Unioni Civili: inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Lucca

Giulio Montalcini
28 Dicembre 2022

La Consulta ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità sollevate dal Tribunale di Lucca nei confronti di plurime disposizioni che, secondo il giudice rimettente, impedivano la conversione in matrimonio dell'unione civile a seguito del cambio di genere di uno dei suoi componenti.

Con ordinanza del 14 gennaio u.s., Il Tribunale di Lucca, aveva ritenuto doversi sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 26 l. 76/2016, nella parte in cui lo stesso prevede, che l'intervenuto mutamento di sesso di uno degli uniti civilmente abbia a determinare lo scioglimento automatico dell'unione civile, senza facoltà per i membri della sciolta unione civile di convertire quest'ultima in matrimonio.

Al contrario, il successivo comma 27, prevede che alla rettificazione di sesso di uno dei coniugi, ove gli stessi abbiano manifestato volontà di mantenere in vita il vincolo di coppia, consegue automaticamente l'instaurazione di un'unione civile tra persone dello stesso sesso.

Secondo il ragionamento del giudice rimettente, l'art. 1, comma 26 della Legge c.d. Cirinnà, è idoneo a generare un'irragionevole discriminazione a danno dei contraenti l'unione civile, che senza la facoltà di convertire automaticamente la propria unione in matrimonio (come, all'opposto, invece, accade con i coniugi, secondo quanto prevede il successivo comma 27), assisterebbero inermi allo scioglimento del loro legame, con obbligo, ove ritenuto, di procedere alla celebrazione di un successivo matrimonio. Nel periodo di tempo tra lo scioglimento dell'unione civile e la celebrazione di un nuovo matrimonio, la coppia rimarrebbe sostanzialmente priva di una tutela giuridica adeguata, con ciò determinandosi, tra l'altro, una violazione del loro diritto alla continuità affettivo-familiare, come previsto dall'art. 8 CEDU (cfr. Montalcini G., Rettificazione di sesso e mancata conversione in matrimonio dell'unione civile: una questione di legittimità costituzionale in IUS FAMIGLIE (www.ius.giuffrefl.it).

Il Giudice rimettente aveva a denunciare, pertanto, quindi il vulnus, ritenuto inaccettabile ed irragionevole, in quanto idoneo a metterne a “repentaglio la stessa sopravvivenza nelle more della transizione verso l'unione matrimoniale”, recato alle coppie omosessuali dalla insussistenza, nella normativa vigente, di un meccanismo, come quello di cui all'art. 31, comma 4-bis, del d.lgs. n. 150/2011, volto a convertire, senza soluzione di continuità, l'unione in matrimonio, in caso di rettificazione anagrafica di sesso di uno dei suoi componenti.

La Consulta, con sentenza depositata lo scorso 27 dicembre, ha tuttavia dichiarato inammissibili, per difetto di attualità e concretezza, le questioni di legittimità costituzionale poste dal Tribunale di Lucca con riguardo agli artt. 1, comma 26, l. 20 maggio 2016, n. 76, 31, commi 3 e 4-bis, d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150 e 70-octies, comma 5, del d.P.R., 3 novembre 2000, n. 396, in riferimento ai parametri costituzionali di cui agli artt. 2, 3, primo comma, 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

Il Tribunale di Lucca era stato adito dall'attore, il quale aveva premesso di manifestare una disforia di genere, che necessitava di “adeguamento dell'identità fisica a quella psichica”, chiedendo anzitutto di essere autorizzato all'intervento chirurgico, strumentale alla riassegnazione del sesso da maschile in femminile e, quindi, la rettificazione dei dati anagrafici riguardanti il sesso e il nome, e l'ordine all'ufficiale dello stato civile di procedere alla iscrizione del suo matrimonio con il partner, con il quale aveva contratto in precedenza l'unione civile.

Secondo la Consulta, nel porre le questioni di costituzionalità, il giudice a quo ha peraltro del tutto obliterato l'esame della domanda dell'attore, non facendosi carico della esigenza, pure a fronte della specifica domanda dell'interessato, di svolgere un approfondimento in ordine alla effettiva necessità di un siffatto trattamento. Il Tribunale si è invece limitato a constatare che l'attore non aveva effettuato alcun intervento demolitivo-ricostruttivo degli organi sessuali (ciò che costituiva proprio l'oggetto della domanda di autorizzazione), ma solo una terapia ormonale, quando invece avrebbe dovuto svolgere un'indagine approfondita sulla sussistenza delle condizioni necessarie affinché l'attore del giudizio di rettificazione anagrafica potesse essere autorizzato ad acquisire una nuova identità di genere.

La Corte, nel rigettare le questioni, ha concluso che «Se i requisiti dell'attualità e della rilevanza di una questione di legittimità costituzionale devono essere valutati allo stato degli atti e dell'iter decisionale, essi non possono ritenersi integrati sulla base di un'eventuale e teorica applicabilità della norma indubbiata. Tanto si realizza nel caso in esame, in cui il giudice a quo ha sollevato le questioni a tutela della continuità del preesistente vincolo, senza motivare sul diritto dell'attore ad ottenere la rettificazione del sesso: passaggio, questo, essenziale, nel suo carattere preliminare, in quanto volto a spiegare le ragioni per le quali il rimettente ritenga di essere necessariamente tenuto a fare concreta applicazione delle norme che censura».

L'Avvocatura generale dello Stato aveva peraltro sollevato un'ulteriore eccezione di inammissibilità, ritenuta meritevole di accoglimento dalla Corte Costituzionale, per difetto di rilevanza delle questioni, collegata alla mancata manifestazione della volontà del partner dell'attore nel giudizio principale di convertire l'unione civile in matrimonio.

Il partner dell'unione civile, anche in assenza di un litisconsorzio necessario, ben avrebbe potuto, avendone interesse, intervenire nel giudizio instaurato dall'altro, aderendo alla richiesta di conversione automatica dell'unione civile in matrimonio. Parimenti, l'attore avrebbe avuto facoltà, anche solo procedendo a litis denuntiatio, di notificare l'atto introduttivo al partner, affinché lo stesso avesse a pronunciarsi sulla richiesta conversione dell'unione civile in matrimonio.

Nessuna delle due circostanze era avvenuta, nel caso concreto; di tal ché, anche sotto questo ultimo profilo, le questioni poste dal giudice rimettente difettavano di attualità e concretezza.

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