Quando devono essere restituite le somme versate con l’assegno di mantenimento o divorzile?

Francesca Ferrandi
06 Dicembre 2022

Le Sezioni Unite si sono espresse in merito alla questione, molto controversa, della irripetibilità, in tutto o in parte, delle somme versate a titolo di mantenimento al coniuge separato e poi divorziato, in considerazione della natura sostanzialmente alimentare dell'obbligazione.
Massima

Nel rapporto tra coniugi separati o divorziati, in caso di modifica nel corso del giudizio

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delle condizioni economiche riguardanti i loro rapporti, basata su una diversa valutazione, per il passato, dei fatti già posti a base dei provvedimenti presidenziali, confermati o modificati dal giudice istruttore, opera la condictio indebiti in presenza di una rivalutazione della condizione del richiedente o avente diritto, ove si accerti l'insussistenza fin dall'inizio dei presupposti per l'assegno di mantenimento o divorzile. Diversamente, la prestazione è da ritenersi irripetibile, sia se si procede ad una rivalutazione, con effetto ex tunc, delle sole condizioni economiche del soggetto richiesto o obbligato alla prestazione, sia se viene effettuata una semplice rimodulazione al ribasso, anche sulla base dei soli bisogni del richiedente, purché sempre in ambito di somme di denaro di entità modesta. Al di fuori di quest'ultimo caso, in presenza di modifica, con effetto ex tunc, dei provvedimenti economici tra coniugi o ex coniugi opera la regola generale della ripetibilità.

Il caso

La questione trae origine da un ricorso presentato da una donna che, in secondo grado, era stata condannata dalla Corte d'appello a restituire le somme già percepite dall'ex marito, a titolo di mantenimento, a decorrere dall'ottobre 2009. La Corte romana, infatti, respingendo il gravame principale della donna, volto alla revisione delle condizioni economiche della separazione consensuale omologata ed al riconoscimento di un assegno divorzile, decideva di revocare i provvedimenti provvisori che erano stati emessi dal giudice di prime cure, nel giudizio promosso sulla base dell'art. 710 c.p.c., e, per l'effetto, di condannare la ex moglie alla restituzione di quanto già percepito. A detta della Corte territoriale, a far data dalla richiesta di modifica delle condizioni della separazione, non sussistevano i presupposti per il riconoscimento di un contributo al mantenimento; di qui, quindi, l'accoglimento dell'appello incidentale promosso dal marito, volto a conseguire la restituzione delle somme versate in esecuzione dei provvedimenti provvisori adottati in sede di procedimento di modifica delle condizioni.

La donna, pertanto, decideva di promuovere ricorso per cassazione. A suo dire, infatti, la Corte d'appello aveva, tra gli altri, falsamente applicato gli artt. 156 e 445 c.c., a fronte della natura alimentare dell'assegno di mantenimento.

Tuttavia, la Prima Sezione civile, con ordinanza interlocutoria n. 36509/2021, riteneva necessario rimettere al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la soluzione, fra gli altri, di alcuni quesiti ritenuti di particolare importanza: circala sussistenza o meno di un principio generale di irripetibilità delle statuizioni economiche in sede di giudizio di separazione e divorzio (in relazione ai coniugi ed ai figli), ricavabile dalla disciplina processuale; relativo alla natura alimentare (in tutto o in parte) o para-alimentare dell'assegno di mantenimento, ricavabile dal diritto sostanziale e circa l'effettivo carattere di irripetibilità della prestazione di alimenti, desumibile, in difetto di un'espressa disposizione normativa, dalla complessiva disciplina dettata in materia o da principi costituzionali.

La questione

L'assegno versato a titolo di mantenimento al coniuge separato e poi divorziato, originariamente ritenuto dovuto, deve essere restituito nel caso in cui, dopo una rivalutazione delle condizioni del beneficiario, venga accertato che, in realtà, questi, non ne aveva diritto ab origine, a fronte dell'assenza dei presupposti richiesti dalla legge?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, dopo un excursus sul quadro normativo di riferimento, sulle differenze tra assegno di mantenimento e assegno divorzile e sulla disciplina degli alimenti, ripercorre le diverse soluzioni che, nel tempo, sono state offerte al riguardo dalla giurisprudenza di legittimità.

In primo luogo, secondo alcune pronunce occupatesi del rapporto tra provvedimenti provvisori presidenziali e sentenza, la pronuncia che rivede in diminuzione o che esclude l'assegno corrisposto in base al provvedimento presidenziale o a quello, successivo, del giudice istruttore, non può avere efficacia retroattiva, potendo disporre solo per l'avvenire (ex nunc), (cfr. Cass. nn. 13593/2006 e 18538/2013).

In secondo luogo, ancora una volta in un'ottica di retroattività dell'assegno definitivo solo a favore del beneficiario, si è sostenuta la possibilità che la sentenza disponga anche per il passato, con effetto retroattivo, al fine di determinare la caducazione del titolo esecutivo in forza del quale il coniuge (o ex coniuge, nel divorzio) creditore pretenda dal coniuge (o ex coniuge) già debitore il versamento dei maggiori importi (o dell'intero importo) contenuti nel provvedimento interinale caducato o nella sentenza riformata (cfr. Cass. nn. 28987/2018 e 15186/2015).

Un terzo orientamento, poi, sempre in aderenza con la funzione normalmente “anche” alimentare dell'assegno separativo e divorzile, ammette, in linea di principio, la retroattività della sentenza che ne determina la sua diminuzione, e con essa la ripetibilità delle somme pagate in eccesso dal coniuge debitore, escludendola, però, laddove l'assegno, provvisoriamente attribuito al coniuge debole, e successivamente ridotto, per la sua consistenza quantitativa, abbia comunque i connotati di quello alimentare o sostanzialmente alimentare (cfr. Cass. nn. 6864/2009 e 21926/2019).

Da registrarsi, inoltre, una quarta posizione che, limitatamente ai procedimenti di modifica attivati dal coniuge (o ex coniuge) debitore, stante l'intervenuta conquista dell'indipendenza economica dei figli maggiorenni, il cui assegno di mantenimento è stato versato nelle mani dell'altro coniuge, ha ammesso la retroattività della modifica in diminuzione o dell'esclusione dell'assegno precedentemente versato, valorizzando lo stato soggettivo di “mala fede” del coniuge percipiente (che conosceva o avrebbe dovuto conoscere il “rischio restitutorio”), derivante dal versamento o dal preteso versamento di un assegno divenuto sostanzialmente “senza causa” (cfr. Cass. n. 11489/2014).

Infine, secondo un ultimo orientamento che mira, invece, a rimarcare la differenza, sul piano ontologico, tra l'assegno di mantenimento e quello alimentare, quanto percepito a titolo di contributo dei figli, minorenni o maggiorenni, ha sicuramente natura alimentare, (con conseguente sua impignorabilità e non compensabilità se non per controcrediti alimentari), mentre l'assegno di mantenimento del coniuge separato o divorzile si caratterizza per vincoli solidaristici chiaramente più ampi di quelli rapportati a primarie esigenze di sopravvivenza (v. Cass. n. 9686/2020).

Le Sezioni Unite, a composizione dei diversi orientamenti appena ricordati, hanno esaminato, dapprima, i rapporti tra i provvedimenti provvisori presidenziali e la sentenza definitiva, confermando la natura cautelare dei primi, nonché la loro provvisorietà e strumentalità rispetto alla sentenza di merito.

Successivamente, hanno riconosciuto come nell'ordinamento non esista, ad oggi, una disposizione che, sul piano sostanziale, sancisca la irripetibilità dell'assegno propriamente alimentare provvisoriamente disposto a favore dell'alimentando. Di conseguenza, secondo gli Ermellini, “occorre dare il giusto rilievo alle esigenze equitative-solidaristiche, espressione di quella solidarietà che trova sede anche nella peculiare comunità sociale rappresentata dalla famiglia ed anche nelle situazioni di crisi della unione, in un'ottica di temperamento della generale operatività della regola civilistica della ripetizione di indebito (art. 2033 c.c.), nel quadro di un'interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata della stessa”. E ciò, al fine di operare un necessario bilanciamento tra l'esigenza di legalità e prevedibilità delle decisioni e l'esigenza, di stampo solidaristico, di tutela del soggetto che sia stato riconosciuto parte debole nel rapporto.

In conclusione, nel caso in cui la sentenza escluda in radice e non per fatti sopravvenuti il presupposto del diritto al mantenimento, separativo o divorzile, in assenza di uno “stato di bisogno” del soggetto richiedente, ovvero si addebiti la separazione al coniuge che, nelle more, abbia goduto di un assegno con funzione non meramente alimentare, non vi sono ragioni per escludere l'obbligo di restituzione delle somme indebitamente percepite, ex art. 2033 c.c., (con conseguente piena ripetibilità).

Al contrario, non sorge, a favore del coniuge separato o dell'ex coniuge, obbligato o richiesto, il diritto di ripetere le maggiori somme provvisoriamente versate sia se si procede ad una rivalutazione, con effetto ex tunc, delle sole condizioni economiche del soggetto richiesto (o obbligato alla prestazione) sia nel caso in cui l'assegno stabilito in sede presidenziale (o nel rapporto tra la sentenza definitiva di un grado di giudizio rispetto a quella, sostitutiva, del grado successivo) venga rimodulato “al ribasso”.

Osservazioni

L'interessante pronuncia della Suprema Corte, resa nella sua massima espressione nomofilattica, trova la sua ratio nella tutela di quella solidarietà post-familiare, che connota tutta la disciplina della crisi familiare, ma anche nel fatto che, in tali ipotesi, non viene in discussione l'esistenza e la permanenza, in giudizio, di un soggetto in condizioni di debolezza economica. In rapporto, infatti, all'entità della somma di denaro litigiosa, deve presumersi che le maggiori somme (attribuite in via provvisoria o definitiva con la sentenza di prime cure), versate medio tempore dal richiesto al richiedente, siano state comunque, in atto o in potenza, consumate, per fini di sostentamento, dal coniuge debole. Una regola, questa, anche di esperienza pratica, dato che, da un lato, il denaro, specie di modesta entità, percepito in ragione del necessario sostentamento del coniuge, si presume sia stato speso a quel fine, con conseguente esclusione di ogni, inutile, azione di ripetizione e, dall'altro, in considerazione del fatto che l'entità, necessariamente, modesta di tale somma di denaro non può essere determinata in maniera fissa ed astratta, ma necessita di una valutazione personalizzata e in concreto, la cui determinazione è riservata al giudice di merito, chiamato a valutare tutte le variabili del caso sottoposto alla sua attenzione.

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