Limiti di ammissibilità della prova testimoniale nei giudizi in materia di licenziamento

Diego Trigilia
15 Novembre 2022

L'ordinanza in commento affronta la questione attinente all'ammissibilità, o meno, all'interno del sistema giuridico italiano, della prova testimoniale avente ad oggetto l'esistenza scritta di un atto per il quale la forma è richiesta ad substantiam, quale la comunicazione del licenziamento.
Massima

Il licenziamento è un atto unilaterale per il quale è richiesta la forma scritta "ad substantiam", sicché non è ammissibile la prova per testi, salvo che il relativo documento sia andato perduto senza colpa, né tale divieto può essere superato con l'esercizio officioso dei poteri istruttori da parte del giudice, che può intervenire solo sui limiti fissati alla prova testimoniale dagli artt. 2721,2722 e 2723 c.c. e non sui requisiti di forma richiesti per l'atto.

Il caso

Nell'ambito di un giudizio di impugnazione del licenziamento, la società datoriale interponeva appello avverso la sentenza di primo grado, con la quale il tribunale adito – sostanzialmente confermando l'ordinanza resa all'esito della fase sommaria – ne aveva dichiarato l'inefficacia, in quanto intimato in forma orale e, conseguentemente e per l'effetto, aveva ordinato la reintegrazione nel posto di lavoro della dipendente, nonché la corresponsione del risarcimento del danno secondo un'indennità commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto, detratto l' aliunde perceptum, dei contributi previdenziali ed assistenziali, oltre oneri. Aveva rilevato il giudice di prime cure come essa società non avesse fornito prova alcuna in ordine alla forma scritta, richiesta ad substantiam per il recesso datoriale, non essendo a tal uopo ammissibile la prova per testi. La Corte d'Appello adita osservava come, nel caso di specie, non era controverso che la lavoratrice, inquadrata come dirigente, fosse stata licenziata durante una riunione all'interno dei locali aziendali, alla presenza dell'amministratore delegato e di due dipendenti, essendo invece controverse fra le parti sia la forma scritta dell'impugnato licenziamento sia le modalità della sua comunicazione; richiamando espressamente i principi, sanciti da Cass. civ. Sez. Lav., 3 giugno 2015, n. 11479, rilevava come, qualora a monte fosse stata contestata l'esistenza di una comunicazione scritta, al momento dell'estromissione del lavoratore, tale circostanza non poteva formare oggetto di prova testimoniale, poiché, diversamente, questa avrebbe costituito prova orale dell'esistenza di un atto, per il quale il requisito di forma scritta è richiesto dalla legge a pena di nullità. Rilevava, altresì, la Corte, come il suddetto divieto fosse fondato sulla lettera dell'art. 2725 c.c. e come lo stesso non fosse superabile con i pur ampi poteri istruttori del giudice del lavoro, previsti dall'art. 421 c.p.c. Avverso la sentenza di secondo grado la predetta società datoriale proponeva ricorso per Cassazione.

La questione

Sul piano processuale la principale questione di interesse, che è stata chiamata ad affrontare l'ordinanza in commento, è quella che attiene all'ammissibilità, o meno, all'interno del sistema giuridico italiano, della prova testimoniale avente ad oggetto l'esistenza scritta di un atto per il quale la forma è richiesta ad substantiam, quale la comunicazione del licenziamento.

Le soluzioni giuridiche

La decisione si fonda sul richiamo di importanti precedenti, sia con specifico riferimento alla materia giuslavoristica (Cass. civ. 3 giugno 2015, n. 11479; Cass. civ. 29 luglio 2009, n. 17614; Cass. civ. 25 agosto 2005, n. 17333), sia, più in generale, al Diritto civile e, segnatamente, alla materia contrattuale (Cass. civ. 14 agosto 2014, n. 17986; Cass. civ. 14 dicembre 2009, n. 26174).

Difatti la S.C., sul presupposto della identità della fattispecie esaminata – ovverosia l'ipotesi nella quale sia controversa la tempestiva redazione per iscritto della lettera di licenziamento, essendo a monte contestato che, al momento dell'estromissione del lavoratore, sia stato letto, mostrato o consegnato uno scritto, contenente la volontà di parte datoriale di recedere –, fonda la pronuncia di inammissibilità del proposto ricorso, sull'esplicito richiamo del summenzionato precedente del 3 giugno 2015, n. 11479. Rileva in particolare come l'art. 2725 c.c., a mente del quale «Quando, secondo la legge o la volontà delle parti, un contratto deve essere provato per iscritto, la prova per testimoni è ammessa soltanto nel caso indicato dal n. 3 dell'articolo precedente. La stessa regola si applica nei casi in cui la forma scritta è richiesta sotto pena di nullità», trova applicazione anche nelle ipotesi in cui il prescritto requisito è richiesto per gli atti unilaterali, quali, appunto, il licenziamento, in forza della estensione operata dall'art. 1324 c.c. Ne consegue, come logico corollario che, eccezion fatta per la fattispecie di cui al n. 3 dell'art. 2724 – a norma del quale la prova testimoniale è ammessa “in ogni caso”, quando il contraente dimostri di avere senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova – la sanzione della inammissibilità, rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, non può non essere comminata, come nel caso di specie, con riferimento alla prova per testi del recesso datoriale, per il quale, giova ricordarlo, l'art. 2 della l. n. 604/1966, prescrive la forma scritta a pena di inefficacia. Passaggio questo meglio esplicitato nel suddetto precedente del 2015, ove si precisa che «ai sensi dell'art. 2, commi 1 e 3, l. n. 604/1966, è stabilita per il licenziamento la “comunicazione” in forma scritta a pena di inefficacia (rectius, l'inefficacia consegue alla nullità per difetto di forma prescritta ad substantiam: cfr. Cass. 13543/2002), forma scritta che a sua volta può essere quella della lettera anche non raccomandata o di qualunque altro scritto. Il licenziamento, avendo natura recettizia, produce i propri effetti quando sia giunto a conoscenza del destinatario, conoscenza presunta ex art. 1335 c.c. quando l'atto sia pervenuto al suo indirizzo o gli sia stato materialmente consegnato a mani proprie, circostanza quest'ultima che può essere dimostrata, ad esempio, dalla sottoscrizione per ricevuta apposta in calce alla lettera medesima o anche attraverso prova testimoniale. Invero» prosegue la Corte «una cosa è la forma dell'atto contenente la manifestazione di voler recedere dal rapporto (e questa può essere solo scritta), altro è il mezzo della concreta trasmissione dell'atto medesimo (mediante corriere, servizio postale, consegna a mano)». Or quando, come nel caso di specie, sia controversa tra le parti la redazione tempestiva e per iscritto della lettera di licenziamento e non solo le modalità di trasmissione della lettera medesima, la prova orale non può supplire al difetto del requisito formale, legislativamente richiesto, e ciò proprio in forza dell'art. 2725 c.c. Tanto la pronuncia in commento quanto quella del 2015, interamente richiamata, si legano, in fondo, ad altre precedenti, che hanno trattato, più in generale nella materia contrattuale, il tema dei limiti all'ammissibilità della prova per testi, quando la parte intende dimostrare l'esistenza di un atto, che deve avere la forma scritta; in tal senso, giova ricordare Cass. civ., 14 dicembre 2009, n. 26174, secondo cui: «Per i negozi giuridici, per i quali la legge prescrive la forma ad substantiam, la prova della loro esistenza e dei diritti che ne formano l'oggetto, richiede necessariamente la produzione in giudizio della relativa scrittura, che non può essere sostituita da altri mezzi probatori e neanche dal comportamento processuale delle parti».

Da ultimo, l'ordinanza in commento affronta la questione, strettamente connessa alla precedente, consistente nella possibilità per il giudice del lavoro, in forza dei suoi ampi poteri istruttori di cui all'art. 421 c.p.c., di superare il suddetto limite alla prova testimoniale. Invero, l'anzidetto art. 421 del codice di rito, dopo avere al primo comma attribuito all'organo decidente il potere di indicare alle parti, in ogni momento, le irregolarità degli atti e dei documenti che possono essere sanate, assegnando un termine per provvedervi, riconosce al secondo comma ad esso giudice il potere di disporre l'ammissione di ogni mezzo di prova, anche fuori dei limiti stabiliti dal codice civile; ebbene, è proprio con specifico riferimento a tale ultima, ampia disposizione, che la S.C. ha cura di precisare che essa si riferisce non ai requisiti di forma previsti (ad substantiam o ad probationem) per alcuni tipi di contratti e di atti unilaterali, ma solo ai limiti fissati alla prova testimoniale, in via generale, dagli artt. 2721, 2722 e 2723 c.c. Pertanto, afferma la S.C., la società datoriale non può aggirare l'ostacolo, rappresentato dall'inderogabile art. 2725 c.c., chiedendo la prova per testi sulla esistenza di una lettera di licenziamento, dalla quale non risulti la data certa di redazione in epoca anteriore o coeva all'estromissione del lavoratore.

Osservazioni

Con l'ordinanza in commento i giudici di legittimità, sulla scorta di un orientamento consolidato, hanno colto l'occasione per rimarcare i limiti di ammissibilità della prova testimoniale, quando una parte intenda provare un negozio giuridico per il quale la legge richiede la forma scritta sotto pena di nullità, fornendo indicazioni preziose e condivisibili anche per il giuslavorista. Giova, infatti, ricordare come il tema dell'impugnazione giudiziale del licenziamento rappresenti uno degli aspetti più pregnanti del Diritto del lavoro: l'avere la S.C. affermato nuovamente l'impossibilità di fornire prova orale del recesso datoriale significa, in ultima istanza, garantire al lavoratore quelle tutele che trovano conferma da una interpretazione sistematica dell'ordinamento, con ripercussioni sia sul versante processuale sia sul versante sostanziale. Difatti, ciò che l'ordinanza in commento suggerisce è, innanzitutto, il carattere – si passi il termine – di norma “di rinvio” dell'art. 2725 c.c., la quale assolve alla funzione di trasporre in seno al processo quei requisiti di forma, che il diritto sostanziale richiede per l'esistenza di un atto realmente produttivo di effetti giuridici. Si vuol qui dire che condivisibilmente la Corte di cassazione recupera la tutela accordata al lavoratore dall'art. 2 della l. n. 604/1966, imponendo al datore di lavoro sul piano processuale un onere probatorio gravoso, non eludibile, consistente nella necessaria produzione in giudizio dell'atto di licenziamento in forma scritta: all'inefficacia sostanziale del recesso datoriale, intimato solo oralmente, fa da pendant l'inammissibilità della prova testimoniale del detto recesso.

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