Efficacia probatoria della dichiarazione resa nell'atto di notorietà

Mattia Caputo
16 Dicembre 2022

La dichiarazione resa nell'ambito di un atto di notorietà è integralmente fidefaciente anche in ordine al contenuto delle dichiarazioni rese? E' possibile equiparare “quoad legem” l'atto di notorietà ad una confessione stragiudiziale?
Massima

L'atto di notorietà designa la dichiarazione di scienza relativa a fatti che alcuni soggetti affermano essere notoriamente a conoscenza di una cerchia più o meno vasta di persone. L'efficacia probatoria di tale atto, fino a querela di falso, riguarda soltanto l'attestazione dell'ufficiale rogante di avere ricevuto le dichiarazioni in esso contenute dai soggetti indicati, previa loro identificazione. Viceversa, per quanto riguarda il contenuto delle dichiarazioni, all'atto di notorietà viene attribuita un'efficacia meramente indiziaria, salvo le ipotesi in cui la legge prevede diversamente”.

"In tema di prova civile, la confessione giudiziale o stragiudiziale richiede una esplicita dichiarazione della parte o del suo rappresentante in ordine alla verità di fatti ad essa sfavorevoli o favorevoli all'altra parte, e, pur potendo desumersi da un comportamento o da fatti concludenti, non può consistere in una dichiarazione solo implicitamente o indirettamente ammissiva dei fatti in discussione, che è utilizzabile quale elemento meramente presuntivo od indiziario. Nell'atto di notorietà, diversamente dalla dichiarazione sostitutiva, la dichiarazione non è resa dall'interessato, né rileva a questo fine l'attestazione del notaio rogante "di avere dato lettura dell'atto ai richiedenti e agli attestanti, che lo hanno approvato e sottoscritto, riconoscendolo conforme alla loro volontà". Tale attestazione riguarda il fatto che il pubblico ufficiale, su richiesta di certi soggetti, ha ricevuto le dichiarazioni. Essa non vale a trasformare la dichiarazione resa dagli attestanti in una dichiarazione propria del richiedente. L'atto notorio non può perciò contenere una confessione stragiudiziale liberamente valutabile ex art. 2735, comma 1, c.c., come invece si riconosce per la dichiarazione sostitutiva, perché, appunto, la dichiarazione non è resa dalla parte interessata, ma da un terzo.

Il caso

A seguito della morte di Tizio si apriva la sua successione e Caio e Sempronia, tra coloro chiamati all'eredità, dichiaravano di rinunciare alla stessa, accettata, in loro rappresentazione, dai figli minori.

Mevia conveniva quindi in giudizio gli altri chiamati ed i minori accettanti in rappresentazione, rappresentati dai genitori Caio e Sempronia, al fine di ottenere una pronuncia che accertasse l'inefficacia della rinuncia da questi effettuata, deducendo che essa era intervenuta quando, in realtà, essi avevano già accettato l'eredità. Il Tribunale adito accoglieva la domanda attorea sulla base della circostanza che, nell'atto di notorietà ricevuto dal notaio ai fini della successione, in cui erano intervenuti Caio e Sempronia, equiparabile ad una confessione stragiudiziale in punto di prova, questi avevano dichiarato di essere stati immessi nel possesso dei beni ereditari, ragion per cui, non avendo essi effettuato l'inventario entro i termini di legge, sarebbe intervenuto l'acquisto della qualità di erede ai sensi dell'art. 485 c.c.

Avverso tale decisione veniva interposto appello e la Corte d'Appello di Napoli, investita del gravame, lo rigettava, confermando la correttezza della qualificazione, operata dal giudice di prime cure, delle attestazioni rese da Caio e Sempronia davanti al notaio alla stregua di confessione stragiudiziale.

La controparte proponeva allora ricorso per Cassazione articolato su quattro motivi, tre dei quali imperniati sulla violazione e falsa applicazione degli artt. 2730 e 2735 del c.c. Secondo i ricorrenti, infatti, la Corte d'Appello avrebbe errato laddove ha considerato la dichiarazione resa innanzi al notaio in sede di atto di notorietà come una confessione stragiudiziale, difettando l'”animus confitendi”, poiché la dichiarazione resa non aveva altro scopo se non quello di accertare chi fossero i chiamati e difettando la dichiarazione di fatti favorevoli all'altra parte, i cui diritti ereditari non erano intaccati in alcun modo dalla vicenda.

La questione

La sentenza che qui si annota ha ad oggetto una problematica concernente il profilo dell'efficacia probatoria della dichiarazione resa nell'ambito di un atto di notorietà, e segnatamente: da un lato, se essa sia integralmente fidefaciente anche in ordine al contenuto delle dichiarazioni rese, con la conseguenza che per contestarne la veridicità è necessario proporre querela di falso. Dall'altro lato, poi, se sia possibile equiparare “quoad legem” l'atto di notorietà ad una confessione stragiudiziale, con applicazione ad essa del disposto dell'art. 2733, comma 2, c.c., circa il fatto che essa fa piena prova contro colui che l'ha fatta.

Le soluzioni giuridiche

La seconda Sezione della Corte di cassazione con la pronuncia in esame ha fornito una risposta chiara e netta ad entrambe le problematiche sottoposte al suo scrutinio.

Per quanto riguarda la questione della possibilità di ritenere che l'atto di notorietà rivesta efficacia probatoria privilegiata ai sensi dell'art. 2700 c.c. anche in ordine al contenuto delle dichiarazioni in esso rese, la Suprema Corte ha fornito una risposta parzialmente positiva.

La Seconda Sezione ha innanzitutto premesso che l'atto di notorietà consiste in una dichiarazione di scienza relativa a fatti che alcuni soggetti affermano essere notoriamente a conoscenza di una cerchia, più o meno ampia, di persone. Quindi, trattandosi di atto reso davanti ad un pubblico ufficiale, esso fa sì piena prova fino a querela di falso, ma solo circa l'attestazione dell'ufficiale rogante di avere ricevuto le dichiarazioni in esso contenute dai soggetti indicati, previa loro identificazione; non invece per quanto concerne il contenuto delle dichiarazioni, rispetto al quale all'atto di notorietà viene attribuita un'efficacia meramente indiziaria, come tale soggetta al prudente apprezzamento del giudice ai sensi dell'art. 116 c.p.c. e da valutare globalmente e complessivamente con le altre risultanze istruttorie, fatte salve le ipotesi in cui la legge preveda diversamente.

Con riguardo alla problematica della equiparabilità dell'atto di notorietà alla confessione stragiudiziale, la risposta della Corte di Cassazione è stata di segno negativo. Per approdare a tale decisione, la Suprema Corte ha preso le mosse dalla nozione di confessione di cui all'art. 2730 c.c. (giudiziale o stragiudiziale che sia), la quale richiede una dichiarazione esplicita della parte o di chi la rappresenta circa la verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all'altra parte, quantunque desumibile da comportamenti concludenti, ma che non può consistere in una dichiarazione solo implicitamente o indirettamente ammissiva dei fatti in discussione, che è suscettibile di essere utilizzata solo come elemento presuntivo o indiziario. Nell'atto di notorietà la dichiarazione non è resa dall'interessato, né rileva l'attestazione del notaio rogante “di avere dato lettura dell'atto ai richiedenti e agli attestanti, che lo hanno approvato e sottoscritto, riconoscendolo conforme alla loro volontà”, in quanto essa riguarda solo il fatto che il pubblico ufficiale ha ricevuto le loro dichiarazioni, ma non trasforma le dichiarazioni rese dagli attestanti dichiarazioni riferibili ai richiedenti. La logica conseguenza di questa ricostruzione dell'atto notorio è che esso non può contenere alcuna confessione stragiudiziale, come tale valutabile ai sensi dell'art. 2735, comma 1, c.c. – così come avviene per la dichiarazione sostitutiva -, in quanto in essa la dichiarazione non proviene dall'interessato, bensì da un terzo, il pubblico ufficiale.

Sulla base di questa motivazione La Suprema Corte ha quindi ritenuto fondato il ricorso, per avere la Corte d'Appello di Napoli con la sentenza impugnata ravvisato l'inefficacia della rinuncia all'eredità di Caio e Sempronia solo sulla base della erronea equiparazione tra atto di notorietà innanzi al notaio e confessione stragiudiziale, senza tenere in alcun conto ulteriori risultanze probatorie che potessero portare a ritenere integrati gli estremi di un'accettazione espressa o tacita dell'eredità da parte di coloro che si assumono rinuncianti.

Osservazioni

La pronuncia che qui si annota si segnala per essere giunta a soluzioni assolutamente coerenti con le norme vigenti e, come tali, condivisibili.

Per quanto riguarda l'efficacia probatoria dell'atto di notorietà, la Corte di cassazione ha fatto piana applicazione del disposto dell'art. 2700 c.c., in forza del quale l'atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, delle dichiarazioni delle parti e delle attestazioni ad opera del soggetto rogante dei fatti da lui compiuti o verificatisi in sua presenza. In tal modo è approdata alla conclusione per cui le dichiarazioni rese dalle parti davanti al pubblico ufficiale non possono ritenersi fidefacienti (fino all'eventuale vittorioso esperimento della querela di falso), atteso che la veridicità delle dichiarazioni effettuate negli atti pubblici non risulta, appunto, coperta da efficacia probatoria privilegiata a norma del succitato art. 2700 c.c., potendo essere esse valutate dal giudice alla stregua di un elemento indiziario, insieme agli altri elementi di prova raccolti nel corso del processo.

Relativamente alla possibilità di ricondurre, sempre sotto il versante probatorio, l'atto di notorietà nell'alveo della confessione stragiudiziale di cui all'art. 2735 c.c., poi, essa è stata esclusa categoricamente dalla Seconda Sezione della Corte di cassazione in modo assolutamente ineccepibile, in base ad un ragionamento di tipo sillogistico. Infatti, se il presupposto primario per la configurabilità di una confessione è che la dichiarazione (di fatti a se sfavorevoli e favorevoli all'altra) provenga dalla parte o dal suo rappresentante, esso difetta nell'atto di notorietà, dove la dichiarazione non proviene dalla parte ma, appunto, dal pubblico ufficiale che forma l'atto stesso, e che è terzo rispetto alle parti coinvolte. Provenendo l'atto di notorietà dal pubblico ufficiale rogante, ne deriva che ad esso potrà essere attribuita l'efficacia probatoria privilegiata fidefaciente entro i limiti di cui all'art. 2700 c.c., fatta esclusione, come chiarito proprio dalla Suprema Corte, per il contenuto delle dichiarazioni in esso riportate. Di contro, la Corte di cassazione ha avuto modo di specificare che diversa valenza deve attribuirsi alla dichiarazione sostitutiva, la quale, provenendo direttamente dalla parte che la rilascia, senza il filtro o l'intermediazione di altri soggetti come il pubblico ufficiale, è qualificabile come una vera e propria confessione stragiudiziale ai sensi dell'art. 2735 c.c. e, come tale, idonea a fare piena prova contro colui che l'ha fatta ex art. 2733, comma 2, c.c.

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