Chiamata in causa per ordine del giudice: il terzo è litisconsorte in sede di impugnazione?

Sergio Matteini Chiari
22 Dicembre 2022

La Suprema Corte è chiamata a definire se il soggetto che abbia partecipato al giudizio di primo grado in seguito a chiamata in causa iussu iudicis sia litisconsorte necessario in fase di impugnazione e quali siano le conseguenze processuali ove non gli venga notificato l'atto d'appello.
Massima

La chiamata del terzo del terzo iussu iudicis ex art. 107 c.p.c. determina una situazione di litisconsorzio necessario c.d. processuale, non rimuovibile per effetto di un diverso apprezzamento del giudice dell'impugnazione, salva l'estromissione del chiamato con la sentenza di merito, con la conseguenza che quando il terzo, dopo aver partecipato al giudizio di primo grado a seguito di tale chiamata, non abbia preso parte a quello di appello, si configura una violazione dell'art. 331 c.p.c., rilevabile anche d'ufficio nel giudizio di legittimità, nel quale va disposta la cassazione con rinvio per nuovo esame previa integrazione del contraddittorio.

Il caso

AAA conveniva in giudizio, innanzi al competente Tribunale, la società BBB, formulando in via principale domanda ex art. 2932 c.c. in relazione ad un preliminare concluso con la medesima e dolendosi che la conclusione del contratto definitivo era stata impedita dal fatto che l'immobile oggetto del preliminare risultava censito al Catasto due volte con due schede diverse; in subordine, chiedeva risarcimento dei danni sofferti in ragione di tale situazione.

Il Tribunale, previa dichiarazione di contumacia della società BBB, disponeva consulenza tecnica d'ufficio, all'esito della quale l'attore, in primo luogo, rinunciava alla domanda principale, insistendo nella domanda subordinata di risarcimento dei danni e, in secondo luogo, chiedeva ed otteneva la chiamata in causa sia del tecnico geom. CCC sia della Direzione Generale del Catasto, quali soggetti ritenuti dall'attore corresponsabili dell'aggrovigliata situazione catastale.

Costituitesi la sola Direzione Generale del Catasto e l'Agenzia delle Entrate, il Tribunale, all'esito della procedura, condannava la società convenuta ed i terzi chiamati in solido al risarcimento dei danni in favore dell'attore.

Avverso tale pronuncia proponevano appello congiuntamente i due Enti chiamati in causa. Si costituivano in giudizio unicamente DDD ed EEE, quali eredi di AAA, nel frattempo deceduto.

All'esito, la Corte di merito adita, in totale riforma della decisione di prime cure, respingeva la domanda di risarcimento danni.

La Corte, in primo luogo, disattendeva l'eccezione di nullità della notifica dell'appello sollevata da DDD ed EEE, osservando che la mancata segnalazione del decesso di AAAad opera del proprio procuratore aveva comportato l'ultrattività del mandato conferito a quest'ultimo e la conseguente regolarità della notifica al medesimo del gravame.

Nel merito, la Corte osservava che la chiamata in causa dei terzi era stata disposta non solo successivamente allo scadere delle memorie istruttorie, ma addirittura dopo l'espletamento della C.T.U. sulla cui base era stata ritenuta fondata la domanda risarcitoria, senza che il Tribunale avesse proceduto alla rinnovazione dell'incombente istruttorio così da assicurare pienezza di contraddittorio, e quindi con violazione del diritto di difesa dei terzi chiamati. La Corte, pertanto, riteneva inutilizzabile la C.T.U., in tal modo pervenendo all'integrale riforma della decisione di prime cure.

DDD ed EEE proponevano ricorso per cassazione avverso tale decisione, intimando tutti i soggetti precedentemente indicati.

Le questioni

La Corte Suprema di Cassazione è stata chiamata a stabilire:

a) se il terzo che abbia partecipato al giudizio di primo grado a seguito di chiamata in causa iussu iudicis rivesta la figura di litisconsorte necessario processuale nella successiva fase di gravame;

b) quali dovessero essere le conseguenze, sul piano processuale, della mancata notifica dell'atto di appello al suddetto terzo.

La soluzione giuridica

I) Con riguardo alla prima delle questioni esposte nel precedente paragrafo, la S.C. ha affermato che la chiamata in causa dei terzi era stata disposta dal giudice di primo grado ai sensi dell'art. 107 c.p.c., risultando pertanto applicabile il principio per cui la chiamata del terzo ai sensi di tale disposizione determina una situazione di litisconsorzio necessario c.d. processuale, non rimuovibile per effetto di un diverso apprezzamento del giudice dell'impugnazione, salva l'estromissione del chiamato con la sentenza di merito, «sicché, quando il terzo, dopo aver partecipato al giudizio di primo grado a seguito di tale chiamata, non abbia preso parte a quello di appello, si configura una violazione dell'art. 331 c.p.c., rilevabile anche d'ufficio nel giudizio di legittimità» (Cass. civ., sez. V, 17 febbraio 2010, n. 3717; Cass.civ., sez. I, 6 maggio 2016, n. 9131).

Nella fattispecie, come osservato dai ricorrenti ed accertato dalla S.C., la Corte di merito aveva erroneamente dato atto, nella propria decisione, dell'intervenuta declaratoria di contumacia sia di BBB sia di CCC. Dagli atti processuali emergeva, invece, che le appellanti avevano chiesto ed ottenuto dalla Corte territoriale termine per rinnovare la notifica nei confronti di detti appellati, senza tuttavia procedere all'incombente, e che successivamente la stessa Corte di merito aveva respinto l'istanza di concessione di un nuovo termine, ribadendo il carattere perentorio del primo termine già concesso, ex art. 291 c.p.c.

II) Con riguardo allaseconda delle questioni esposte nel precedente paragrafo, la S.C. ha affermato che, sia con riguardo ai casi di litisconsorzio necessario sostanziale che a quelli di c.d. litisconsorzio necessario processuale, la mancata integrazione del contraddittorio nel giudizio di appello determina la nullità dell'intero procedimento di secondo grado e della sentenza che lo ha concluso, rilevabile d'ufficio anche in sede di legittimità (v., ex multis, Cass. civ., sez. I, 6 maggio 2016, n. 9131; Cass. civ., sez. V, ord. 8 novembre 2017, n. 26433; Cass. civ., sez. VI, ord. 29 marzo 2019, n. 8790) e che tale nullità può essere fatta valere anche dalla parte che ha partecipato al giudizio di appello (v. Cass. civ., sez. III, 30 agosto 2018, n. 21381 e Cass. civ., sez. III, 6 aprile 2022, n. 11246).

Osservazioni

I) Per prima cosa, va chiarito che è indiscusso che colui che viene fatto intervenire nel processo (sia che ciò avvenga ad istanza di parte, sia che ciò avvenga per ordine del giudice) assume, per il solo fatto di essere stato chiamato, la qualità di parte.

Dal che discende che il provvedimento di definizione della causa avrà efficacia anche nei confronti del terzo chiamato, e ciò sia che quest'ultimo abbia partecipato attivamente al giudizio sia che sia, invece, rimasto contumace.

II) Ai sensi dell'art. 107 c.p.c., il giudice, qualora ritenga «opportuno» che il processo si svolga anche in confronto di un terzo «al quale la causa è comune», ne ordina l'intervento in causa.

L'intervento in causa di un terzo per ordine del giudice assolve una duplice funzione, quella di dare attuazione al principio dell'economia dei giudizi e quella di prevenire giudicati contraddittori, che potrebbero formarsi in relazione a cause caratterizzate da elementi comuni, qualora siano decise separatamente (v. Cass. civ., sez. lav., 9 novembre 1984, n. 5670 e Cass. civ., sez. II, 13 aprile 1987, n. 3667).

Così come già previsto per l'intervento ad istanza di parte (art. 106 c.p.c.), anche con riguardo all'intervento iussu iudicis viene ribadito il presupposto della «comunanza di causa», da ritenere sussistente allorché, in relazione al petitum ed alla causa petendi che definiscono l'oggetto del giudizio, la sentenza possa fare stato nei confronti dell'interveniente.

Tuttavia, deve essere sottolineato che la previsione di cui all'art. 107 c.p.c. differisce da quella recata dall'art. 106 dello stesso codice giacché nel primo caso la chiamata – pur risultando accertata la sussistenza dei presupposti legittimanti, vale a dire la «comunanza di causa» - resta subordinata alla valutazione del giudice se sia «opportuno» che il terzo partecipi al processo.

La previsione di cui all'art. 107 cit. differisce anche da quella di cui al precedente art. 102 giacché, in tale seconda ipotesi, una volta accertata la sussistenza dei presupposti del litisconsorzio necessario, al giudice non competono poteri valutativi e deve essere ordinata l'integrazione del contraddittorio.

Differenti sono anche, nelle due ipotesi, le conseguenze della mancata ottemperanza all'ordine del giudice: qualora nessuna delle parti provveda alla chiamata del terzo disposta ex art. 107 c.p.c., la causa deve essere cancellata dal ruolo (art. 270, comma 2, c.p.c.), con estinzione solo in caso di mancata riassunzione entro un anno da tale cancellazione; qualora, invece, nessuna delle parti provveda a dare seguito all'ordine di integrazione del contraddittorio ex art. 102 c.p.c., segue l'estinzione del processo (art. 307, comma 3, c.p.c.).

III) A norma dell'art. 270 c.p.c., la chiamata del terzo nel processo per ordine del giudice - ai sensi dell'art. 107 c.p.c. - può essere ordinata in ogni momento del giudizio di primo grado, almeno sino al momento della rimessione in decisione (Cass. civ., sez. III, 13 dicembre 2010, n. 25127)

L'esercizio del potere di chiamata da parte del giudice non appare sottoposto ad alcun termine decadenziale, a differenza di quanto previsto per la chiamata in causa ad istanza di parte, che soggiace alle preclusioni di cui all'art. 269 c.p.c.

Alla luce di tali considerazioni, erronea si palesa la decisione della Corte di merito autrice della sentenza impugnata di inutilizzabilità della c.t.u., nei termini riportati nel penultimo periodo del precedente § i).

IV) Sia la chiamata del terzo iussu iudicis che la chiamata del terzo ad istanza di parte disposte nel giudizio di primo grado determinano una situazione di litisconsorzio necessario c.d. «processuale» e danno luogo alla formazione di una causa inscindibile che impone la necessità di evocare nel giudizio di impugnazione tutti i soggetti in esso convenuti, sicché, se a tanto non provvede l'appellante, all'omissione deve supplire, a norma dell'art. 331 c.p.c., il giudice d'appello, il quale non può, con diverso apprezzamento della situazione processuale, eludere tale norma, essendo tenuto in ogni caso ad integrare il contraddittorio per il solo fatto che la parte chiamata in causa in primo grado non sia stata citata in quello di impugnazione.

La mancata osservanza della suddetta disposizione da parte del giudice d'appello comporta violazione dell'art. 331 c.p.c. rilevabile d'ufficio nel giudizio di legittimità, nel quale va disposta la cassazione con rinvio per nuovo esame, previa integrazione del contraddittorio si vedano in tal senso la sentenza in commento, nonché, ex multis, Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 2008, n. 2901; Cass. civ., sez. V, 17 febbraio 2010, n. 3717 e Cass. civ., sez. I, 6 maggio 2016, n. 9131).

V) Nel giudizio di rinvio, successivo alla cassazione della sentenza di appello per violazione del litisconsorzio necessario di natura processuale, determinato dalla chiamata del terzo iussu iudicis in primo grado, l'omessa integrazione del contraddittorio comporta l'inammissibilità dell'impugnazione ex art. 331, comma 2, c.p.c., non trovando applicazione l'art. 393 c.p.c., che riguarda esclusivamente la mancata riassunzione del giudizio di rinvio nel termine perentorio di cui all'art. 392 c.p.c. ovvero il verificarsi di una nuova causa di estinzione del medesimo giudizio di rinvio (Cass. civ., sez. I, 12 maggio 2014, n. 10282; sul tema si veda anche Cass. civ., sez. I, 8 settembre 2014, n. 18853).

VI) Nel cassare la sentenza gravata, la S.C. ha disposto che il giudice del rinvio «dovrà anche valutare la natura della domanda proposta dall'originario attore e la scindibilità della medesima».

In proposito, merita rammentare che, secondo l'orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, il litisconsorzio meramente processuale, che si verifica in caso di chiamata in causa, per ordine del giudice, di un terzo cui è ritenuta comune la controversia, impone la presenza in causa del terzo anche nei successivi gradi di giudizio, ma non comporta che a tale soggetto debbano ritenersi automaticamente estese le domande e le conclusioni formulate nei confronti di altri soggetti processuali, occorrendo a tal fine un'espressa manifestazione di volontà al riguardo (v., in tal senso, Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 2008, n. 7901 e Cass. civ., sez. VI, 19 luglio 2019, n. 19605).

Va, altresì, rammentato che la manifestazione, da parte dell'attore, della volontà di estendere la domanda originaria nei confronti del terzo chiamato in causa iussu iudicis non è assoggettata ad alcun termine perentorio, potendo essere disposto l'intervento ex art. 107 c.p.c. in ogni momento del processo in primo grado (Cass. civ., sez. III, 19 febbraio 2019, n. 4724).

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