Denuncia di danno temuto da un bene di proprietà comune al ricorrente1. Bussole di inquadramentoProfili generali dell'azione di denuncia di danno temuto L'art. 1172 c.c. disciplina l'azione di denuncia di danno temuto stabilendo che la stessa è proponibile dal proprietario o dal titolare di altro diritto reale di godimento o dal possessore, il quale abbia ragione di «temere che da qualsiasi edificio, albero o altra cosa sovrasti pericolo di un danno grave e prossimo alla cosa che forma l'oggetto del suo diritto o del suo possesso», al fine di ottenere, secondo le circostanze, dall'autorità giudiziaria, che si provveda per la rimozione del pericolo. Presupposti per la proponibilità dell'azione sono la sussistenza di un pericolo di danno minacciato da una cosa ad un'altra, la gravità e la prossimità, in ordine spazio-temporale, di tale danno e il ragionevole timore che il danno possa verificarsi. Se il danno può derivare da un rapporto di cosa a cosa, anche nell'azione di danno temuto viene in rilievo un'attività umana, ma di tipo omissivo, ossia derivante da un non facere, quale l'inadempimento agli obblighi di manutenzione e sorveglianza da parte del resistente. Secondo una risalente (peraltro, mai contraddetta da successivi arresti) sentenza della Suprema Corte (Cass. II, n. 3688/1968), sul proprietario o sul possessore della cosa dalla quale promana la minaccia di danno per la cosa altrui grava l'onere di sostenere le spese relative alle opere necessarie ad ovviare al pericolo, nei limiti del generale dovere di vigilanza quale custode della cosa propria; il dovere risulta, cioè, circoscritto all'adozione dei soli mezzi tecnici ed economici ordinari, senza esigere l'impegno di mezzi straordinari in relazione alla situazione delle due cose; il che, inoltre, presuppone, oltre all'effettivo potere fisico sulla cosa, che il danno denunciato non esuli dall'ambito del dinamismo connaturato alla stessa o dallo sviluppo di un agente dannoso in essa insito (Cass. II, n. 354/1980). La proposizione del ricorso per denuncia di danno temuto non è soggetta a un particolare termine di decadenza o prescrizione presupponendo, tuttavia, che il pericolo sia in atto. La gestione dei beni in comunione ordinaria La norma di riferimento è l'art. 1102 c.c., che detta il principio della parità di godimento tra tutti i comproprietari, affermando il potere di ciascuno di essi di servirsi della cosa comune e ne precisa i relativi limiti. In particolare, l'uso della cosa comune è sottoposto ai limiti consistenti nel divieto di ciascun partecipante di alterare la destinazione della stessa e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. Il criterio dell'uso promiscuo della cosa comune, desumibile dall'art. 1102 c.c., implica che ciascun condividente abbia il diritto di utilizzare la cosa comune come può e non in qualunque modo voglia, fermo restando che l'uso esclusivo del bene comune da parte di uno dei comproprietari, nei limiti di cui all'art. 1102, non è, peraltro, idoneo a produrre alcun pregiudizio in danno degli altri comproprietari che siano rimasti inerti o abbiano acconsentito ad esso in modo certo ed inequivoco, essendo l'occupante tenuto al pagamento della corrispondente quota di frutti civili ricavabili dal godimento indiretto della cosa solo se gli altri partecipanti abbiano manifestato l'intenzione di utilizzare il bene in maniera diretta e non gli sia stato concesso (Cass. II, n. 2423/2015). 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Quale è la differenza tra azione di denuncia di nuova opera e azione di denuncia di danno temuto?
La differenza risiede nella causa del danno La denuncia di danno temuto si differenzia da quella di nuova opera in base alla causa del danno in itinere prospettata dal denunciante, di modo che, ove il pericolo derivi da una cosa, anche se per effetto di un'attività umana già esaurita ed in essa cristallizzatasi, dovrà esperirsi l'azione di nunciazione prevista e disciplinata dall'art. 1172 c.c.; ed infatti il tenore dell'art. 1171 c.c. è tale da includere, tra i suoi irrinunciabili presupposti di proponibilità, la non compiutezza dell'opera (Trib. Palermo, II, 15 febbraio 2018). Orientamento della Corte di Cassazione In caso di comunione indivisa, l'azione di danno temuto può essere proposta anche nei confronti del comproprietario se il mancato accordo preclude l'eliminazione del pericolo La Corte di cassazione ha chiarito, rispetto alla denuncia di danno temuto, che l'appartenenza, in regime di comunione indivisa, della cosa, da cui proviene il pericolo, anche soggetti diversi dagli istanti, giustifica il ricorso all'azione cautelare suddetta, nonostante questi ultimi siano contitolari della relativa proprietà, nei casi in cui la mancanza di accordo non consenta di poter ovviare alla denunciata situazione di pericolo. È stato invero puntualizzato, a riguardo, che il carattere di esclusiva altruità della cosa, produttiva di pericolo, non può ritenersi condizione della denuncia di danno temuto, alla stregua di un raffronto tra le due previsioni normative regolanti le due distinte ipotesi di azioni nunciatorie, ove si consideri che, mentre quella di cui all'art. 1171 c.c., con riguardo alla denunzia di nuova opera, espressamente richiede che l'opera sia stata “da altri intrapresa sul proprio come sull'altrui fondo”, nell'ipotesi di cui all'art. 1172 cit. cod., la previsione di “qualsiasi edificio, albero o altra cosa ...” quale fonte generativa del pericolo sovrastante la cosa formante oggetto del diritto tutelato, per la sua ampia onnicomprensività consenta il ricorso all'azione cautelare a prescindere dal suddetto requisito, purché la parte istante non sia in condizione di provvedervi autonomamente. Tuttavia, se il bene dal quale promana il pericolo per quello del ricorrente, è sì di proprietà anche di quest'ultimo ma condivisa con altri soggetti che non consentono di effettuare l'intervento, il contrasto insorto in proposito, implicante valutazioni da compiere alla stregua dei principi regolatori dell'uso della cosa comune dettati dall'art. 1102 c.c., rendono necessario l'intervento del giudice. Nella medesima pronuncia, la Corte di legittimità ha sottolineato che, in queste ipotesi, il provvedimento del giudice può consistere anche nell'autorizzazione, concessa ai ricorrenti, a provvedere direttamente all'esecuzione dell'intervento reso necessario dalla situazione di pericolo, anziché in un ordine alla controparte, senza che ciò “snaturi” l'azione proposta, in quanto la tutela nella fase interdittale può risolversi, oltre che nell'intimazione di un facere o non facere, anche in un pati, attesa l'ampia discrezionalità concessa al giudice dall'art. 1172 c.c., comma 1, u.p., di adottare “secondo le circostanze” i provvedimenti più adeguati al caso (Cass., n. 1178/2007, in Giur. it., 2007, n. 12, 2713, con nota di Pennanzio). Conformemente, anche in sede di merito, si è affermato che la denuncia di danno temuto presuppone il danneggiamento — grave, prossimo, attuale e futuro — minacciato ad una cosa immobile (o anche mobile) da una cosa immobile o mobile altrui, tale da comportare il deterioramento della res del denunciante e la menomazione dell'interesse tutelato, ovvero il rischio per le cose ivi collocate, o, ancora, seppure in via mediata e indiretta per le persone che nell'ambito dell'immobile, oggetto di pregiudizio, agiscono ed operano, per la loro incolumità e salute (Trib. Napoli, Nord I, 12 dicembre 2016). 3. Azioni processualiFunzione e natura del giudizio L'azione di cui all'art. 1172 c.c. è volta ad eliminare e prevenire il “pericolo di danno grave e prossimo alla cosa che forma l'oggetto del suo diritto o del suo possesso”. Rispetto al periculum in mora, la giurisprudenza ha precisato che la condizione dell'azione di danno temuto non deve individuarsi in un danno certo o già verificatosi, che consente di proporre, invece, un'azione risarcitoria,, bensì anche nel (solo) ragionevole pericolo che il danno si verifichi (Cass.I, n. 10282/2004). Da ultimo, tuttavia, la S.C. ha puntualizzato che l'azione può essere proposta anche quando un danno si sia già verificato ma permanga il pericolo che esso si verifichi di nuovo, poiché la circostanza che un danno si sia già prodotto non esclude certo il pericolo che possa verificarsi un ulteriore futuro danno e che quindi sussista il ragionevole timore che continui a sovrastare pericolo di un danno grave e prossimo alla cosa che forma l'oggetto del diritto o del possesso (Cass. II, n. 25094/2022). Il pericolo deve promanare da “cosa a cosa”. Se la tutela interdittale è accolta, il giudice dispone affinché il temuto pericolo sia rimosso o, comunque, adeguatamente superato. Il contenuto dei provvedimenti che può essere a tal fine adottato dall'autorità giudiziaria non è precisato dall'art. 1172 c.c., sicché si ritiene che lo stesso sia “atipico”, ricomprendendo ogni rimedio utile atto a scongiurare il danno paventato. In ogni caso, il giudice può disporre idonee garanzie per il risarcimento dei danni che il convenuto o l'attore potrebbero subire in ragione, rispettivamente, dell'accoglimento o del rigetto della domanda qualora, nella sede di merito, la denuncia dovesse risultare infondata o, all'opposto, fondata (nel senso della legittimità dell'imposizione di tali cauzioni v. già Corte cost., n. 113/1963). Aspetti preliminari Competenza Ai sensi dell'art. 688 c.p.c., la denuncia di danno temuto, così come la denuncia di nuova opera, deve proporsi con ricorso al giudice competente a norma dell'art. 21 dello stesso codice, ossia quello del luogo dove si trova il bene dal quale promana il pericolo. Qualora vi sia causa pendente per il merito, la denuncia si propone a norma dell'articolo 669-quater c.p.c. al giudice investito della causa in corso. Contenuto del ricorso proposto ante litem Sebbene i provvedimenti resi su ricorso per denuncia di nuova opera e di danno temuto ex art. 688 c.p.c. rientrino tra quelli c.d. a strumentalità attenuata, nel senso che l'efficacia degli stessi non è subordinata alla instaurazione del giudizio di merito, è costante in giurisprudenza il principio in forza del quale nel ricorso proposto ante causam devono essere adeguatamente evidenziati il petitum e la causa petendi dell'eventuale controversia di merito che sarà eventualmente incardinata dopo la fase cautelare. Legittimazione attiva L'azione deve essere proposta dal proprietario o dal titolare di diritti reali di godimento o al possessore della cosa in ordine a cui si teme il danno, mentre è privo di legittimazione attiva il detentore. Legittimazione passiva La S.C. ha chiarito che, ai fini dell'azione di danno temuto, l'obbligo di rimuovere la situazione di pericolo di danno, grave e prossimo, incombe su colui che abbia la proprietà, il possesso o comunque la disponibilità della cosa (edificio, albero, o altra cosa inanimata sul fondo) dalla quale promana la minaccia di danno per la proprietà (o altro diritto reale) o per il possesso di colui che denunci la situazione di pericolo. Pertanto, la legittimazione passiva spetta al predetto soggetto, in quanto tenuto, nella qualità di custode, con i connessi obblighi di vigilanza e conservazione, alla manutenzione del bene da cui si teme proveniente il pericolo (Cass. II, n. 5336/2016). Oggetto e onere della prova In conformità alle regole generali espresse dall'art. 2697 c.c. il ricorrente ha l'onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti per la concessione del provvedimento cautelare, ossia il fumus boni juris ed il periculum in mora. In particolare, nella fattispecie casistica in esame, ossia di azione di danno temuto esercitata nei rapporti tra comproprietari, il ricorrente che denunzia il fatto all'autorità giudiziaria, chiedendo che si provveda per ovviare al pericolo medesimo, è tenuto a dare la prova della impossibilità di rimuoverlo altrimenti, a causa di una opposizione fatta dagli altri aventi diritto, che abbiano manifestato una volontà contraria, superabile solamente attraverso il provvedimento interdittale del giudice, e non a causa di una mera omissione, ad altri imputabile, di opere di conservazione della cosa comune (cfr. Trib. Oristano, 3 ottobre 2017). Il provvedimento: a) effetti Le ordinanze emesse nella fase cautelare delle azioni di nunciazione conservano la propria efficacia, se pronunciate a seguito di un ricorso proposto ante litem, a prescindere dall'instaurazione del giudizio di merito. Il provvedimento, tuttavia, non è idoneo a fare stato, con efficacia di giudicato, sul rapporto controverso che, salvo l'operare dei cc.dd. stabilizzatori di diritto sostanziale (prescrizione, decadenza) potrà essere messo in discussione in un successivo giudizio a cognizione piena. b) regime L'ordinanza, sia di diniego che di concessione della misura cautelare è assoggettata, ex art. 669-terdecies c.p.c., a reclamo proponibile entro il termine perentorio di quindici giorni dalla pronuncia in udienza ovvero dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore. Il reclamo, per le misure emesse come avviene di regola dal giudice monocratico del tribunale, si propone al collegio (del quale non può far parte il giudice che ha deciso sul ricorso). Il procedimento di reclamo si svolge nelle forme camerali ed è deciso con ordinanza. Il provvedimento emanato a fronte del reclamo cautelare non è ulteriormente impugnabile. La Corte di cassazione ha infatti costantemente affermato che è inammissibile il ricorso straordinario ex art. 111, comma 7, Cost. perché le ordinanze cautelari, anche pronunciate in sede di reclamo, non sono provvedimenti decisori su diritti (v., con specifico riguardo alle azioni di nunciazione, Cass., n. 16259/2017). 4. ConclusioniL'azione di denuncia di danno temuto, ai sensi dell'art. 1172 c.c., è proponibile dal proprietario o dal titolare di altro diritto reale di godimento o dal possessore, il quale abbia ragione di «temere che da qualsiasi edificio, albero o altra cosa sovrasti pericolo di un danno grave e prossimo alla cosa che forma l'oggetto del suo diritto o del suo possesso», per ottenere, secondo le circostanze, dall'autorità giudiziaria, che si provveda per la rimozione del pericolo, nei confronti di colui che abbia la proprietà, il possesso o comunque la disponibilità della cosa (edificio, albero, o altra cosa inanimata sul fondo) dalla quale promana la minaccia di danno. Come ha chiarito la Corte di cassazione, tuttavia, l'appartenenza, in regime di comunione indivisa, della cosa, da cui proviene il pericolo, anche soggetti diversi dagli istanti, giustifica il ricorso all'azione cautelare suddetta, nonostante questi ultimi siano contitolari della relativa proprietà, nei casi in cui la mancanza di accordo non consenta di poter ovviare alla denunciata situazione di pericolo. Né — ha puntualizzato la S.C. — la circostanza che in tale ipotesi il provvedimento del giudice possa consistere anche nell'autorizzazione, concessa ai ricorrenti, a provvedere direttamente all'esecuzione dell'intervento reso necessario dalla situazione di pericolo, anziché in un ordine alla controparte, snatura l'azione proposta, poiché sulla latitudine dei provvedimenti nunciatori ampia è la discrezionalità riconosciuta all'autorità giudiziaria, stante la sola funzionalizzazione all'evitare il verificarsi del temuto danno (cfr. Cass., n. 1178/2007). |