Codice di Procedura Civile art. 473 bis 69 - Ordini di protezione contro gli abusi familiari 1

Caterina Costabile

Ambito di applicazione. Mutamento del rito12

[I]. Le disposizioni del presente titolo si applicano ai procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie attribuiti alla competenza del tribunale ordinario, del giudice tutelare e del tribunale per i minorenni nonche' alle domande di risarcimento del danno conseguente a violazione dei doveri familiari, salvo che la legge disponga diversamente. Sono in ogni caso esclusi i procedimenti di scioglimento della comunione legale, quelli volti alla dichiarazione di adottabilita', quelli di adozione di minori di eta' e quelli attribuiti alla competenza delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea3.

[II].  Per quanto non disciplinato dal presente titolo, i procedimenti di cui al primo comma sono regolati dalle norme previste dai titoli I e III del libro secondo.

[III]. Quando rileva che uno dei procedimenti previsti dal primo comma e' promosso in forme diverse da quelle previste dal presente titolo, il giudice ordina il mutamento del rito e fissa l'udienza di cui all'articolo 473-bis.21 assegnando alle parti termini perentori per l'eventuale integrazione degli atti4.

[IV]. Quando rileva che una causa promossa nelle forme stabilite dal presente titolo riguarda un procedimento diverso da quelli previsti dal primo comma, il giudice, se la causa stessa rientra nella sua competenza, ordina il mutamento del rito dando le disposizioni per l'ulteriore corso del processo, altrimenti dichiara la propria incompetenza e fissa un termine perentorio per la riassunzione della causa con il rito per essa previsto5.

[V]. I provvedimenti di cui al terzo e al quarto comma sono pronunciati non oltre la prima udienza. Gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le forme del rito seguito prima del mutamento e restano ferme le decadenze e le preclusioni maturate secondo le norme del rito seguito prima del mutamento6.

[1] Rubrica sostituito  dall'art. 3, comma  6, lett. a), numero 3) del d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164.  La rubrica precedente era la seguente: «Ambito di applicazione». Ai sensi dell'art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. 

[2] Articolo inserito dall'art. 3, comma 33,  del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022 , il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022 come da ultimo modificato dall'art. 1, comma 380, lett. a), l. 29 dicembre 2022, n.197,  che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.".

[3] Comma sostituito  dall'art. 3, comma  6, lett. a), numero 1) del d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164. Ai sensi dell'art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023. Il testo del comma era il seguente:  «Le disposizioni del presente titolo si applicano ai procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie attribuiti alla competenza del tribunale ordinario, del giudice tutelare e del tribunale per i minorenni, salvo che la legge disponga diversamente e con esclusione dei procedimenti volti alla dichiarazione di adottabilità, dei procedimenti di adozione di minori di età e dei procedimenti attribuiti alla competenza delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea»: ai sensi dell'art. 50 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149,  le parole «tribunale per i minorenni», ovunque presenti, in tutta la legislazione vigente, sono sostituite dalle parole «tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie», con la decorrenza indicata dall'art. 49, comma 1, d.lgs. 149, cit.

[4] Comma aggiunto dall'art. 3, comma  6, lett. a), numero 1) del d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164. Ai sensi dell'art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023.

[5]  Comma aggiunto dall'art. 3, comma  6, lett. a), numero 1) del d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164. Ai sensi dell'art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023.

[6]  Comma aggiunto dall'art. 3, comma  6, lett. a), numero 1) del d.lgs. 31 ottobre 2024, n. 164. Ai sensi dell'art. 7, comma 1, del medesimo decreto, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164/2024 cit. si applicano ai procedimenti introdotti successivamente al 28 febbraio 2023.

Inquadramento

In occasione della sua introduzione, mediante la legge 4 aprile 2001, n. 154Misure contro la violenza nelle relazioni familiari»), la normativa concernente gli ordini di protezione contro gli abusi familiari è stata inserita in parte nel codice civile (articoli 342-bis e 342-ter, per i profili sostanziali, in ordine ai presupposti e ai contenuti della tutela) e per altra parte nel codice di procedura civile (articolo 736-bis, per i profili processuali in senso stretto).

La legge 26 novembre 2021 n. 206, rubricata «Delega al Governo per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata» all'art. 1, comma 23, lett. a), ultima parte, dà atto della circostanza che l'introduzione di un rito unitario per le persone, per i minorenni e le famiglie comporterà la prevedibile necessità di «abrogazione, riordino, coordinamento, modifica ed integrazione delle disposizioni vigenti».

In applicazione di tale principio di delega si è deciso di trasporre la disciplina degli ordini di protezione nel titolo IV bis del Libro secondo dedicato alle norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie.

L'articolo 473-bis.69 c.p.c. costituisce la riproduzione dell'articolo 342-bis c.c.

La norma, nell'inciso finale del comma primo, risolve un profilo applicativo della disposizione del codice civile, ammettendo l'adozione dei provvedimenti anche quando la convivenza tra autore dell'illecito e vittima è cessata.

Il secondo comma ha introdotto un coordinamento con la competenza attribuita al tribunale per i minorenni, ai sensi degli articoli 333 c.c. e 38 disp. att. prevedendo che gli ordini di protezione possono essere adottati, anche su istanza del pubblico ministero, dal tribunale per i minorenni quando la condotta può arrecare pregiudizio ai minori.

La natura degli ordini di protezione

Risulta discussa in dottrina la natura degli ordini di protezione.

Una prima corrente di pensiero colloca tali misure nell'alveo della volontaria giurisdizione sottolineando come il legislatore, mediante gli ordini di protezione, abbia inteso conferire al giudice civile una generale funzione di cura dell'interesse sociale alla tranquillità della famiglia (D'Alessandro, 227).

Un differente orientamento attribuisce loro natura di provvedimenti contenziosi non cautelari a cognizione sommaria ritenendo che la mancanza di strumentalità, ossia il fatto di non potersi individuare un giudizio ordinario a cognizione piena che possa fare seguito alla pronuncia degli ordini di protezione, viene ad escludere la natura cautelare degli stessi (Auletta, 149; Vullo, 131).

La dottrina maggioritaria, valorizzando l'aspetto funzionale degli ordini di protezione, li qualifica come una misura cautelare sui generis che rappresenta un duttile rimedio d'urgenza (tendenzialmente di carattere inibitorio), volto a porre un freno alla violenza domestica, facendone immediatamente cessare la condotta lesiva e prevenendone la reiterazione per il futuro (Nascosi, 1190; Scalera, 231).

All'uopo si è evidenziato che gli ordini di protezione presentano le caratteristiche tipiche di una misura cautelare personale coercitiva in quanto limitano in modo considerevole alcuni diritti fondamentali della persona (l'autore della violenza familiare) riconosciuti e garantiti dalla Costituzione, quali in particolare la libertà personale (art. 13 Cost.), la libertà di circolazione (art. 16 Cost.) e la proprietà privata (art. 42 Cost.) (Figone, 357).

Anche la giurisprudenza attribuisce natura cautelare agli ordini di protezione essendo tali rimedi concepiti dal legislatore al fine di soddisfare un'esigenza di tempestiva ed improcrastinabile tutela della vittima della violenza posta in essere da un altro componente dello stesso nucleo familiare (Cass. VI, n. 29492/2017; Cass. I, n. 625/2007; Cass. I, n. 208/2005).

La nozione di abuso familiare

Presupposto unico per l'applicabilità dell'ordine di protezione è la sussistenza di una condotta di un familiare che sia «gravemente pregiudizievole dell'integrità fisica o morale ovvero della libertà» di altro componente del gruppo familiare medesimo. La scelta del legislatore è stata, dunque, quella di porre l'accento sull'evento pregiudizievole dei diritti della persona, evitando di tipizzare le condotte ad esso causalmente collegate, per poter abbracciare nella nozione di abuso suscettibile di un ordine di protezione tutte le possibili manifestazioni della violenza domestica.

Il presupposto oggettivo per l'accoglimento della richiesta di emissione di un ordine di protezione è, pertanto, costituito dal compimento di una condotta idonea ad arrecare un grave pregiudizio. Ai fini della concessione della misura richiesta dovrà, poi, essere accertata la lesione all'integrità fisica, all'integrità morale – intesa come serenità, immagine, onore – o alla libertà personale – intesa come capacità decidere ed agire liberamente – essendo sufficiente anche solo la lesione di uno dei beni tutelati e, dunque, la configurazione di uno dei pregiudizi a configurare l'abuso e, dunque, consentire l'adozione dei provvedimenti richiesti.

La giurisprudenza ha evidenziato che il pregiudizio all'integrità fisica non necessariamente consegue ad aggressioni fisiche ben potendo costituire l'evento di aggressioni meramente verbali se, a causa della reiterazione delle stesse e del clima di continua tensione venutosi a creare all'interno della famiglia, sono in grado di arrecare una lesione alla salute di natura fisica alle vittime, restando il riferimento al pregiudizio dell'integrità morale, pure contenuto nella norma, relegato ai casi in cui le ingiurie o minacce arrechino sofferenze di tipo esclusivamente morale o psichico (Trib. Rovereto, 26 luglio 2007).

Analogamente, si è reputato che integrano il presupposto del “grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà” le condotte perpetrate da un coniuge nei confronti dell'altro tali da ingenerare in questi il timore di subire violenza, per via delle minacce e degli inseguimenti, nonché nei confronti dei figli, laddove questi hanno dovuto assistere alle azioni intimidatorie di un genitore nei confronti dell'altro, con conseguente realizzazione di una “violenza assistita” (Trib. Bologna, 25 agosto 2022).

Si è, di contro, ritenuto che non può essere concesso l'ordine di allontanamento dalla casa familiare in presenza di una situazione di reciproca incomunicabilità ed intolleranza tra soggetti conviventi, di cui ciascuna delle parti imputa all'altra la responsabilità, quante volte i litigi, ancorché aspri nei toni, non siano stati aggravati da violenze fisiche o minacce in danno del ricorrente o non si siano tradotti in un vulnus alla dignità dell'individuo di entità non comune, vuoi per la particolare delicatezza dei profili della dignità stessa concretamente incisi, vuoi per le modalità forti dell'offesa arrecata, vuoi per la ripetitività o la prolungata durata nel tempo della sofferenza patita dall'offeso (Trib. Bari, 28 luglio 2004).

Costituisce, peraltro, principio ormai pacifico in giurisprudenza che gli ordini di protezione possono essere emessi non solo allo scopo di interrompere situazioni di convivenza divenute ormai intollerabilmente conflittuali, ma anche di impedire e prevenire condotte antigiuridiche in ambito familiare ove le stesse possano aver luogo, in quanto propiziate dalla vicinanza – in termini di rapporti e di luoghi di frequentazione – tra i coniugi/conviventi (Trib. Salerno, I, 13 aprile 2012; Trib. Monza, IV, 28 febbraio 2012; Trib. Bologna, 22 marzo 2005; Trib. Modena, 29 luglio 2004; Trib. Firenze, 15 luglio 2002; Trib. Roma, 25 giugno 2002).

La rilevanza dell'elemento soggettivo

Nella prassi applicativa è prevalsa la tesi dell’irrilevanza della capacità di intendere e di volere del maltrattante come pure dell’elemento soggettivo (Trib. S. Angelo Lombardi, 2 novembre 2011; Trib. Rovereto, 26 luglio 2007) atteso che le previsioni di legge non operano alcun riferimento ai criteri di imputazione del dolo o della colpa quali autonomi presupposti dovendo, invece, essere valutata unicamente l’obiettiva attitudine lesiva della condotta.

All’uopo si è evidenziato che, seppure la finalità degli ordini di protezione contro gli abusi familiari non è quella di espellere dal nucleo familiare, anche se provvisoriamente, il componente non per sua colpa affetto da turbe psichiche o mentali, è altrettanto vero che l’allontanamento non può essere precluso quando si riveli l’unico strumento in grado di apprestare un’efficace protezione ai soggetti passivi, impedendo la reiterazione della lesione dei diritti fondamentali dell’individuo quali quelli all’integrità fisica e della libertà personale (Trib.Trani,12 ottobre 2001).

Va all’uopo segnalato un caso in cui il Tribunale, disponendo l’allontanamento dalla casa familiare del figlio maggiorenne, accogliendo l’istanza dei genitori maltrattati, ha contestualmente incaricato le strutture sanitarie competenti affinché predisponessero un progetto terapeutico per il trattamento dei problemi psichici manifestati dal soggetto abusante, anche mediante collocamento del medesimo in comunità (Trib. Milano, 6 febbraio 2003).

I soggetti tutelabili

L'art. 473-bis.69, così come i previgenti artt. 342-bis e 342-ter c.c., riconosce sia al coniuge che al convivente more uxorio la legittimazione attiva e passiva rispetto agli ordini di protezione.

L'art. 5, l. n. 154/2001 prevedeva che la disciplina in esame, in quanto compatibile, fosse applicabile anche ad «altro componente del nucleo familiare diverso dal coniuge o dal convivente», con riferimento sia al lato attivo sia al lato passivo, allargando la protezione dell'abuso ad ogni componente del nucleo familiare, inteso qui nell'accezione allargata di gruppo fondato su rapporti di fatto e caratterizzato dall'elemento della convivenza, a prescindere dalla sussistenza di legami di parentela o di affinità. Tale estensione è mitigata unicamente dalla previsione del vaglio di compatibilità da parte del giudice dell'intervento di protezione rispetto alle condotte tenute o subite dagli altri componenti.

Sulla scorta di tale norma si era ritenuto di poter assicurare protezione ai genitori anziani maltrattati da figli maggiorenni, spesso tossicodipendenti (Trib. Milano, 27 novembre 2002), o di poter emettere l'ordine di allontanamento dall'abitazione familiare nel caso di conflittualità tra fratelli conviventi (Trib. Padova, 31 maggio 2006).

Più di recente si è reputato di poter disporre l'allontanamento dalla residenza familiare del figlio maggiorenne che si sia reso protagonista di condotte violente e minacciose perpetrate nei confronti dei genitori a cui abbia assistito anche la sorella minorenne, perciò esposta a un potenziale pericolo derivante dalla convivenza con il fratello (Trib. Caltanissetta, 2 marzo 2021).

Va poi ricordato che la l. n. 76/2016 di «regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze» ha esteso anche alle unioni civili tra persone dello stesso sesso la tutela fornita dagli ordini di protezione, stabilendo che «Quando la condotta della parte dell'unione civile è causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altra parte, il giudice, su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all'art. 342-ter del c. c. ».

Il legislatore con il D.lgs. 31 ottobre 2024 n. 164 ha deciso, in un’ottica di razionalizzazione, di trasporre il contenuto dell’art. 5 l. n. 154/2001 nel nuovo art. 473-bis.72 provvedendo contestualmente alla sua abrogazione v. infra.

La convivenza tra familiari

Nella disciplina previgente era discusso se la convivenza tra vittima ed autore della violenza costituisse requisito indefettibile ai fini dell'ammissibilità dell'ordine di protezione .

La dottrina assolutamente maggioritaria escludeva che la convivenza potesse reputarsi un presupposto necessario per l'emissione degli ordini di protezione in quanto il legislatore, introducendo tali misure, ha inteso tutelare i familiari da condotte pregiudizievoli che potrebbero essere perpetrate anche al di fuori della casa familiare, tanto che il contenuto del provvedimento può avere ad oggetto il divieto di frequentare tutti i luoghi in cui sia possibile incontrare le vittime (Cianci, 148; Di Lorenzo, 606; Scalera, 233).

Anche la giurisprudenza maggioritaria si era espressa nel senso che gli ordini di protezione possono essere emessi anche se non sussiste tra i due soggetti della coppia una situazione di convivenza, intesa quale perdurante coabitazione, al momento della proposizione della domanda, in quanto il presupposto per la concessione degli stessi non è indefettibilmente la convivenza tra i coniugi, ma il protrarsi di comportamenti violenti in ambito familiare (Trib. Perugia I, 7 agosto 2020; Trib. Bari, 11 aprile 2013;Trib. Modena, 29 luglio 2004; Trib. Firenze, 15 luglio 2002).

Non erano, tuttavia, mancate pronunce giurisprudenziali di segno opposto che avevano negato la possibilità di ricorrere allo strumento degli ordini di protezione in assenza della convivenza tra i familiari, ritenendo che la misura di protezione, dovendo necessariamente interrompere la coabitazione, non potrebbe essere evidentemente applicata alle ipotesi in cui l'autore e la vittima della violenza non vivono all'interno della medesima residenza (Trib. Milano IX, 4 luglio 2019, n. 12196;Trib. Napoli, 2 novembre 2006; Trib. Rieti, 6 marzo 2006; Trib. Napoli, 18 dicembre 2002).

Trattandosi di una questione molto rilevante, il legislatore ha deciso di intervenire sul punto prevedendo, nell'inciso finale del comma primo dell'art. 473-bis.69, che gli ordini di protezione possono essere adottati anche quando la convivenza tra autore dell'illecito e vittima è cessata.

Bibliografia

Auletta, Misure civili contro la violenza nelle relazioni familiari: ipotesi ricostruttive della l. n. 54/2001, in Fam. e dir., 2003, 296; Cianci, Gli ordini di protezione familiare, in Quaderni Familia, diretti da Patti, 2a ed., Milano, 2005; D'Alessandro, Gli ordini civili di protezione contro gli abusi familiari: profili processuali, in Riv. trim. dir. proc., fasc. 1, 2007, 227-228; Di Lorenzo, Gli ordini di protezione contro gli abusi familiari, in Trattato di diritto di famiglia, diretto da Bonilini, IV, Torino, 2016, 4243; Figone, La legge sulla violenza in famiglia, in Fam e dir., 2001, 4, 353; Nascosi, Gli ordini di protezione civili contro gli abusi familiari a vent'anno dalla loro introduzione, in Fam. e dir., 2021, 12, 1189; Scalera, Gli ordini di protezione contro gli abusi familiari, in Giur. merito, 2013, fasc. 1, 231; Vullo, L'esecuzione degli ordini civili di protezione contro la violenza nelle relazioni familiari, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, 131.

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