Tabella milanese integrata a punti per la liquidazione del danno parentale: prime applicazioni

Roberta Nocella
22 Novembre 2022

Il presente contributo analizza l'impatto che il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità ha sul sistema delle tabelle a punti.
Introduzione. I punti salienti dell'evoluzione della liquidazione del danno parentale

E' utile - senza volere ripercorrere tutta l'evoluzione del danno c.d. parentale (per cui si rinvia, tra i vari che se ne sono occupati, ad A. Penta, Le nuove tabelle milanesi “a punti” per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale: problemi risolti e questioni ancora incerte, in IUS Responsabilità civile), né stare a spiegare tecnicamente la genesi del metodo di calcolo a punti o “a scala”, per cui si rimanda a chi l'ha fatto con metodologia anche scientifica (si veda l'articolo di G. D'Aietti, Le tabelle “a punti” per il danno da morte: un innovativo strumento per misurare il diritto: la predittività giuridica resa concreta, nonché soprattutto la Lettera di trasmissione dell'Osservatorio ai Presidenti della Corte d'Appello e del Tribunale di Milano, di accompagnamento alla nuova tabella a fine giugno 2022, cui devono quanto meno aggiungersi le delucidazioni di D. Spera, Tabelle integrate a punti per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da perdita del rapporto parentale – edizione 2022, sempre in IUS Responsabilità civile) - ricordare brevemente:

- come noto, il danno parentale risarcisce la lesione iure proprio dell'interesse, di rilievo costituzionale ai sensi degli artt. 2, 29 e 30 Cost. a seguito della lettura costituzionalmente orientata degli artt. 2043 e 2059 c.c., all'intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia intesa come peculiare formazione sociale; man mano la giurisprudenza ha (come anche per altre voci di danno non patrimoniale) messo a fuoco la componente c.d. interiore di sofferenza morale soggettiva e quella c.d. oggettiva o dinamico-relazionale (ovvero il peggioramento/cambiamento delle condizioni di vita quotidiane del familiare superstite);

- trattandosi di tipologia di danno di elaborazione giurisprudenziale, mancano criteri stabiliti dalla legge per la sua liquidazione; conseguentemente, si è fatto riferimento alla clausola generale dell'equità ex art. 1226 c.c. che presuppone che, ove il danno sia provato nell'an ma non nel quantum, il giudice possa liquidarlo “con valutazione equitativa”;

- a causa del rischio della mancanza di uniformità nella liquidazione di un “medesimo” danno a seconda dell'ufficio, molti avevano proposto tabelle più o meno dettagliate; l'Osservatorio sulla Giustizia civile milanese aveva prediletto infine l'indicazione di pochi criteri: per ciascun grado di parentela (essenzialmente, se in linea diretta o meno) un “valore monetario base” e un tetto massimo in caso di personalizzazione.

Si sottolineava infatti nella relazione di accompagnamento del marzo 2021 (in estrema sintesi) che il danno parentale non è in re ipsa (neppure nel minimo) e che la parte “nel processo deve [allegare] e rigorosamente [provare] le circostanze di fatto da cui possa inferirsi, anche in via presuntiva, un maggiore sconvolgimento della propria vita in conseguenza della perdita del rapporto parentale”.

Infine, si distingueva a seconda che l'illecito da cui derivava tale tipologia di danno integrasse un reato colposo o doloso, consentendosi in tale ultimo caso un superamento del valore massimo in considerazione del maggior dolore (normalmente) provocato;

- tale esigenza di uniformità era stata ben individuata dalla Suprema Corte già (per il danno non patrimoniale di tipo biologico) con la c.d. “sentenza Amatucci” n. 12408/2011, che affermava “Nella liquidazione del danno biologico, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l'adozione della regola equitativa di cui all'art. 1226 cod. civ. deve garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, essendo intollerabile e non rispondente ad equità che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perché esaminati da differenti Uffici giudiziari.

Garantisce tale uniformità di trattamento il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale - e al quale la S.C., in applicazione dell'art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 c.c. -, salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l'abbandono.

L'applicazione di diverse tabelle, ancorché comportante liquidazione di entità inferiore a quella che sarebbe risultata sulla base dell'applicazione delle tabelle di Milano, può essere fatta valere, in sede di legittimità, come vizio di violazione di legge, solo in quanto la questione sia stata già posta nel giudizio di merito”;

- la già citata Cass. civ. n. 10579 del 21.04.2021 in motivazione richiamava la sentenza “Amatucci” (Si è così consolidato l'orientamento secondo cui l'omessa o erronea applicazione delle tabelle del Tribunale di Milano può essere fatta valere, in sede di legittimità, come violazione dell'art. 1226 c.c., costituendo le stesse parametro di conformità della valutazione equitativa alla disposizione di legge (Cass. 21 novembre 2017, n. 27562).

In questa chiave le tabelle milanesi hanno acquistato una sorta di efficacia para-normativa (Cass. 6 maggio 2020, n. 8532), in base alla quale, ai fini del rispetto del precetto dell'art. 1226, il giudice ha la possibilità di discostarsi dai valori tabellari a condizione che le specificità del caso concreto lo richiedano ed in sentenza sia fornita motivazione di tale scostamento”) per giungere, all'esito del suo ragionamento, a prendere le distanze dai criteri della tabella milanese, potendo essa – in assenza del riferimento al sistema a punti – al massimo costituire “una perimetrazione della clausola generale di valutazione equitativa del danno e non una forma di concretizzazione tipizzata”;

- l'Osservatorio sulla Giustizia civile di Milano si è diligentemente attivato per adeguarsi alle indicazioni della Suprema Corte e ha integrato la tabella elaborata nel 2021 (cfr. Trib. Milano, G.I. dr. Spera,7 luglio 2021 n. 5947).

Fermi questi rapidi passaggi, tornando al punto di partenza è legittimo chiedersi come si trasformeranno i giudizi di appello e di Cassazione per chi non si ritenga soddisfatto dalla liquidazione del danno parentale eseguita dai giudici dei gradi anteriori.

Violazione e falsa applicazione di legge (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.)

La risposta, quanto ai giudizi per Cassazione, la fornisce già la menzionata sentenza c.d. “Scoditti” (dal nome del suo estensore): come sopra accennato, si legittima quale motivo di ricorso la intervenuta liquidazione (fondamentalmente, da parte del giudice d'appello) del danno c.d. parentale senza l'utilizzo del “punto variabile”, bensì di tabelle che – pur consentendo un margine dipendente (o che dovrebbe dipendere) da come sia stato soddisfatto dalla parte l'onere di allegazione e probatorio - hanno lasciato al giudice una discrezionalità eccessiva, con la conseguenza che dovrà essere verificato in concreto se la liquidazione effettivamente operata si distacchi, e di quanto, da quella che sarebbe risultata ove fosse stato utilizzato il punto variabile.

La Suprema Corte, tornando a pronunciarsi sul punto, nella sentenza Sez. III n. 33005 del 10/11/2021 ha affermato – prendendo le mosse proprio da Cass. 7 giugno 2011, n. 12408, che aveva dichiarato una valenza paranormativa e una vocazione nazionale delle tabelle milanesi per la liquidazione del danno non patrimoniale, ai cui dicta la giurisprudenza successiva si era uniformata – che, posto che il danneggiato deve aver prospettato anche in appello non la generica inadeguatezza della liquidazione operata dal primo giudice, ma la vera e propria violazione di legge nella mancata liquidazione del danno in base ai valori delle tabelle elaborate a Milano, costituisce violazione o falsa applicazione degli artt. 1226 e 2056 c.c. la pretesa che egli produca o quanto meno alleghi il contenuto delle tabelle invocate, poiché spetta al giudice (a fronte della chiara richiesta suddetta) liquidare il danno non patrimoniale mediante tabella conforme a diritto, facilmente reperibile ormai con l'uso di strumenti informatici.

Espressamente afferma che, pur non essendo le tabelle “fonte di diritto che il giudice è tenuto a conoscere in virtù del potere di qualificazione giuridica dei fatti […] tuttavia, quale monitoraggio della giurisprudenza di merito sul danno non patrimoniale ed estrazione da essa di parametri standard per la relativa liquidazione, integrano il diritto vivente se acquistano, come nel caso delle tabelle del Tribunale di Milano, la valenza di determinazione del danno non patrimoniale conforme a diritto”.

Aggiunge tuttavia, al fine espresso di dare continuità all'indirizzo precedente, che per tabella “conforme a diritto” deve intendersi una basata sul sistema a punti, costituendo violazione o falsa applicazione degli artt. 1226 e 2056 c.c. anche il fatto che il giudice del grado precedente ne abbia applicata una (quale quella milanese ante 2022) diversamente strutturata (salvo casi eccezionali adeguatamente motivati).

Ancora, Cass. Civ., sez. III, 11 aprile 2022 n. 11689 (richiamata da Trib. Bologna n. 2243 del 9 settembre 2022, una delle prime sentenze di primo grado che abbia applicato la nuova tabella milanese) afferma in motivazione che il giudice di merito che procede alla liquidazione del danno derivante dalla perdita di un rapporto parentale deve provvedere “a valutare analiticamente - senza ricorrere ad apodittiche affermazioni che riducono la motivazione ad una sostanziale dimensione di apparenza - tutte le singole circostanze di fatto che risultino effettivamente specifiche e individualizzanti, allo scopo di non ricadere nel vizio consistente in quella surrettizia liquidazione del danno non patrimoniale in un danno forfettario o (peggio) in re ipsa che caratterizza tanta parte dello stile c.d. 'tabellare' in tema di perdita del rapporto parentale”, poiché tale modalità di liquidazione concretizzerebbe la violazione o falsa applicazione dell'art. 1226 c.c..

Nel caso in esame i ricorrenti si dolevano della immotivata applicazione, da parte del giudice d'appello (che confermava la pronuncia di primo grado) delle tabelle locali in luogo di quelle milanesi; la Suprema Corte “risponde” che la Corte d'Appello, a seguito del rinvio, dovrà provvedere “all'applicazione delle tabelle elaborate presso la Corte di appello di Roma (e non di quelle milanesi, pur invocate in ricorso), alla luce dei principi affermati dalla più recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. 10579, 26300 e 26301 del 2021), a mente dei quali, al fine di garantire non solo un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul sistema a punti”.

In altre parole, la Cassazione individua la violazione o falsa applicazione degli artt. 1226 e 2056 c. c. non nel fatto che non sia stata applicata dai giudici dei gradi anteriori la tabella milanese, cui in un tempo non troppo lontano era stata riconosciuta vocazione nazionale e paranormativa (cfr. supra), bensì che non sia stato liquidato il danno parentale secondo una tabella a punti e, quindi, certamente è escluso che il parametro di cui all'art. 1226 c.c. possa essere costituito da quella di Milano ante 2022: ed infatti stavolta viene espressamente fatto riferimento alla tabella capitolina (vedi Trib. Milano, G.I. dr. Spera, 11 luglio 2022 n. 6059).

La Suprema Corte resta, dunque, salda nel principio affermato: continuerà a cassare le pronunce che abbiano liquidato il danno parentale secondo il sistema “a forbice”, perché non conforme a diritto (salvi, comunque, i casi eccezionali adeguatamente motivati).

Resta da chiedersi – almeno fino a quando la nuova tabella milanese (o quella romana, o qualsiasi altra purché a punti) non sarà ampiamente diffusa - se ciò non significhi una valanga di ricorsi da parte di tutti coloro che si sono visti liquidare tale danno secondo un sistema “a forbice” e che ritengono, a seguito di scrutinio fondato sul confronto col quantum che avrebbero ottenuto se fosse stata applicata una tabella a punti, di essere stati risarciti in modo non conforme.

Applicazioni in grado di appello

È essenziale – al fine di evitare o forse di limitare il rischio profilato alla fine del paragrafo che precede - che siano le Corti d'appello le prime a fare immediata applicazione delle tabelle a punti (Roma, Milano o altro).

Può essere utile esaminare – senza pretesa di alcuna completezza, considerato il poco tempo trascorso dal giugno 2022, data di adozione della nuova tabella milanese – alcune pronunce nel frattempo intervenute.

La Corte d'Appello di Bari (18 agosto 2022 n. 1246) esamina un caso (sinistro stradale con morte di due trasportate) nel quale in primo grado, in applicazione della tabella milanese, era stato liquidato all'appellante nel minimo il danno parentale al figlio di una delle vittime, mentre era stato escluso quello quale fratello per assenza di convivenza e di sostegno affettivo con l'altra (la sorella).

Ebbene, in applicazione della nuova tabella milanese il collegio, esaminando separatamente la posizione dell'appellante quale figlio e quale fratello, conferisce un certo numero di punti per ciascuno dei cinque criteri ivi contenuti (per poi moltiplicare i risultati per il diverso valore conferito al singolo punto per genitori/figli/coniuge e per fratelli/nipoti), così giungendo a riformare la sentenza di primo grado. E' interessante rilevare che, alla luce della peculiarità del caso concreto – l'appellante era un soggetto detenuto in regime di sicurezza per avere commesso gravi reati durante la gran parte della sua vita adulta, con la conseguenza che necessariamente scarsi erano stati i rapporti con la madre e la sorella – appare quanto mai calzante il richiamo alla difficoltà di tipizzazione delle infinite variabili nei casi concreti che nella relazione di accompagnamento alle tabelle milanesi del 2021 era per la verità riferita al danno da grave lesione del rapporto parentale.

E', infatti, ineliminabile la sensibilità del singolo giudice nell'applicazione del numero di punti per ciascuno dei cinque criteri di cui alla tabella milanese: ad esempio, nella specie viene ritenuto che un valore non irrilevante (12 punti su un massimo di 30 per il c.d. fattore E) vada conferito alla qualità ed intensità della relazione affettiva tra madre e figlio, nonostante essi non potessero coltivarla appunto perché il figlio era da tempo detenuto: è stato dato rilievo al fatto che è comunque una consolazione per il figlio in carcere sapere che, quando tornerà in libertà, avrà una madre (nella specie ancora giovane) che lo attenda.

Deve, tuttavia, evidenziarsi che non è escluso il rischio del danno in re ipsa (prefigurato anche da G. Ponzanelli, Prima applicazione delle nuove tabelle milanesi in tema di liquidazione del danno da relazione parentale, sempre in IUS Responsabilità civile) alla luce del fatto che dalla pronuncia non risultano in alcun modo elementi (provati o quanto meno allegati in primo grado) a fondamento di tale valutazione, ma solo la sottolineatura del carattere primario del legame biologico madre e figlio. Non si può, in altre parole, escludere che un altro giudice avrebbe potuto valutare pari a zero (o quasi) il c.d. fattore E, proprio in considerazione della (certa, in assenza di prova contraria) mancanza prolungata di frequentazione tra i due parenti coinvolti.

Lo stesso rischio vale per il danno parentale in qualità di fratello: la Corte d'Appello boccia il fatto che il giudice di prime cure avesse escluso la liquidazione di qualsiasi danno; tuttavia la valutazione (ed il conferimento dei diversi punteggi per i cinque parametri) sembra effettuata sull'unica considerazione che l'esistenza di tale danno, in caso di perdita di fratello/sorella, è escluso solo quando risulti l'interruzione radicale dei rapporti o l'inimicizia personale tra tali soggetti. Sarebbe interessante comprendere come potrebbe la parte danneggiante dimostrare, ad esempio in un caso come quello descritto, tale interruzione del rapporto (ben potrebbe, ad esempio, desumere la sua debolezza dal fatto che l'appellante era isolato in carcere da lungo tempo, in assenza ovviamente di prove/allegazioni contrarie da parte di quest'ultimo).

Dubbi può suscitare la sentenza della Corte d'Appello di Venezia 8 luglio 2022 n. 1577, che ha esaminato il danno da perdita parentale a seguito di decesso, per comportamento colposo del personale medico, di paziente di 83 anni con gravissime patologie che comportavano una aspettativa di vita – come da consulenza tecnica espletata – di massimo 2/5 anni.

Ebbene (tra gli altri) il figlio di 52 anni e due sorelle della vittima, rispettivamente di 95 e 96 anni, entrambe decedute in corso di giudizio, tutti non conviventi e con altri parenti superstiti, hanno impugnato la sentenza di primo grado che, a loro opinione, non aveva applicato quantomeno i valori medi della Tabelle di Milano perché aveva operato, in sostanza, una personalizzazione (“al ribasso”) erronea.

Il giudice d'appello, applicata la tabella integrata a punti del Tribunale di Milano, giunge a confermare la liquidazione del danno al figlio mentre aumenta (da euro 15.000,00 ad euro 24.000,00) quella alle due sorelle ultranovantenni del deceduto (rectius, in favore dei loro eredi). Nello specifico, al risultato si è pervenuti nonostante sia stato dato “0” al fattore convivenza (C) e al già menzionato fattore E.

Ebbene, ci sarebbe da chiedersi se non sia questo un danno in re ipsa (ottenuto, in pratica, sulla sola base dei punteggi per l'età): una sorta di danno “da posizione” (di fratello/sorella) a fronte, si ripete, dell'assenza di qualsiasi allegazione/prova specifica sia in relazione all'elemento dinamico–relazionale, ovvero lo stravolgimento dell'esistenza e delle abitudini quotidiane, subìto dai soggetti coinvolti, ma anche – soprattutto in capo alle due donne ultranovantenni, di cui non vi è riscontro neppure sul permanere o meno di una qualche lucidità tale da consentire loro di comprendere la sofferenza per l'“anticipata” deprivazione del rapporto col fratello - quello della sofferenza morale interiore.

Conclusioni

Resta da chiedersi se la Suprema Corte abbia raggiunto lo scopo che si prefiggeva, ovvero una maggiore uniformità e prevedibilità dell'effettiva liquidazione, che dovrebbe poi comportare una diminuzione del contenzioso (come sperano Mariotti e Caminiti, op.cit. di IUS Responsabilità civile).

Sembra doversi, invece, rilevare da un lato l'ineliminabilità della discrezionalità del giudice (di primo grado o di appello), che si esercita anche nell'attribuzione dei punteggi per ciascuno dei cinque criteri considerati nella tabella; dall'altro, che forse il vero strumento per incanalarla doveva (dovrà) avere come punto di partenza ciò che ciascuna delle parti deve dettagliatamente allegare/provare, cui, specularmente, si lega l'obbligo di motivazione del giudicante.

Tale ultima esigenza – sempre sottolineata dalla Suprema Corte e nelle lettere di accompagnamento alle tabelle, inclusa l'integrazione del 2022 – non potrà essere “compensata” dal ricorso ai punteggi né da parte del giudice né dei difensori che, facendo nei singoli giudizi affidamento sul loro utilizzo, conteranno di ottenere sempre e comunque una qualche liquidazione del danno parentale in favore dei loro assistiti.

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