Licenziamento illegittimo1. Bussole di inquadramentoIl periculum in mora nei provvedimenti ex art. 700 c.p.c. Il provvedimento d'urgenza è una misura cautelare avente contenuto atipico che, ai sensi dell'art. 700 c.p.c., può essere richiesta, in assenza di un rimedio cautelare tipico, per tutelare un diritto, nelle more del tempo necessario per far valere lo stesso in via ordinaria, a fronte del pericolo di un pregiudizio imminente ed irreparabile. Particolare rilevanza, quanto alle situazioni giuridiche soggettive tutelabili mediante un provvedimento d'urgenza ai sensi dell'art. 700 c.p.c., assume la considerazione del periculum in mora che è invero integrato soltanto in presenza di un imminente pericolo di pregiudizio per il ricorrente che rivesta carattere “irreparabile”. Non si può trascurare, infatti, che la necessità, ai fini della concessione di un provvedimento di urgenza, di un pericolo di danno di natura irreparabile, ha indotto autorevole dottrina ad affermare che potrebbe essere richiesta una misura cautelare ex art. 700 c.p.c. esclusivamente per tutelare diritti assoluti ovvero quelli che hanno ad oggetto o tendono a conseguire un bene di carattere infungibile. In particolare, questa concezione ritiene che i diritti relativi aventi ad oggetto una prestazione di carattere fungibile — quali sono, paradigmaticamente, i diritti di credito ad una prestazione pecuniaria — non possono essere tutelati mediante un provvedimento d'urgenza, poiché in relazione agli stessi non potrebbe mai sussistere un irreparabile pericolo di pregiudizio stante la possibilità, all'esito del giudizio di merito, di ottenere un indennizzo completamente satisfattivo del danno economico nelle more subito dal ricorrente. Nella prassi, peraltro, ha finito con l'affermarsi un diverso orientamento, in omaggio al quale sussiste un pregiudizio irreparabile tutte le volte che, anche se il diritto ha ad oggetto la pretesa ad ottenere un bene di carattere fungibile, il risarcimento dei danni e gli altri rimedi apprestati dalla legge non siano idonei ad attuare integralmente, in concreto, il diritto fatto valere in giudizio. Diviene allora determinante, al fine di valutare l'irreparabilità del pregiudizio la funzione che il diritto dedotto in giudizio svolge per la persona del ricorrente, poiché la mancata concessione della misura cautelare potrebbe in ipotesi avere riflessi su beni e/o situazioni di carattere non patrimoniale di per sé suscettibili di subire un pregiudizio irreparabile (Proto Pisani, Appunti sulla giustizia civile, Bari 1982, 380). Il percorso della tutela “reale” a fronte dei licenziamenti illegittimi (cenni) La reintegrazione nel posto di lavoro di un dipendente da parte del datore era stata introdotta nell'ordinamento italiano con l'articolo 18, l. n. 300/1970 (c.d. “Statuto dei lavoratori) quale rimedio che consente al datore che abbia illegittimamente licenziato un proprio dipendente, il quale abbia ottenuto tale riconoscimento in sede giudiziale, di riammetterlo nella posizione lavorativa da questi precedentemente occupata. Nel contesto attuale, per delimitare l'ambito operativo della tutela reale rispetto al lavoratore che sia stato ingiustamente licenziato, occorre considerare un elemento di discrimine temporale, ossia la data di assunzione a tempo indeterminato (o di conversione del lavoro a tempo indeterminato). A seconda che ciò sia avvenuto prima o dopo il 7 marzo 2015, infatti, si fa riferimento, nel primo caso, ai c.d. “vecchi assunti”; nel secondo, invece, si parla della categoria dei c.d. “neoassunti”. Infatti, se per entrambe le categorie a prescindere dal requisito dimensionale che l'azienda datrice di lavoro soddisfa, laddove il licenziamento venga riconosciuto dal giudice nullo, discriminatorio o intimato in forma orale, o ancora laddove sia stato accertato dal giudice che il licenziamento sia stato comminato difettando di giustificazione per motivi relativi alla salute e disabilità fisica o psichica del lavoratore, il datore sarà costretto a reintegrare il lavoratore nel suo vecchio posto di lavoro, e dovrà riconoscergli anche un indennizzo corrispondente alla retribuzione dovuta dal giorno del licenziamento al giorno di effettiva reintegrazione. Tuttavia, con riguardo ai “vecchi assunti” si tratta di un regime di “tutela reintegratoria piena” che contempla, oltre alla reintegrazione nel vecchio posto di lavoro, la condanna del datore al pagamento al lavoratore di una somma commisurata alla retribuzione da questi percepita, la quale non può comunque essere inferiore alla cifra corrispondente a cinque mensilità (non sono previsti, invece, limiti massimi). Con riferimento a tale previsione, peraltro, è bene sottolineare che il lavoratore ha comunque facoltà di scelta, potendo egli preferire alla reintegrazione un indennizzo maggiore, pari a 15 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto — una tale scelta, comporta tuttavia la risoluzione del rapporto lavorativo. I presupposti per la reintegrazione nel posto di lavoro sono i seguenti: a) rispetto ad i c.d. “vecchi assunti”, se il datore di lavoro supera le soglie di cui all'art. 18, l. n. 300/1970 (unità produttiva con più di 15 lavoratori, o più di 5 se si tratta di imprenditore agricolo, o più di 60 dipendenti in totale) si applicano i regimi così come modificati dalla c.d. legge “Fornero”, n. 92/2012. Nello specifico, detta riforma prevede la possibilità che il datore venga condannato alla reintegrazione del dipendente in soli due casi, i quali vengono identificati come regimi di tutela “reintegratoria piena” — di cui si è parlato nel paragrafo precedente — e “reintegratoria attenuata”. In quest'ultimo caso — che si applica quando non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa per insussistenza del fatto contestato o perché il fatto rientra fra le condotte punibili con una sanzione conservativa — il giudice condanna il datore di lavoro non solo alla reintegrazione nel posto di lavoro, ma anche ad un indennizzo commisurato alla retribuzione con il limite di 12 mensilità (oltre al versamento dei contributi previdenziali per tutto il periodo dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione). Se, invece, il datore non supera le soglie di cui supra, per il lavoratore illegittimamente licenziato è prevista la possibilità di un mero indennizzo (i singoli casi sono disciplinati dalla l. n. 604/1966); b) quanto agli assunti dopo la data del 7 marzo 2015, trova applicazione il regime dettato dal D.Lgs. n. 23/2015 (e successive modificazioni), il quale prevede la possibilità che il lavoratore illegittimamente licenziato venga reintegrato nel proprio posto di lavoro solo qualora il licenziamento sia avvenuto in un contesto lavorativo che superi le soglie di cui all'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, laddove esso si sia verificato per giusta causa o giustificato motivo soggetto, e solo se il dipendente riesca a dimostrare in giudizio la insussistenza del fatto materiale che ha comportato il licenziamento che, dunque, il giudice riterrà manifestamente illegittimo. Laddove le circostanze del caso concreto non rispettino i requisiti appena elencati, al dipendente può solo essere concesso di ricevere un mero indennizzo, mentre il rapporto di lavoro resta inevitabilmente risolto. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Può essere attivata la tutela d'urgenza per le controversie sul licenziamento rientranti nel rito c.d. Fornero?
Se sussiste un pregiudizio super-irreparabile Posta la generale compatibilità tra tutela cautelare e rito Fornero, occorre stabilire a quali condizioni sia concedibile la prima, a fronte di una domanda rientrante nell'ambito applicativo del secondo. In particolare, deve chiarirsi se la previsione di un procedimento rapido, ma non urgente, che garantisce un tempo di tutela intermedio tra quello offerto dal processo ordinario e quello previsto dall'art. 700 c.p.c., possa aver mutato le condizioni per l'ottenimento di un provvedimento d'urgenza di reintegrazione nel posto di lavoro. Cominciamo col dire che il diritto del lavoratore alla reintegra non va riconosciuto in via d'urgenza quando la posticipazione nel tempo della decisione non pregiudica il diritto stesso. Cosicché, ove il ritardo nella risposta di giustizia rispetto ai tempi del procedimento cautelare non arrechi alcun pregiudizio effettivo, il periculum in mora non è rinvenibile. Si può invece ritenere che vi siano ragioni di urgenza tutte le volte in cui la concessione della misura cautelare di reintegra costituisca l'unica soluzione per evitare la produzione di un pregiudizio imminente ed irreparabile. Tale valutazione deve essere operata caso per caso, non potendosi stabilire aprioristicamente quale possa essere l'effettiva latitudine del pregiudizio tale da giustificare l'emissione di un provvedimento di urgenza. Per ottenere una tutela ex art. 700 c.p.c. il lavoratore dovrà allora dimostrare di essere di fronte a un rischio di pregiudizio produttivo di un danno irreparabile che non possa trovare ristoro all'esito del procedimento Fornero. Il periculum in mora dovrà essere quindi valutato con maggior rigore, non potendo ricorrere in qualsiasi violazione dei diritti del lavoratore ma solo quando tale lesione incida su posizioni giuridiche soggettive a contenuto non patrimoniale e di rango costituzionale e sia insuscettibile di ristoro per equivalente (Trib. Palermo, 24 settembre 2018, in ilprocessocivile.it, con nota di Giordano, Tutela in via d'urgenza del lavoratore tra rito Fornero e prova di un pregiudizio “super” irreparabile).
Domanda
Da quale momento deve decorrere il pagamento delle retribuzioni se l'ordine di reintegra è reso in sede cautelare?
Non necessariamente dalla data del licenziamento Il provvedimento d'urgenza con cui si ordina la reintegrazione nel posto di lavoro di un lavoratore il cui licenziamento appaia illegittimo, non ha necessariamente contenuto ed efficacia analoghi a quelli di un ordine di reintegrazione emesso ai sensi dell'art. 18, l. n. 300/1970 con la sentenza di merito, con la quale si dichiara l'illegittimità del suddetto atto di recesso; ne deriva che ben può il giudice ordinare la reintegrazione nel posto di lavoro con pagamento delle retribuzioni maturate dalla data di notificazione del provvedimento, invece che dal licenziamento (Cass. VI, n. 25247/2010). La decisione ha specificato che I provvedimenti d'urgenza emessi ai sensi dell'art. 700 c.p.c. hanno di norma il carattere dell'atipicità, dovendo essere adottati, secondo le circostanze, allo scopo di assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione di merito, ma non devono per ciò solo anticipare il prevedibile contenuto della medesima; ne consegue che il provvedimento d'urgenza con cui si ordina la reintegrazione nel posto di lavoro di un lavoratore il cui licenziamento appaia illegittimo non ha necessariamente contenuto ed efficacia analoghi a quelli di un ordine di reintegrazione emesso, ai sensi dell'art. 18 della l. n. 300 del 1970, con la sentenza di merito, non ricomprendendo il provvedimento cautelare l'accertamento dell'obbligo datoriale del pagamento della retribuzione maturata nel periodo dalla data del licenziamento a quella della reintegrazione, ed essendo conseguentemente inidoneo a fondare la domanda di tali retribuzioni richieste dal lavoratore in sede monitoria. Orientamento di merito consolidato Ai fini della valutazione del periculum occorre considerare come incide la perdita della retribuzione rispetto alla posizione personale del ricorrente Stante gli evidenziati limiti entro i quali è configurabile un pericolo di pregiudizio irreparabile nella tutela dei diritti di credito, in sede applicativa, è pacifico che la mera perdita della retribuzione, conseguente a licenziamento, non concretizza, di per sé, il pregiudizio imminente ed irreparabile di cui all'art. 700 c.p.c., trattandosi di danno sempre risarcibile ex post. Tale presupposto si realizza, per contro, allorquando la perdita della fonte di reddito incida su diritti essenziali del lavoratore, tali da richiedere un immediato soddisfacimento, quali il diritto ad un'esistenza libera e dignitosa, il diritto alla salute ovvero altri diritti insuscettibili di risarcimento per equivalente, come, ad esempio, il diritto alla formazione, all'elevazione professionale o all'immagine (Trib. Palermo, sez. lav., 17 luglio 2018; Trib. S.Maria Capua V., 24 luglio 2012, in Nuovo not. giur., 2012, 2, 382 nota (s.m.) con nota di: Bella). L'esistenza del pregiudizio deve essere provata concretamente in relazione all'effettiva situazione economica complessiva del lavoratore, all'esistenza di spese indilazionabili e alla compromissione dell'equilibrio psico-fisico dello stesso, che nel complesso giustificano l'irreparabilità del danno che subirebbe il ricorrente (Trib. Napoli, Sez. Lav., 21 luglio 2011; Trib. S. Maria Capua Vetere, Sez. Lav., 13 maggio 2010; Trib. Bologna, Sez. Prop. Ind., 14 aprile 2009; Trib. Trapani, Sez. Lav., 29 settembre 2008). 3. Azioni processualiFunzione e natura del giudizio Il ricorso d'urgenza rientra nell'ambito di quelli cautelari, volti dunque ad assicurare, nelle more della definizione sul merito della controversia, che gli effetti della relativa decisione non siano pregiudicati dal trascorrere del tempo. Pertanto, presupposti generali della concessione di una misura cautelare sono il fumus boni juris ed il periculum in mora. Il fumus boni juris denota l'apparente fondatezza della domanda proposta dal ricorrente in sede cautelare apprezzata nell'ambito di una cognizione di carattere sommario. Il periculum in mora attiene, appunto, al pericolo che si concretizzi un pregiudizio in danno della parte ricorrente nel tempo necessario all'accertamento del diritto della stessa nelle forme ordinarie. La tutela d'urgenza costituisce, nell'ambito delle misure cautelari, uno strumento di carattere generale e residuale, nel senso che può essere utilizzato al fine di evitare il verificarsi di un pregiudizio imminente ed irreparabile in considerazione della condizione personale del ricorrente. Focus novità Se nell'ultimo decennio, per effetto dell'art. 1, commi 48 e ss., della l. n. 219 del 2012, l'impugnazione nel merito del licenziamento con tutela reale seguiva le forme speciali e sommarie del rito c.d. Fornero, in attuazione della delega contenuta nella l. n. 206 del 2021, sono state introdotte, abrogato detto rito, specifiche norme nel c.p.c. dedicate all'impugnazione di tale atto datoriale. In particolare, subito dopo le norme che disciplinano le controversie in materia di lavoro, in attuazione del criterio di delega ex art. 1, comma 11, della l. n. 206 del 2021, è inserito nel c.p.c. il Capo I-bis, rubricato “Delle controversie in materia di licenziamenti” e contenente tre disposizioni. La norma più significativa è l'art. 441-bis c.p.c. che riporta, dopo la non breve fase del discusso rito c.d. Fornero (le cui previsioni sono abrogate dalla medesima riforma), anche il rito dell'impugnazione dei licenziamenti per i quali è ancora oggi contemplata la tutela reale dall'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, sotto l'egida generale delle disposizioni dettate dagli artt. 409 e ss. c.p.c. per il processo del lavoro. Nondimeno il legislatore tiene conto delle peculiari esigenze di celerità che connotano tali controversie per l'incidenza che il licenziamento ha sulla vita del lavoratore, specie ove egli abbia diritto, in caso di illegittimità dell'atto datoriale, al ripristino del rapporto di lavoro. È così enunciato il principio — che tuttavia assume una valenza meramente programmatica e non immediatamente precettiva, salve le circolari che verranno eventualmente emanate nei singoli uffici giudiziari — per il quale la trattazione e la decisione delle relative controversie riveste carattere prioritario rispetto alle altre pendenti sul ruolo del giudice, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto. Vengono poi dettate alcune specifiche previsioni volte ad accelerare l'iter dei giudizi di impugnazione dei licenziamenti in questione. In particolare, è attribuita al giudice la facoltà di ridurre i termini del procedimento fino alla metà, tenuto conto delle circostanze esposte nel ricorso, ferma restando la necessità di assicurare, a tutela della parte resistente, un termine c.d. a difesa di venti giorni tra la data di notificazione del ricorso e quella dell'udienza di discussione, e la riduzione, nel caso, dei termini della metà per la costituzione in giudizio della stessa. Nella medesima prospettiva acceleratoria, almeno rispetto alla questione più importante, ossia quella della reintegra del dipendente nel posto di lavoro, si prevede che l'autorità giudiziaria possa disporre la trattazione, istruttoria e decisione separata sulla relativa domanda, in presenza di eventuali domande connesse e riconvenzionali. L'ultimo comma della norma precisa che le medesime esigenze di celerità dovranno essere rispettate nei giudizi di impugnazione. Aspetti preliminari Competenza Se la domanda cautelare è proposta prima dell'inizio del giudizio di merito la competenza spetta in linea di principio, ex art. 669-ter c.p.c., al giudice competente per la controversia di merito. Se invece la domanda è proposta in corso di causa va formulata al giudice assegnatario della stessa. Il giudice competente è in entrambe le ipotesi, ai sensi dell'art. 413 c.p.c., quello speciale del lavoro. Contenuto del ricorso ante litem Sebbene i provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c. rientrino tra quelli c.d. a strumentalità attenuata, nel senso che l'efficacia degli stessi non è subordinata alla instaurazione del giudizio di merito, è costante in giurisprudenza il principio in forza del quale nel ricorso proposto ante causam devono essere adeguatamente evidenziati il petitum e la causa petendi dell'eventuale controversia di merito che sarà eventualmente incardinata dopo la fase cautelare. Oggetto e onere della prova In conformità alle regole generali espresse dall'art. 2697 c.c. è il ricorrente a dover dimostrare la sussistenza dei presupposti per la concessione del provvedimento cautelare, ossia il fumus boni juris ed il periculum in mora. Pertanto, per l'accertamento di tale requisito necessita una valutazione socio-economica del lavoratore sul quale grava l'onere di allegazioni puntuali e concrete in ordine alla propria situazione personale e familiare ossia che l'attore prospetti in sede cautelare situazioni da cui si desuma che l'allontanamento dalla attività lavorativa e/o la perdita della retribuzione nel tempo occorrente per il giudizio ordinario possano integrare causa di pregiudizio irreparabile non essendo sufficiente al riguardo una indicazione generica di disagio economico. Ne discende che il lavoratore licenziato che agisce in via d'urgenza per la reintegrazione del posto di lavoro dovrà allegare le circostanze di fatto in relazione alle quali il licenziamento stesso produce — in concreto — effetti lesivi di carattere irreparabile, che non possono reputarsi insiti nella mera circostanza della perdita del posto di lavoro e del relativo reddito. Soltanto a fronte di allegazioni così puntuali, la controparte può spiegare un'effettiva difesa ed il giudice del lavoro è posto in condizione di poter operare una verifica finalizzata alla tutela di un pregiudizio concretamente e non teoricamente irrimediabile. Il lavoratore licenziato che chieda la reintegra ex art. 700 c.p.c. deve fornire un quadro probatorio a sostegno della quantomeno apparente illegittimità del licenziamento di cui è stato destinatario ed in ossequio ai dettami di cui all'art. 2697 c.c. Richieste istruttorie Sin dalla fase cautelare del procedimento, ai fini della dimostrazione di un pericolo di pregiudizio irreparabile, la parte può sia produrre documentazione attestante la sua situazione economico-patrimoniale ed eventuali impegni assunti sul piano finanziario che quella familiare. Potrà eventualmente richiedere l'escussione di informatori che supportino altre circostanze specifiche in assenza di documentazione. Efficacia Il provvedimento: a) effetti Le ordinanze emesse ai sensi dell'art. 700 c.p.c. restano efficaci, se pronunciate a seguito di un ricorso proposto ante litem, a prescindere dall'instaurazione del giudizio di merito. Il provvedimento, tuttavia, non è idoneo a fare stato, con efficacia di giudicato, sul rapporto controverso che, salvo l'operare dei cc.dd. stabilizzatori di diritto sostanziale (prescrizione, decadenza) potrà essere messo in discussione in un successivo giudizio a cognizione piena. b) regime L'ordinanza, sia di diniego che di concessione della misura cautelare è assoggettata, ex art. 669-terdecies c.p.c., a reclamo proponibile entro il termine perentorio di quindici giorni dalla pronuncia in udienza ovvero dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore. Il reclamo, per le misure emesse come avviene di regola dal giudice monocratico del tribunale, si propone al collegio (del quale non può far parte il giudice che ha deciso sul ricorso). Il procedimento di reclamo si svolge nelle forme camerali ed è deciso con ordinanza. Il provvedimento emanato a fronte del reclamo cautelare non è ulteriormente impugnabile. La Corte di cassazione ha infatti costantemente affermato che è inammissibile il ricorso straordinario ex art. 111, comma 7, Cost. per difetto del concorrente requisito della residualità. 4. ConclusioniAi fini della concessione del provvedimento residuale e generale d'urgenza occorre la sussistenza di un pregiudizio irreparabile che si realizza tutte le volte che, anche se il diritto ha ad oggetto la pretesa ad ottenere un bene di carattere fungibile, il risarcimento dei danni e gli altri rimedi apprestati dalla legge non siano idonei ad attuare integralmente, in concreto, il diritto fatto valere in giudizio. Diviene allora determinante, al fine di valutare l'irreparabilità del pregiudizio la funzione che il diritto dedotto in giudizio svolge per la persona del ricorrente, poiché la mancata concessione della misura cautelare potrebbe in ipotesi avere riflessi su beni e/o situazioni di carattere non patrimoniale di per sé suscettibili di subire un pregiudizio irreparabile (Proto Pisani, Appunti sulla giustizia civile, Bari 1982, 380). La questione è stata ampiamente affrontata proprio dalla giurisprudenza chiamata ad esaminare i ricorsi proposti in via d'urgenza rispetto a licenziamenti dei quali è stata dedotta l'illegittimità. Se il relativo pregiudizio irreparabile non sussiste in re ipsa, poiché il diritto alla retribuzione si identifica con quello di credito a percepire una somma di denaro in astratto suscettibile di ristoro in via successiva, tuttavia il ricorso potrà essere accolto se il lavoratore licenziato che agisce in via d'urgenza per la reintegrazione del posto di lavoro alleghi e dimostri, anche in via presuntiva, le circostanze di fatto in relazione alle quali il licenziamento stesso produce — in concreto — effetti lesivi di carattere irreparabile, che non possono reputarsi insiti nella mera circostanza della perdita del posto di lavoro e del relativo reddito. |