Rimessa alla Corte costituzionale la questione del differimento della c.d. Riforma Cartabia

Ferdinando Brizzi
21 Novembre 2022

La Consulta dovrà confrontarsi con la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6 d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, con il quale è stato disposto il differimento al 30 dicembre 2022 dell'intera riforma della giustizia penale.
La questione

La vicenda processuale sfociata nell'ordinanza in commento originava dal decreto con cui il Pubblico Ministero aveva esercitato l'azione penale, innanzi al Tribunale di Siena, nei confronti del prevenuto, articolando l'accusa in due distinti capi di imputazione: al capo a) della rubrica è stato contestato il delitto di violenza privata, ai sensi dell'articolo 610 c.p., mentre al capo b) quello di danneggiamento, ai sensi dell'articolo 635, comma 1, c.p.

All'udienza del giorno 8 novembre 2022, il Pubblico Ministero produceva dichiarazione di remissione di querela da parte della persona offesa di entrambi i reati, ricevuta a verbale in data 9 novembre 2019 da ufficiali di polizia giudiziaria. L'imputato, con dichiarazione raccolta a verbale, accettava quindi espressamente tale remissione di querela ed il giudice dichiarava utilizzabili tutti gli atti acquisiti nel corso del giudizio, disponendo un rinvio, per discussione, ad altra udienza.

Alla successiva udienza del giorno 11 novembre 2022 le Parti hanno quindi rassegnato le rispettive conclusioni. Il giudice dichiarava poi chiuso il dibattimento e disponeva la sospensione del processo e l'immediata trasmissione degli atti del giudizio alla Corte costituzionale.

Ad avviso del Giudice remittente, nell'ambito del procedimento, doverosamente in data 20 gennaio 2020 era stata esercitata l'azione penale, da parte del Pubblico Ministero, seppure in atti fosse documentata l'espressa volontà della persona offesa, risalente al 9 novembre 2019, di non persistere nella sua richiesta di punizione, originariamente avanzata con querela del 17 luglio 2019. Né per il delitto di cui all'art. 610 c.p., né per quello di cui all'art. 635, comma 1, c.p., la procedibilità dell'azione penale risultava infatti condizionata da una previa richiesta di punizione da parte della persona offesa.

La riforma Cartabia

A fronte di un tale quadro normativo, ricavabile dal coordinato disposto dall'art. 50 c.p.p. («Quando non è necessaria la querela… l'azione penale è esercitata di ufficio»), nonché gli artt. 610 e 635 c.p., il Giudice tuttavia registrava l'intervenuta emanazione e successiva pubblicazione, nella Gazzetta Ufficiale n. 243 del 17 ottobre 2022, del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, intitolato: “Attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, recante delega al Governo per l'efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”.

Gli articoli 2 e 3 di tale decreto, peraltro, hanno previsto l'ampliamento del novero dei reati procedibili a querela, così radicalmente mutando il regime di procedibilità di otto delitti (quelli previsti dagli artt. 582, 590-bis, 605, 610, 614, 624, 634 e 635 c.p.) e due contravvenzioni (quelle previste dagli artt. 659 e 660 c.p.).

Il citato decreto legislativo è stato emanato in attuazione della legge 27 settembre 2021, n. 134, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 237 del 4 ottobre 2021 e recante “Delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”.

L'iter complessivo di formazione del decreto si è aperto con l'approvazione preliminare da parte del Consiglio dei Ministri, nella seduta del 4 agosto 2022, del relativo schema, cui hanno fatto seguito i distinti pareri favorevoli su di esso espressi da parte del Senato della Repubblica (in data 13 settembre 2022) e della Camera dei Deputati (in data 15 settembre 2022).

All'esito dei pareri resi dalle competenti commissioni dei due rami del Parlamento è poi seguita la definitiva approvazione, deliberata dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 28 settembre 2022, del testo finale del decreto, rimasto immutato rispetto a quello su cui le predette commissioni avevano espresso i rispettivi pareri favorevoli.

Da ultimo, in data 10 ottobre 2022, ha fatto quindi seguito l'emanazione da parte del Presidente della Repubblica e, infine, la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 243 del 17 ottobre 2022.

Non essendo stato stabilito, nel corpo del decreto legislativo, un termine di vacatio legisdiverso da quello previsto dall'articolo 73, terzo comma, della Costituzione, l'entrata in vigore del decreto sarebbe dovuta discendere per effetto diretto del citato disposto costituzionale, ossia in data 1° novembre 2022, decorsi quindici giorni dalla sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Il testo si compone di novantanove articoli, che nel complesso incidono, mediante novelle ai codici penale e di procedura ed alle principali leggi complementari, tanto sul diritto penale sostanziale (v. ad esempio gli artt. da 1 a 3), quanto e soprattutto sul diritto processual-penale (v. agli artt. da 4 a 40), introducendo anche una disciplina organica della giustizia riparativa (agli artt. da 42 a 67) ed altresì riformando la disciplina delle pene pecuniarie e delle pene sostitutive di quelle detentive brevi.

Il (possibile) impatto della Riforma Cartabia sul procedimento a quo

Particolare rilievo, nell'ambito del procedimento pendente innanzi al Tribunale di Siena, assumono le lettere e) ed n) dell'art. 2, comma 1, d.lgs. 150/2022, le quali dispongono che «all'articolo 610, dopo il secondo comma, è aggiunto il seguente: Il delitto è punibile a querela della persona offesa. Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità, ovvero se ricorre la circostanza di cui al secondo comma» e, rispettivamente, che «all'articolo 635, dopo il quarto comma, è aggiunto il seguente: Nei casi previsti dal primo comma il delitto è punibile a querela della persona offesa. Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso in occasione del delitto previsto dall'articolo 331 ovvero se la persona offesa è incapace, per età o per infermità».

Si tratta di disposizioni che costituiscono diretta attuazione dei principi e criteri di delega fissati dall'art. 1, comma 15, l. 27 settembre 2021, n. 134, a mente del quale: «Nell'esercizio della delega di cui al comma 1, i decreti legislativi recanti modifiche al codice penale e al codice di procedura penale in materia di condizioni di procedibilità, per le parti di seguito indicate, sono adottati nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: a) […]; b) prevedere l'estensione del regime di procedibilità a querela di parte a ulteriori specifici reati contro la persona o contro il patrimonio nell'ambito di quelli puniti con pena edittale detentiva non superiore nel minimo a due anni; prevedere che ai fini della determinazione della pena detentiva non si tenga conto delle circostanze, facendo salva la procedibilità d'ufficio quando la persona offesa sia incapace per età o per infermità…».

Il legislatore delegante prima, e il legislatore delegato poi, hanno quindi l'uno prestabilito e l'altro statuito definitivamente, in un'ottica di deflazione in concreto degli affari penali, un mutamento nel regime di procedibilità, tra gli altri, anche dei delitti di violenza privata (ex art. 610 c.p.) e di danneggiamento (ex art. 635, comma 1, c.p.).

Rispetto a tali delitti, in tal modo, si è condizionata la procedibilità dell'azione penale ad una concreta manifestazione di volontà da parte del soggetto offeso, riservando così a quest'ultimo il potere di decidere circa l'opportunità di una tutela penale dei beni offesi dai predetti reati.

Al contempo, sempre con riferimento ai reati di danneggiamento e violenza privata, si è però così conseguito un altro, importante effetto: quello di ampliare il novero delle fattispecie estintive della punibilità ad essi relative, ricomprendendovi anche la remissione di querela, ossia quell'atto o contegno espressivo della volontà della persona offesa di non persistere più nella sua originaria richiesta di punizione del reo.

Osserva il rimettente che mutamenti normativi siffatti, che prevedono l'introduzione della più favorevole perseguibilità a querela in luogo della già prevista procedibilità d'ufficio, come noto rappresentano il terreno elettivo di applicazione del principio di retroattività della norma penale più favorevole al reo, inscritto nell'art. 2, comma 2, c.p.; disposizione, quest'ultima, che ad avviso della Suprema Corte opera infatti «non soltanto al fine di individuare la norma di diritto sostanziale applicabile al caso concreto, ma anche in ordine al regime della procedibilità che inerisce alla fattispecie, dato che è inscindibilmente legata al fatto come qualificato dal diritto» (così, Cass. pen., sez. II, n. 21700/2019, Sibia, Rv. 276651, punto 3 del considerato in diritto).

Su questa stessa linea, in ragione dell'incidenza che può dispiegare anche sulla punibilità, oltre che sulla procedibilità, si è invero riconosciuta all'istituto della querela una natura mista, sostanziale e processuale, con l'effetto che «nella successione delle leggi… deve applicarsi il disposto dell'art. 2 comma c.p., secondo il quale se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo», con l'ulteriore precisazione per cui «l'intervenuta remissione della querela comporta l'obbligo di dichiarare la non procedibilità ai sensi dell'art. 129 c.p.p.» (così, sempre Cass. pen. n. 21700/2019, ivi).

Decorrendo a far data dal 1° novembre 2022 l'entrata in vigore dei citati, più favorevoli mutamenti in punto di procedibilità dell'azione penale, nonché alla luce di quanto sin qui esposto, è allora chiaro, secondo il Giudice, come il giudizio a quo non poteva che concludersi con una sentenza di non doversi procedere, adottata ai sensi dell'articolo 531 del codice di procedura penale, a seguito dell'intervenuta estinzione di entrambi i reati di danneggiamento e violenza privata ascritti all'imputato.

Per essi, infatti, non ricorre alcuna delle ipotesi in cui l'azione penale permane procedibile d'ufficio: nessuno dei due delitti risulta infatti essere stato commesso nei confronti di “persona incapace, per età o per infermità”; quanto alla violenza privata, poi, non è stata elevata alcuna delle circostanze previste dall'art. 339 c.p.; mentre per quel che riguarda il danneggiamento, il fatto non è stato commesso in occasione del delitto di interruzione di un pubblico servizio (ex art. 331 c.p.), né si verte in una delle ipotesi di danneggiamento di beni pubblici o, comunque, di interesse o utilità pubblica, di cui al secondo comma dell'articolo 635 c.p.

D'altra parte, l'espressa remissione di querela operata in data 9 novembre 2019 dalla persona offesa è stata ritenuta pienamente efficace, in ragione dell'intervenuta accettazione della stessa da parte dell'imputato, con dichiarazione ricevuta e raccolta a verbale all'udienza del giorno 8 novembre 2022.

Il differimento dell'entrata in rigore della Riforma

Su tale complessivo quadro normativo, osserva il Giudice senese è, tuttavia, intervenuto il decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 255 del 31 ottobre 2022, recante “Misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-COV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali”.

Siffatto provvedimento provvisorio con forza di legge, in virtù di quanto espressamente previsto al suo articolo 9, è peraltro entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, avvenuta in data 31 ottobre 2022.

In forza dell'articolo 6 del citato decreto-legge viene interpolato nel corpo del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 un nuovo articolo, rubricato “Art. 99-bis (Entrata in vigore)” e composto da un comma unico: «Il presente decreto entra in vigore il 30 dicembre 2022».

Pertanto, proprio per effetto dell'istituzione di tale nuovo termine di entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, in seno al processo a quo – rileva il giudicante – non può allora dispiegarsi la concreta efficacia operativa dei più favorevoli mutamenti, nel regime di procedibilità relativo ai reati per cui si procede, disposti all'articolo 2, primo comma, lettere e) ed n) del citato d.lgs. 150/2022.

Di talché, pur essendo maturate per entrambi i delitti oggetto di giudizio le relative fattispecie estintive della punibilità, costituite dall'intervenuta remissione di querela da parte della persona offesa, resta precluso al Tribunale l'accertamento dell'estinzione di siffatti reati, in ragione della perdurante procedibilità d'ufficio dell'azione penale per gli stessi prevista, quale conseguenza della mancata entrata in vigore al 1° novembre 2022 del disposto di cui all'art. 2, comma 1, lett. e) ed n) d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150.

D'altra parte, a fronte dell'obbligo di immediata declaratoria di improcedibilità ove si riconosca l'integrazione di una causa d'estinzione di un reato, che discende dall'articolo 129, comma 1, del c.p.p., non risulta in concreto percorribile l'alternativa strada di una pronuncia assolutoria nel merito, da adottare ai sensi del secondo comma dell'articolo da ultimo citato.

Sul punto, è stato anzitutto richiamato il consolidato principio di legittimità, integralmente condiviso dal Tribunale, secondo cui il giudice, in presenza di una causa di estinzione del reato, è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'articolo 129, comma 2, c.p.p. soltanto nell'ipotesi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato ovvero la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente incontrovertibile e incontestabile, tanto da rendere la valutazione allo stesso devoluta più simile al concetto di “constatazione” e percezione ictu oculi che a quello di “apprezzamento”; con l'effetto che tale esito è sempre incompatibile con qualsivoglia necessità di accertamento, vaglio o approfondimento delle risultanze istruttorie (v., sul punto, Cass. pen., sez. un., n. 35490/2009, Tettamanti, Rv. 244274, nonché tutta la giurisprudenza successiva, sempre conforme a tale indirizzo).

Ciò posto, pur essendosi ormai chiuso il dibattimento, il giudicante ha rilevato come, in concreto, il complessivo materiale probatorio acquisito nel corso dell'istruttoria non consenta in alcun modo di pervenire ad una pronuncia assolutoria a norma dell'articolo 129, comma 2, c.p.p., dagli atti non essendo emersa alcuna circostanza chiara, evidente, manifesta ed obiettiva, in grado di escludere in radice l'esistenza dei fatti contestati o la loro rilevanza penale ovvero la non commissione degli stessi da parte dell'imputato.

Le questioni di legittimità costituzionale

Le considerazioni e i rilievi innanzi esposti, allora, depongono tutti nel senso di escludere che il giudizio a quo possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 6 d.l. 31 ottobre 2022, n. 162.

Il Giudice rimettente ha evidenziato come, a sostegno della fondatezza della questione di legittimità costituzionale proposta nell'ordinanza, esistono plurimi, distinti e articolati argomenti.

Tali argomenti, più in particolare, attengono innanzitutto all'invalidità formaledel denunciato articolo 6, correlata alla violazione di distinte norme costituzionali: in particolare, dell'articolo 73, comma 3, Cost., che preclude ad una legge o ad un atto ad essa equiparato di interferire nel procedimento di formazione di un'altra legge o di altro atto ad essa equiparato, con particolare riferimento alla fase cd. d'integrazione dell'efficacia; ma anche dell'articolo 77, comma 2, Cost., che disciplina l'esercizio del potere legislativo adottato da parte del Governo in via d'urgenza, circoscrivendone e limitandone l'impiego al solo verificarsi di casi straordinari di necessità e di urgenza.

Ulteriori argomenti, infine, attengono all'invalidità sostanzialedella disposizione qui censurata, legata al contrasto con il coordinato disposto degli articoli 3 e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione all'articolo 7, primo paragrafo, della CEDU e all'articolo 15, primo comma, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, che preclude al legislatore di disporre, in assenza di sufficienti giustificazioni, la perdurante efficacia in malam partem di trattamenti penali, rispetto ai quali risulta già acquisita una mutata valutazione legislativa in senso più favorevole al reo, con l'effetto di concretamente impedire il riverberarsi di siffatte modifiche mitigatrici anche a vantaggio di coloro che hanno posto in essere la condotta in un momento anteriore.

Si tratta di una questione articolata su piani e livelli distinti, ma tuttavia legati tra loro da un rapporto di pregiudizialità logica.

La norma che si ricava dal denunciato articolo, infatti, in via preliminare contrasta con la previsione dell'art. 77, comma 2, Cost., per essere stato adottato il decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162 in palese difetto dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza che legittimano ed abilitano il Governo ad esercitare funzioni legislative, desunto e ricavato dall'assenza di un'unitaria finalizzazione delle eterogenee norme in esso raccolte e, quindi, di una complessiva ratio giustificativa del medesimo.

Segue poi, in ordine logico, il menzionato contrasto con l'art. 73, comma 3, Cost., nella parte in cui, prevedendosi un (nuovo) termine di entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, si interferisce su una disciplina di rango costituzionale qual è quella relativa alla formazione delle leggi e degli atti ad esse equiparati, costituita in particolare dalla fase cd. integrativa dell'efficacia di tali atti, benché la norma interferente sia concretamente inidonea ad operare valide deroghe a disposizioni della Costituzione, essendo contenuta in un atto avente rango e valore di legge.

Da ultimo, l'art. 6 d.l. 162/2022 contrasta, altresì, con il coordinato disposto degli articoli 3 e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione sia all'articolo 7, primo paragrafo, CEDU, sia all'articolo 15, primo comma, del Patto internazionale sui diritti civili e politici, nella parte in cui, stabilendo un (nuovo) termine di vacatio legis al d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, impedisce di applicare, a decorrere dal 1° novembre 2022, le modifiche mitigatricidisposte all'art. 2, comma 1, lett. e) ed n) d.lgs. 150/2022, precludendo così il riconoscimento di già maturate fattispecie estintive della punibilità, in evidente assenza di sufficienti ragioni che possano giustificare il diverso e più deteriore trattamento penale che consegue alla vigenza della censurata disposizione.

Sul tentativo di interpretazione conforme a Costituzione

Né, ad avviso del Tribunale senese, appare concretamente esperibile un tentativo ermeneutico volto a ricercare, della disposizione qui censurata, un significato compatibile con il principio di non ultrattività delle norme penali più sfavorevoli al reo, così da poterne elidere in radice i rilevati profili di attrito.

Da questo punto di vista, più in particolare, non è stato ritenuto utilmente praticabile la via interpretativa percorsa da un recente orientamento di legittimità, volto ad estendere l'applicabilità in giudizio dello ius novum più favorevole al reo, già durante il periodo di vacatio legis (si tratta di Cass. pen., sez. I, n. 39977/2019, Addis, Rv. 276949, in tema di nuovi limiti scriminanti di cui agli artt. 52 e 55 c.p. introdotti dall'art. 1 l. n. 36/2019; nonché Cass. pen., sez. I, n. 53602/2017, Carè, Rv. 271639, in tema di depenalizzazione del reato di ingiuria ex art. 1, comma 1, lett. e), d.lgs. n. 7/2016).

Alla percorribilità di tale via ermeneutica, ad avviso del rimettente, ostano infatti due distinte classi di argomenti, ciascuna delle quali peraltro idonea, di per sé sola, ad escludere in radice la possibilità di procedere ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell'articolo 6 del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162.

La prima classe di argomentiruota intorno a temi e questioni quali l'insuscettibilità, per una legge non in vigore, di spiegare i propri effetti innovativi, estintivi o modificativi nell'ordinamento giuridico, in quanto atto normativo non efficace e, dunque, privo dell'attitudine ad “innovare” l'ordinamento giuridico che gli è propria. Inefficacia cui, dal lato dei naturali destinatari delle norme, siano essi privati cittadini od organi pubblici, si associa peraltro la mancata attivazione, in capo agli stessi, della doverosa osservanza e applicazione di tali norme, che trova il proprio diretto fondamento nell'articolo 54 della Costituzione.

La stessa Corte costituzionale, d'altra parte, ha in più occasioni ancorato la concreta efficacia di una legge o di un atto ad essa equiparato soltanto allo spirare del suo termine di vacatio legis.

Il riferimento corre, innanzitutto, all'ordinanza n. 255 del 1985, con cui la Consulta ha fatto dipendere la declaratoria di inammissibilità della questione alla stessa proposta proprio dal mancato decorso della «vacatio legis di centoventi giorni disposta dall'art. 5, secondo comma, della legge 27 luglio 1984, n. 397», rilevando come l'ordinanza del giudice a quo, nel caso di specie, fosse stata emessa “prima che entrasse in vigore, e fosse quindi applicabile».

Sulla stessa linea, poi, si collocano le pronunce n 134 del 2002 (in particolare, il punto. 4.3. del considerato in diritto) e n. 187 del 1984, là dove il Giudice costituzionale ha avuto cura di distinguere «tra l'efficacia del testo normativo… e la sua entrata in vigore, che rimane determinata a seguito della normale vacatio dalla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (artt. 73, comma 3 Cost. e 10 preleggi)» (così, il punto 5 del considerato in diritto).

Rispetto allo specifico tema qui evocato, infine, di peculiare rilievo appare la pronuncia n. 74 del 1975, ove lo spirare del termine di entrata in vigore delle leggi viene elevato ad «elemento essenziale ed imprescindibile per la loro efficacia che, per quanto si riferisce alla norma penale, non può mai essere anticipata rispetto al momento della vigenza» (così il punto 3 del considerato in diritto).

Da questo punto di vista, in definitiva, nessun fenomeno di successione di leggi penali nel tempo può mai predicarsi con riferimento a norme non entrate in vigore e, dunque, prive di qualsivoglia efficacia.

A ciò si aggiunga, inoltre, che la questione qui proposta verte su una disposizione collocata in un decreto-legge ancora convertibile e allo stato non convertito e, quindi, su un provvedimento per definizione provvisorio e con efficacia parimenti precaria, come agevolmente si ritrae dalla piana lettura dell'articolo 77, commi 2 Cost.

Sotto tale profilo, allora, non può non registrarsi un'evidente analogia con il caso della norma penale più favorevole disposta da un decreto-legge poi non convertito, per il quale vale il noto principio scolpito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 51 del 1985, secondo cui «la norma contenuta in un ‘decreto-legge non convertito' non ha… attitudine, alla stregua del terzo e ultimo comma dell'art. 77 Cost., ad inserirsi in un fenomeno ‘successorio', quale quello descritto e regolato dai commi secondo e terzo [oggi: secondo e quarto] dell'art. 2 c.p.» (così il punto 3 del considerato in diritto).

Diversamente opinando, peraltro, si porrebbero non irrilevanti problemi in punto di certezza del diritto e di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, «principi d'indubbio interesse generale e di rilievo costituzionale» (così C. cost., n. 15/2012, punti 3.2. e 3.3. del considerato in diritto), ben potendo accadere che soltanto alcuni organi giudiziari, diversamente da altri, applichino lo ius novum più favorevole al reo già durante il periodo di vacatio legis.

A queste considerazioni è stata accostata una seconda classe di argomentiche impedisce di utilmente percorrere, in questa sede, la via tracciata dal sopra richiamato orientamento di legittimità. Si tratta di rilevare, in breve, la radicale differenza tra il caso di specie e quelli esaminati dalla Suprema Corte di cassazione nelle citate pronunce n. 53602/2017 e n. 39977/2019: il primo di semplice modificazione in mitius, gli altri di vera e propria abolitio criminis.

Il percorso argomentativo svolto dal giudice nomofilattico nella sentenza n. 53602/2017 si riferisce, più in particolare, soltanto all'ipotesi in cui “la nuova norma consista in una abolitio criminis” ed è essenzialmente basato sulla funzione di garanzia associata al principio di irretroattività delle leggi penali più sfavorevoli, che gode infatti della tutela rafforzata prevista dall'articolo 25 della Costituzione e in virtù del quale «non può farsi discendere anche un perdurante dovere del giudice di fare applicazione e dare esecuzione alla norma penale oramai abrogata per effetto di una successiva disposizione legislativa già valida» (così il punto 2 del considerato in diritto), qual è quella disposta da una legge già pubblicata ma non ancora entrata in vigore.

Diverso è invece il caso di specie, in cui a venire in gioco non è certo la rafforzata tutela prevista, dall'articolo 25 della Costituzione, per il solo principio di irretroattività delle leggi penali più sfavorevoli, ma piuttosto la sfera di applicazione del principio di non ultrattività delle norme penali più sfavorevoli, che del principio di retroattività in mitius costituisce il corollario diretto e speculare.

Sulla scorta delle considerazioni, è allora facile rilevare come altro sia applicare già durante il periodo di vacatio legis lo ius novum più favorevole al reo, in ipotesi di abolitio criminis, facendosi così diretta applicazione di una regola, qual è quella espressa dall'art. 25 Cost., che in effetti corrisponde ad un «principio supremo dell'ordinamento, a presidio dei diritti inviolabili dell'individuo, per la parte in cui esige che le norme penali […] non abbiano in nessun caso portata retroattiva» (così C. cost., n. 24/2017, punto 2 del considerato in diritto); ben altro è invece applicare, già durante il periodo di vacatio legis, lo ius novum più favorevole al reo in ipotesi in cui – qual è il caso di specie – non vi sia stata alcuna abolitio criminis, ma soltanto una “successione” (ove tale fenomeno si ritenga davvero instaurabile; ciò che, come detto, non si ritiene comunque possibile) di una legge penale più favorevole al reo rispetto ad altra più deteriore, ma vigente al momento di commissione del fatto-reato.

Appare dunque dirimente, ai fini che qui rilevano, individuare gli effetti dello ius novum intermedio più favorevole intervenuto nel periodo di vacatio legis, avendosi cura di distinguere l'ipotesi in cui tale ius novum consista in una abolitio criminis, cum o sine abrogatione, da tutte le altre.

Nel primo caso, infatti, viene in gioco un principio supremo dell'ordinamento, qual è quello espresso dall'articolo 25 Cost., al cui confronto potrebbe anche ammettersi, in ipotesi, la cedevolezza dei principi di certezza del diritto e di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, di cui è espressione il termine di vacatio legis, procedendosi ad opera del giudice penale all'immediata applicazione in favor della norma non ancora in vigore e così pervenendosi alla definizione del giudizio con una pronuncia assolutoria, da adottare a mezzo formula «perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato».

Nel secondo caso, di contro, a venire in gioco è invece un principio bilanciabile, come tale privo di quella rafforzata tutela propria del solo principio di irretroattività delle leggi penali più sfavorevoli, e di cui il giudice penale non può quindi operare una diretta e immediata applicazione, in ragione del potenziale conflitto con altri principi, quali quelli della certezza del diritto e dell'eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, «d'indubbio interesse generale e di rilievo costituzionale» (così C. cost., n. 15/2012, punti 3.2. e 3.3. del considerato in diritto); principi che potrebbero, in concreto, risultare prevalenti rispetto al principio di retroattività della lex mitior, con l'effetto di dovere necessariamente investire della relativa questione il Giudice costituzionale.

Siffatta ricostruzione, da ultimo, non si pone in contrasto neppure con la successiva pronuncia n. 39977/2019 della Suprema Corte, che concerne infatti un'ipotesi di abolitio sine abragatione, riferita ai nuovi limiti scriminanti di cui agli artt. 52 e 55 c.p., introdotti dall'art. 1 egge 26 aprile 2019, n. 36.

I possibili scenari

Una volta esclusa la possibilità di fornire un'interpretazione conforme a Costituzione dell'art. 6 d.l. 31 ottobre 2022, n. 162 il Tribunale senese non ha esitato a sollevare questione di legittimità costituzionale.

Non di meno la dottrina più autorevole ha, fin da subito, avanzato diverse perplessità nei confronti della scelta di differimento dell'entrata in vigore della Riforma Cartabia., parlando di “sconfitta per la giustizia penale” (così Serena Quattrocolo: Perché il differimento dell'entrata in vigore del D.LGS. 150/2022 è una sconfitta per la giustizia penale, in La legislazione penale 2.11.2022, le cui osservazioni meritano totale condivisione).

In particolare, la scelta di intervenire direttamente sul testo del d.lgs. 150/2022 apre scenari dubbi quanto agli sviluppi della fase di conversione del d.l. 162/2022: lo slittamento al 30.12.2022 apre la scena alla domanda “quale riforma entrerà in vigore a quella data?

La risposta potrebbe essere univoca, essendo l'intero corpus normativo originato dalla necessità di raggiungere lo specifico obiettivo di miglioramento del sistema, concordato con la Commissione europea. Non potrà che essere, pur con l'improvvido aggravio accumulato in questi due mesi, il testo che il precedente Governo ha sottoposto ed illustrato alla Direzione Giustizia UE.

Eppure si colgono, in alcune posizioni, come ad esempio nel documento del direttivo dell'Associazione tra gli Studiosi del Processo Penale (Il Dubbio 30 ottobre 2022), auspici che una lunga vacatio legis possa indurre a rimettere mano al testo del d.lgs. 150/2022. Il che, peraltro, suona davvero paradossale poiché l'art. 1 comma 4 l. 134/2021 conferisce delega al Governo, di concerto con un'ampia schiera di soggetti coinvolti nell'azione legislativa, a integrare ed emendare il testo del decreto delegato, una volta che questo sia entrato in vigore… Ciò in quanto la percezione dell'ambiziosità della novella e della complessità, anche organizzativa, della macchina della giustizia penale non è mai mancata, naturalmente, in alcun passaggio di questa riforma.

Non è mai mancata la consapevolezza che il confronto e il cambiamento si giocano su due tavoli paralleli ma ben distinti. C'è, da un lato, la critica a ciò che ha dimostrato di non funzionare: esattamente da lì si è partiti, con i dati, le statistiche, i numeri alla mano, in un'analisi senza preconcetti dei risultati dell'esperienza trentennale del codice di stampo accusatorio. Lì è maturato il sentimento che ciò che, pur sistematicamente corretto, non ha prodotto risultato, deve essere superato. Ma c'è, dall'altro lato, un piano diverso, che è la proiezione verso il futuro di ciò che si propone di nuovo, ed è lì che si è arrivati. E di fronte alla proposta, la risposta non può essere il rigetto, perché si ritiene che la novità non possa funzionare. Ci sono i risultati incontrovertibili e ci sono le previsioni che toccherà al tempo avvalorare o smentire. E proprio perché è fisiologico che qualcosa debba essere aggiustato, la ‘delega estesa' al Governo ha proprio la funzione di consentire l'adeguamento e il miglioramento delle soluzioni normative, per rispondere al bisogno collettivo – e non soltanto della Commissione europea – di ritrovare fiducia nella giustizia penale.

Fin tanto che, però, la riforma non entrerà in vigore, non ci guadagnerà nessuno, osserva Quattrocolo, ma risulteranno sconfitti tutti i cittadini che, con varie vesti, entrano in contatto con il processo penale: la giustizia penale non serve a chi, in ruoli diversi, ne ha fatto il proprio mestiere; la giustizia penale serve a tenere insieme la società e a depotenziare le sue spinte più distruttive. Ridare alla collettività una giustizia che sia avvertita come tale è l'unico vero obiettivo che dovremmo porci: magari il suo raggiungimento passerà per soluzioni non sistematicamente eleganti, magari passerà attraverso istituti nuovi che richiedono infrastrutture non ancora esistenti, ma nulla ci autorizza a rinunciare a quell'obiettivo.

Le conclusioni di Quattrocolo paiono il “naturale presupposto delle valutazioni effettuate nell'ordinanza in commento: non può che parlarsi di “sconfitta per la giustizia penale” se un giudice non può pronunciare una sentenza liberatoria, di fronte al chiaro intento in tal senso della stessa persona offesa, a causa di un decreto legge quanto meno sospetto di illegittimità costituzionale come ben rilevato a Siena.

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