La nuova disciplina dei permessi premio per i condannati “ostativi” dopo il d.l. 162/2022

Fabio Fiorentin
12 Dicembre 2022

Il decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, primo atto del nuovo esecutivo in materia di politica penale, affronta numerosi aspetti legati alle attuali “emergenze”. Il cuore del provvedimento di urgenza è costituito da un complesso intervento su uno dei temi più divisivi che hanno impegnato il dibattito politico: la riforma del c.d. “ergastolo ostativo”, al quale sono dedicati i primi tre articoli del decreto-legge.
Premessa

La nuova disciplina ricalca, con alcune modifiche, il testo unificato già approvato dalla Camera dei deputati il 31 marzo 2022 (AS 2574) e si pone formalmente quale ottemperanza al monito rivolto al legislatore dalla Corte costituzionale, con l'ordinanza n.97/2021, affinché introduca una disciplina organica volta al superamento del c.d. “ergastolo ostativo”. Un tema particolarmente delicato nell'ambito della riforma è quello relativo alle nuove regole per la concessione dei permessi premio.

Le condizioni di ammissibilità sulla base del titolo di reato

Il fulcro della disciplina (non più assolutamente) ostativa continua a ruotare attorno alla norma-simbolo dell'art. 4-bis legge n. 354/75. Il decreto-legge n. 162/2022, infatti, pur formalmente superando l'ostatività assoluta alla concessione dei benefici penitenziari per i delitti indicati nella evocata disposizione penitenziaria, in effetti ne irrobustisce l'impianto, rafforzando il meccanismo del “doppio binario penitenziario” che, pur ora sganciato dal requisito della positiva collaborazione con la giustizia, è implementato con una articolata gamma di condizioni e filtri di accesso particolarmente pregnanti e severi, distinti sulla base del titolo di condanna.

I condannati che collaborano positivamente con la giustizia (art. 58-ter ord. penit. o art. 323-bis, comma 2, c.p.)

Con l'art.1, comma 1, lett. a), n.1, d.l. 162/2022, l'area di operatività delle disposizioni ostative di cui al primo comma dell'art. 4-bis l. n. 354/75 viene ampliata, estendendo l'onere di prestare una positiva collaborazione con la giustizia ai sensi dell'art. 58-ter ord. penit. ovvero ai sensi dell'art. 323-bis, comma 2, c.p., al fine dell'accesso ai benefici penitenziari, alle pene inflitte anche per delitti diversi da quelli indicati nel medesimo comma 1, primo periodo, dell'art. 4-bis, in relazione ai quali il giudice della cognizione o dell'esecuzione abbia accertato che sono stati commessi per eseguire od occultare uno dei reati di cui al medesimo primo periodo ovvero per conseguire o assicurare al condannato o ad altri il prodotto, il profitto, il prezzo ovvero l'impunità di detti reati.

La nuova disposizione introduce, dunque, una proiezione estensiva della disciplina di rigore, che diventa applicabile non solo ai delitti specificamente inclusi nel catalogo di cui all'art. 4-bis ord. penit., ma anche ad altre fattispecie, ad essi teleologicamente connesse, non più tassativamente indicate dalla legge, bensì selezionate, di volta in volta e in concreto, dal giudice. A queste ultime, pertanto, si applicheranno anche le disposizioni in materia di collaborazione con la giustizia secondo la disciplina contenuta negli artt. 58-ter ord. penit. e 323-bis, comma 2, c.p., già richiamati.

La norma di nuovo conio in esame si caratterizza, inoltre, quale ipotesi derogatoria rispetto alla regola generale, formatasi nel diritto vivente, che prevede lo “scioglimento del cumulo”, operazione da effettuarsi ogniqualvolta sia in esecuzione un provvedimento di unificazione di pene concorrenti applicate sia per delitti ostativi, sia per delitti non ostativi. In tali casi, il giudice è tenuto a verificare, ai fini del vaglio di ammissibilità della domanda di concessione di un beneficio penitenziario, che il condannato abbia espiato la parte di pena relativa ai delitti ostativi (con riguardo al cumulo materiale, Cass. pen., sent. n. 28141/2021; in relazione al cumulo giuridico, Cass. pen., n. 52182/2016), dovendosi ritenere espiata per prima la pena riferibile ai reati che non consentono l'accesso ai benefici (Cass. pen., n.28141/2021).

Una regola analoga può ricavarsi dalla stessa giurisprudenza costituzionale, che ha reiteratamente affermato il principio per cui la disciplina restrittiva dell'art. 4-bis ord. penit. non delinea uno status di detenuto pericoloso, dovendo essere letta «in conformità del principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 Cost., nel senso che possono essere concesse misure alternative alla detenzione ai condannati per i reati gravi, indicati dalla giurisprudenza, quando essi abbiano espiato per intero la pena per i reati stessi e stiano espiando pene per reati meno gravi non ostativi alla concessione delle misure alternative alla detenzione» (così C. cost., n. 361/1994 e, più recentemente, la sentenza n. 33/2022).

A tale principio generale fa dunque eccezione la nuova disciplina che esclude l'operatività dell'illustrata regola di favor rei nei casi in cui - così spiega la Relazione illustrativa - il giudice abbia accertato la sussistenza di una connessione qualificata tra il delitto non ostativo e quello ostativo, nei termini sopra illustrati. In tali ipotesi, che dovranno essere accertate nel singolo caso dal giudice, non sarà più possibile procedere allo scioglimento del cumulo e l'accesso ai benefici e alle misure alternative rimarrà assoggettato alla nuova, più rigorosa disciplina anche nel corso dell'espiazione del reato diverso da quelli indicati nel comma 1 dell'art. 4-bis ord. penit.

La delicata verifica ope iudicis della ricorrenza delle nuove fattispecie ostative sopra indicate sarà demandata – sempre che non vi abbia già provveduto il giudice della cognizione nella sentenza di condanna – al giudice dell'esecuzione nelle materie di sua competenza mentre la dizione normativa sembra precludere una tale operazione al giudice di sorveglianza chiamato a delibare l'ammissibilità di un'istanza di benefici penitenziari (il richiamo della legge, infatti, è testualmente riferito al solo giudice del merito e al G.E.), il quale dovrà pertanto recepire – senza possibilità di un autonomo margine di apprezzamento – il portato della decisione aliunde assunta che abbia accertato il nesso teleologico tra i reati la cui pena è posta in esecuzione. Ne consegue, per contro, che, qualora la detta connessione qualificata non sia stata oggetto di accertamento nelle sedi indicate dalla nuova disposizione, il giudice di sorveglianza non potrà autonomamente operare quel medesimo accertamento, trattandosi di una competenza di natura funzionale e inderogabile che la legge attribuisce espressamente ad altro giudice.

Alla luce della dizione testuale, la nuova disciplina non si applicherà soltanto nel caso di adozione da parte del P.M. di un formale provvedimento di cumulo (art. 663 c.p.p.), ma anche qualora sia posta in esecuzione una pena applicata con un'unica condanna per una pluralità di delitti, alcuni ostativi ed altri comuni, nonché in ipotesi di esecuzione comprendente più sentenze o decreti penali per reati diversi.

Trattandosi di disposizione di sfavore, la regola di nuovo conio troverà applicazione esclusivamente nei casi specificamente indicati recedendo, invece, in tutte le altre ipotesi, di fronte alla regola generale che impone lo scioglimento del cumulo. Per inciso, si rileva che la nuova dizione normativa, testualmente analoga a quella dell'art. 61 n. 2, c.p., non ricomprende le ipotesi di concorso formale e continuazione tra reati, che conservano la loro autonomia sul piano concettuale e applicativo (Cass. pen., sez. VI, 22 gennaio 2020, n. 14168).

Il condannato non collaborante. I “gruppi” di reati

Con riguardo alle condizioni di accesso ai permessi premio in favore del condannato non collaborante (art. 1, lett. a) n. 2, d.l. 162/22) – per tale dovendosi ora intendere esclusivamente colui che non ha prestato una positiva collaborazione con la giustizia ai sensi dell'art. 58-ter ord.penit. ovvero ai sensi dell'art. 323-bis, comma 2, c.p. e non più anche il soggetto che versa in una delle situazioni di collaborazione impossibile/inesigibile/irrilevante disciplinate dal testo del comma 1-bis dell'art. 4-bis ord. penit. vigente anteriormente alla riforma - il decreto-legge n. 162/22 introduce una articolata disciplina contraddistinta da gruppi di reati specificamente connotati.

Un primo gruppo (art.4-bis, comma 1-bis, ord. penit.) riguarda i delitti riconducibili alla criminalità organizzata: delitti di terrorismo o di eversione, delitti di mafia, favoreggiamento dell'immigrazione illegale, associazioni finalizzate al traffico di stupefacenti o al contrabbando di tabacchi.

Un secondo gruppo (art. 4-bis, comma 1-bis.1) comprende i restanti delitti indicati nell'art. 4-bis comma 1: quelli di cui agli articoli 314, comma 1, 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, comma 1, 320, 321, 322, 322-bis, 600, 600-bis, comma 1, 600-ter, commi 1 e 2, 601, 602, 609-octies e 630 c.p. (delitti contro la pubblica amministrazione, delitti in materia di schiavitù, tratta di persone, prostituzione e pornografia minorile, violenza sessuale di gruppo, sequestro di persona a scopo di estorsione).

Un terzo gruppo (art. 4-bis, comma 1-bis.2.) comprende condannati o internati, oltre che per taluno dei delitti di cui al comma 1-bis.1 (secondo gruppo), anche per il delitto di cui all'art. 416 c.p. finalizzato alla commissione dei delitti ivi indicati. A tali soggetti si estende la disciplina valida per il primo gruppo. Si tratta, a ben considerare, di un raggruppamento intermedio tra i primi due, caratterizzato dalla componente associativa che ha indotto il decretatore di urgenza a riservare a tali fattispecie la più rigorosa disciplina prevista, appunto, per i delitti associativi. La dizione normativa sembra consentire che possa valere, ai fini della sottrazione all'applicabilità della nuova disciplina, la circostanza che il condannato abbia già espiato la quota di pena corrispondente al delitto associativo. Alla luce del tenore letterale della disposizione in commento, può ritenersi che la condanna per il reato di cui all'art. 416 c.p. finalizzato alla commissione di taluno dei reati-fine, cui non sia conseguita la commissione del reato fine stesso, ricada nella previsione del comma 1-ter dell'art. 4-bis ord. penit.; la commissione del solo reato fine “puro” ricade nella disciplina dettata dal comma 1-bis.1; la condanna per l'art. 416 c.p. finalizzato alla commissione di un reato-fine con commissione del medesimo reato fine ricade nel comma 1-bis.

Emergono alcuni dubbi applicativi per il rilievo che alcuni delitti risultano collocati sia nel comma 1-ter che nel comma 1-bis.2 dell'art. 4-bis ord. penit., così che sorge incertezza circa il regime istruttorio e probatorio cui devono sottostare condannati e internati aspiranti ai benefici di cui al comma 1 della medesima disposizione. Potrebbe opinarsi, infatti, che, in base al nuovo comma 1-bis.2., essi siano, bensì, assoggettati al regime istruttorio di cui al comma 1-bis ma che, in base al comma 1-ter, la concessione dei benefici per i medesimi delitti sia, invece, subordinata alla mera assenza di elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva. Il medesimo dubbio sorge in relazione al delitto di associazione per delinquere finalizzata alla commissione del delitto di violenza sessuale di gruppo: tale reato è, infatti, previsto sia nel comma 1-ter, che nel comma 1-bis.2., dell'art. 4-bis.

Una plausibile lettura, giustificata dal tenore letterale del disposto normativo, può assumere che la nuova disciplina si applichi a condannati e internati per i detti delitti in aggiunta alle disposizioni contenute nel comma 1-ter (e 1-quater), con effetti cumulativi per quanto riguarda le condizioni di accesso.

Un'ulteriore criticità è stata rilevata con riferimento al reato di cui all'art. 12, comma 3 comma, d.lgs. 286/1998. Tale delitto, infatti, compare indicato tanto nel nuovo comma 1-bis, quanto nel comma 1-ter quale reato-scopo dell'associazione, con la conseguenza che un'associazione finalizzata alla realizzazione di tale delitto sarebbe assoggettata ad una disciplina meno severa, sul piano esecutivo, di quella riservata al reato ostativo ex se considerato. Va rilevato, tuttavia, che il delitto in esame già compariva, anteriormente alla riforma, sia nel comma 1 che nel comma 1-ter dell'art. 4-bis, e tale compresenza è sempre stata letta nel senso che la mera partecipazione al reato associativo resta assoggettata alle regole di cui al comma 1-ter, laddove la condanna per il delitto di cui all'art. 12, comma 3, d.lgs. 286/1998 comporta la sottoposizione al più severo regime di accesso ai benefici. Tale assetto appare coerente con il trattamento sanzionatorio previsto per la violazione dell'art. 416 c.p., punita meno severamente del delitto previsto dall'art. 12, comma 3, succitato.

La disciplina specifica di accesso ai benefici penitenziari: a) reati del primo e del terzo gruppo

Qualora si tratti di condannato per taluno dei delitti inseriti nel primo gruppo - quella cioè comprendente i delitti di criminalità organizzata – e quelli a sfumatura associativa indicati nel terzo gruppo, i requisiti di accesso ai benefici penitenziari e ai permessi premio in particolare sono i seguenti (comma 1-bis, art. 4-bis, l. 354/75):

a) dimostrazione dell'avvenuto adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o dell'assoluta impossibilità di tale adempimento: le obbligazioni civili sono quelle previste dall'art. 185 c.p., mentre gli obblighi di riparazione pecuniaria sono a es. quelli previsti dall' art. 322-quater c.p. Inoltre, l'art. 185 c.p. fa riferimento alle restituzioni a norma delle leggi civili. Con questa espressione si intende non solo un dare ma altresì un facere. Con riferimento alla disposizione in esame si è affacciato il dubbio di costituzionalità sotto il profilo dell'irrazionalità della disciplina che richiede il medesimo, gravoso livello probatorio tanto per il beneficio del permesso premio, che si colloca nel momento iniziale del percorso extramurario del condannato, quanto per la liberazione condizionale, che ne costituisce l'apice massimo. Il dubbio appare, tuttavia, superabile ove si rammenti che la nuova disposizione non tocca la disciplina sostanziale dei singoli benefici, che rimane immutata, talché, a es., per i permessi premio non è richiesto il presupposto del “ravvedimento” del condannato che, invece, è condizione essenziale che il tribunale di sorveglianza deve accertare ai fini della concessione della liberazione condizionale. Con riguardo alla clausola di salvezza relativa alla dimostrazione della “assoluta impossibilità” dell'adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria, la dizione è analoga a quella contenuta nell'art. 176, comma 4, c.p., salvo il riferimento alla natura “assoluta” dell'impedimento, che richiede al giudice una verifica particolarmente rigorosa di tale profilo. In quest'ottica, potranno valere le informazioni di natura reddituale e patrimoniale acquisite presso l'Amministrazione finanziaria e la Guardia di finanza. Si pone la questione di come il giudice debba verificare la natura “assoluta” dell'impossibilità di pagamento, poiché – sotto il profilo civilistico - non esiste tecnicamente l'impossibilità assoluta di adempiere alle obbligazioni pecuniarie salvo che l'esecuzione civile eventualmente intrapresa si sia chiusa formalmente con una declaratoria di inesistenza di cespiti aggredibili. La sussistenza di una impossibilità “assoluta” ad adempiere dovrebbe, peraltro, essere valutata alla luce delle indagini patrimoniali estese al contesto (parenti, familiari, “teste di paglia”) al fine di verificare se l'interessato, al di là dell'intestazione formale dei cespiti patrimoniali, ne abbia l'effettiva disponibilità. Alla luce del dettato normativo in esame, la quantificazione delle obbligazioni civili viene effettuata esclusivamente in relazione ai danni accertati con sentenza di condanna definitiva. Riguardata da un punto di vista penalistico – avuto riguardo alla ratio legis che non è finalizzata a far conseguire alle vittime il ristoro patrimoniale per i danni subiti, quanto a valutare l'intervenuta emenda del condannato, pare che la sussistenza della “assoluta impossibilità” debba essere accertata con riguardo al massimo sforzo ragionevolmente esigibile da parte dell'interessato (nel senso, a es., che potrà essere ritenuta sussistere in capo ad un ergastolano da oltre vent'anni in carcere che abbia compiuto piccole dazioni periodiche in favore della vittima, traendo i denari dall'unica fonte di reddito costituita dalla remunerazione percepita per l'attività lavorativa svolta in carcere.

b) allegazione di elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall'organizzazione criminale di eventuale appartenenza, che consentano di escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso: il riferimento al “contesto nel quale il reato è stato commesso” appare di difficile decodificazione per la genericità dell'espressione utilizzata, dovendosi comunque ragionevolmente identificare nei fattori ambientali e sociali che hanno favorito la commissione del reato;

c) allegazione di elementi specifici che consentano di escludere, altresì, il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile: il “pericolo del ripristino” dei collegamenti con la criminalità organizzata costituisce un requisito espressamente indicato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 253/2019, che il decretatore di urgenza, opportunamente, riferisce ai soli reati associativi e non riproduce con riguardo ai delitti del secondo gruppo (su cui v. infra);

d) accertamento da parte del giudice della sussistenza di iniziative dell'interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa: si tratta di un requisito che guarda alle eventuali azioni riparatorie o riparative intraprese dall'interessato. La natura dei percorsi di giustizia riparativa, in particolare, non potrà che essere valutata dal giudice a prescindere dagli eventuali esiti riparativi, così come prevede la nuova disciplina organica della giustizia riparativa introdotta con il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n.150 (ove, più opportunamente, si prevede che il giudice “valuta”, anziché “accerta”, l'effettuazione di un eventuale programma di giustizia riparativa. Nella stessa prospettiva dovrebbe essere apprezzato il profilo risarcitorio sussunto dal decreto di urgenza che – se inteso in senso strettamente civilistico - potrebbe sovrapporsi, almeno parzialmente, con la condizione di accesso ai benefici che già prescrive l'adempimento delle obbligazioni civili. Un margine di autonomia della previsione qui in esame può rinvenirsi leggendo la disposizione – che si riferisce a “iniziative” del condannato, non implicando, pertanto, un effettivo risultato di integrale soddisfacimento delle pretese creditorie sul piano civilistico - sotto il profilo del ristoro morale, inteso quale manifestazione di solidarietà umana nei confronti della vittima, che può esprimersi anche in forme non strettamente pecuniarie.

Quanto alla fase procedurale in cui tali elementi devono essere forniti al giudice, si rileva che la Corte cost. nell'ordinanza 227/2022afferma:«l'art. 1, comma 1, lettera a), numero 3) [del d.l. 162/22 n.d.A.], prevede l'ampliamento delle fonti di conoscenza cui la magistratura di sorveglianza deve ricorrere e la modifica del relativo procedimento, nonché l'onere in capo al detenuto di fornire elementi di prova contraria in caso di indizi, emergenti dall'istruttoria, dell'attuale sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva o con il contesto nel quale il reato è stato commesso, ovvero del pericolo di loro ripristino». Si tratta, come ha già precisato in taluni arresti la Corte di legittimità (Cass. pen., sez. I, 28 gennaio 2020, n. 5553, Rv 279783; Cass. pen., sez. I, 14 luglio 2021, n. 33743), di due temi di prova diversi. Il primo è la tradizionale prova di assenza di contatti perduranti tra il detenuto e il contesto associativo di appartenenza (il fatto positivo, rappresentato dal collegamento, integra cioè la condizione ostativa fattuale); il secondo tema di prova è costruito in termini di “negazione di qualcosa che non c'è ma che potrebbe avverarsi”, trattandosi di un “pericolo” di ripristino di tali collegamenti (si intende: che sarebbe agevolato dalla concessione del beneficio richiesto dal condannato o internato).

Le scansioni procedurali appaiono chiare nell'indicare che alcuni elementi vanno allegati subito dall'interessato (es. l'avvenuto adempimento delle obbligazioni civili), altri solo nel caso in cui dall'istruttoria della magistratura di sorveglianza emergano elementi negativi. È il caso della sopravvenienza di indizi dell'attuale sussistenza di collegamenti e del pericolo del loro ripristino. Qualora emergenti dalle informazioni e dai pareri acquisiti, incombe(rà) all'interessato l'onere di fornire elementi di prova in senso contrario (dimostrativi, cioè, dell'assenza di collegamenti e del pericolo di un loro ripristino. V. anche infra).

Per tutelare il diritto di difesa, qualora dall'istruttoria officiosa esperita dal giudice di sorveglianza emergano appunto tali indizi, sarà necessario alla luce dell'art. 24 Cost. consentire all'interessato un adeguato termine per fornire la prova contraria.

Se tale onere sarà adempiuto, il giudice di sorveglianza valuterà nel merito l'istanza, in caso contrario si pronuncerà con una declaratoria di inammissibilità della domanda.

b) Reati del secondo gruppo

Con riguardo ai condannati per i reati del secondo gruppo l'art. 4-bis comma 1-bis.1., ord. penit. stabilisce condizioni in parte diverse da quelle valide per il primo gruppo e precisamente:

a) La dimostrazione dell'avvenuto adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o dell'assoluta impossibilità di tale adempimento: si tratta di requisito analogo a quello già illustrato per il primo gruppo;

b) L'allegazione di elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria e alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo, che consentano di escludere l'attualità di collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, con il contesto nel quale il reato è stato commesso, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile: non essendovi un'organizzazione criminale di appartenenza, al condannato è richiesta l'allegazione di elementi tali da escludere i collegamenti con il “contesto nel quale il reato è stato commesso”. Non è, dunque, richiesta l'allegazione di elementi volti a escludere il pericolo del ripristino di tali collegamenti;

c) L'accertamento da parte del giudice della sussistenza di iniziative dell'interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa: si tratta di requisito analogo a quello già illustrato per il primo gruppo.

I profili istruttori

Il decreto-legge introduce estesi adempimenti istruttori in capo al giudice di sorveglianza, che vanno ad aggiungersi alle “dettagliate informazioni” già previste dall'art. 4-bis ord. penit., acquisite per il tramite del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione del condannato.

Anzitutto, deve essere chiesto il “parere” del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado o, se si tratta di condanne per i delitti indicati all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p., del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto ove è stata pronunciata la sentenza di primo grado e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Il passaggio normativo in esame deve essere inteso nel senso che la speciale procedura di acquisizione dei “pareri” non va attivata per tutti i reati previsti nell'art. 51 comma 3-bis, c.p.p., ma solo per quelli indicati anche nell'art. 4-bis, comma 1-bis e 1-bis.1, ord. penit.

La legge non stabilisce il contenuto di tali “pareri”, ma deve ritenersi che dovrà trattarsi di dettagliate e specifiche indicazioni degli elementi di fatto che rendono attuale e concreta la presunzione semplice di attualità dei collegamenti del soggetto con la criminalità organizzata o del pericolo del ripristino degli stessi, piuttosto che la manifestazione di opinioni o valutazioni sulla meritevolezza del condannato rispetto ai benefici richiesti.

Il giudice acquisisce, altresì, informazioni dalla direzione dell'istituto ove l'istante è detenuto o internato e dispone, nei confronti del medesimo, degli appartenenti al suo nucleo familiare e delle persone ad esso collegate, accertamenti in ordine alle condizioni reddituali e patrimoniali, al tenore di vita, alle attività economiche eventualmente svolte e alla pendenza o definitività di misure di prevenzione personali o patrimoniali.

L'eventuale emersione, dall'istruttoria svolta, di indizi dell'attuale sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica ed eversiva o con il contesto nel quale il reato è stato commesso, ovvero del pericolo di ripristino di tali collegamenti, genera in capo al condannato l'onere difornire, entro un congruo termine che verrà stabilito dal giudice, idonei elementi di prova contraria. In altri termini, ricorrendo tali ipotesi, l'interessato dovrà integrare le allegazioni fornite in sede di istanza introduttiva con elementi di natura probatoria. Su tali elementi, la parte pubblica potrà eventualmente interloquire con integrazioni o specificazioni delle informazioni fornite in prima battuta, anche su richiesta officiosa del giudice. È ipotizzabile l'adozione di una prassi che preveda l'emissione, da parte del giudice di sorveglianza, di un'ordinanza istruttoria che stabilisca il termine entro cui l'interessato dovrà produrre gli elementi di prova e, contestualmente, fissi un ulteriore termine per le eventuali repliche della Procura. Su tali elementi di prova indicati dall'interessato sarà poi necessario che intervenga la valutazione del giudice, che provvederà all'acquisizione delle prove documentali e all'eventuale assunzione delle altre prove secondo le forme di cui all'art. 185 disp. att. c.p.p.

Alla luce dell'indirizzo espresso dalla Corte di legittimità in rapporto all'onus probandi modellato dall'arresto costituzionale n. 253/2019 - tale onere deve rapportarsi ai due temi di prova prima evocati anche in chiave meramente logica e non rappresentativa, ferma la pertinenzialità delle indicazioni. In altri termini, il condannato o internato è tenuto a fornire elementi fattuali che abbiano concreta portata “antagonista” sul piano logico rispetto al fondamento della presunzione relativa di pericolosità che viene corroborata nel caso di specie dagli esiti dell'istruttoria disposta dal giudice (ad es. allegando l'assenza di procedimenti posteriori alla carcerazione, il mancato sequestro di missive, etc.), mentre appare difficile ipotizzare la natura degli elementi probatori che il soggetto è tenuto a produrre in rapporto al ravvisato “pericolo del ripristino” dei collegamenti. Come ha affermato la giurisprudenza, infatti, l'istante «non può fornire - in via diretta - la prova negativa 'diretta' di una condizione relazionale, quale è il 'pericolo di ripristino' dei contatti. Il pericolo è, infatti, sempre frutto di un giudizio prognostico - spettante al giudice - su cui la parte può incidere in modo solo relativo, manifestando la correttezza del percorso rieducativo» (Cass. pen., sez. I, 14 luglio 2021, n. 33743).

Profili procedurali

L'aspetto sistematicamente più innovativo della disciplina introdotta con il decreto-legge n. 162/22 è la traslazione della competenza a concedere il permesso premio (ed approvare l'ammissione al lavoro all'esterno) dal magistrato di sorveglianza al tribunale di sorveglianza che ha giurisdizione sull'istituto di pena in cui si trova l'interessato all'atto della richiesta (individuato, dunque, secondo le ordinarie regole sulla competenza territoriale ex art. 677 c.p.p.), quando l'istanza sia presentata da condannati per cinque tipologie di condanne: a) delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale; b) delitti di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza; c) delitti di cui all'art. 416-bis c.p.; d) delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso art. 416-bis c.p.; e) delitti commessi al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste(art. 30-ter, comma 1, ord.penit., come modificato dall'art.1, n. 6, lett. c) d.l. 162/2022).

Deve ritenersi che la deroga alla competenza generale sulla distribuzione della competenza in materia di lavoro all'esterno e permessi premio non possa trovare applicazione qualora la pena “attualmente” in espiazione non sia (più) riferibile ai titoli di reato sopra indicati, secondo un criterio ermeneutico che appare preferibile per salvaguardare la competenza di prossimità del magistrato di sorveglianza.

La nuova disciplina, infatti, incidendo sulla distribuzione della competenza fra tribunale e magistrato di sorveglianza, sottrae a quest'ultimo – nei casi sopra indicati - la cognizione in rapporto a benefici per i quali la conoscenza diretta del soggetto da parte del giudice è elemento valutativo essenziale per la decisione. Al fine di evitare la dispersione di tale patrimonio conoscitivo, proprio del “giudice di prossimità”, dovrebbe essere assicurata la presenza, nel collegio investito della decisione, del magistrato di sorveglianza che ha competenza sull'istituto ove è ristretto il condannato, in linea con quanto dispone l'art.70, comma 6, l. 354/1975.

L'assetto pone dubbi dal punto di vista della tenuta costituzionale per il differente trattamento sul piano delle garanzie difensive tra il condannato per reati comuni che, nella materia dei permessi premio può contare su tre gradi di giudizio, e il condannato per i delitti sopra indicati, al quale, invece, avverso la decisione collegiale eventualmente negativa, non resta alcuna possibilità di una revisione di merito ma solo il ricorso per cassazione (così infatti risulta dall'art.1, comma 1, lett. c), n. 2), che modifica il comma 7 dell'art. 30-ter ord. penit. prevedendo che la competenza del tribunale di sorveglianza, in sede di reclamo, opererà solo in relazione ai provvedimenti assunti dal magistrato di sorveglianza).

La riforma segna dunque una contrazione delle garanzie difensive soltanto per taluni condannati, debolmente fondata, rispetto ai parametri di cui agli artt. 3 e 24 Cost., sul mero dato costituito dal titolo della condanna in esecuzione.

Inoltre, deve rilevarsi che, mentre i provvedimenti del magistrato di sorveglianza sono reclamabili al tribunale collegiale e non sono, quindi, immediatamente esecutivi (art. 30-quater ord. penit.), consentendo in tal modo l'esercizio di un controllo giudiziale da parte del P.M., le decisioni assunte dal tribunale di sorveglianza sono, invece, immediatamente esecutive salvo il meccanismo di sospensiva di cui al comma 7, art. 666 c.p.p. Tale profilo – con una sorta di eterogenesi dei fini - incide proprio sul versante della tutela delle esigenze preventive che la riforma vuole, invece, tutelare, dal momento che, secondo il nuovo assetto, la decisione eventualmente favorevole a un condannato per i delitti più gravi sarà posta immediatamente in esecuzione mentre quella assunta dal magistrato di sorveglianza, se reclamata dal P.M., resterà sospesa fino alla definizione del relativo procedimento.

Trattandosi di disposizioni di natura procedurale, le nuove regole in materia di competenza collegiale - fermo il principio di non regressione trattamentale incolpevole (v. infra) – trovano immediata applicazione, secondo il principio tempus regit actum, alle istanze proposte a partire dal 31.10.2022 e dunque il magistrato di sorveglianza eventualmente investito dell'istanza depositata in cancelleria a partire da quella data, trasmetterà gli atti al Tribunale di sorveglianza competente per la decisione (v. tuttavia infra per le istanze pendenti davanti al magistrato di sorveglianza).

Ciò produrrà un consistente aggravio dei ruoli dei tribunali di sorveglianza e una inevitabile dilatazione dei tempi di concessione dei permessi premio anche per coloro che già attualmente ne fruiscono. Una tale presa d'atto suggerisce l'opportunità che, in sede di conversione, si introduca la previsione che la decisione collegiale valga per la concessione del primo permesso, riservando poi alla competenza monocratica la decisione sui permessi successivi (salvo, comunque, l'espletamento dell'istruttoria, in particolare l'acquisizione dei pareri prescritti. Su tali profili, v. infra).

Sarà, inoltre, necessario intervenga una precisazione normativa in relazione alla competenza in caso di revoca dei permessi (a es. in dipendenza da rilievi o condotte realizzate dal permessante).

Il ruolo delle Procure

Secondo la nuova disciplina, il Procuratore distrettuale – può svolgere le funzioni di pubblico ministero nelle udienze presso il tribunale di sorveglianza che abbiano ad oggetto la concessione dei benefìci di cui al comma 1, art. 4-bis, ord. penit., nei confronti di condannati per reati di cui all'articolo 51, comma 3-bis e comma 3-quater c.p.p. (art. 4-bis comma 2-ter ord. penit., introdotto dall'art. 1, lett. a, n. 5 decreto legge n. 162/2022). Il riferimento al catalogo dei reati di cui all'art. 51 comma 3-bis e comma 3-quater c.p.p. deve intendersi riferito ai soli delitti previsti dall'art. 4-bis comma 1, ord. penit. alla luce della collocazione sistematica della disposizione (nuovo comma 2-ter dell'art. 4-bis cit.)

La partecipazione alle udienze di sorveglianza del (o dei) P.M. distrettuali di primo grado rappresenta una mera “possibilità” che non presuppone alcun obbligo di comunicazione o di notificazione del decreto di citazione, non essendo prevista alcuna previsione in tale senso né alcuna sanzione processuale. D'altra parte questi stessi PM saranno già a conoscenza della data dell'udienza a seguito della richiesta di parere e saranno loro a prendere contatti con la Procura generale competente per comunicare la loro partecipazione all'udienza in luogo del P.G. in relazione a taluni procedimenti.

La competenza sui permessi premio ai collaboratori di giustizia

Un punto critico della riforma riguarda la disciplina per i collaboratori di giustizia. Infatti, il d.l. 162/22 non detta alcuna disposizione specifica in materia di benefici per chi ha collaborato con la giustizia. In particolare, sotto il profilo procedurale, non è chiaro se la competenza alla concessione dei permessi premio resti monocratica ovvero segua la regola di nuova introduzione sulla competenza collegiale, mentre per istruttoria e termini continua ad applicarsi la disciplina speciale (art. 16-nonies d.l. 8/91e art. 58-ter, ord. penit.). Secondo una possibile lettura, infatti, pur avendo, l'art.4-bis ord. penit., primo comma, fatte salve le disposizioni degli articoli 16-nonies e 17-bis del d.l. 8/1991, tale clausola di salvezza, riferendosi ai requisiti sostanziali di ammissione ai benefici extramurari e rimandando per i profili procedurali alle disposizioni della l. 354/75, non sottrarrebbe i collaboranti alla nuova disciplina della competenza collegiale introdotta nell'art.30-ter ord. penit. Per contro, un più convincente argomento a favore della perdurante competenza monocratica a decidere sulle istanze di permesso premio si fonda sul rilievo che il legislatore ha mantenuto, ai commi 4 e 8 dell'evocato art.16-nonies, d.l. 8/91, il riferimento espresso anche alla competenza “magistrato di sorveglianza”, del che la norma speciale anteriore dovrebbe sopravvivere alla disposizione generale posteriore introdotta con la modifica dell'art. 30-ter sopra richiamato.

Appare, comunque, opportuna l'introduzione, in sede di conversione, di una disposizione che espressamente sottragga i collaboratori dalla applicazione della nuova disciplina, anche nella prospettiva della premialità che innerva la speciale normativa sui collaboratori di giustizia.

Diritto intertemporale e situazioni tuttora sub judice al momento della vigenza del d.l. 162/22

Il d.l. 162/22 non regola espressamente tutte le situazioni procedimentali che in concreto possono presentarsi. Ne deriva la necessità di operare una distinzione tra due fattispecie:

1) condannati che al 31.10.2022 hanno già ottenuto un primo permesso premio, (anche se non ancora materialmente fruito), secondo le modalità di valutazione introdotte dalla sentenza costituzionale n. 253/2019 o in esito all'accertamento della collaborazione impossibile/irrilevante di cui all'abrogato comma 1-bis dell'art. 4-bis, ord. penit. In relazione a tali situazioni, non essendovi specifiche disposizioni transitorie, varrà il principio di non regressione trattamentale: tali soggetti continueranno pertanto a fruire del beneficio premiale anche se non concesso in seguito al vaglio introdotto dal d.l. 162/22. Deve, infatti, ritenersi che tale principio abbia valenza generale nella materia dei benefici penitenziari in quanto direttamente collegato ai principi costituzionali (art. 27 ma anche art. 24 Cost.), come ribadito anche dalla Consulta con la sentenza costituzionale n. 32/2020 («questa Corte ritiene che l'art. 25, comma 2, Cost. non si opponga a un'applicazione retroattiva delle modifiche derivanti dalla disposizione censurata alla disciplina dei meri benefici penitenziari, e in particolare dei permessi premio e del lavoro all'esterno… ciò non significa, peraltro, che al legislatore sia consentito disconoscere il percorso rieducativo effettivamente compiuto dal condannato che abbia già raggiunto, in concreto, un grado di rieducazione adeguato alla concessione del beneficio… ciò si porrebbe in contrasto – se non con l'art. 25, comma 2, Cost. – con il principio di eguaglianza e di finalismo rieducativo della pena (artt. 3 e 27, comma 3, Cost.), secondo i principi sviluppati dalla giurisprudenza di questa Corte sin dagli anni Novanta del secolo scorso… negare, a chi si trovi nella posizione di quel condannato, la concessione del beneficio equivarrebbe a disconoscere la funzione pedagogico-propulsiva del permesso premio (sentenza n. 253 del 2019), quale strumento idoneo a consentirne un suo iniziale reinserimento nella società, in vista dell'eventuale concessione di misure alternative alla detenzione, in assenza di gravi comportamenti che dimostrino la non meritevolezza del beneficio nel caso concreto (sentenza n. 504 del 1995; nello stesso senso, sentenze n. 137 del 1999 e n. 445 del 1997)»).

Ciò posto per i profili sostanziali, a conclusioni diverse deve pervenirsi per quanto attiene ai profili procedurali, per i quali si prospetta, invece, l'immediata applicazione sia delle modifiche introdotte all'art. 30-ter, commi 1 e 7, ord. penit. quanto alla nuova competenza collegiale a decidere sul permesso premio; sia di quelle relative agli adempimenti istruttori necessari per la decisione (nuovo comma 2 dell'art. 4-bis ord. penit. V. supra), ma non dei più stringenti requisiti di accesso (come a es. la dimostrazione dell'integrale risarcimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato).

Un profilo molto delicato riguarda la competenza a decidere sulle istanze di permesso premio successive alla prima. In difetto di specifiche norme che stabiliscano una differenziazione tra la concessione del primo permesso premio e di quelli successivi, dovrebbe essere seguita la più articolata procedura prevista anche per le successive richieste di permesso premio.Le richieste di permesso premio successive al 31.10.22, presentate da condannati non collaboranti per delitti di cui all'art. 4-bis comma 1, ord. penit., già fruitori del detto beneficio dovranno, pertanto, essere riesaminate con la nuova procedura ma senza l'applicazione delle nuove e più severe condizioni di accesso previste dal nuovo comma 1-bis, art. 4-bis ord. penit., in forza del principio di non regressione trattamentale. Tale soluzione, pur gravosa sotto il profilo istruttorio, appare opportuna poiché i pareri assunti si riferiscono a profili suscettivi di evoluzione dinamica (quali, appunto, l'affiliazione alla consorteria mafiosa e il pericolo del ripristino dei detti collegamenti) così come, ad ogni nuova istanza di permesso premio, il direttore del carcere esprime un nuovo parere per i profili di meritevolezza.

2) condannati o internati che al momento dell'entrata in vigore della riforma non hanno ancora ottenuto permessi premio a) perché non hanno ancora richiesto la concessione del beneficio in questione; b) perché, pur avendolo già richiesto con le modalità previste dalla sentenza costituzionale n. 253 del 2019 o secondo lo schema previsto dall'art. 4-bis, comma 1-bis, ord. penit. antevigente hanno ancora in corso l'istruttoria dinanzi al magistrato di sorveglianza o al tribunale di sorveglianza; c) hanno già ottenuto una risposta negativa nel merito dal magistrato di sorveglianza ed al momento dell'entrata in vigore della riforma hanno in corso il reclamo contro il decreto di rigetto o il ricorso per cassazione contro l'ordinanza del tribunale di sorveglianza di rigetto o inammissibilità del reclamo già esperito negativamente.

Si prospettano le seguenti soluzioni applicative:

A) per coloro che non hanno ancora richiesto la concessione del beneficio in questione, l'istanza introduttiva ancora da presentarsi dovrà ab initio contenere tutte le allegazioni difensive richieste dalle nuove prescrizioni normative del “nuovo” art. 4-bis ord. penit., salvo sempre il principio di non regressione trattamentale per quanto riguarda i presupposti sostanziali di accesso al permesso premio;

B) per coloro che pur avendolo già richiesto con le modalità previste dalla sentenza costituzionale n. 253 del 2019 hanno ancora in corso la relativa istruttoria: nel caso di procedimento già instaurato con istanza presentata secondo il modello della sentenza costituzionale n. 253 del 2019, dovrebbe essere onere della parte integrare l'istanza con le nuove allegazioni richieste e dovere del giudice incrementare le richieste istruttorie secondo i nuovi obblighi introdotti nel comma 2 novellato, art. 4-bis ord. penit., fermo restando, anche qui, il principio di non regressione trattamentale per quanto riguarda i presupposti sostanziali di accesso al permesso premio;

Un profilo non espressamente normato riguarda la competenza sulle domande di permesso premio già pendenti presso il magistrato di sorveglianza al 31.10.2022. Secondo una ricostruzione possibile, varrebbe in questi casi il principio della perpetuatio jurisdictionis rimanendo dunque, le dette istanze, incardinate presso il giudice monocratico, il quale sarà, tuttavia, onerato a decidere alla luce della nuova disciplina sulle acquisizioni istruttorie (pareri e informazioni) concedendo all'interessato un congruo termine per integrare le domande con i nuovi elementi imposti dallo jus superveniens. A sostegno di tale ipotesi, si può richiamare l'analogo indirizzo assunto dalla giurisprudenza in merito alla permanenza della competenza del tribunale provinciale nonostante il passaggio a quello distrettuale della competenza per le misure di prevenzione (Cass. pen. n. 58512/2018), nonché in relazione alla nuova competenza funzionale del GUP presso la DDA, ove si è richiamato il principio tempus regit actum (Cass. pen. sez. III, 20 ottobre 2016, n. 5742 ha stabilito che: «In virtù del principio " tempus regit actum", che governa la successione nel tempo delle norme processuali, è legittima la celebrazione dell'udienza preliminare avanti all'ufficio giudiziario territorialmente competente al momento in cui è stata formulata la richiesta di rinvio a giudizio, non rilevando che una legge successiva ne abbia modificato la competenza». Sarebbero, invece, immediatamente vigenti e applicabili i nuovi adempimenti istruttori. A sostegno di tale orientamento può, altresì, invocarsi la circostanza che, quando il legislatore ha voluto introdurre una deroga a tale principio generale, lo ha fatto dettando una specifica norma transitoria (es. in tema di competenza a decidere sulla liberazione anticipata, consentendo, ai sensi del comma 5, art. 69-bis, l. 354/75 la possibilità per il tribunale di sorveglianza di trasmettere gli atti al magistrato di sorveglianza nel caso di istanze di liberazione anticipata presentate unitamente ad una domanda di misura alternativa alla detenzione). Sarebbe, comunque, opportuno, in sede di conversione, l'inserimento di una disposizione transitoria che preveda (o consenta) al magistrato di sorveglianza la trasmissione al tribunale delle domande pendenti riguardanti i permessi premio e il lavoro all'esterno, presentate prima dell'entrata in vigore del decreto legge, che in base alle nuove regole appartengono alla competenza dell'organo collegiale.

Per le istanze presentate a partire dal 31.10.22 varrà, invece, il nuovo criterio di determinazione della competenza, con l'avvertenza che anche in tale evenienza opererà il meccanismo di scioglimento del cumulo, nel senso che se il magistrato di sorveglianza ritenga già espiata la parte di pena relativa al reato che modifica la competenza (salvo che quest'ultimo non si rientri nelle ipotesi di divieto di scioglimento del cumulo di cui all'art. 4-bis, comma 1, ultimo periodo, ord. penit.

C) nel caso di reclami pendenti avanti al Tribunale di sorveglianza sul diniego permessi premio: in alternativa alla declaratoria secca di inammissibilità dell'impugnazione, il tribunale potrà disporre un rinvio per integrare l'istruttoria, attesa la sopravvenienza di requisiti non sussistenti quando l'istanza originaria è stata proposta. Al proposito, la Corte di legittimità ha elaborato un orientamento a cui mente la competenza sull'impugnazione si radica con riferimento al momento in cui viene adottato il provvedimento suscettibile di gravame: secondo tale indirizzo, il giudice competente per il gravame è, dunque, quello previsto dalla normativa vigente nel momento in cui viene emesso l'atto da impugnare (Cass. pen. sez. un. n. 27614/2007). Si ritiene, in altri termini, possibile la definizione in sede collegiale dei reclami pendenti avverso i provvedimenti del magistrato di sorveglianza in materia di permessi premio anche nei casi in cui la competenza a provvedere in prime cure appartenga, in base alle nuove norme, al tribunale di sorveglianza.

D) nei casi di procedimento instaurato con istanza presentata secondo la abrogata disciplina di cui al comma 1-bis, art. 4-bis ord. penit., cioè con richiesta di accertamento incidentale di impossibilità/inesigibilità/irrilevanza di utile collaborazione, l'istanza incidentale incorre nella declaratoria di inammissibilità (la sopravvivenza del giudizio di impossibilità e/o inesigibilità di utile collaborazione riguarda solo le misure alterative e la liberazione condizionale), mentre la richiesta principale di merito potrebbe sopravvivere e continuare ad essere vagliata, per esigenze di economia processuale, con onere di integrazione dell'istanza principale che con le nuove istruttorie introdotte dal d.l. 162/22.

La collaborazione impossibile/inesigibile/irrilevante

L'istituto della collaborazione impossibile, irrilevante o inesigibile (di cui all'art. 4-bis, comma 1-bis, ord. penit. nella precedete formulazione) sopravvive unicamente per le richieste di misure alternative o di liberazione condizionale, mentre non è più rilevante ai fini dell'ammissibilità per i procedimenti relativi alle richieste di collaborazione impossibile afferenti ad istanze di permesso premio.

Il profilo della impossibilità/inesigibilità può essere, tuttavia, recuperato in sede di valutazione sulle ragioni della mancata collaborazione, ove opererà, tuttavia, non (più) quale porta principale di accesso ai benefici, bensì quale mero elemento valutativo che dovrà essere vagliato insieme alle altre risultanze istruttorie acquisite dal giudice.

Si pone il dubbio di tenuta costituzionale in relazione al regime transitorio di cui al comma 2 dell'art. 3 del decreto-legge in esame, che fa salvo l'istituto della collaborazione impossibile o irrilevante per i condannati e gli internati che abbiano commesso delitti ostativi prima dell'entrata in vigore del decreto stesso. Tale clausola di salvezza è, infatti, prevista per le sole misure alternative alla detenzione e per la liberazione condizionale, e non anche per i permessi-premio, palesandosi un profilo di irrazionalità della previsione che agevola la concessione di misure extramurarie più ampie rispetto alle più rigorose regole introdotte per il beneficio più stringente e limitato nel tempo, quale il permesso-premio.

In conclusione

La nuova disciplina introdotta dal d.l. 162/22 dovrà essere attentamente valutata in sede di conversione, per introdurre gli opportuni correttivi volti a sciogliere le numerose problematiche interpretative che l'attuale testo ha suscitato tra gli operatori, in particolare introducendo una disciplina transitoria relativa ai procedimenti in corso al momento della entrata in vigore della nuova disciplina e chiarendo il regime procedurale applicabile in materia di benefici che riguardano i collaboratori di giustizia.

Riferimenti
  • Associazione Italiana Professori di Diritto Penale, Osservazioni sul d.l 31 ottobre 2022, n. 162, 4 novembre 2022;
  • E. Dolcini, L'ergastolo ostativo riformato in articulo mortis, in Sist. Penale, online, 7 novembre 2022;
  • D. Galliani, Il decreto legge 162/2022, il regime ostativo e l'ergastolo ostativo: i dubbi di costituzionalità non manifestamente infondati, in Sist. Penale, online, 21 novembre 2022;
  • F. Gianfilippi, IlD.L. 162/2022 e il nuovo 4-bis: un percorso a ostacoli per il condannato e per l'interprete, in Giustizia Insieme, online, 1.11.22;
  • S. Lonati, Verso il tramonto dell'ostatività penitenziaria: un'attesa lunga trent'anni, in Arch.Pen., online, 2, 2022;
  • V. Manca, Ergastolo ostativo e 4-bis ord. pen.: verso orizzonti sempre più nebulosi e securitari. L'arduo compito della difesa quale garante della Costituzione, in Diritto di Difesa, online, 3 novembre 2022;
  • A. Ricci, Osservazioni a prima lettura agli artt. 1-3 del decreto-legge n. 162 del 31.10.2022, in tema di «divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia», in Giurispr. Penale, online, 11, 2022.

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