Le prove illecite nei procedimenti della crisi coniugale alla luce della più recente giurisprudenza
16 Novembre 2022
Le prove illecite nel processo civile
Con l'espressione prove illecite si fa riferimento alle prove acquisite in violazione di divieti posti dalla legge, vuoi di natura processuale vuoi di natura sostanziale. All'art. 191 c.p.p. è espressamente previsto che le prove acquisite in violazione dei divieti previsti dalla legge non possono essere utilizzate, con conseguente divieto per il giudice di porle a fondamento della decisione di merito. Nel processo civile manca una norma di chiusura come quella prevista nel codice di rito penale. Tale lacuna normativa ha sollevato un dibattito dottrinale e giurisprudenziale circa il regime di utilizzabilità e valutazione nel processo civile delle prove acquisite – all'esterno del processo – in violazione di divieti di legge. Secondo un primo orientamento, dominante in dottrina e seguito da una parte minoritaria della giurisprudenza, le prove illecite non possono mai essere poste da parte del Tribunale a fondamento della decisione di merito e sono, di conseguenza, inutilizzabili (in giurisprudenza Cass. 22677/2016 in tema di file audio muniti di traduzione giurata ma illecitamente sottratti). A sostegno di tale tesi è stato osservato, in primo luogo, che la maggior parte delle prove c.d. illecite sono acquisite in violazione di norme di legge poste a presidio di diritti aventi rilievo costituzionale (si pensi alla segretezza della corrispondenza) che, come tali, sono meritevoli di tutela in ogni branca del diritto, a prescindere dall'esistenza di una norma, come quella contenuta nell'art. 191 c.p.p., che espressamente ne dispone l'inutilizzabilità. In secondo luogo, è stato osservato che il nostro ordinamento ripudia ogni forma di arbitrario e violento esercizio delle proprie ragioni, al punto che in campo penale è prevista la fattispecie criminosa di cui all'art. 392 c.p.; consentire a una parte di avvalersi di una prova acquisita illecitamente per fare valere un proprio diritto in giudizio equivarrebbe a consentirle di fare valere le proprie ragioni in modo arbitrario. In terzo luogo, si è detto che in campo civile esiste uno strumento tipico per far acquisire agli atti del processo una fonte materiale di prova di cui non si ha la detenzione, che è l'esibizione istruttoria ex artt. 210 ss. c.p.c.: perseguire lo stesso risultato probatorio con altri mezzi significa acquisire una prova scavalcando le norme processuali che ne disciplinano la formazione. La tesi contraria, minoritaria in dottrina e prevalente sia nella giurisprudenza di merito che di legittimità (Cass. civ. 21612/2013, Cass. civ. 19790/2013; Trib. Roma, 20 gennaio 2017; Trib. Milano 5103/2018), propende per la piena utilizzabilità delle prove illecite formatesi all'esterno del processo; le sole prove inutilizzabili sono quelle acquisite in violazione di divieti posti dalla legge processuale civile (si pensi alla inutilizzabilità della c.d. testimonianza scritta acquisita senza l'osservanza delle regole di legge), mentre nulla osta all'acquisizione di prove formatesi nel processo penale in violazione delle regole a quello esclusivamente applicabili (Cass. 8459/2020; Trib. Trani 17 settembre 2020). Il principale argomento speso dai sostenitori di tale tesi è quello per cui un divieto contenuto all'interno di un codice diverso da quello processuale civile non può essere esteso, in mancanza di una norma di analogo tenore, al processo civile, ispirato a principi differenti e a differenti regole di valutazione delle prove da parte del giudice. A differenza del giudice penale, infatti, il giudice civile, al di fuori delle ipotesi di prove c.d. legali, può liberamente valutare le prove ai sensi dell'art. 116 c.p.c. Il processo civile, d'altronde, come ben si evince dalla disciplina dell'onere della prova – ispirata alla regola del più probabile che non, ben diversa da quella dell'oltre ogni ragionevole dubbio propria del processo penale – è connotato da minori garanzie processuali rispetto a quello penale, tenuto conto dei diversi beni giuridici coinvolti. Resta inteso che la parte che abbia acquisito una prova in violazione di divieti di legge, pur potendola portare all'attenzione del giudice civile per provare la domanda azionata in giudizio, risponderà dell'illecito commesso nelle opportune sedi, penale piuttosto che amministrativa. Le prove illecite nei procedimenti della crisi coniugale
La questione relativa all'utilizzabilità delle prove c.d. illecite è quanto mai rilevante nell'ambito dei procedimenti della crisi coniugale. Tale questione, da sempre dibattuta, è divenuta sempre più attuale in concomitanza con la grande diffusione nell'ambito di tali procedimenti delle prove atipiche, in generale, e digitali, in particolare. Da tempo, infatti, la giurisprudenza ammette la piena utilizzabilità nel processo civile delle prove non espressamente disciplinate dalla legge e riconosce l'ingresso nel processo di prove formatesi mediante l'utilizzo di strumenti digitali, quali il computer ovvero dispositivi cellulari. Sempre più spesso la parte interessata a provare la domanda di addebito della separazione a un coniuge ovvero l'esistenza di un accordo circa le spese straordinarie da ripartire nell'interesse dei figli, in aggiunta ovvero in sostituzione alla prova orale, produce in giudizio scambi di conversazioni a mezzo posta elettronica, whatsapp, sms, registrazioni audio o video, il contenuto di social network ovvero relazioni investigative. Tali prove si formano all'esterno del processo e vi entrano secondo le norme che regolano le prove documentali. La parte interessata a contestare l'utilizzabilità della produzione potrà non solo contestarne il contenuto, ma anche, specialmente nell'ipotesi di registrazioni audio o video di cui è difficile disconoscere la paternità, eccepire la natura illecita dell'acquisizione ove la stessa sia avvenuta in violazione del contenuto di norme penali o in tema di privacy. In tali casi vi è da chiedersi, da un lato, in quali ipotesi l'acquisizione di una prova del tipo di quelle sopra menzionate sia da considerarsi illecita e, in secondo luogo, se la valutazione dell'illiceità sia demandabile incidentalmente al giudice della separazione o del divorzio ai fini dell'utilizzabilità della prova in giudizio. Le fattispecie penalmente rilevanti
Un coniuge domanda l'addebito della separazione all'altro per violazione del dovere di fedeltà e intende dimostrare che tale violazione è stata la causa esclusiva della crisi coniugale. A tal fine produce in giudizio registrazioni di conversazioni intercorse tra i coniugi o tra il coniuge e il presunto amante, estratti di conversazioni whatsapp, sms, e-mail dai quali emergono i fatti contestati. Ancora, un coniuge intende dimostrare che l'altro è titolare di conti corrente all'estero e produce corrispondenza privata proveniente dall'istituto di credito e rivolta a controparte. In quali ipotesi tali produzioni sono acquisite lecitamente e in quali casi al contrario chi le ha acquisite ha commesso un illecito? Principiando dalle registrazioni audio e video la giurisprudenza ha chiarito che l'acquisizione è lecita se chi registra è parte della conversazione (Cass. pen. 6323/1996; Cass pen. 6339/2013) e se l'azione riprodotta, pur svolgendosi in luoghi di privata dimora, può essere liberamente osservata senza ricorrere a particolari accorgimenti – come avviene, ad esempio, nel caso di riprese audiovisive effettuate agevolmente dalla pubblica via (cfr. Cass. pen. 17346/2019; Cass. pen. 18035/2012). Le registrazioni sono illecite ai sensi degli art. 617 c.p. se eseguite in luoghi di privata dimora senza il consenso dell'interessato e se il registrante non era parte della conversazione (Cass. pen. 36109/2018; Cass. pen. 5241/2016). Peraltro, ai fini della configurazione dell'illecito occorre che il mezzo usato per la captazione della conversazione sia fraudolento, ossia idoneo a escludere in capo al “registrato” la percezione della captazione. Con specifico riferimento ai procedimenti di famiglia, la giurisprudenza ha chiarito come il reato di interferenze illecite si configura sempre nel caso di indebita registrazione, da parte di un coniuge, di conversazioni che, in ambito domestico, l'altro coniuge intrattenga con un terzo (cfr. Cass. pen. 39827/2006) ovvero che siano intercorse tra un coniuge e i figli minori della coppia, i quali possono opporre ai genitori una propria sfera di riservatezza (Cass. pen. 41192/2014). Si configura il più grave reato di cui all'art. 617-bis c.p.ove la conversazione sia stata acquisita mediante installazione di un dispositivo di intercettazione, a condizione che lo stesso sia idoneo a captare le conversazioni di entrambi gli utilizzatori del telefono (Cass. pen. 4926/2008 ha escluso l'integrazione del reato in ipotesi di occultamento all'interno di un'autovettura di un telefono cellulare in grado di intercettare le conversazioni intercorse tra le persone a bordo). Per quanto riguarda le fotografie ove chi le produce in giudizio le abbia scattate direttamente l'acquisizione è lecita se la fotografia è stata scattata in luoghi pubblici o aperti al pubblico, illecita ai sensi dell'art. 615-bis c.p. se è stata scattata in luoghi privati senza il consenso dell'interessato (Cass. civ. 16647/2014; Cass. pen. 7361/2012). Le medesime fattispecie penali si applicano anche agli investigatori privati autorizzati che abbiano scattato fotografie nel corso dell'attività di osservazione (Cass. pen. 41021/2012). Un discorso diverso riguarda l'ipotesi in cui la documentazione - fotografie, messaggi di posta elettronica, sms e messaggi whatsapp - sia stata acquisita da un dispositivo ove era custodita. In tal caso l'acquisizione è lecita se il dispositivo non era protetto da chiavi di accesso, illecita ai sensi dell'art. 615-ter c.p. se il dispositivo era protetto da chiavi di accesso quali password. La giurisprudenza peraltro è ormai pacifica nel ritenere che il reato si configura anche nell'ipotesi in cui il titolare del diritto di accedere al dispositivo vi si sia trattenuto o l'abbia impiegato per scopi diversi da quelli per cui era titolare della password (Cass. S.U., n. 17325/2015) e che l'accesso al sistema informatico altrui non è scriminato neppure dall'esercizio del diritto di difesa nel caso in cui il reo assuma di aver violato la norma penale al solo scopo di ottenere informazioni utili alla propria difesa in giudizio (cfr. Cass. pen. 52075/2014: la parte che dovesse accedere abusivamente al sistema informatico dell'altro coniuge allo scopo di acquisire informazioni utili alla propria difesa nel procedimento “familiare” non potrà invocare, ove chiamato a rispondere della sua condotta in sede penale, la scriminante dell'esercizio di un diritto; Cass. pen. 14627/2017 ha chiarito come commette il reato di cui all'art. 615-ter c.p. il marito che accede al conto on line della moglie ove la stessa abbia revocato la delega a operare sul medesimo; Cass. pen. 2905/2018 che ha chiarito come risponde del reato di cui all'art. 615-ter c.p. il coniuge che accede alla pagina Facebook della moglie utilizzando i suoi user name e password in mancanza del consenso attuale all'utilizzo). Con specifico riferimento alla corrispondenza cartacea o telematica la giurisprudenza ha chiarito che la produzione è lecita se riguarda le parti del processo mentre è illecita ai sensi dell'art. 616 c.p. se riguarda soggetti terzi (App. Ancona 601/2021; Cass. pen. 47096/2007 con specifico riferimento alle e-mail). La condotta è scriminata da una giusta causa solo se non vi è altro strumento per contestare le richieste di controparte, quali l'ordine di esibizione (Cass. pen. 952/2017 in tema di sottrazione di corrispondenza bancaria di un coniuge). La violazione delle norme in materia di privacy
La produzione di immagini, corrispondenza o messaggi in giudizio oltre a essere suscettibile di integrare fattispecie penalmente rilevanti può anche dare luogo a una violazione delle norme in tema di privacy, attualmente contenute nel d.lgs. 196/2003 come modificato dal d.lgs. 101/2018. La giurisprudenza ha chiarito come la produzione di dati personali in giudizio può violare le norme in tema di riservatezza affermando, tuttavia, che le disposizioni che regolano il processo hanno natura speciale, e quindi sovraordinata, rispetto a quelle in materia di protezione dei dati personali: è dunque il giudice che effettua il bilanciamento tra le opposte esigenze (Cass. civ. SS. UU. 3034/2011). Tale principio è stato oggi codificato all'interno dell'art. 160-bis d.lgs. 196/2003 che sancisce espressamente che la validità, l'efficacia e l'utilizzabilità nel procedimento giudiziario di atti, documenti e provvedimenti basati sul trattamento di dati personali non conforme a disposizioni di legge o di Regolamento restano disciplinate dalle pertinenti disposizioni processuali. In linea generale è ammessa l'indicazione di dati personali anche sensibili se necessari per esercitare il diritto di difesa (Cass. civ. 39531/2021; Cass. pen. 35296/2011); in tal caso occorre tuttavia l'autorizzazione del Garante della privacy che, proprio per ovviare all'inconveniente di obbligare gli interessati a richiedere ogni volta il consenso prima di agire in giudizio, ha rilasciato l'autorizzazione generale al trattamento dei dati sensibili da parte dei liberi professionisti, n. 4/2016 emessa dal Garante il 15 dicembre 2016, che contiene le regole generali a cui gli avvocati devono attenersi. La disciplina relativa all'utilizzo dei dati sensibili e sensibilissimi a fini giudiziari è oggi contenuta all'interno dell'art. 2-duodecies del d.lgs. 196/2003. I casi di più grave violazione della disciplina sono sanzionati da una disposizione penale (art. 167 d.lgs. n. 196/2003) che, tuttavia, tra i presupposti presenta sia il dolo specifico di trarre per sé o per altri un vantaggio o di recare un danno, sia la circostanza concreta di avere poi davvero causato effettivamente un danno. Tanto chiarito in ordine alla casistica giurisprudenziale relativa alla rilevanza penale e amministrativa dell'acquisizione di prove rilevanti nei procedimenti della crisi coniugale, vi è da chiedersi se la valutazione dell'illiceità sia demandabile incidentalmente al giudice della separazione o del divorzio ai fini dell'utilizzabilità della prova in giudizio. La giurisprudenza maggioritaria, collocandosi nel solco della tesi al momento dominante e sopra esposta, ritiene che le prove illecite siano utilizzabili e liberamente valutabili da parte del giudice della separazione o del divorzio a norma dell'art. 116 c.p.c. In tema di registrazioni audio la Corte di Appello di Reggio Calabria n. 345 del 11.05.2022 ha ritenuto utilizzabili le registrazioni di conversazioni tra la moglie e il presunto amante acquisite tramite il telefono cellulare del figlio lasciato nell'auto dove la donna ha chiamato l'amante, prodotte in giudizio dal marito che aveva peraltro anche riportato le parole oggetto della conversazione all'interno della comparsa di costituzione in giudizio. La moglie, peraltro, in sede di interrogatorio aveva riconosciuto la propria voce. Non sono mancate tuttavia pronunce di segno contrario. Cass. 22677/2016, sopra citata, ha p.e. escluso l'utilizzabilità di files audio illecitamente sottratti a una parte al fine di decidere la domanda di affidamento della prole, peraltro affermando in un obiter che le altre prove acquisite agli atti erano di per sé sufficienti ai fini della decisione. Ancora in materia di fotografie Trib. Larino 09 agosto 2017 n. 398 ha rigettato la domanda di addebito della separazione a un coniuge sancendo l'inutilizzabilità della fotografia prodotta dall'altro e assunta in violazione delle norme in tema di privacy (nello specifico si trattava di dati aventi natura sessuale), a nulla rilevando il fatto che le foto fossero accessibili da parte del coniuge in quanto aveva accesso al computer. In tema di social network Trib. Santa Maria Capua Vetere 13 giugno 2013 ha sancito l'utilizzabilità della produzione solo ove lecita, ossia se relativa a informazioni accessibili a terzi (sebbene «amici» sui social). Non è peraltro mancato un terzo orientamento, che potremmo definire mediano, che distingue a seconda che la violazione abbia o meno ad oggetto diritti di cui le parti potevano disporre, ritenendo sempre utilizzabile la prova ove l'acquisizione sia volta a tutelare diritti indisponibili. Si inserisce in tale solco la pronuncia del Trib. Roma, 20.01.2017 che, al fine di decidere la domanda di affidamento esclusivo di una minore, ha ritenuto utilizzabili video illecitamente acquisiti in quanto l'oggetto della prova ineriva condotte paterne pregiudizievoli per gli interessi della figlia, ambito in cui i poteri d'ufficio riconosciuti al giudice superano i limiti del principio dispositivo, consentendo al Tribunale di valutare ogni elemento utile nel superiore interesse del minore. A parere di chi scrive se è vero che la tutela dei diritti aventi rilievo costituzionale, quali la segretezza della corrispondenza o l'inviolabilità del domicilio, è immanente all'ordinamento, vero è anche che l'accertamento della responsabilità penale o amministrativa in relazione a un determinato comportamento presuppone una valutazione non demandabile al giudice della famiglia. La commissione di un reato richiede infatti l'accertamento della sussistenza dell'elemento soggettivo e oggettivo secondo le norme proprie del processo penale. Resta inteso che il giudice della famiglia, pur ritenendo utilizzabile la prova, dovrà valutarla ai sensi dell'art. 116 c.p.c. secondo il suo prudente apprezzamento, tenendo in particolare conto del contesto in cui la prova è stata acquisita e degli ulteriori elementi acquisiti al processo. Chi acquisisce una prova in vista di un giudizio civile dovrà in ogni caso valutare attentamente le modalità di acquisizione poiché – pur potendo la stessa essere valutata dal giudice civile – l'autore risponderà penalmente o in sede amministrativa del fatto commesso ove tenuto in violazione di norme penali o amministrative. Conclusioni
L'avvento dei moderni strumenti tecnologici pone sempre nuovi quesiti cui i giudici di merito e di legittimità sono chiamati a dare risposta, tra cui l'utilizzabilità nel procedimento civile di prove acquisite in violazione di norme proprie di altre branche del diritto. A quali principi deve dare preminenza il Giudice della famiglia? Alle specificità proprie del processo civile, alla tutela di diritti indisponibili ovvero di altrettanti diritti coperti da norme costituzionali? La giurisprudenza maggioritaria valorizza le prime, nondimeno non sono mancate pronunce maggiormente attente alla ratio sottesa ai divieti posti da altre norme dell'ordinamento giuridico. |