affermarsi che anche la specialità del rito sia di ostacolo alla pronuncia dell'ordinanza provvisoria di accoglimento. A ciò si aggiunge la considerazione che l'art. 183-quater c.p.c., nella misura in cui sembra limitare l'applicazione dell'ordinanza provvisoria di rigetto al giudizio ordinario di cognizione (v. infra), potrebbe suggerire un'applicazione uniforme del modello decisionale in commento, limitata, quindi, al rito ordinario di cognizione. Ciò nonostante, può essere utile evidenziare che, nei processi che si svolgono secondo il rito speciale del lavoro, la tutela apprestata dall'art. 183-ter c.p.c., ove non emergano specifici profili d'incompatibilità, e sempre che residuino spazi di utilità processuale rispetto alle ordinanze anticipatorie di condanna o alla fattispecie di condanna con riserva (es. artt. 423 e 665 c.p.c.), appare comunque superflua dal momento che la legge impone la pronuncia immediata della sentenza all'udienza di cui all'art. 429 c.p.c.. La semplificazione e concentrazione che connota pure la fase decisoria del nuovo procedimento semplificato di cognizione ex art. 281-decies c.p.c. riduce in concreto l'utilità di tale ordinanza per detto modello processuale.

Più in generale, deve osservarsi che se i fatti costitutivi sono provati e le difese sono infondate è ragionevole ritenere che il giudice possa disporre la discussione orale della causa ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c., così assicurando la definizione non provvisoria della lite, senza dubbio più allettante per l'istante. Non può, invero, nascondersi che tale modello decisionale è idoneo ad azzerare lo spazio applicativo dell'ordinanza in commento. L'impressione è, quindi, quella di una scarsa utilità pratica dell'istituto.

Si potrebbe tuttavia obiettare che, a fronte di significativi rinvii dell'udienza disposti dal giudice dopo la chiusura dell'istruzione in considerazione del carico del ruolo, l'istante potrebbe avere interesse all'anticipazione della tutela esecutiva, pur nella consapevolezza che l'ordinanza non è idonea ad acquisire autorità di cosa giudicata.

Ci si potrebbe domandare allora se le complicazioni del modello decisionale in commento in termini di aggravamento dei carichi dei ruoli degli uffici giudiziari e di aumento del contenzioso rappresentino il giusto prezzo che il processo civile è inevitabilmente chiamato a pagare.

L'ordinanza provvisoria di rigetto della domanda: il nuovo art. 183-quater c.p.c.

Il nuovo art. 183-quater c.p.c., al fine di contrastare ab origine richieste pretestuose e di evitare un inutile dispendio dell'attività giudiziaria, prevede che, all'esito della prima udienza di comparizione delle parti e di trattazione della causa, il giudice, su istanza di parte, nel corso del giudizio di primo grado, possa pronunciare un'ordinanza di rigetto della domanda, limitatamente alle controversie di competenza del tribunale aventi ad oggetto diritti disponibili. L'emissione dell'ordinanza è, dunque, esclusa per i procedimenti di competenza del Giudice di Pace, per i giudizi di impugnazione e per quelli aventi ad oggetto diritti indisponibili. La previsione secondo cui l'ordinanza di rigetto è reclamabile ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c. sembra impedirne l'adozione nelle cause ancora riservate alla decisione collegiale in forza del novellato art. 50-bis c.p.c. (v. supra).

L'ordinanza di rigetto della domanda presenta dei presupposti del tutto eterogenei: la manifesta infondatezza della domanda e la nullità dell'atto di citazione per vizi dell'editio actionis non sanati. Sebbene la norma parli indistintamente di ordinanza di rigetto, è plausibile ritenere che nel secondo caso il giudizio termini con una pronuncia in rito di declaratoria di nullità della domanda.

Nel caso di pluralità di domande, detti presupposti devono ricorrere per tutte, tenuto conto della natura “completamente definitoria” dell'ordinanza. La norma, dunque, esclude tale modello decisorio in presenza di c.d. domande cumulate, nel caso in cui una sola risulti manifestamente infondata o carente di elementi identificanti il diritto azionato.

L'ordinanza può essere pronunciata su istanza di parte. L'istanza può essere avanzata dalla parte che abbia interesse al rigetto della domanda o alla declaratoria di nullità della citazione, quindi, verosimilmente dal convenuto. Nel caso in cui siano cumulate più domande, tra le stesse o tra diverse parti, valgono le considerazione sopra svolte per l'ordinanza ex art. 183-ter c.p.c.

Il termine inziale per la pronuncia dell'ordinanza coincide, per espressa previsione legislativa, con l'esito dell'udienza ex art. 183 c.p.c.. L'adozione dell'ordinanza, quindi, presuppone la cristallizzazione del thema probandum e del thema decidendum, l'esperimento del tentativo di conciliazione delle parti e la valutazione di eventuali istanze istruttorie.

Al fine di favorire l'applicazione del modulo decisorio in commento, è verosimile ritenere che l'istanza possa essere avanzata fino al momento a partire dal quale si verifica l'effettivo passaggio in decisione della causa.

La norma esclude la prosecuzione del giudizio dopo la pronuncia dell'ordinanza di rigetto della domanda, avendo essa natura e scopo definitorio della lite. Per tale ragione il giudice è tenuto alla liquidazione delle spese processuali. L'art. 183-quater c.p.c. prevede la reclamabilità della sola ordinanza di accoglimento dell'istanza, quindi di rigetto della domanda, la quale non ha valore di giudicato e non può essere fatta valere in altri giudizi. Anche in questo caso, pertanto, viene in rilievo un'ordinanza a carattere provvisorio, cui potrebbe seguire l'instaurazione di un nuovo giudizio da parte del soggetto interessato ad ottenere una pronuncia di merito sulla quale potrà formarsi il giudicato sostanziale.

Come per l'ordinanza di accoglimento della domanda, in caso di rigetto del reclamo o di mancata impugnazione, l'ordinanza in commento è idonea a definire il giudizio, in quanto non ulteriormente impugnabile. L'accoglimento del reclamo, invece, comporta la revoca dell'ordinanza e il mutamento del giudice assegnatario della causa, con aggravamento del carico dei ruoli collegiali e monocratici. Nel caso di rigetto dell'istanza, l'ordinanza, non avendo natura decisoria, non è reclamabile e non deve contenere la liquidazione delle spese di lite.

Si accennava poc'anzi che l'ordinanza in esame presenta dei presupposti del tutto eterogenei: la manifesta infondatezza della domanda e la persistente genericità dell'editio actionis.

Nella prima ipotesi, la pronuncia dell'ordinanza provvisoria di rigetto è rimessa ad una valutazione discrezionale del giudice. Tale previsione, tuttavia, sembra avere ridotti spazi applicativi in ragione della possibilità per il giudice, in presenza di una domanda manifestamente infondata, di definire il giudizio mediante il passaggio al modulo decisorio di cui all'art. 281-sexies c.p.c. all'esito dell'udienza ex art. 183 c.p.c.. Né può ritenersi che essa sia conveniente per il convenuto posto che, in assenza di giudicato, è difficile ipotizzare che la parte vittoriosa possa accontentarsi di una definizione solo provvisoria della lite.

Anche i requisiti aggiuntivi per i vizi dell'editio actionis suscitano qualche perplessità.

Va senza dubbio salutata con favore la scelta del legislatore di preservare la sanabilità dell'atto di citazione, potendo il giudice, una volta rilevata la genericità dell'editio actionis nel corso delle verifiche preliminari di cui all'art. 171-bis c.p.c., disporre la rinnovazione della citazione o, se il convenuto è costituito, l'integrazione dell'atto (art. 164, comma 5, c.p.c.).

Qualche dubbio, invece, sorge con riguardo alla previsione che, ove la nullità della citazione non sia sanata, l'ordinanza può essere pronunciata solo su istanza di parte e non d'ufficio. Difatti, il nuovo art. 183-quater c.p.c. sembra riservare alla parte interessata la scelta tra la declaratoria di nullità della domanda e la prosecuzione del giudizio con possibile sanabilità dell'atto all'interno del processo. Ci si potrebbe domandare, allora, se il giudice, in presenza di lacune della citazione non colmate e in caso di inerzia della parte interessata a far valere la nullità dell'atto, possa comunque definire il giudizio con una pronuncia di “absolutio ab instantia”. A parere di chi scrive, essendo la nullità in questione prevista in funzione di interessi che trascendono quelli del convenuto, “compromettendo lo scopo di consentire non solo al convenuto di difendersi, ma anche al giudice di emettere una pronuncia di merito sulla quale dovrà formarsi il giudicato sostanziale” (cfr. Cass. n. 6673/2018), appare preferibile la soluzione positiva. Del resto, la previsione in esame sembra lasciare impregiudicata l'applicazione dell'art. 164 c.p.c.. Se questo è vero, appare, allora, difficile comprendere l'utilità pratica di tale provvedimento, tenuto, altresì, conto del fatto che esso, non passando in giudicato, non preclude all'attore la proposizione di una nuova domanda.

Con specifico riferimento all'ambito di applicazione della norma, l'art. 183-quater c.p.c., nella misura in cui individua quale momento iniziale della decisione l'esito della prima udienza dell'art. 183 c.p.c., sembra consentire l'adottabilità dell'ordinanza solo nel modello ordinario di cognizione.

L'ordinanza di rigetto potrebbe ritenersi ammissibile anche nell'ambito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo solo riconoscendo al giudice il potere di revocare il decreto ingiuntivo precedentemente emesso, con necessari adattamenti alla disciplina vigente.

Il nuovo modello decisionale fin qui tratteggiato nelle sue linee essenziali entrerà in vigore il 30 giugno 2023 e si applicherà a tutti i giudizi instaurati dopo tale data (art. 35 d.lgs. n. 149/2022).

Certamente, le interpretazioni dottrinali e le prime applicazioni delle norme commentate offriranno l'occasione per nuove riflessioni sulle questioni segnalate.

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