Riforma processo civile: il restyling dell'arbitrato societario

Vito Amendolagine
27 Gennaio 2023

L'attuale riforma dell'arbitrato nella quale si inserisce il restyling normativo di quello societario, ha come obiettivo primario quello della progressiva riduzione del carico di lavoro tutt'ora presente nelle aule giudiziarie, trattandosi di un male che affligge da decenni la giustizia civile italiana.
Il restyling della riforma

La recente riforma del processo civile ha innovato anche la materia dell'arbitrato societario, apportando consistenti modifiche al preesistente impianto normativo, a cominciare dall'inserimento delle disposizioni sull'arbitrato societario all'interno del codice di procedura civile, come previsto dall'art. 1, comma 15, lett. f, della l. n. 206/2021.

Nell'addivenire a ciò, non essendo stato possibile riprodurre le previgenti norme in modo automatico si è adottata una tecnica legislativa di mero riordino organico della materia, per la quale, la riscrittura formale delle norme non ha innovato in alcun modo il portato delle disposizioni originariamente inserite negli artt. 34, 35, 36 e 37 del d.lgs. n. 5/2003, come dimostra l'intervenuta abrogazione di quest'ultimi articoli al fine die vitare un'inutile duplicazione normativa.

In tale ottica, il legislatore delegato ha quindi inserito nel titolo VII del codice un apposito capo VI-bis rinumerando gli originari artt. 34, 35, 36 e 37 del d.lgs. n. 5/2003, che attualmente sono diventati rispettivamente gli artt. 838-bis, 838-ter, 838-quater e 838-quinquies c.p.c.

In estrema sintesi, il nuovo vestito disegnato dal legislatore delegato, recepisce le indicazioni del legislatore delegante, di trasporre le norme esistenti, apportando una sola modificazione, riassumibile nel prevedere la reclamabilità dinanzi al giudice ordinario delle ordinanze con cui gli arbitri societari possono sospendere l'efficacia delle delibere assembleari.

Conseguentemente, il legislatore delegato è intervenuto anche sull'art. 838-ter c.p.c. il cui comma 4, attualmente prevede che le ordinanze emesse dagli arbitri societari che, nell'esercizio di poteri cautelari, sospendono le delibere assembleari, siano reclamabili dinanzi al giudice ordinario nei modi previsti dall'art. 818-bis c.p.c. vale a dire, con lo stesso procedimento previsto per il reclamo delle misure cautelari concesse dagli arbitri comuni, in applicazione della normativa introdotta con la riforma del processo civile.

In sintesi, nel “nuovo” art. 838-ter c.p.c. non è stato riprodotto il comma 3 dell'art. 35 d.lgs. n. 5/2003 e, dall'art. 838-quater c.p.c. si è espunto il comma 2 dell'art. 36 del medesimo d.lgs. n. 5/2003 i quali restano dunque abrogati unitamente all'art. 37 il cui contenuto è stato trasfuso nell'art. 838-quinquies c.p.c.

A ciò aggiungasi il richiamo del comma 3 – in luogo del comma 2 – dell'art. 829 c.p.c. per quanto attiene alla casistica enunciata nell'art. 838-quater c.p.c. con riferimento alla possibilità di procedere all'impugnazione secondo diritto del lodo societario.

L'intento legislativo di tendenziale uniformità nell'applicazione della disciplina arbitrale

Quid juris per quanto attiene alla ratio informatrice della riforma con la quale si è data attuazione alla legge delega in materia di arbitrato societario?

Esiste un sottile fil rouge che la lega alle novellate disposizioni riguardanti l'arbitrato di diritto comune?

In relazione a tale aspetto, appare inequivocabile considerare un dato su tutti laddove si consideri che il legislatore delegato, sposando i principi espressi nella legge delega, e nell'intento di uniformizzare la disciplina dell'arbitrato societario con quella dell'arbitrato comune – atteso che in tale ottica vanno letti gli aggiustamenti sopra considerati che di fatto servono a rendere omogenee le due discipline – ha inteso chiaramente estendere anche al primo l'istituto del reclamo avverso l'ordinanza sospensiva dell'efficacia della delibera societaria impugnata, ciò comportando l'applicazione del procedimento enunciato dall'art. 669-terdecies c.p.c. in ambito cautelare dinanzi al giudice civile in composizione collegiale, vale a dire lo stesso procedimento previsto ex novo per il reclamo delle misure cautelari concesse dagli arbitri di diritto comune in sede di riscrittura dell'art. 818 c.p.c.

A ben vedere, si tratta di una lacuna che – unitamente a quella concernente il mancato coordinamento o se si preferisce “disallineamento” delle disposizioni in materia di arbitrato societario in occasione della precedente riforma organica dell'arbitrato del 2006, come è stato recentemente rimarcato dall'attenta dottrina – è stata finalmente colmata dal legislatore delegato nell'ambito dell'arbitrato societario, nel quale, a differenza di quanto enunciato dal precedente testo dell'art. 818 c.p.c. era già possibile la concessione dei provvedimenti cautelari da parte degli arbitri.

Ma vieppiù laddove si consideri la pregnante soluzione reperibile tra le righe della stessa legge delega, con particolare riferimento all'art. 1, comma 15, lett. f) della l. n. 206/2021, laddove impone l'inserimento delle disposizioni sull'arbitrato societario all'interno del codice di procedura civile.

In apparenza, l'indicazione rinveniente nella legge delega citata è soltanto quella di trasporre le norme esistenti, apportando una sola modificazione: prevedere cioè la reclamabilità dinanzi al giudice ordinario delle ordinanze con cui gli arbitri societari sospendono l'efficacia di delibere assembleari.

In realtà, sembrerebbe di potere convenire che la suddetta disposizione possa costituire anche la chiave di lettura di una più ampia ratio legis tendente all'applicazione coordinata e razionale dei due modelli di arbitrato.

Infatti come sottolineato dall'attenta dottrina formatasi a prima lettura sulle disposizioni normative di cui si discorre, nell'intervento legislativo sembra celarsi un più pregnante intento riformatore, ravvisabile nella voluntas legis di uniformare la tendenziale equiparazione della tutela autonomamente conseguibile dinanzi al giudice privato ed a quello pubblico, nell'ottica di soddisfare l'esigenza deflattiva del contenzioso giudiziale, a cui è funzionale la stessa uniformità della disciplina applicabile nell'arbitrato societario o di diritto comune, a prescindere dalla materia di applicazione dell'istituto qui considerato.

E un segnale in tale senso è possibile coglierlo proprio con riferimento alla tutela cautelare già ammessa nell'arbitrato nelle controversie societarie ed attualmente estesa anche a quello di diritto comune, così come anche per quanto attiene alla previsione della reclamabilità dei relativi provvedimenti, estesi anche a quelli di sospensione dell'efficacia delle delibere assembleari in ambito societario.

Al riguardo, l'unica differenza che qui è dato cogliere è racchiusa nel sostanziale capovolgimento del principio adottato rispetto all'arbitrato di diritto comune, per quanto concerne però la limitata previsione ex lege del potere degli arbitri societari di disporre, con ordinanza reclamabile ai sensi dell'art. 818-bis c.p.c. la sospensione dell'efficacia della delibera impugnata, ragione per cui, in caso di devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la validità di delibere assembleari, agli arbitri compete senz'altro detto potere, salva la sola previsione contraria eventualmente inserita nella clausola compromissoria o nel compromesso dalle parti ai sensi dell'art. 818 c.p.c.

In considerazione della suddetta disposizione normativa, prevista dal legislatore come una sorta di eccezione rispetto al principio generale enunciato nell'art. 818 c.p.c. per l'arbitrato di diritto comune, quest'ultimo sembra allora destinato ad applicarsi per i provvedimenti cautelari che non riguardano le controversie aventi ad oggetto la validità di delibere assembleari.

A ciò aggiungasi l'ulteriore rilievo concernente la possibilità dell'applicazione della translatio judicii prevista dall'art. 819-quater c.p.c., introdotto dalla riforma per l'arbitrato di diritto comune, non essendo revocabile in dubbio che, tale disposizione non potrebbe ritenersi preclusa – per effetto dell'inderogabilità della disciplina di cui si discorre prevista dall'art. 838-ter c.p.c. – alle controversie riguardanti l'arbitrato societario in considerazione di alcuni rimandi presenti nel restyling adottato dal legislatore delegato alla disciplina arbitrale di diritto comune.

Non a caso sempre in dottrina, si era recentemente evidenziato che la collocazione sistematica unitaria è un'occasione anche per colmare le lacune delle disposizioni sull'arbitrato societario, mediante l'integrazione delle norme generali che disciplinano l'arbitrato di diritto comune, salva ovviamente la riserva di compatibilità con la disciplina speciale.

Del resto, è vero che l'inserimento della disciplina speciale riguardante l'arbitrato societario nel codice di rito avrebbe quantomeno reso opportuna la previsione di una norma ad hoc, volta a disporre che, per quanto non diversamente disciplinato dalle norme in tema di arbitrato societario, si applicano le disposizioni del codice di procedura civile di cui agli artt. 806 e ss. c.p.c. “se” ed in quanto compatibili, ma è anche vero che tale omissione non può integrare una sorta di divieto per l'interprete, specialmente laddove si consideri l'intento riformatore di cui si è fatto innanzi cenno, che ha indotto il legislatore delegato ad un'attenta operazione di restyling normativo senza compiere alcuna innovazione rispetto alle disposizioni originariamente inserite negli artt. 34, 35, 36 e 37 del d.lgs. n. 5/2003.

Un chiaro esempio in tale senso si coglie nell'art. 838-ter c.p.c. laddove prevede l'ammissibilità dell'intervento di terzi a norma dell'art. 105 c.p.c. nonché l'intervento di altri soci a norma degli artt. 106 e 107 c.p.c. fino alla prima udienza di trattazione, con la correlata applicazione dell'art. 820, comma 4, c.p.c.

Lo stesso dicasi per quanto concerne la modifica apportata rispetto al testo dell'ormai abrogato art. 35 d.lgs. n. 5/2003, al comma 4 dell'art. 838-ter c.p.c. prevedendo che le ordinanze emesse dagli arbitri societari, nell'esercizio dei loro poteri cautelari, di sospensione delle delibere assembleari, siano reclamabili dinanzi al giudice ordinario nei modi dell'art. 818-bis c.p.c. vale a dire, con lo stesso procedimento previsto per il reclamo delle misure cautelari concesse dagli arbitri comuni, in applicazione della normativa introdotta con la stessa legge di riforma.

In buona sostanza, l'attuazione del principio espresso nella legge delega di trasmigrare le disposizioni di cui agli artt. 34-37 del d.lgs. n. 5/2003 nel codice di rito, previa rubricazione ex novo degli stessi, adottando a tale fine gli opportuni correttivi, trova conferma anche nella stessa relazione illustrativa accompagnatoria del decreto legislativo delegato n. 149/2022, dalla quale si evince che il legislatore delegato nell'incorporare nel codice di rito la disciplina sull'arbitrato societario del 2003, ha necessariamente svolto un lavoro di coordinamento dei due modelli di arbitrato.

La ratio di quanto sopra considerato sembrerebbe potersi ravvisare anche nel principio enunciato nella legge di delega all'art. 1, comma 17, lett. q), recepito dal legislatore delegato al comma 8 dell'art. 669-octies, c.p.c. riguardante la stabilità dei provvedimenti cautelari di sospensione dell'efficacia delle deliberazioni assunte da qualsiasi organo di associazioni, fondazioni o società.

Ciò comporta infatti che il provvedimento cautelare con il quale nell'arbitrato societario si accoglie l'istanza di sospensione della delibera impugnata non perde la sua efficacia sia nell'eventualità in cui il giudizio di merito si estingua per una qualche ragione, sia nel caso della sua mancata proposizione, realizzandosi così la stessa situazione dell'istante nel giudizio ordinario in cui, ottenuta la richiesta tutela cautelare, non intenda instaurare successivamente il giudizio di merito.

Non a caso sebbene i principi direttivi di cui all'art. 1, comma 15, lett. f) della legge di delega riguardassero in particolare l'arbitrato societario, appare evidente come la sua incorporazione nel codice di rito muova dalla soddisfazione della preliminare esigenza di riordino della disciplina sull'arbitrato di diritto comune, in modo tale da consentire l'armonizzazione in punto di applicazione delle due forme di arbitrati una volta trasfuse nel medesimo corpus normativo, fermo restando le differenti e peculiari note caratteristiche.

L'effetto deflattivo del reclamo nell'arbitrato societario: ritorno al futuro o al passato?

L'attuale riforma dell'arbitrato nella quale si inserisce il restyling normativo di quello societario di cui si discorre in occasione del presente lavoro, ha come obiettivo primario quello della progressiva riduzione del carico di lavoro tutt'ora presente nelle aule giudiziarie, trattandosi di un male che affligge ormai da decenni la giustizia civile italiana.

In questa cornice si colloca il contenuto delle nuove disposizioni normative la cui ratio appare chiaramente improntata ad un potenziamento degli strumenti di risoluzione delle controversie, nell'ottica di una loro complementarietà – e non più dunque in termini di mera alternatività – rispetto alla giurisdizione ordinaria, nel cui ambito si colloca l'arbitrato, sotto tale aspetto non importa se di diritto comune o societario, trattandosi pur sempre di decisioni affidate a giudici privati.

Ciò premesso, qualche perplessità può legittimamente destare l'introduzione del reclamo il cui procedimento si rifà, anche nell'arbitrato societario al modello delineato dall'art. 669-terdecies c.p.c. dinanzi al giudice civile poiché inevitabilmente, in tale modo, avanzando “a passo di gambero”, si tende ad incoraggiare una sorta di ritorno al giudizio ordinario, a dispetto dell'obiettivo dichiarato di riduzione del contenzioso civile nelle aule giudiziarie.

In verità un'analoga conclusione si pone anche nel caso del procedimento cautelare che, anche nell'arbitrato societario è governato dal nuovo testo dell'art. 818 c.p.c. il quale ha introdotto – anche per l'arbitrato di diritto comune – la possibilità per gli arbitri che abbiano ricevuto tale potere dalle parti in sede di sottoscrizione della clausola compromissoria o successivamente nel compromesso, di concedere provvedimenti cautelari.

La ragione è sempre la stessa, ovvero riconducibile alla nuova previsione dell'istituto del reclamo – il quale operando nel prossimo futuro per effetto della riforma, anche nell'arbitrato societario a differenza del passato in cui l'ordinanza di sospensiva della delibera impugnata emanata dagli arbitri era dichiarata dall'art. 35 d.lgs. n. 5/2003 espressamente “non reclamabile” – il cui esame, affidato al giudice civile in composizione collegiale, presumibilmente finirà per comportare un appesantimento dei ruoli dell'ufficio giudiziario competente, unitamente alle varie questioni concernenti l'attuazione della misura cautelare eventualmente disposta dagli arbitri, in quanto anch'esse rientranti nella giurisdizione del giudice ordinario, a discapito della nota finalità deflattiva del contenzioso civile.

A favore della suesposta conclusione sembra militare anche l'ulteriore circostanza che l'introduzione del reclamo previsto dall'art. 669-terdecies c.p.c. riguarderà – con specifico riferimento all'arbitrato societario – un perimetro decisorio ben più ampio rispetto a quello in precedenza riconosciuto dall'abrogato art. 35 d.lgs. n. 5/2003, trattandosi adesso di un potere cautelare generale, e come tale, dunque, non più circoscritto alla sola concedibilità delle misure di carattere sospensivo dell'efficacia della singola delibera oggetto di impugnazione.

Infatti, il controllo demandato alla cognizione del giudice civile riguarderebbe l'intera casistica enunciata dall'art. 829, comma 1, c.p.c. con il solo limite della compatibilità, a cui si aggiunge la contrarietà all'ordine pubblico, in virtù del richiamo che l'art. 838-ter, comma 4, c.p.c. fa all'art. 818-bis c.p.c.

Riferimenti
  • M. C. Giorgetti, Commento alle novità in materia di arbitrato introdotte dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, 9 novembre 2022, in www.judicium.it;
  • L. Salvaneschi, Commento ai principi in materia di arbitrato della legge di delega n. 206 del 21 novembre 2021, art. 1, c. 15, lett. f): arbitrato societario, in Riv. arbitrato, 2022, 73 e ss.;
  • E. Dalmotto, L'arbitrato societario e la sospensione delle delibere assembleari. Il punto alla vigilia di nuove riforme, in Società, 2022, 233 e ss.

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