Riforma delle BCC: alla CGUE la verifica della compatibilità del “prezzo” del conferimento delle aziende bancarie con i princìpi europei
18 Novembre 2022
Introduzione
La Corte di Cassazione - con ordinanza interlocutoria n. 29634/2022 -, esclusa la possibilità di un'interpretazione conforme al diritto dell'Unione di alcune disposizioni nazionali, a causa della loro “formulazione rigida”, ha rimesso alla Corte di Giustizia dell'Unione europea lo scrutinio della compatibilità, con i princìpi europei di libera circolazione dei capitali (art. 63 TFUE) e di salvaguardia del mercato (artt. 101, 102, 120 e 173 TFUE), dell'art. 2, commi 3-ter e 3-quater, d.l. 14 febbraio 2016, n. 18 (Misure urgenti concernenti la riforma delle banche di credito cooperativo […]), come convertito, secondo cui la banca di credito cooperativo che possieda un patrimonio netto superiore a 200mln di euro, qualora opti per il conferimento dell'azienda bancaria ad una S.p.a. (c.d. way out), in luogo dell'adesione ad un gruppo bancario cooperativo, deve versare al bilancio dello Stato un importo pari al 20 per cento del patrimonio netto. La vicenda
Inserito nel fitto ordito del riassetto organizzativo delle banche di credito cooperativo (nel prosieguo “BCC”) secondo due modelli alternativi – quali l'adesione ad un gruppo bancario cooperativo (nel prosieguo “GBC”), per le BCC prive di adeguata consistenza patrimoniale, o il conferimento dell'azienda bancaria ad una società per azioni, per le BCC con patrimonio “sopra soglia” (non inferiore a 200 mln di euro) – il contenzioso illustrato in questo breve scritto si è fin qui dipanato innanzi ad alcuni organi della giurisdizione italiana, per approdare, infine, al cospetto dei Giudici di Lussemburgo.
L'accaduto si riassume in poche battute.
L'Ente Cambiano Società Cooperativa per Azioni (nel prosieguo “Ente Cambiano”, “Ente” o “BCC”) versò all'Erario euro 54.208.740,00, pari al 20 per cento del suo patrimonio netto al 31 dicembre 2015, esercitando così l'opzione di cui all'art. 2, comma 3-bis, del d.l. 14 febbraio 2016, n. 18, convertito con modificazioni dalla legge 8 aprile 2016, n. 49, della c.d. way out, cioè la possibilità per le banche di credito cooperativo aventi alla predetta data un patrimonio netto superiore a 200 milioni di euro, di conferire l'azienda bancaria ad una società per azioni, anche di nuova costituzione, autorizzata all'esercizio dell'attività bancaria, modificando il proprio statuto in modo da escludere l'esercizio dell'attività bancaria e mantenendo nel contempo le clausole mutualistiche di cui all'art. 2514 c.c., assicurando ai soci servizi funzionali al mantenimento del rapporto con la società per azioni conferitaria di formazione ed informazione sui temi del risparmio e di promozione dei programmi di assistenza. L'Ente chiese il rimborso all'Agenzia delle entrate, e, quindi, impugnò il silenzio-rifiuto formatosi su tale istanza dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Firenze, che rigettò il ricorso. Sfavorevole alla BCC fu anche il giudizio di appello, radicatosi avanti alla Commissione tributaria regionale della Toscana.
L'Ente Cambiano ha proposto ricorso per cassazione con il quale, in primo luogo, ha messo in discussione la tenuta rispetto ai princìpi della Costituzione del suddetto prelievo del 20 per cento del suo patrimonio netto quale condizione per l'opzione del conferimento dell'azienda bancaria in una S.p.a.. Ha chiesto, pertanto, alla S.C. di sollevare questione di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 3, 42, 45 e 53 Cost., nonché all'art. 1 del Protocollo n. 1 addizionale alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, in tema di protezione della proprietà, in relazione agli artt. 45, 47 Cost., per violazione dei valori della cooperazione, della solidarietà, e della tutela del risparmio, nonché in relazione agli artt. 41 e 47 Cost., 16 della c.d. Carta di Nizza, per il vulnus inflitto dal tributo in contestazione alla libertà di iniziativa economica dello stesso Ente, ed infine per violazione delle norme costituzionali (artt. 41 e 117 Cost.) a presidio della libera concorrenza.
In secondo luogo, da una diversa prospettiva giuridica, la ricorrente ha lamentato l'incompatibilità del prelievo a favore dell'Erario con il diritto dell'Unione europea e, in via gradata all'istanza di disapplicazione della disposizione che subordina l'esercizio della succitata opzione al versamento dell'imposta sopra indicata, ha chiesto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE, per violazione dei princìpi sovranazionali di libera concorrenza e di salvaguardia del mercato, nonché di libera circolazione dei capitali. L'ordinanza della S.C. n. 13484 del 2 luglio 2020
La Sezione tributaria della S.C., con ordinanza interlocutoria n. 13484/2020, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni della riforma delle BCC infra richiamate, per violazione degli artt. 3, 41, 45, 47 e 53 Cost., prendendo le mosse dalla ricostruzione della ratio dell'intervento legislativo che, a giudizio della rimettente, è volto al superamento degli aspetti critici della previgente disciplina, concernenti le debolezze strutturali e organizzative del settore del credito cooperativo. La riforma (esaminata, in questa breve nota, nel suo assetto definitivo, conseguente alla conversione in legge dell'originario d.l. n. 18 del 2016) ha inteso porre rimedio a tali debolezze delineando tre “modelli organizzativi” (disciplinati dall'art. 2, d.l. n. 18 del 2016, come convertito) quali: (i) l'adesione al c.d. gruppo bancario cooperativo (art. 2, comma 2), ex artt. 37 e 38 T.U.B., che consiste nella sottoscrizione delle azioni di una S.p.a. capogruppo, partecipata dalle BCC, con un patrimonio netto non inferiore a un mld di euro, dotata di poteri di direzione e di coordinamento delle BCC ad esso affiliate (1); (ii) la delibera di trasformazione in società per azione (in alternativa all'ipotesi della messa in liquidazione dell'Ente) (art. 2, comma 3); (iii) la scelta riservata alle BCC più ricche, ossia in possesso (al 31 dicembre 2015) di un patrimonio netto superiore a 200 mln di euro, di conferire l'azienda bancaria ad una S.p.a. (anche di nuova costituzione), pur congiuntamente ad altre BCC meno solide sul piano patrimoniale (art. 2, comma 3-bis), a condizione (art. 2, comma 3-ter) che, all'atto del conferimento, la BCC conferente versi al bilancio dello Stato un importo pari al 20 per cento del suo patrimonio netto al 31 dicembre 2015 (2).
La Corte condivide i rilievi sollevati dall'Ente Cambiano in ragione del fatto che le norme che disciplinano il modello del conferimento sarebbero in contrasto con i princìpi costituzionali in precedenza richiamati. Per la S.C - esclusa, in adesione alla sentenza di appello, «la paventata natura espropriativa» dell'esborso correlato alla “terza opzione” (c.d. way out o “conferimento”), per la volontarietà dell'adesione al relativo modulo organizzativo operata dalla BCC, e sul presupposto, pure enunciato dalla sentenza di appello, che detto prelievo sia un'imposta sul patrimonio netto dell'impresa - la questione di legittimità costituzionale delle dette norme rispetto agli artt. 3, 41, 45, 47 e 53 Cost. si rivela non manifestamente infondata.,
Innanzitutto, osserva la Corte, in rapporto agli artt. 3 e 53, Cost., necessita di verifica la ragionevolezza dell'imposizione con riferimento alla stessa ratio del riordino del settore delle BCC, in difetto di uno specifico indice di capacità contributiva che giustifichi la destinazione del prelievo alla fiscalità generale.
Ugualmente, per la Corte, deve essere scrutinata la conformità della normativa in esame sia al principio di libertà di iniziativa economica privata, quale fondamento costituzionale del principio di concorrenza (art. 41, primo comma, Cost.), sia al principio del riconoscimento della funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata (art. 45, primo comma, Cost.). Infatti, posto che il prelievo (in base alla versione definitiva delle cennate disposizioni, scaturita dalla conversione in legge dell'originario d.l. n. 18 del 2016), ha perso la funzione di affrancamento, in vista della mera trasformazione della BCC in società per azioni, delle riserve indivisibili altrimenti da devolvere ai fondi mutualistici, tale imposizione – che permane nonostante il conferimento dell'azienda bancaria ad una S.p.a. – a carico di un ente che appartiene al mondo cooperativo a mutualità prevalente, pare collidere con il riconoscimento costituzionale della funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità. L'ipotesi di incostituzionalità della nuova disciplina è corroborata dal fatto che il prelievo in discorso grava su una banca dotata di una consistenza patrimoniale tale da garantire la competitività nel comparto bancario della stessa BCC a prescindere dall'adesione al GBC, ipotizzata dal legislatore come “via maestra” della riforma del settore del credito cooperativo.
Da un'ultima angolazione giuridica, osserva il Collegio rimettente, il tributo introdotto dalla riforma delle BCC pare ledere il principio di tutela del risparmio, che la Repubblica incoraggia e tutela in tutte le sue forme (art. 47, primo comma, Cost.), per la scelta del legislatore di assoggettare ad esso l'adesione ad un modulo imprenditoriale (id est la formula c.d. way out) piuttosto che ad un altro, nel quadro del medesimo settore del credito cooperativo (3). La sentenza della Corte Cost. n. 149 del 2021
La Corte Costituzionale ha disatteso i rilievi critici sulla riforma delle BCC sopra indicati, articolando il proprio giudizio lungo le direttrici tracciate dalle tre distinte questioni di legittimità prospettate dalla Cassazione.
Per cominciare, in relazione alle questioni concernenti la violazione degli artt. 41 e 45 Cost. – e quindi la verifica della compatibilità della contestata disciplina con la tutela costituzionale della cooperazione a carattere di mutualità e con il principio di concorrenza - la Corte si sofferma sulla ratio della riforma delle BCC e sull'assetto degli interessi che vengono in gioco durante la fase transitoria del riordino normativo in esame. Ed osserva che un ruolo fondamentale, nell'impianto del d.l. n. 18 del 2016, come convertito, assume il modello del gruppo bancario cooperativo, considerato dal legislatore la formula strutturale idonea sia a ridurre il deficit competitivo e patrimoniale delle BCC, sia a superare le criticità di governance delle società cooperative. In sede di conversione del d.l. n. 18 del 2016 è stata profondamente innovata la diversa soluzione alternativa, per le BCC con patrimonio netto superiore a 200 mln di euro. In base all'art. 2, comma 3-bis, invece di trasformarsi in banca lucrativa, perdendo le caratteristiche della mutualità prevalente, la cooperativa sopravvive, conservando tali caratteristiche, ma conferisce l'azienda bancaria (da sola o insieme ad altre BCC) ad una S.p.a. (preesistente o di nuova costituzione) autorizzata all'esercizio dell'attività bancaria.
L'art. 2, comma 3-ter, stabilisce che, all'atto del conferimento, la BCC versa al bilancio dello Stato un importo pari al 20 per cento del patrimonio netto, il quale – e sta in ciò il fulcro della decisione del Giudice delle leggi – per le BCC con patrimonio netto “sopra soglia”, si configura come (cfr. punto 4. della sentenza) «il “prezzo” da pagare per avvalersi dell'opportunità offerta dall'ordinamento di non adire ad un gruppo bancario cooperativo senza per questo dover devolvere il patrimonio ai fondi mutualistici, e per poter acquisire invece esse stesse il controllo della spa bancaria conferitaria, com'è avvenuto nel caso della BCC di Cambiano». L'obbligo di versamento dell'indicato importo assolve alla funzione di disincentivo della scelta (che pure è ancora offerta) alternativa all'adesione al gruppo bancario, così assicurando a quest'ultima la veste di scelta privilegiata dal legislatore.
La disciplina censurata, diversamente da quanto asserisce la S.C., non sacrifica irragionevolmente la funzione sociale della cooperazione, ma collima con la scelta del legislatore di salvaguardia e promozione del credito cooperativo perché contribuisce, (ibidem) «attraverso la forza disincentivante dell'obbligo di versamento», alla realizzazione dell'obiettivo generale di garantire la solidità patrimoniale delle BCC e di superarne il deficit competitivo nel settore bancario (4).
Pure infondata, a parere della Consulta, è la questione concernente la violazione degli artt. 3 e 53 Cost. che, secondo la prospettazione del rimettente, sarebbe connessa al difetto di uno specifico indice di capacità contributiva idoneo a giustificare l'imposizione e la compatibilità dell'imposta con i parametri costituzionali fissati, appunto, dagli artt. 3 e 53 Cost.
Non si tratta, infatti, di una “imposta straordinaria” come si evince, a tutta prima, dall'indizio testuale del nomen iuris utilizzato dal legislatore che fa riferimento al versamento di un importo pari al 20 per cento del patrimonio netto, senza qualificarlo come “imposta straordinaria”. D'altra parte, per la Corte, l'argomento testuale è confermato dalla natura sostanziale del prelievo che non ha gli elementi indefettibili della fattispecie tributaria, come enucleati dal costante orientamento della stessa Corte, (individuabili in una disciplina legale diretta a determinare una definitiva decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo, che non integra una modifica di un rapporto sinallagmatico, e nella destinazione delle risorse a sovvenire a pubbliche spese). In altre parole, si deve trattare di un prelievo coattivo, finalizzato al concorso alle pubbliche spese e posto a carico di un soggetto passivo in base ad uno specifico indice di capacità contributiva. Nella specie, ad avviso della Corte, (cfr. punto 5.2.1.) «[m]anca […] il requisito della natura coattiva del prelievo che si esprime in primo luogo nel diritto alla sua riscossione forzosa. La decurtazione patrimoniale è definitivamente provocata, in questo caso, solo dallo spontaneo versamento dell'importo, eseguito dalla conferente per ottenere i vantaggi perseguiti, mentre la sua omissione non fa sorgere alcuna pretesa impositiva, semplicemente impedendo la realizzazione dell'interesse della conferente stessa» (5). I comportamenti della BCC conferente, che il legislatore definisce come “obblighi” da osservare (ai sensi dei commi 3-ter e 3-quater, dell'articolo 2), (ibidem) «si configurano come oneri collegati all'esercizio di una determinata opzione […] che la conferente è tenuta ex lege ad assolvere, ove intenda realizzare il suo interesse a non aderire a un gruppo bancario cooperativo, evitando, al contempo, di trasformarsi essa stessa in una spa e di devolvere conseguentemente il proprio patrimonio ai fondi mutualistici». Sicché, in ultima analisi, rispetto ad un simile prelievo, l'invocato parametro di cui all'art. 53 Cost. si appalesa inconferente per il nesso inscindibile con la materia dell'imposizione tributaria in senso stretto.
Identica sorte incontra la terza e ultima questione, con la quale si lamenta la violazione del principio di tutela del risparmio (art. 47 Cost.), che (lo ha chiarito la Corte in diverse pronunce) è principio programmatico cui il legislatore deve ispirarsi, bilanciandolo con altri interessi di rango costituzionale, nell'esercizio di un potere discrezionale che è soggetto al solo limite della contraddizione del principio stesso. Nel nostro caso il bilanciamento operato dal legislatore non si pone in contraddizione con il principio di tutela del risparmio anche perché, sottolinea la Corte (cfr. punto 5.3.), «[l]'assunto per cui il prelievo graverebbe sulla scelta fra due moduli equiparati non tiene conto del fatto che invece la soluzione scoraggiata comporta l'uscita dell'impresa bancaria da tale settore e la sua continuazione in forma di spa» (6). Le vivide perplessità della dottrina tributaria
La sentenza n. 149 del 2021 è stata sonoramente bocciata dalla dottrina del diritto tributario, la quale ha posto l'accento sulle stridenti aporìe dell'intero ragionamento della Consulta (7).
Si è acutamente notato che la Corte (nel disattendere le questioni indicate dalla Cassazione), non ha colto che, a fronte della continuità di “causa mutualistica” della BCC conferente e della permanenza in capo ad essa delle riserve indivisibili, la mancata devoluzione del patrimonio netto ai fondi mutualistici è del tutto fisiologica. Per questa ragione non sarebbe corretta l'affermazione, nella sentenza n. 149 del 2021, secondo cui il versamento al bilancio dello Stato per le BCC con patrimonio netto “sopra soglia” sarebbe il “prezzo” da pagare per avvalersi dell'opportunità offerta dall'ordinamento di non aderire ad una holding, senza per questo devolvere il patrimonio ai fondi mutualistici (8).
Per la stessa dottrina, la vera nota dolente della sentenza «riguarda […] il dribling che la Corte fa per (non) esaminare la censura riguardante la violazione degli artt. 3 e 53 Cost.». Infatti, la Corte, distaccandosi dalla prospettazione pacifica del giudice rimettente, condivisa persino dalla difesa erariale, circa la natura tributaria del prelievo, ne esclude il carattere coattivo, in difetto del diritto alla riscossione coattiva da parte del Fisco. È censurata la fallacia argomentativa della sentenza, che investe il profilo qualificatorio, il profilo della riscossione coattiva e quello della destinazione del prelievo alle pubbliche spese. In particolare, in relazione al “profilo qualificatorio”, la sentenza trascura che, per consolidata giurisprudenza della Corte, la natura “coattiva” risiede nell'essere il prelievo istituito con un atto dell'autorità, senza che l'obbligato vi abbia concorso (9).
La Corte – chiosa l'Autore – avrebbe confuso la “coattività”, intesa come istituzione con atto di autorità, con la realizzazione “coattiva” della pretesa tributaria. Con l'effetto che, negata la coattività della decurtazione patrimoniale conseguente alla scelta da parte della BCC del modulo organizzativo della c.d. way out, quelli che la legge definisce come “obblighi” della conferente, sarebbero, a giudizio della Consulta, «oneri collegati all'esercizio di una determinata opzione». Lo stesso prelievo andrebbe qualificato come “onere condizionale”, ma tale definizione – così conclude la nota a sentenza - «rappresenta un'invenzione allo stato puro della Corte, all'evidente fine di aggirare l'altrimenti ineludibile incostituzionalità di quella […] “imposta” sul patrimonio netto della BCC ribelle» (10). L'ordinanza della S.C. n. 29634 dell'11 ottobre 2022
All'indomani della pronuncia della Corte Costituzionale – la quale, come si è visto, ha escluso la contrarietà ai princìpi della nostra Carta fondamentale del modello organizzativo del conferimento ad una S.p.a. dell'azienda bancaria delle BCC patrimonialmente più solide - la controversia tra l'Ente Cambiano e l'Amministrazione finanziaria (nel prosieguo “A.F.”) è tornata all'attenzione alla Sezione tributaria della S.C., la quale - giusta ordinanza interlocutoria n. 29634/2022 - in aderenza all'istanza (gradata) della contribuente (la quale, in via principale, aveva chiesto la disapplicazione del diritto interno per incompatibilità con il diritto dell'Unione), ha rimesso alla Corte di Giustizia UE una questione pregiudiziale interpretativa (art. 267 TFUE), al fine di acclarare:
«se gli arti. 63 e ss., 101, 102, 120 e 173 del TFUE ostino ad una disciplina nazionale che, come l'art. 2, commi 3-ter e 3-quater, decreto-legge 14 febbraio 2016, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 aprile 2016, n. 49, nella versione, applicabile ratione temporis, condizioni, al versamento di una somma pari al 20 per cento del patrimonio netto al 31 dicembre 2015, la possibilità per le banche di credito cooperativo aventi alla data del 31 dicembre 2015 un patrimonio netto superiore a 200 milioni di euro, in luogo dell'adesione ad un gruppo, di conferire l'azienda bancaria ad una società per azioni, anche di nuova costituzione, autorizzata all'esercizio dell'attività bancaria, modificando il proprio statuto in modo da escludere l'esercizio dell'attività bancaria e mantenendo nel contempo le clausole mutualistiche di cui all'art. 2514 c.c., assicurando ai soci servizi funzionali al mantenimento del rapporto con la società per azioni conferitaria di formazione ed informazione sui temi del risparmio e di promozione dei programmi di assistenza» (11).
Questo, nei suoi tratti essenziali, il percorso argomentativo seguito dalla S.C.:
1. l'Ente Cambiano deduce la violazione dei princìpi di libera concorrenza e di salvaguardia del mercato (artt. 101, 102, 120, 173 TFUE), del principio di libera circolazione dei capitali (art. 63 TFUE), meglio specificato dalla Direttiva 2008/7/CE del 12 febbraio 2008, «concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali», che recepisce la Direttiva 69/335/CEE del 17 luglio 1969, la quale afferma, come regola, la neutralità degli atti di conferimento, la violazione e/o falsa applicazione della Direttiva 2009/133/CE del 19 ottobre 2009, «relativa al regime fiscale comune da applicare […] ai conferimenti d'attivo [...] concernenti società di Stati membri diversi», estesa dall'art. 176 del d.P.R. n. 917 del 1986 (TUIR), onde evitare «discriminazioni alla rovescia», anche ai conferimenti d'azienda “domestici”, i quali (di regola) devono essere sottoposti dagli ordinamenti nazionali ad un ordinario regime di neutralità fiscale, stante il rilievo meramente organizzativo di tali operazioni (12);
2. il prelievo lederebbe il principio di libera circolazione dei capitali perché esso penalizza ingiustificatamente proprio gli istituti di credito cooperativo più solidi, in quanto tali capaci di attrarre investimenti in capitale proveniente da altri Stati membri. E ciò alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia (sentenza 16 luglio 2020, causa C-686/18, OC e altri c. Banca d'Italia e altri, punti 101 - 104), la quale, con riferimento alla normativa nazionale (art. 29 del d.lgs. n. 385 del 1993) che impedisce alle banche costituite in cooperative di avere un attivo che supera 8 miliardi di euro, (cfr. pag. 13 dell'ordinanza della S.C.) «ha precisato che devono ritenersi “restrizioni”, ai sensi dell'art. 63, paragrafo 1, TFUE, i provvedimenti nazionali che possono impedire o limitare l'acquisto di azioni nelle imprese interessate o che possono dissuadere gli investitori di altri Stati membri dall'investire del capitale delle stesse». Ad avviso della Corte di Giustizia, prosegue la S.C., il buon funzionamento del sistema bancario all'interno dell'Unione Europea costituisce la base per lo svolgimento stesso dell'attività economica, di modo che eventuali limitazioni alla libertà di investimento devono rispondere «a obiettivi di interesse generale riconosciuti dall'Unione»;
3. non sussisterebbe alcun principio o obiettivo di interesse generale riconosciuto dal diritto unionale tale da giustificare un simile prelievo forzoso, pari al 20 per cento del patrimonio netto della BCC. Piuttosto, è evidente come una tale previsione vada in senso contrario a qualsiasi logica di miglioramento della concorrenza e di solidità del sistema bancario, dato che il versamento in questione penalizza gli istituti di credito virtuosi, che possono attrarre capitali di altri Stati membri, facendo leva sulla propria solidità patrimoniale e sulla capacità di svolgere l'attività bancaria in condizioni di piena concorrenza;
4. l'A.F., dal canto suo, non condivide le obiezioni formulate dalla BCC e propugna la piena conformità della contestata normativa al diritto sovranazionale, a sostegno della quale deduce che il versamento del 20 per cento del patrimonio netto non è altro che il “prezzo” del vantaggio conseguito dall'Ente Cambiano, che ha così evitato l'effetto devolutivo dell'intero patrimonio sociale ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione (ex art. 17, legge n. 388 del 2000);
5. per l'Erario, inoltre, ove si riconoscesse la natura tributaria del prelievo, gioverebbe rammentare che la Corte di Giustizia UE ha espresso una netta posizione relativamente alla compatibilità dell'imposta sul patrimonio netto delle imprese con l'ordinamento comunitario (ovvero con la Direttiva 69/335/CEE del Consiglio, del 17 luglio 1969), pronunciandosi ben due volte (con ordinanza del 15 marzo 2001 e sentenza 27 ottobre 1998 (CE C-4/97). In particolare, nell'ordinanza del 15 marzo 2001 (C-279/99, C-293/99, C-296/99, C-330/99 e C-336/99), è stato chiarito che la Direttiva 69/335/CEE, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali, come modificata dalla Direttiva 85/303/CEE del Consiglio, del 19 giugno 1985, non osta alla riscossione, a carico delle società di capitali, di un'imposta, come l'imposta sul patrimonio netto delle imprese, nemmeno quando detto tributo colpisce la componente del patrimonio netto costituita dal capitale sociale annualmente rilevato in bilancio.
Stando così le cose, la S.C. si è determinata a sollecitare, in via pregiudiziale, l'intervento ermeneutico della Corte di Giustizia UE affinché chiarisca se la normativa nazionale (commi 3-ter e 3-quater, dell'articolo 2), sia o meno conforme al diritto dell'Unione, facendo propri i dubbi espressi al riguardo dalla BCC, e una volta constatato che questi ultimi non possono essere superati tramite un'interpretazione delle disposizioni interne conformi ai princìpi di diritto europeo, poiché (ibidem, pag. 17) «l'interpretazione conforme appare impraticabile in ragione del carattere non autoevidente della soluzione dell'antinomia normativa scaturente dal raffronto della disposizione nazionale con i richiamati parametri sovranazionali e dell'assenza di indicazioni della giurisprudenza europea utili alla specifica fattispecie in esame» (13). Considerazioni finali
Traendo le fila del discorso, si osserva che la problematica procedura di riordino organizzativo del credito cooperativo – al netto dell'ipotesi di fuoriuscita dell'Ente dal circuito mutualistico per effetto della sua trasformazione in S.p.a. bancaria o della sua messa in liquidazione - ha messo in campo i descritti modelli dell'adesione al GBC e del conferimento dell'azienda bancaria ad una S.p.a., i quali, pur presentando alcuni aspetti comuni (a cominciare dal mantenimento dell'oggetto mutualistico e dall'esclusione dell'effetto devolutivo), scontano però un diverso trattamento. Ed infatti il prelievo una tantum fin qui esaminato colpisce esclusivamente la BCC dotata di una consistenza patrimoniale “sopra soglia” che opti per la c.d. way out.
Si tratta di un modello organizzativo che suscita comprensibili, perplessità - oltre che sul piano dell'aderenza ai princìpi della Carta costituzionale (perplessità, in tal caso, ormai superate in virtù del dictum della Consulta di cui alla sentenza n. 149 del 2021) - in termini di compatibilità con i princìpi di diritto europeo.
Da quest'ultimo angolo visuale, paiono significativi i rilievi critici enucleati dalla S.C., con l'ordinanza n. 29634/2022, in punto di violazione del principio di libera circolazione dei capitali (art. 63 TFUE), come specificato dalla Direttiva 2008/7/CE del 12 febbraio 2008, in ragione del fatto che, in ultima analisi, il prelievo una tantum ha proprio l'aspetto di un'imposta sui conferimenti. Non è persuasiva l'obiezione dell'A.F. (esposta dall'Avvocatura nel giudizio innanzi alla Consulta, di cui si è dato conto in precedenza) in base alla quale la ratio dell'una tantum sarebbe di evitare l'ingresso nel mercato delle società “lucrative” da parte di un soggetto il cui patrimonio si è formato grazie alle agevolazioni fiscali, onde neutralizzare il rischio di una contestazione, in sede europea, per violazione della disciplina sugli aiuti di Stato.
In risposta a tale opinione vale la considerazione che, in realtà, il target del riequilibrio dei benefìci fiscali in precedenza accordati alle BCC sarebbe stato efficacemente perseguito, da parte del legislatore della riforma, mediante la ripresa a tassazione (c.d. “affrancamento”) delle riserve indivisibili, come previsto nella versione originaria del d.l. n. 18 del 2016, senza necessità alcuna di por mano ad una macroscopica falcidia del patrimonio dell'Ente.
In conclusione – con lo sguardo rivolto oltre i confini della controversia compendiata nelle precedenti pagine – è chiaro che il legislatore ha il difficile compito, tipico dei sistemi giuridici multilivello, di dover meticolosamente calibrare i propri interventi (specie in materie poliedriche come l'economia ed il fisco) bilanciando con cura i princìpi di diritto interno ed europeo, senza dimenticare la centralità del diritto sovranazionale (14). Note
(*) Riccardo Guida, Consigliere della Corte di cassazione. (1) La Corte afferma che l'adesione al GBC è lo strumento principale (l'”opzione privilegiata”) disegnato dal legislatore per il raggiungimento dell'obiettivo di porre rimedio alle debolezze del modello di governance del credito cooperativo.
(2) Sui nuovi moduli organizzativi delle BCC, cfr. M. BODELLINI, Localismi e mutualità nel gruppo bancario cooperativo, in Riv. Dir. Banc., 2017, p. 542 e ss. La dottrina ha evidenziato che entrambi i (principali) modelli previsti dalla riforma segnano un allontanamento dal modello cooperativo, e danno vita ad un “ibrido” nel quale convivono aspetti mutualistici e capitalistici. In dettaglio, con specifico riferimento, al modulo del “conferimento”, il modello “ibrido” sta in ciò, che la S.p.a. possiede l'azienda bancaria conferita dalla BCC, la quale, però, permane in vita quale soggetto autonomo, si obbliga a mantenere tutte le clausole statutarie previste dall'art. 2514 c.c. per le cooperative a mutualità prevalente, mantiene le proprie riserve indivisibili, mantiene la compagine sociale, in ragione dell'espresso divieto di recesso dei soci, e, infine, conserva l'intera partecipazione nella S.p.a. conferitaria, da cui percepisce gli utili (che, per le clausole di mutualità prevalente, sono soggetti agli stessi vincoli di indivisibilità degli utili prodotti dalla banca di credito cooperativo prima del conferimento).
(3) La Cassazione afferma che la rilevanza della questione, in relazione all'art. 23, legge n. 87 del 1953, ai fini della decisione della causa, è in re ipsa, atteso che l'eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale dell'imposta de qua comporterebbe il riconoscimento della fondatezza della domanda di rimborso di quanto versato dall'Ente ricorrente e dunque l'accoglimento del ricorso per cassazione avverso la sentenza della C.T.R. della Toscana che, invece, ha rigettato le medesime eccezioni di illegittimità costituzionale, sollevate dall'Ente Cambiano nel giudizio di merito.
(4) Nell'àmbito della medesima questione, la Corte nega pure la fondatezza della lesione del principio di concorrenza in relazione alla capacità di erogare credito della S.p.a. conferitaria, prospettata dalla S.C., legata al fatto che il prelievo, non più giustificato dall'affrancamento delle riserve, (a differenza di quanto prevedeva l'originaria versione della norma, prima della conversione in legge del d.l. n. 18 del 2016, per il caso di trasformazione della BCC in S.p.a.), in quanto, testualmente (ibidem, punto 4.1.) «il paventato pregiudizio […] non deriva dall'applicazione delle disposizioni censurate e quindi dall'obbligo della BCC conferente di versare una percentuale del suo patrimonio al bilancio dello Stato, ma dall'art. 2, comma 3-quater, del d.l. n. 18 del 2016, come convertito - previsione questa non contestata dal rimettente».
(5) L'esclusione della natura tributaria del “versamento spontaneo” dell'importo pari al 20 per cento del patrimonio netto della BCC conferente, non comporta, per la Corte Costituzionale, l'inammissibilità della questione per difetto di giurisdizione del giudice tributario su una controversia estranea al perimetro dell'art. 2, d.lgs. n. 546 del 1992, dovendosi ritenere che, in mancanza di impugnazione sul punto, nel giudizio a quo si sia formato il giudicato interno sulla relativa questione, che non può più essere posta in discussione.
(6) Non è decisivo nemmeno l'argomento dell'Ente Cambiano secondo cui l'ingente prelievo, diminuendo le riserve indivisibili, ridurrebbe significativamente la capacità della conferente di dotare di risorse finanziarie la banca partecipata, comprimendone la solidità. Difatti, puntualizza la Corte, la previsione del versamento non interferisce con il possesso in capo alla banca conferitaria degli inderogabili requisiti patrimoniali per lo svolgimento dell'attività bancaria, pena il mancato rilascio dell'autorizzazione al conferimento d'azienda da parte della Banca d'Italia.
(7) G. RAGUCCI, Quando la riforma incespica pericolosamente sulla nozione di tributo, in Il Sole 24 Ore, 13 luglio 2021, che rileva il rischio «di aprire un varco non rimediabile sul versante fiscale». Sulla premessa che, per la Consulta, il contestato prelievo non sarebbe configurabile come un tributo, per difetto del requisito della natura coattiva, che si esprime nel diritto alla sua esecuzione forzosa, e che piuttosto si tratterebbe di un onere “condizionale”, cui sarebbe tenuta ex lege la BCC conferente, l'Autore osserva che il punto critico della “tesi” della Corte sta in ciò, che al fine di «escludere la presenza di una prestazione pecuniaria imposta, non basta dire che il pagamento, sia pure spontaneo, è il mezzo con il quale l'onerato consegue, attraverso l'esercizio di una determinata opzione, il vantaggio desiderato»; G. CORASANITI, Riforma delle Bcc, la negazione irragionevole della natura tributaria del “prezzo” del way out, in Norme e tributi, 2021, n. 9, p. 12 e ss.; F. MERUSI, Sulla costituzionalità della previsione di una tassa abnorme se si fa una riforma, in Dir. prat. trib., 2022, p. 666 e ss.
(8) Così G. MELIS, La sentenza n. 149/2021 e il trascurabile “onere” del 20 per cento sul patrimonio netto delle BCC irrispettose del disegno legislativo: considerazioni sul “prezzo” della libertà secondo la Consulta, in Riv. trim. dir. ec., n. 1/2022, p. 14 e ss.
(9) A. FEDELE, La definizione del tributo nella giurisprudenza costituzionale, in Riv. dir. trib., 2018, p. 1 ss.; G. FRANSONI, La nozione di tributo nella giurisprudenza della Corte costituzionale, in AA.VV. (a cura di L. PERRONE e C. BERLIRI), Diritto tributario e Corte costituzionale, Collana “Cinquanta anni della Corte costituzionale della Repubblica italiana”, Napoli, 2006, p. 123 ss.
(10) G. MELIS, La sentenza n. 149/2021 e il trascurabile “onere” del 20 per cento sul patrimonio netto delle BCC irrispettose del disegno legislativo: considerazioni sul “prezzo” della libertà secondo la Consulta, cit., sottolinea che non è un caso che per il versamento di questo “prezzo” mediante Modello F24, l'Agenzia delle entrate, con risoluzione n. 43/E del 30 maggio 2016, abbia istituito un apposito “codice tributo” e che le somme versate dalla BCC siano confluite nel bilancio dello Stato al capitolo “1200” (“entrate eventuali diverse concernenti le imposte sul patrimonio e sul reddito”).
(11) È il caso di rimarcare la non perfetta omogeneità tra le disposizioni scrutinate dalla Corte Cost., con sentenza n. 149 del 2021, e quelle per le quali la S.C., con ordinanza n. 29634/2022, ha sollevato questione pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia UE. Nel primo caso (sentenza della Corte Cost.), infatti, si tratta dei commi 3-ter e 3-quater, quest'ultimo limitatamente alle parole «al netto del versamento di cui al comma 3-ter», di cui al primo periodo, e alle parole «e 3-ter» di cui al terzo periodo, d.l. n. 18 del 2016, come convertito; nel secondo caso (rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia), si tratta dei commi 3-ter e (dell'intero) 3-quater. Dunque il rinvio pregiudiziale alla CGUE ha un oggetto più ampio del giudizio costituzionale di cui si è dato conto in precedenza, e, in sostanza, investe integralmente il modello organizzativo del conferimento dell'azienda bancaria ad una S.p.a., quale opzione riservata alle BCC patrimonialmente più solide. Detto che il rinvio pregiudiziale deve intendersi implicitamente esteso anche al comma 3-bis, dell'articolo 2, che è il fulcro dell'opzione c.d. way out, per comodità di analisi, si riporta di seguito il testo dei tre commi del medesimo articolo:
«3-bis. In deroga a quanto previsto dall'articolo 150-bis, comma 5, del decreto legislativo 1º settembre 1993, n. 385, la devoluzione non si produce per le banche di credito cooperativo che, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, presentino alla Banca d'Italia, ai sensi dell'articolo 58 del decreto legislativo n. 385 del 1993, istanza, anche congiunta, di conferimento delle rispettive aziende bancarie ad una medesima società per azioni, anche di nuova costituzione, autorizzata all'esercizio dell'attività bancaria, purché la banca istante o, in caso di istanza congiunta, almeno una delle banche istanti possieda, alla data del 31 dicembre 2015, un patrimonio netto superiore a duecento milioni di euro, come risultante dal bilancio riferito a tale data, su cui il revisore contabile ha espresso un giudizio senza rilievi. 3-ter. All'atto del conferimento, la banca di credito cooperativo conferente versa al bilancio dello Stato un importo pari al 20 per cento del patrimonio netto al 31 dicembre 2015, come risultante dal bilancio riferito a tale data, su cui il revisore contabile ha espresso un giudizio senza rilievi. 3-quater. A seguito del conferimento, la banca di credito cooperativo conferente, che mantiene le riserve indivisibili al netto del versamento di cui al comma 3-ter, modifica il proprio oggetto sociale per escludere l'esercizio dell'attività bancaria e si obbliga a mantenere le clausole mutualistiche di cui all'articolo 2514 del codice civile, nonché ad assicurare ai soci servizi funzionali al mantenimento del rapporto con la società per azioni conferitaria, di formazione e informazione sui temi del risparmio e di promozione di programmi di assistenza. Non spetta ai soci il diritto di recesso previsto dall'articolo 2437, primo comma, lettera a), del codice civile. In caso di inosservanza degli obblighi previsti dal presente comma e dai commi 3-bis e 3-ter, il patrimonio della conferente o, a seconda dei casi, della banca di credito cooperativo è devoluto ai sensi dell'articolo 17 della legge 23 dicembre 2000, n. 388. In caso di mancato ottenimento delle autorizzazioni indicate al comma 3-bis entro il termine stabilito dal comma 1, la banca di credito cooperativo può chiedere l'adesione a un gruppo cooperativo già costituito entro i successivi novanta giorni. In caso di diniego dell'adesione si applica il comma 3».
(12) La S.C. rileva che la contribuente ha altresì denunciato, per un verso, l'incompatibilità della disciplina del conferimento di azienda bancaria con l'art. 1 del Protocollo n. 1 Addizionale alla CEDU, in tema di «protezione della proprietà», per la palese arbitrarietà del contestato prelievo, che avrebbe conculcato, senza plausibili giustificazioni, e in violazione dei princìpi di non discriminazione e di proporzionalità, il patrimonio della conferente, a causa della mancanza di qualsivoglia espressione di capacità contributiva; per altro verso, l'incompatibilità con gli artt. 16 e 17 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (c.d. Carta di Nizza), stante l'inspiegabile vulnus determinato dal tributo in contestazione allo svolgimento della libera iniziativa economica da parte dell'Ente cooperativo. Sul punto, sottolinea l'ordinanza in rassegna, la BCC ha chiesto un nuovo rinvio alla Corte Costituzionale per contrarietà della normativa de qua agli artt. 11 e 117 Cost. A giudizio della Sezione tributaria della S.C., tuttavia, (cfr. pag. 12 della decisione) «tale ultimo profilo non è rilevante ai fini del rinvio pregiudiziale, in quanto la Carta di Nizza non può avere efficacia diretta e, ogni volta che una norma interna si pone in contrasto con essa, il giudice comune non può ricorrere alla disapplicazione del diritto nazionale, ma deve rimettere la questione alla Consulta, che giudicherà “alla luce dei parametri interni ed eventualmente di quelli europei ex artt. 11 e 117 Cost.” (C. Cost. sent. n.269 del 2017)».
(13) La S.C. ricorda che la Corte di Giustizia UE ha chiarito che il giudice nazionale di ultima istanza è obbligato al rinvio pregiudiziale, salvo che «”la corretta applicazione del diritto comunitario [possa] imporsi con tale evidenza da non lasciar adito ad alcun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione sollevata» (Corte giustizia, 6 ottobre 1982, Cilfit, C-238/81, EU:C:1982:335; v. anche Corte giustizia, 16 luglio 1992, Meilicke, C-83/91, EU:C:1992:332; Corte giustizia, 27 marzo 1980, Denkavit, C-61/79, EU:C:1980:100; Corte giustizia, 12 febbraio 2008, Kempter, C-2/06, EU:C:2008:78; Corte giustizia, 21 luglio 2011, Kelly, C-104/10, EU:C:2011:506)”».
(14) R. RORDORF, “Brevi note ancora sul caso Randstad”, in IUS - UE e internazionale, 19 settembre 2022, a proposito del dialogo tra i diversi organi giurisdizionali, rimarca che «In un sistema giuridico multilivello, quale quello dell'Unione europea, nel quale sono destinati a convivere e ad intrecciarsi variamente istituti, princìpi e regole nazionali e sovranazionali e nel quale sono chiamati ad operare sia gli organi giurisdizionali dei singoli Stati membri sia la Corte di Giustizia dell'Unione, il modo in cui questi reciprocamente si rapportano e dialogano gli uni con gli altri non è mai scontato; né la spesso invocata primazia del diritto comunitario, alla cui concreta attuazione anche i giudici nazionali debbono peraltro concorrere, è sempre sufficiente a sciogliere ogni nodo».
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