Impianto nell'utero della donna del seme crioconservato del coniuge defunto1. Bussole di inquadramentoIl problema della procreazione medicalmente assistita post mortem Sul piano giuridico la questione che si va ad esaminare — e che ha dato luogo a un non trascurabile contenzioso d'urgenza — si correla al disposto dell'art. 5, comma 1, della l. n. 40 del 2004 laddove stabilisce che possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi. La violazione di tale previsione laddove siano applicate tecniche di procreazione medicalmente assistita a coppie i cui componenti non siano entrambi viventi è assistita dalla previsione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 200.000 a 400.000 euro (art. 12, comma 2, l. n. 40 del 2004), nonché dalla sospensione da uno a tre anni dall'esercizio professionale nei confronti dell'esercente una professione sanitaria (art. 12, comma 9, l. n. 40 del 2004). Sul piano anche etico si ritiene che il divieto di fecondazione post mortem sia giustificato dall'esigenza di evitare di privare i nascituri ab origine ed in maniera preordinata della possibilità di godere del sostegno e dell'affetto dell'altro genitore. Ciò per alcuni si porrebbe in diretto contrasto con gli artt. 29 e 30 Cost. che implicano il diritto del figlio ad essere istruito, educato e mantenuto da entrambi i genitori. Per sua parte la Corte Cost., pur non avallando direttamente quest'ultima impostazione e rimettendo alla discrezionalità del legislatore il bilanciamento tra i delicati diritti coinvolti, ha precisato, in tema di limiti soggettivi all'accesso a tecniche di procreazione medicalmente assistita, che “non può considerarsi irrazionale e ingiustificata, in termini generali, la preoccupazione legislativa di garantire, a fronte delle nuove tecniche procreative, il rispetto delle condizioni ritenute migliori per lo sviluppo della personalità del nuovo nato. In questa prospettiva, l'idea, sottesa alla disciplina in esame, che una famiglia ad instar naturae —due genitori, di sesso diverso, entrambi viventi e in età potenzialmente fertile —rappresenti, in linea di principio, il più idoneo per accogliere e crescere il nuovo nato non può essere considerata, a sua volta, di per sé arbitraria o irrazionale” (Corte cost., n. 221/2019). Ciò posto, questione più puntuale da considerare è sino a quale momento entrambi i componenti della coppia devono essere viventi per poter completare il procedimento di procreazione medicalmente assistita. Invero, l'art. 6 della l. n. 40/2004 laddove prevede che il consenso alla PMA può essere revocato fino al momento della fecondazione dell'ovulo esclude chiaramente la possibilità di una revoca successiva di tale consenso. Nell'assetto originario della l. n. 40 del 2004, tuttavia, vi era una sostanziale contemporaneità tra fecondazione dell'ovulo e impianto in utero, in quanto l'art. 14 prevedeva che, per ogni ciclo di stimolazione ovarica, fosse prodotto un numero di embrioni non inferiori a tre, destinati tutti all'impianto, con conseguente ingresso di gravidanze plurigemellari, anche quando la donna non potesse o non volesse avere più di un figlio (ferma la successiva scelta di interrompere volontariamente la gravidanza). La crioconservazione era ammessa, ai sensi dell'art. 14, comma 3, in tale originaria versione, solo se, per cause di forza maggiore, non si fosse dato corso all'impianto immediato degli embrioni, che doveva comunque essere effettuato appena possibile. Con la sentenza n. 151 del 2009 la Corte costituzionale ha peraltro dichiarato l'art. 14 della l. n. 40/2004 è costituzionalmente illegittimo per violazione dell'art. 3 Cost. sotto il duplice profilo del principio di ragionevolezza e di quello di eguaglianza — ove prevede la produzione di non più di tre embrioni per volta, da impiantare contemporaneamente — ed ove non prevede che il trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile, debba essere effettuato senza pregiudizio per la salute della donna. In sostanza, a seguito dell'intervento additivo della Corte Costituzionale, è consentito produrre più di tre embrioni per ogni ciclo di trattamento, senza alcun obbligo per la donna di impiantarli tutti e possibile crioconservazione, in astratto senza limiti di tempo (cfr. Figone, Sperimentazione sugli embrioni. Un'ulteriore pronuncia della Corte Costituzionale, in IlFamiliarista). Di qui occorre interrogarsi se il decesso di uno dei coniugi dopo la fecondazione dell'ovulo assuma rilievo quale fatto impediente — evidentemente nell'ipotesi di embrione crioconservato — all'impianto dell'embrione nell'utero della donna. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Il figlio nato a seguito di fecondazione post mortem assume lo status di figlio legittimo?
Si, se il consenso era stato validamente prestato dal de cuius anche per l'ipotesi di successivo decesso L'art. 8 della l. n. 40 del 2004, recante lo status giuridico del nato a seguito dell'applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, è riferibile anche all'ipotesi di fecondazione omologa post mortem avvenuta mediante utilizzo del seme crioconservato di colui che, dopo aver prestato, congiuntamente alla moglie o alla convivente, il consenso all'accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, ai sensi dell'art. 6 della medesima legge e senza che ne risulti la sua successiva revoca, sia poi deceduto prima della formazione dell'embrione avendo altresì autorizzato, per dopo la propria morte, la moglie o la convivente all'utilizzo suddetto. Ciò pure quando la nascita avvenga oltre i trecento giorni dalla morte del padre (Cass. n. 13000/2019). Orientamento di merito La trasmissione dei gameti umani post mortem non può avvenire neppur se era stato prestato il consenso Secondo una soluzione rigorosa (Trib. di Roma, ord. 8 maggio 2019, in Foro it., 2019, I, 1952), nel caso di gameti crioconservati nell'ambito di una procedura di PMA, il consenso espresso a fini procreativi non consente la consegna dei campioni dopo il decesso in quanto il fine della procreazione non è più configurabile dopo la morte dell'interessato, stante il divieto normativo di fecondazione post mortem posto dall'art. 5 l. n. 40/2004. Né potrebbe assumere rilievo, secondo tale precedente, lo specifico consenso prestato dal de cuius prima del decesso all'utilizzo del proprio seme crioconservato a fini procreativi da parte della partner poiché si tratterebbe di atto dispositivo affetto da nullità per contrarietà a norme imperative stante il divieto di fecondazione post mortem sancito dalla legge n. 40 del 2004. Si può ottenere un ordine d'urgenza all'impianto in utero se l'embrione si era già formato prima del decesso La donna ha diritto di ottenere in via d'urgenza, ex art. 700 c.p.c., l'impianto in utero degli embrioni crioconservati e formati prima della morte del marito o del compagno, sul presupposto che, durante il tempo necessario a far valere il diritto in via ordinaria, le possibilità di ottenere la gravidanza verrebbero irreparabilmente pregiudicate dal deterioramento degli embrioni medesimi e/o dall'avanzamento dell'età della donna stessa (Trib. Bologna, 25 agosto 2018 e Trib. Messina, 28 settembre 2017, entrambe in Foro it., 2019, I, 1430; Trib. Lecce, 24 giugno 2019, in Fam. Dir., 2020, 949, con nota di Barone). In relazione a fattispecie anteriori all'entrata in vigore della l. n. 40 del 2004 Si può ottenere con provvedimento d'urgenza l'ordine della struttura sanitaria a impiantare nell'utero della donna il seme del coniuge defunto Il Tribunale di Bologna, con ordinanza del 16 gennaio 2015, ha riconosciuto il diritto di una vedova di cinquant'anni di ottenere il trasferimento in utero degli embrioni crioconservati prima dell'entrata in vigore della legge 40, nonostante la morte del marito avvenuta nel 2011. All'epoca della crioconservazione degli embrioni, i coniugi avevano sottoscritto una “Dichiarazione di interesse al futuro impianto degli embrioni”, la quale viene considerata dal tribunale una “manifestazione di volontà idonea ad escludere gli embrioni crioconservati, del caso de quo, dalla categoria degli embrioni in stato di abbandono”, pur non potendo valere quale dichiarazione di consenso all'impianto degli embrioni. Il tribunale, dopo avere affermato che gli embrioni non possono essere considerati in stato di abbandono alla luce della richiamata manifestazione di volontà dei coniugi, propone un'argomentazione che si svolge lungo tre passaggi fondamentali: a) poiché il processo di fecondazione ha avuto inizio prima dell'entrata in vigore della legge 40, si deve applicare quanto previsto dalle linee guida, ex art. 7 della medesima legge, le quali affermano che “in caso di embrioni crioconservati, ma non abbandonati, la donna ha sempre il diritto di ottenere il trasferimento dei predetti”. Pertanto, il trasferimento degli embrioni crioconservati può essere condizionato esclusivamente dalla “volontà esclusiva della donna”; b) le linee guida, a differenza di quanto in precedenza sancito dal T.A.R. Lazio (Nota), “devono considerarsi non frutto di autonoma fonte sub legislativa, ma di normativa di rango primario, in quanto fatte proprie, tramite la tecnica del rinvio, dalla stessa fonte legislativa”. Secondo il tribunale, “in quanto normativa emanata ad hoc ed avente un'applicazione specifica, ossia il regolamento delle procedure di fecondazione assistita iniziate antel. 40/2004 e non ancore terminate”, la disciplina contenuta nelle linee guida, “in base al noto principio di specialità, ben può prevalere sulla normativa generale di cui alla l. n. 40/2004, stabilendo una regolamentazione particolare volta a normare un nucleo specifico di situazioni”; c) sulla base di queste argomentazioni, “del tutto illegittimo risulta il rifiuto” opposto alla richiesta di trasferimento degli embrioni crioconservati prima dell'entrata in vigore effettuata dalla coniuge superstite sulla base del suo “pieno diritto di ottenere l'impianto degli embrioni venuti in essere”, e ordina “all'Azienda Ospedaliera Universitaria di Bologna “Policlinico Sant'Orsola-Malpighi”, in favore della reclamante, il trasferimento intrauterino degli embrioni crioconservati dal 1996 nel centro di procreazione medicalmente assistita del medesimo Policlinico, provenienti dalla stessa reclamante e dal di lei marito” (Trib. Bologna, I, 16 gennaio 2015, in Fam. e dir., 2015, n. 5, con nota di Scalera). 3. Azioni processualiFunzione e natura del giudizio Il ricorso d'urgenza rientra nell'ambito di quelli cautelari, volti dunque ad assicurare, nelle more della definizione sul merito della controversia, che gli effetti della relativa decisione non siano pregiudicati dal trascorrere del tempo. Pertanto, presupposti generali della concessione di una misura cautelare sono il fumus boni juris ed il periculum in mora. Il fumus boni juris denota l'apparente fondatezza della domanda proposta dal ricorrente in sede cautelare apprezzata nell'ambito di una cognizione di carattere sommario. Il periculum in mora attiene, appunto, al pericolo che si concretizzi un pregiudizio in danno della parte ricorrente nel tempo necssario all'accertamento del diritto della stessa nelle forme ordinarie. La tutela d'urgenza costituisce, nell'ambito delle misure cautelari, uno strumento di carattere generale e residuale, nel senso che può essere utilizzato al fine di evitare il verificarsi di un pregiudizio imminente ed irreparabile. Aspetti preliminari Competenza Se la domanda cautelare è proposta prima dell'inizio del giudizio di merito la competenza spetta in linea di principio, ex art. 669-ter c.p.c., al giudice competente per la controversia di merito. In genere sarà competente il Tribunale del luogo ove ha sede la struttura sanitaria che conserva l'embrione (o il seme crioconservato). Se invece la domanda è proposta in corso di causa va formulata al giudice assegnatario della stessa. Contenuto del ricorso ante litem Sebbene i provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c. rientrino tra quelli c.d. a strumentalità attenuata, nel senso che l'efficacia degli stessi non è subordinata alla instaurazione del giudizio di merito, è costante in giurisprudenza il principio in forza del quale nel ricorso proposto ante causam devono essere adeguatamente evidenziati il petitum e la causa petendi dell'eventuale controversia di merito che sarà eventualmente incardinata dopo la fase cautelare. Oggetto e onere della prova In conformità alle regole generali espresse dall'art. 2697 c.c. è il ricorrente a dover dimostrare la sussistenza dei presupposti per la concessione del provvedimento cautelare, ossia il fumus boni juris ed il periculum in mora. Peraltro, può ritenersi che l'urgenza sia almeno presunta quando per ragioni di età della donna o possibile deterioramento degli embrioni crioconservati il ritardo nella tutela potrebbe comportare l'impossibilità di realizzare la PMA. Il provvedimento: a) gli effetti Le ordinanze emesse ai sensi dell'art. 700 c.p.c. restano efficaci, se pronunciate a seguito di un ricorso proposto ante litem, a prescindere dall'instaurazione del giudizio di merito. Il provvedimento, tuttavia, non è idoneo a fare stato, con efficacia di giudicato, sul rapporto controverso che, salvo l'operare dei cc.dd. stabilizzatori di diritto sostanziale (prescrizione, decadenza) potrà essere messo in discussione in un successivo giudizio a cognizione piena. b) il regime L'ordinanza, sia di diniego che di concessione della misura cautelare è assoggettata, ex art. 669-terdecies c.p.c., a reclamo proponibile entro il termine perentorio di quindici giorni dalla pronuncia in udienza ovvero dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore. Il reclamo, per le misure emesse come avviene di regola dal giudice monocratico del tribunale, si propone al collegio (del quale non può far parte il giudice che ha deciso sul ricorso). Il procedimento di reclamo si svolge nelle forme camerali ed è deciso con ordinanza. Il provvedimento emanato a fronte del reclamo cautelare non è ulteriormente impugnabile. La Corte di cassazione ha infatti costantemente affermato che è inammissibile il ricorso straordinario ex art. 111, comma 7, Cost. per difetto di decisorietà. 4. ConclusioniL'art. 5 della l. n. 40 del 2004 vieta la fecondazione post mortem. Tale divieto è considerato espressione di una norma imperativa, sicché è integrato anche nell'ipotesi in cui il de cuius avesse prestato esplicitamente il proprio consenso a tale fecondazione. Ciò in ragione del diritto del nascituro alla bigenitorialità. Peraltro, poiché anche dopo l'intervento della sentenza n. 151 del 2019, vi sono ipotesi nelle quali è consentito differire rispetto al momento della fecondazione, l'impianto nell'utero della donna dell'embrione crioconservato, giurisprudenza di merito si è mostrata incline ad accogliere ricorsi d'urgenza volti all'impianto in utero post mortem. |