Violazione dei patti parasociali

Rosaria Giordano

1. Bussole di inquadramento

Le caratteristiche dei provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c.

Il provvedimento d'urgenza è una misura cautelare avente contenuto atipico che, ai sensi dell'art. 700 c.p.c., può essere richiesta, in assenza di un rimedio cautelare tipico, per tutelare un diritto, nelle more del tempo necessario per far valere lo stesso in via ordinaria, a fronte del pericolo di un pregiudizio imminente ed irreparabile.

Il provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. è uno strumento di tutela cautelare residuale, come si evince chiaramente dall'incipit della stessa norma secondo cui lo stesso può essere richiesto “fuori dei casi regolati dalle precedenti sezioni di questo capo”, ovvero in relazione a situazioni per le quali non è prevista la possibilità di domandare la concessione di una delle misure cautelari tipiche. Ciò implica che a fronte di un'istanza proposta ai sensi dell'art. 700 c.p.c., il primo problema che si pone è stabilire se non vi sia un rimedio ad hoc non utilizzato dalla parte, onde evitare che la previsione dell'art. 700 c.p.c. attribuisca al ricorrente la possibilità di ottenere quello che non è più dato conseguire con il rimedio cautelare specificamente previsto per il caso concreto (ex plurimis, Trib. Salerno, 19 ottobre 2005).

La residualità dello strumento di tutela costituito dal provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. ed il contenuto atipico che lo stesso può assumere non comporta, in ogni caso, che lo stesso possa essere richiesto anche in assenza di una situazione soggettiva giuridicamente rilevante. In altri termini, è sempre necessario dedurre l'esistenza di un periculum di ritardata tutela rispetto ad un diritto (la cui sussistenza appaia almeno verosimile al giudice della cautela).

Particolare rilevanza, quanto alle situazioni giuridiche soggettive tutelabili mediante un provvedimento d'urgenza ai sensi dell'art. 700 c.p.c., assume la considerazione del periculum in mora che è invero integrato soltanto in presenza di un imminente pericolo di pregiudizio per il ricorrente che rivesta carattere “irreparabile”.

Non si può trascurare, infatti, che la necessità, ai fini della concessione di un provvedimento di urgenza, di un pericolo di danno di natura irreparabile, ha indotto autorevole dottrina ad affermare che potrebbe essere richiesta una misura cautelare ex art. 700 c.p.c. esclusivamente per tutelare diritti assoluti ovvero quelli che hanno ad oggetto o tendono a conseguire un bene di carattere infungibile. In particolare, questa concezione ritiene che i diritti relativi aventi ad oggetto una prestazione di carattere fungibile — quali sono, paradigmaticamente, i diritti di credito ad una prestazione pecuniaria — non possono essere tutelati mediante un provvedimento d'urgenza, poiché in relazione agli stessi non potrebbe mai sussistere un irreparabile pericolo di pregiudizio stante la possibilità, all'esito del giudizio di merito, di ottenere un indennizzo completamente satisfattivo del danno economico nelle more subito dal ricorrente.

Nella prassi, peraltro, ha finito con l'affermarsi un diverso orientamento, in omaggio al quale sussiste un pregiudizio irreparabile tutte le volte che, anche se il diritto ha ad oggetto la pretesa ad ottenere un bene di carattere fungibile, il risarcimento dei danni e gli altri rimedi apprestati dalla legge non siano idonei ad attuare integralmente, in concreto, il diritto fatto valere in giudizio. Diviene allora determinante, al fine di valutare l'irreparabilità del pregiudizio la funzione che il diritto dedotto in giudizio svolge per la persona del ricorrente, poiché la mancata concessione della misura cautelare potrebbe in ipotesi avere riflessi su beni e/o situazioni di carattere non patrimoniale di per sé suscettibili di subire un pregiudizio irreparabile.

I patti parasociali

Il patto parasociale è un accordo tra soci (ovvero tra soci e terzi), stipulato al di fuori dell'atto costitutivo, con il quale i contraenti si obbligano a tenere un determinato comportamento nella società o verso la società.

La S.C. ha affermato, in proposito, che i patti parasociali costituiscono convenzioni atipiche che si pongono sul “piano parasociale”, in quanto riguardanti i rapporti personali tra i soci e sul quale essi sono destinati ad operare, distinto dal “piano sociale”, concernente invece l'organizzazione della società e non direttamente investito da quei patti (Cass. I, n. 9846/2014).

Secondo la prevalente dottrina e giurisprudenza, il criterio distintivo al quale si deve ricorrere per stabilire la natura sociale o parasociale di un accordo tra soci è di natura oggettiva, dovendosi fare riferimento all'ambito di efficacia del patto nel senso che il patto è sociale se dall'accordo nascono obblighi che coinvolgono tutti i soci o intere categorie di soci e la società, mentre il patto è parasociale se gli obblighi sono limitati ai soci.

Le finalità principali dei patti parasociali per i contraenti possono essere:

— rafforzare la loro posizione di comando (soci di maggioranza);

— tutelare i propri diritti nei confronti della maggioranza sociale (soci di minoranza);

— influenzare e decidere sulle votazioni in assemblea;

— mantenere costante il numero di azioni o per regolare la liquidazione delle stesse.

I patti parasociali hanno piena efficacia obbligatoria tra le parti e sono validi ove non pregiudichino gli interessi della società e il funzionamento dell'assemblea.

L'art. 2341-bis c.c., nel limitarne la durata a cinque anni, finisce con il definire alcune categorie di patti parasociali, prevedendo, in particolare, che “i patti, in qualunque forma stipulati, che al fine di stabilizzare gli assetti proprietari o il governo della società: a) hanno per oggetto l'esercizio del diritto di voto nelle società per azioni o nelle società che le controllano; b) pongono limiti al trasferimento delle relative azioni o delle partecipazioni in società che le controllano; c) hanno per oggetto o per effetto l'esercizio anche congiunto di un'influenza dominante su tali società, non possono avere durata superiore a cinque anni e si intendono stipulati per questa durata anche se le parti hanno previsto un termine maggiore”.

Pertanto per alcuni patti parasociali la durata è prefissata dalla legge in cinque anni (sebbene gli stessi siano rinnovabili): sono i patti dei sindacati di voto, dei sindacati di blocco o i patti che hanno ad oggetto l'esercizio di un'influenza dominante sulle s.p.a. o sulle società che le controllano (sindacati di concerto).

I patti parasociali più frequenti sono proprio il patto di sindacato di voto e il patto di sindacato di blocco e più, in generale, si osserva che tali patti si combinano tra di loro. Nella prassi il primo è il patto più utilizzato e mediante lo stesso si regolamenta l'esercizio del voto in assemblea. Tale convenzione può avere la finalità di esercitare un'influenza dominante sulle delibere assembleari ovvero, nell'ipotesi di patto tra soci di minoranza, per meglio tutelare i propri interessi in sede assembleare.

Il socio che stipula il patto può comunque votare in modo difforme a quanto stabilito ed il voto sarà valido, ferma la responsabilità per inadempimento nei confronti degli altri soci aderenti al sindacato. In vero, i patti parasociali hanno efficacia meramente obbligatoria e non possono incidere sulla validità e sull'efficacia delle deliberazioni assembleari, con la conseguenza che l'unica sanzione per il caso di loro violazione è la tutela risarcitoria (ex multis, in sede applicativa, App. Roma, 21 febbraio 2019). Il patto parasociale nullo non genera alcun obbligo di risarcimento del danno da parte di chi lo disattende.

I sindacati di blocco sono invece convenzioni che limitano la circolazione delle azioni al fine di mantenere omogenea e stabile la composizione della compagine sociale.

I patti parasociali sono efficaci e vincolano solamente coloro che li sottoscrivono (e quindi non anche nei confronti della società: cfr., da ultimo, Trib. Napoli, III, n. 6438/2020, in Giustiziacivile.com, con nota di F. Rinaldi, la quale non ha escluso che la sottoscrizione degli accordi possa essere effettuata, tuttavia, anche da soggetti terzi rispetto ai soci).

Tuttavia, secondo la S.C., tenuto conto che i patti parasociali sono convenzioni atipiche, che riguardano i rapporti personali tra soci e operano sul piano organizzativo e gestionale, taluni soci si prestano e si impegnano ad eseguire prestazioni a beneficio della società e, pertanto, integrano la fattispecie del contratto a favore di terzo. Di questo poi sono legittimati a pretendere l'adempimento sia la società quale terzo beneficiario, sia i soci stipulanti, moralmente ed economicamente interessati che l'obbligazione sia adempiuta nei confronti della società di cui fanno parte (Cass. I, n. 9846/2014).

2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali

Domanda
La clausola di prelazione opera anche a fronte di un mutamento dell'assetto di controllo societario?

No, in quanto limitando la circolazione delle partecipazioni sociali deve essere oggetto di interpretazione restrittiva

La clausola di prelazione, in quanto limitativa del generale principio di circolazione delle azioni, deve essere oggetto di una interpretazione tendenzialmente restrittiva: la fattispecie della partecipazione sociale non può essere equiparata al fenomeno, del tutto differente, del mutamento del controllo di un socio, poiché in quest'ultimo caso manca il trasferimento delle azioni, rimanendo immutato il soggetto-persona giuridica cui è attribuito il diritto di proprietà delle azioni (Trib. Roma, Sez. spec. Impresa, 9 maggio 2017, in Ilsocietario.it 22 agosto 2017, la quale, in applicazione del principio, ha ritenuto che, nel caso concreto, la cessione dell'intero capitale di una società, socia al 38% di una s.p.a., non integrasse violazione della clausola di prelazione contenuta nello statuto di quest'ultima società).

Orientamento di merito

È ammessa la tutela d'urgenza per evitare il voto del socio aderente in contrasto con gli obblighi assunti

Nella — pur non ampia — giurisprudenza edita che si è confrontata con la questione la natura obbligatoria dei patti parasociali non è stata ritenuta ostativa alla possibilità di richiedere provvedimenti d'urgenza di cui all'art. 700 c.p.c. per ottenere — in adempimento a un patto parasociale — l'ordine del giudice diretto ad alcuni soci aderenti al patto di votare nell'assemblea della società in conformità agli obblighi assunti (cfr. Trib. Milano, ord. 20 gennaio 2009, in Società, 2009, n. 29, 1129, con note di Cartolano e Cella; Trib. Genova, 8 luglio 2004, in Giur. comm., 2007, 1, II, 235, con nota di Ghionni).

Più in particolare, si ritiene percorribile la tutela d'urgenza, quale rimedio atipico e di natura residuale, quando gli aderenti al patto si accorgano prima dell'assemblea che vi sono dei soci che non intendono rispettare la decisione assunta dalla maggioranza dei partecipanti al sindacato nell'esercizio del diritto di voto.

Almeno in astratto poi si è anche in precedenza affermata l'ammissibilità della tutela d'urgenza a seguito della condotta di alcuni soci aderenti di intraprendere, in violazione del patto stipulato, rapporti di collaborazione con altri operatori concorrenti (cfr. Trib. Roma, 28 agosto 1999, in Rass. giur. Enel, 2000, 523, la quale ha rigettato tuttavia il ricorso per la mancata prova di un concreto pericolo di pregiudizio irreparabile).

3. Azioni processuali

Funzione e natura del giudizio

Il ricorso d'urgenza è un rimedio di carattere residuale che consente, in assenza di altri strumenti di tutela cautelare che consentano di ottenere in concreto il medesimo grado di tutela per una determinata situazione giuridica soggettiva, di richiedere ed ottenere l'emanazione di provvedimenti atipici nel loro contenuto.

È però a tal fine necessario, oltre alla prova del fumus boni juris, quella di un periculum in mora particolarmente rigoroso, ossia quello di un pregiudizio imminente ed irreparabile.

La tutela in via d'urgenza dei diritti di credito è dunque possibile, potendo in altre ipotesi il relativo pregiudizio trovare adeguato rimedio ex post con il risarcimento ottenuto al termine del giudizio di merito, quando per il soggetto ricorrente la mancata concessione della misura cautelare potrebbe in ipotesi avere riflessi su beni e/o situazioni di carattere non patrimoniale di per sé suscettibili di subire un pregiudizio irreparabile.

Aspetti preliminari

Competenza

Se la domanda cautelare è proposta prima dell'inizio del giudizio di merito la competenza spetta in linea di principio, ex art. 669-ter c.p.c., al giudice competente per la controversia di merito.

La relativa competenza è demandata, trattandosi di rapporti societari, al Tribunale delle imprese (o, rectius, alla sezione specializzata costituita in alcuni Tribunali per tale materia) ai sensi dell'art. 3 del d.lgs. n. 168 del 2003.

Risolvendo un delicato contrasto di giurisprudenza che si era formato sulla questione, le Sezioni Unite della Corte di cassazione (Cass., S.U., n. 19882/2019) hanno chiarito che il rapporto tra sezione ordinaria e sezione specializzata in materia di impresa, nello specifico caso in cui entrambe le sezioni facciano parte del medesimo ufficio giudiziario, non attiene alla competenza, ma rientra nella mera ripartizione degli affari interni dell'ufficio giudiziario, da cui l'inammissibilità del regolamento di competenza, richiesto d'ufficio ex art. 45 c.p.c. Al contrario, rientra nell'ambito della competenza in senso proprio la relazione tra la sezione specializzata in materia di impresa e l'ufficio giudiziario, diverso da quello ove la prima sia istituita. Quest'ultima circostanza assume rilievo perché, come noto, le sezioni specializzate in materia di impresa non sono costituite presso tutti i Tribunali ma solo presso i Tribunali e le Corti d'appello di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia (art. 1, comma 1, d.lgs. 27 giugno 2003, n. 168), presso i Tribunali e le Corti d'appello aventi sede nel capoluogo di ogni regione, ove non esistenti nelle città ora elencate (art. 1 comma 1 bis), nonché presso i Tribunali e le Corti di appello di Brescia e di Bolzano.

Se invece la domanda è proposta in corso di causa va formulata al giudice assegnatario della stessa.

Contenuto del ricorso ante litem

Sebbene i provvedimenti d'urgenza ex art. 700 c.p.c. rientrino tra quelli c.d. a strumentalità attenuata, nel senso che l'efficacia degli stessi non è subordinata alla instaurazione del giudizio di merito, è costante in giurisprudenza il principio in forza del quale nel ricorso proposto ante causam devono essere adeguatamente evidenziati il petitum e la causa petendi dell'eventuale controversia di merito che sarà eventualmente incardinata dopo la fase cautelare.

Onere della prova

In conformità alle regole generali espresse dall'art. 2697 c.c. è il ricorrente a dover dimostrare la sussistenza dei presupposti per la concessione del provvedimento cautelare, ossia il fumus boni juris ed il periculum in mora.

Con riferimento alla fattispecie in esame si presenta particolarmente complessa la dimostrazione — che difficilmente potrà essere supportata da evidenze documentali — in ordine all'intento del socio aderente al patto di sindacato di votare in un'assemblea non ancora svolta in difformità agli accordi ovvero di porre in essere una condotta contraria agli stessi.

Efficacia

Il provvedimento:

a) effetti

Le ordinanze emesse ai sensi dell'art. 700 c.p.c. restano efficaci, se pronunciate a seguito di un ricorso proposto ante litem, a prescindere dall'instaurazione del giudizio di merito.

Il provvedimento, tuttavia, non è idoneo a fare stato, con efficacia di giudicato, sul rapporto controverso che, salvo l'operare dei cc.dd. stabilizzatori di diritto sostanziale (prescrizione, decadenza) potrà essere messo in discussione in un successivo giudizio a cognizione piena.

b) regime

L'ordinanza, sia di diniego che di concessione della misura cautelare è assoggettata, ex art. 669-terdecies c.p.c., a reclamo proponibile entro il termine perentorio di quindici giorni dalla pronuncia in udienza ovvero dalla comunicazione o dalla notificazione se anteriore. Il reclamo, per le misure emesse come avviene di regola dal giudice monocratico del tribunale, si propone al collegio (del quale non può far parte il giudice che ha deciso sul ricorso). Il procedimento di reclamo si svolge nelle forme camerali ed è deciso con ordinanza.

Il provvedimento emanato a fronte del reclamo cautelare non è ulteriormente impugnabile. La Corte di cassazione ha infatti costantemente affermato che è inammissibile il ricorso straordinario ex art. 111, comma 7, Cost. difettando il requisito della decisorietà.

4. Conclusioni

Il patto parasociale è un accordo tra soci (ovvero tra soci e terzi), stipulato al di fuori dell'atto costitutivo, con il quale i contraenti si obbligano a tenere un determinato comportamento nella società o verso la società (cfr. Campobasso, Diritto commerciale, 2, Diritto delle società, Torino, 2009, 51). In giurisprudenza è stato definito come convenzione atipica che attiene ai rapporti personali tra i soci e sul quale essi sono destinati ad operare, distinto dal “piano sociale”, concernente invece l'organizzazione della società e non direttamente investito da quei patti (Cass. I, n. 9846/2014).

In sede applicativa la natura obbligatoria dei patti parasociali non è stata tuttavia ritenuta ostativa alla possibilità di richiedere provvedimenti d'urgenza di cui all'art. 700 c.p.c. per ottenere in adempimento a un patto parasociale, contenente un ordine del giudice diretto ad alcuni soci aderenti al patto di votare nell'assemblea della società in conformità agli obblighi assunti (cfr. Trib. Milano, ord. 20 gennaio 2009, in Società, 2009, n. 29, 1129, con note di Cartolano e Cella; Trib. Genova, 8 luglio 2004, in Giur. comm., 2007, 1, II, 235, con nota di Ghionni).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario