L’amministratore è personalmente responsabile dei danni arrecati ai beni del condomino

Katia Mascia
16 Gennaio 2023

La decisione del Tribunale di Brindisi si incentra sulla responsabilità personale ed esclusiva dell'amministratore di condominio, il quale, sostenendo di agire in veste in amministratore autorizzato dall'organo assembleare, pone in essere comportamenti violenti ai danni delle cose di un condomino, eccedendo nello svolgimento delle sue mansioni.
Massima

L'agire con violenza sulle cose del singolo condomino presenti nell'edificio condominiale non rientra tra i compiti dell'amministratore, a nulla rilevando l'assunto dello stesso secondo il quale egli avrebbe agito nell'assolvimento di un onere impostogli dal condominio con delibere assembleari; una tale condotta esula dall'espletamento delle mansioni e dei compiti dell'amministratore, nonché dall'àmbito del suo incarico.

Il caso

Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., la proprietaria di un appartamento sito in uno stabile condominiale conveniva in giudizio l'allora amministratore di condominio e ne chiedeva la condanna al risarcimento dei danni patrimoniali e non, previa dichiarazione della responsabilità di questi nella causazione dei danni subiti a seguito del danneggiamento e dell'asporto di beni di sua proprietà, nonchè la condanna al pagamento di una sanzione amministrativa ex d.lgs. n. 7/2016.

A fondamento della propria domanda, la condomina esponeva che, in sua assenza, l'amministratore aveva rimosso, dal muro in cui era stata infissa, e danneggiato una struttura in legno dotata di teli ombreggianti. Aveva altresì asportato diverse piante invasate ed estirpato dal terreno un ficus benjamin, tutte di proprietà della ricorrente e dalla stessa posizionati nel cortile condominiale, nell'area prospiciente l'appartamento di proprietà esclusiva.

La ricorrente evidenziava che, con sentenza passata in giudicato, erano state annullate le delibere condominiali risalenti al 2008 con le quali l'assemblea aveva conferito all'allora amministratore mandato di provvedere alla rimozione delle opere installate nel cortile comune da parte della condomina, qualora la stessa non vi avesse provveduto spontaneamente.

Si costituiva in giudizio l'ex amministratore, eccependo la propria carenza di legittimazione passiva; sosteneva di aver agito in qualità di amministratore del condominio e di essere stato espressamente autorizzato con delibera assembleare alla rimozione dei manufatti.

La causa risulta istruita documentalmente e attraverso l'espletamento di una CTU che quantifica i danni derivanti dalla perdita del gazebo.

La questione

Si tratta di capire se rientra tra i poteri dell'amministratore di condominio provvedere alla rimozione dei beni del singolo condomino collocati nelle parti comuni e se, qualora usando violenza li danneggi, sia personalmente ed esclusivamente responsabile.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale di Brindisi accoglie la domanda proposta dalla proprietaria di un immobile situato in condominio e condanna l'ex amministratore a pagare, in suo favore, una somma a titolo di risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale - anche se limitato al solo danno morale c.d. soggettivo, per essere l'attrice rimasta vittima di un fatto che al momento della sua realizzazione costituiva reato, successivamente depenalizzato - nonché le spese processuali del giudizio. Dispone, poi, l'applicazione nei confronti dell'amministratore stesso della sanzione civile pecuniaria di cui all'art. 4, d.lgs. n. 7/2016, pari a € 200,00.

Osservazioni

La figura dell'amministratore di condominio - come gran parte dell'originaria disciplina codicistica sul condominio - è stata oggetto di riforma, operata dalla l. n. 220/2012.

Di recente, la Suprema Corte (Cass. civ., sez. II, 19 marzo 2021, n. 7874) ha innovato la prevalente riconducibilità dell'attività dell'amministratore all'esecuzione di un mandato, statuendo che la fonte dei suoi poteri gestori è rappresentata da una diversa fattispecie contrattuale, il c.d. contratto di amministrazione, il cui contenuto è essenzialmente rinvenibile negli artt. 1129, 1130 e 1131 c.c. Più specificamente, secondo gli ermellini, detto contratto tipico di amministrazione di condominio non costituisce prestazione d'opera intellettuale, e non è perciò soggetto alle norme che il codice civile prevede per il relativo contratto, atteso che l'esercizio di tale attività non è subordinata - come richiesto dall'art. 2229 c.c., all'iscrizione in apposito albo o elenco, quanto (e ciò peraltro soltanto a far tempo dall'entrata in vigore dell'art. 71-bis disp. att. c.c., introdotto dalla l. n. 220/2012) al possesso di determinati requisiti di professionalità ed onorabilità, e rientra, piuttosto, nell'àmbito delle professioni non organizzate in ordini o collegi, di cui alla l. 14 gennaio 2013, n. 4.

Come previsto nel penultimo comma dell'art. 1129 c.c., per quanto non precisato dal presente articolo, si applicano le disposizioni di cui alla sez. I, capo IX del titolo III del libro IV, cioè gli artt. 1703 ss. c.c. dedicati alla disciplina del mandato. Proprio in virtù di tali norme grava sul mandatario, ossia l'amministratore, l'obbligo di compiere gli atti giuridici previsti dal contratto con quella diligenza che è lecito attendersi dal professionista secondo la natura dell'attività esercitata. Ai sensi dell'art. 1710 c.c. l'amministratore, dunque, ha il dovere di eseguire l'incarico che gli è stato conferito con la diligenza del bonus pater familias, e l'inosservanza dei doveri sarà per lui fonte di responsabilità contrattuale.

La norma costituisce un'applicazione del principio stabilito, in termini generali, dall'art. 1176 c.c. per le obbligazioni ex contractu, che trova radice nel generale dovere di buona fede e deve commisurarsi altresì alla natura dell'attività esercitata. Si tratta di quella diligenza che è legittimo attendersi da qualunque soggetto di media avvedutezza e accortezza e che deve valutarsi in funzione della volontà del mandante, con riferimento ai limiti oggettivi dell'incarico e alle istruzioni.

Affinchè ricorra la responsabilità dell'amministratore è sufficiente che il soggetto abbia agito anche soltanto con colpa, ossia abbia svolto uno degli obblighi e attribuzioni poste a suo carico con negligenza, imperizia e imprudenza o non li abbia affatto svolti.

L'amministratore sarà tenuto a rispondere sia quando ecceda i limiti delle proprie attribuzioni, sia quando eserciti male o non eserciti affatto i poteri-doveri che gli sono conferiti dalla legge o dal regolamento condominiale.

L'art. 1130 c.c. indica le attribuzioni spettanti all'amministratore a prescindere da specifici incarichi o poteri che il regolamento o l'assemblea dei condomini gli possano attribuire.

Secondo l'opinione dottrinale e giurisprudenziale prevalente, la disposizione ha carattere suppletivo e non imperativo, ossia si ritiene applicabile ove il regolamento o l'assemblea non dispongano diversamente, ampliando o limitando i poteri e le attribuzioni. L'art. 1130 c.c. elenca, in maniera alquanto elastica, una serie di attribuzioni in capo all'amministratore di condominio. Tra esse rientra quella di eseguire le deliberazioni dell'assemblea e curare l'osservanza e l'esecuzione delle disposizioni regolamentari. La norma codicistica, tuttavia, nulla prevede in ordine alle modalità di tale attività esecutiva. Sono affetti da nullità gli atti compiuti esorbitando dalle proprie attribuzioni e, altra conseguenza del mancato o inesatto adempimento da parte dell'amministratore ai propri compiti, come pure il compimento di atti in eccesso rispetto ai propri poteri, è il risarcimento dei danni subiti dal/i condomino/i.

Certo l'amministratore, nei casi di necessità e di urgenza, ha la facoltà di provvedere ad esempio, all'abbattimento di un albero sito nel giardino condominiale che rischi di cadere o di recare pregiudizio alle persone e alle costruzioni adiacenti, dovendo però sottoporre il proprio operato alla ratifica della prima assemblea condominiale utile. Ciò, tuttavia, è cosa ben diversa da quanto all'esame del giudice brindisino. Nella fattispecie in questione, innanzitutto, il Tribunale di Brindisi ha respinto l'eccezione sollevata dal convenuto di carenza della propria legittimazione passiva. Ad avviso del giudicante non rileva che egli abbia agito in veste di amministratore del condominio e di essere stato autorizzato dall'assemblea dei condomini. La condotta materiale tenuta dall'ex amministratore, e da lui pacificamente ammessa, esula dallo svolgimento delle mansioni e dall'incarico di amministratore condominiale.

Il Tribunale non ritiene configurabile la responsabilità del Condominio neanche a norma dell'art. 2049 c.c., per il semplice fatto di aver autorizzato l'amministratore “ad intervenire per la rimozione e la pulizia di detta parte comune”. Di certo, l'assemblea non lo ha incaricato di assolvere il suddetto compito usando violenza sulle cose, danneggiandole. Pertanto, il giudicante conclude affermando l'esclusiva e personale responsabilità dell'ex amministratore, il quale usando violenza sulle cose di proprietà di uno dei condomini le ha danneggiate. Incombe soltanto su di lui, dunque, l'obbligo di risarcire i danni subiti dall'attrice.

Difetta, per il giudice, il nesso di occasionalità necessaria tra la condotta causativa del danno all'attrice e le mansioni esercitate dall'amministratore. Non può certamente farsi rientrare tra i poteri e le attribuzioni dell'amministratore l'operare con violenza sulle cose presenti nell'edificio condominiale. Il contenuto precettivo dell'art. 2049 c.c. viene sintetizzato nella locuzione per cui la responsabilità indiretta del committente per il fatto dannoso del dipendente postula l'esistenza di un nesso di occasionalità necessaria tra illecito e rapporto che lega i due soggetti, da intendersi nel senso che l'incombenza svolta abbia determinato una situazione tale da agevolare e rendere possibile il fatto illecito e l'effetto dannoso e ciò anche se il dipendente abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze o persino trasgredendo agli ordini ricevuti, purché sempre entro l'àmbito delle proprie mansioni. Tale rapporto di occasionalità necessaria deve, pertanto, ritenersi escluso nell'ipotesi in cui il comportamento dannoso non sia stato agevolato, in qualunque modo, dall'esercizio delle mansioni esplicate, onde la condotta del preposto non possa essere riferita all'ambito delle attività commessegli ed alla sfera giuridica dello stesso preponente.

L'assemblea condominiale non ha spinto - ma non ne ha neanche il potere - l'amministratore ad assumere quella condotta aggressiva e violenta perpetrata sulle cose dell'attrice. Un tale atteggiamento esula in maniera assoluta dalla normale esplicazione dei compiti affidati ad un amministratore di condominio.

Emerge, dunque, una responsabilità esclusiva e personale dell'amministratore e il conseguente dovere di risarcire il danno arrecato alla condomina. L'attrice aveva altresì evidenziato che l'ex amministratore era stato tratto a giudizio per il reato di cui all'art. 635 c.p. e che, in seguito all'entrata in vigore del d.lgs. n. 7/2016 che aveva in parte depenalizzato l'ipotesi delittuosa contestata, era stato assolto. A tal riguardo, il Tribunale di Brindisi, ai fini del riconoscimento del diritto della condomina danneggiata al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti, ritiene irrilevante la circostanza secondo la quale medio tempore sia intervenuta l'abolitio criminis della fattispecie penale contestata. Richiama, in proposito, la Suprema Corte (Cass. civ., sez. III, 19 febbraio 1998, n. 1761), per la quale il danno prodotto da un fatto ingiusto è risarcibile sia quando il fatto non costituisce reato nel momento in cui è commesso, sia nel caso in cui in quel momento il fatto integri anche una fattispecie criminosa, sia infine, qualora il fatto, pur costituendo reato nel momento della sua commissione, abbia successivamente perduto la sua connotazione di illiceità per effetto di abolitio criminis.

I giudici di piazza Cavour rilevano, inoltre, che la risarcibilità del danno non patrimoniale è prevista non soltanto come conseguenza di un reato, ai sensi dell'art. 185 c.p., ma anche dalla norma civilistica dell'art. 2059 c.c.

Più precisamente, il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge, ossia quando la risarcibilità è prevista in modo espresso (ad esempio, nel caso in cui il fatto illecito integri gli estremi di un reato) e quando la risarcibilità del danno in esame, pur non essendo espressamente prevista da una norma di legge ad hoc, deve ammettersi sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., per avere il fatto illecito vulnerato in modo grave un diritto della persona direttamente tutelato dalla Costituzione (Cass. civ., sez. un., 11 novembre 2008, n. 26972).

Riferimenti

Colombo, Amministratore di condominio: attribuzioni e gravi irregolarità, in Officina del diritto, Milano, 2021;

Torrisi, Amministratore di condominio - Tratti e disciplina del contratto di amministrazione condominiale, in Giur. it., 2021, 2589.

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