Codice di Procedura Penale art. 407 bis - I nizio dell'azione penale. Forme e termini 1

Alessio Scarcella

Inizio dell'azione penale. Forme e termini1

1. Il pubblico ministero, quando non deve richiedere l'archiviazione, esercita l'azione penale, formulando l'imputazione, nei casi previsti nei titoli II, III, IV, V e V- bis del libro VI ovvero con richiesta di rinvio a giudizio.

2. Il pubblico ministero esercita l'azione penale o richiede l'archiviazione entro tre mesi dalla scadenza del termine di cui all'articolo 405, comma 2, o, se ha disposto la notifica dell'avviso della conclusione delle indagini preliminari, entro tre mesi dalla scadenza dei termini di cui all'articolo 415-bis, commi 3 e 4. Il termine è di nove mesi nei casi di cui all'articolo 407, comma 2.

 

 

[1] Articolo inserito dall'art. 22, comma 1, lett. d), d.lgs.10 ottobre 2022, n. 150. Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. Per le disposizioni transitorie in materia di indagini preliminari vedi l'art. 88-bis  del citato d.lgs. n. 150/2022 come aggiunto dall'art. 5-sexies d.l. n. 162/2022 cit., conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199.

Inquadramento

L'art. 407-bis detta le regole che il P.m. deve seguire per esercitare l'azione penale. Egli ha l'obbligo di formulare l'imputazione nei reati per i quali è prevista l'emissione del decreto di citazione diretta, mentre in tutti gli altri casi deve procedere con la richiesta di rinvio a giudizio. Il pubblico ministero esercita l'azione penale o richiede l'archiviazione: a) entro tre mesi dalla scadenza del termine di cui all'articolo 405, comma 2 (entro il termine di un anno dalla data in cui il nome della persona alla quale è attribuito il reato è iscritto nel registro delle notizie di reato. Il termine è di sei mesi, se si procede per una contravvenzione, e di un anno e sei mesi, se si procede per taluno dei delitti indicati nell'articolo 407, comma 2); b) se ha disposto la notifica dell'avviso della conclusione delle indagini preliminari, entro tre mesi dalla scadenza dei termini di cui all'articolo 415-bis, commi 3 e 4; c) entro il termine di nove mesi nei casi di cui all'articolo 407, comma 2.

Generalità

 

L’esercizio dell’azione penale come alternativa all’archiviazione

All'esito delle indagini preliminari il P.m. si trova davanti ad un bivio: o esercitare l'azione penale o chiedere l'archiviazione. Si tratta di una scelta imposta a livello costituzionale, atteso che l'art. 112 Cost. – che pur detta il principio dell'obbligatorietà dell'azione – non deve certo essere interpretato nel senso che il P.m. debba necessariamente esercitare l'azione penale per ogni notitia criminis pervenuta alla sua attenzione, ma solo per quella che sottintendano fatti costituenti “effettivamente” reato, meritevoli di essere perseguiti penalmente. Del resto, imporre al P.M. di esercitare “comunque” l'azione penale sarebbe fatale per il sistema processuale, oltre che incompatibile con il principio della personalità della responsabilità penale (posto che il P.M. si vedrebbe costretto ad esercitare l'azione penale anche a fronte di notizie di reato prima facie manifestamente infondate) nonché con quello, anch'esso dotato di copertura costituzionale (art. 111 Cost.) – oltre che essere assurto a principio interpretativo del diritto al giusto processo anche nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo (art. 6 CEDU) – della ragionevole durata. Ne discende, conclusivamente, che la scelta di esercitare l'azione penale è alternativa alla richiesta di archiviazione e viceversa, nel senso che l'una esclude l'altra ed è incompatibile non solo logicamente ma anche processualmente con quella non seguita. Vale cioè il principio, espressione della correlata irretrattabilità sia della richiesta di archiviazione che dell'azione penale, secondo cui electa una via non datur, recursus ad alteram.

Gli interventi della Corte costituzionale

Secondo la Corte costituzionale, la disciplina sui termini delle indagini preliminari risponde alla duplice esigenza di imprimere tempestività alle investigazioni e di contenere in un lasso di tempo predeterminato la condizione di chi a tali indagini è assoggettato, e non viola in alcun modo il principio di obbligatorietà dell'azione penale, per l'esistenza di sufficienti ed adeguati strumenti di controllo affidati al giudice nei confronti dell'eventuale inerzia del pubblico ministero (Corte cost. ord., n. 222/1992, che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 405, comma 2, 406, comma 1, 407, comma 3 e 553, in riferimento all'art. 112 Cost.). In tal senso, quindi, afferma la Consulta, a garanzia della completezza delle indagini preliminari è posta oltre agli istituti dell'opposizione alla richiesta di archiviazione (art. 410), dell'avocazione del P.G. per mancato esercizio dell'azione penale (art. 412) e dell'ordine del G.i.p. al P.M. di formulazione dell'imputazione (art. 409, comma 5), anche la previsione per cui, ove il giudice delle indagini preliminari non ritenga accoglibile la richiesta di archiviazione, possa, all'esito dell'udienza camerale all'uopo fissata, indicare al pubblico ministero le ulteriori indagini che ritiene necessarie e fissare il termine indispensabile per il loro compimento (art. 409, comma). In tal modo, dunque, la rigida disciplina dei termini stabilita dagli artt. 405, 406 e 407 non ha più modo di operare, sostituendosi ad essa una «flessibile» delibazione giurisdizionale volta a calibrare il termine stesso in funzione del compimento di quelle ulteriori indagini che il medesimo giudice è chiamato ad indicare.

Con una successiva decisione, il Giudice delle Leggi ebbe a chiarire che la previsione di termini per lo svolgimento delle indagini preliminari e la correlativa sanzione di inutilizzabilità degli atti compiuti dopo la scadenza degli stessi risponde all'esigenza di imprimere tempestività alle investigazioni e di contenere in un lasso di tempo predeterminato la condizione di chi a tali indagini è assoggettato e si raccorda alla finalità stessa di detta attività che non è, come nel codice abrogato, quella di preparazione al processo, ma è destinata unicamente a consentire al P.m. di assumere le sue determinazioni in ordine all'esercizio o meno dell'azione penale, per cui non vi è contraddizione tra la statuizione del termine ed il precetto costituzionale, sancito dall'art. 112 Cost. Peraltro, l'eventuale necessità di svolgere ulteriori atti di indagine costituisce ipotesi di mero fatto che non incide sulle determinazioni del P.m. e comunque può trovare eventuale soddisfacimento con altri mezzi processuali, restando d'altronde riservata alle discrezionali scelte del legislatore l'individuazione degli opportuni strumenti processuali in base ai quali consentire la prosecuzione delle indagini, nelle eccezionali ipotesi in cui sia risultato impossibile portarle a compimento entro il termine massimo previsto dalla legge (Corte cost. n. 239/1994, che ebbe a dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 405, commi 2, 3 e 4, 406 e 407, sollevata in riferimento agli artt. 112 e 25, comma 2, Cost.).

L’irretrattabilità dell’azione penale e della richiesta di archiviazione

Pacifico è infatti nella giurisprudenza che una volta emessi la richiesta di rinvio a giudizio o, nel procedimento a citazione diretta, il decreto di citazione a giudizio, il P.M. non può revocarli ostandovi il principio della irretrattabilità dell'azione penale, sancito sia dall'art. 50, comma 3, sia dall'art. 60, comma 2: ne consegue che l'eventuale provvedimento di revoca emesso deve essere considerato abnorme (Cass. VI, n. 2702/1990; Cass. I, n. 1338/1998, che ha ritenuto inammissibile, per il principio di irretrattabilità dell'azione penale, una volta che l'azione penale sia stata esercitata con l'emissione del decreto di citazione a giudizio da parte del P.M., una successiva richiesta di archiviazione dello stesso P.M.; Cass. I, n. 6999/2000). Dopo l'esercizio dell'azione penale l'unica possibilità di proscioglimento per l'imputato discende infatti dall'applicazione dell'art. 469.

A fronte dell'obbligatorietà “condizionata” dell'esercizio dell'azione penale, si discute se sussista un'analoga obbligatorietà per il P.M. di chiedere l'archiviazione in assenza delle condizioni legittimanti la scelta del rinvio a giudizio.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, nel nuovo sistema processuale l'archiviazione assume un'estensione ignota al precedente sistema, giacché è dovuta non solo nei casi tipici della infondatezza della notizia di reato (art. 408), ma anche quando risulta che manca una condizione di procedibilità, che il reato è estinto o che il fatto non è previsto dalla legge come reato (art. 415). E l'art. 125 disp. att. ha avuto cura di specificare che il P.M. deve presentare al giudice la richiesta di archiviazione quanto ritiene la infondatezza della notitia criminis perché gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l'accusa in giudizio (Cass. III, n. 2591/1990). A ciò si aggiunge che l'obbligo della richiesta di archiviazione e l'osservanza delle forme del relativo procedimento sono prescritti anche per i fatti che dal pubblico ministero siano ritenuti come non previsti dalla legge quali reati. Ne consegue che, dinanzi alla richiesta di archiviazione, il giudice delle indagini preliminari non può restituire puramente e semplicemente gli atti al pubblico ministero sul rilievo che al suo vaglio andrebbero sottoposti solo i fatti suscettibili di valutazione penale e non anche quelli penalmente irrilevanti, ma – qualora condivida la richiesta – provvedere in conformità (Cass. VI, n. 534/1991). Costituisce dunque provvedimento abnorme, come tale suscettibile, in difetto di altra possibile di impugnazione, di immediato ricorso per cassazione, quello con il quale il giudice dell'udienza preliminare, investito di richiesta di rinvio a giudizio formulata dall'ufficio del pubblico ministero nei confronti di una determinata persona fisica, disponga, in violazione del principio della non regressione, pur in presenza di richiesta in tal senso da parte del rappresentante in udienza del pubblico ministero, l'archiviazione del procedimento ai sensi dell'art. 415, per ritenuta mancata individuazione di detta persona (Cass. II, n. 1268/1993, nella specie trattavasi di imputato nomade, fisicamente individuato, ma sulle cui effettive generalità sussistevano incertezze).

Il parametro, in negativo, che dev'essere seguito dal P.m. nella scelta tra esercitare l'azione penale e richiedere l'archiviazione è costituito dalle regole indicate negli artt. 408, 411 e 415. A ciò si aggiunge l'importante disposto dell'art. 125 disp. att. che definisce l'infondatezza della notizia di reato, intesa come inidoneità degli elementi acquisiti nelle indagini a sostenere l'accusa in giudizio. Condizionare a detta nozione di infondatezza la scelta processuale del P.M., peraltro, attua il principio della presunzione di innocenza che trova un parametro di riferimento non solo nell'ordinamento interno (art. 27, Cost.), ma anche nella normativa sovranazionale (art. 6, C.E.D.U.).

Gli atti di esercizio dell'azione penale

Il codice di procedura penale nell'art. 407-bis (come il previgente art. 405, co. 1, c.p.p., che ricalca integralmente) si limita ad indicare la categoria degli atti di esercizio dell'azione penale, prevedendo la formulazione dell'imputazione “nei casi previsti nei titoli II, III, IV, V e V-bis del libro VI ovvero con richiesta di rinvio a giudizio”. In altri termini, accanto alla richiesta di rinvio a giudizio, alla richiesta di applicazione pena, alla presentazione (o alla citazione) dell'imputato a giudizio direttissimo, alla richiesta di giudizio immediato, nonché alla richiesta di decreto penale di condanna, infatti, si aggiungono sia il decreto di citazione a giudizio avanti il tribunale in composizione monocratica, sia gli atti tipici di promuovimento dell'azione penale nel processo davanti al giudice di pace (d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274) che le ipotesi previste in tema di sospensione del procedimento con messa alla prova.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, in base al disposto combinato degli artt. 60 e 405, l'azione penale è esercitata e l'indagato assume la qualità d'imputato con la formulazione del capo di imputazione da parte del P.m. contenuta nella richiesta di citazione a giudizio, nelle richieste di giudizio immediato, di giudizio direttissimo, di decreto penale o di applicazione della pena exartt. 444 e seguenti di detto codice, nonché, nel giudizio monocratico, nel decreto di citazione emesso a norma dell'art. 550 del medesimo codice. I surricordati articoli non recano, per quanto riguarda le varie richieste del P.M. in essi elencate, alcun riferimento al deposito dell'atto o alla sua notifica all'imputato, tal che deve escludersi che tali formalità siano necessarie per l'inizio dell'azione penale; siffatto principio vale anche nell'ipotesi in cui si tratti del decreto di citazione nel processo monocratico, non essendovi alcun ragionevole motivo idoneo a giustificare una disciplina processuale differenziata per ipotesi regolate in modo unitario dalla medesima norma, in vista dell'identità degli effetti che ne conseguono (Cass. VI, n. 2702/1990, relativa al processo pretorile).

Come risulta dall'art. 405, con la richiesta di rinvio a giudizio ha termine la fase delle indagini preliminari ed ha inizio l'azione penale su iniziativa del pubblico ministero, il quale si spoglia in tal modo definitivamente dell'indagine (Cass. VI, n. 1526/1993). Questo comporta che l'obbligo dell'immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità trova applicazione solo nel vero e proprio «processo» e non anche nell'intero procedimento. Ne deriva che nella fase delle indagini preliminari il giudice non può provvedere in tal senso, qualora il pubblico ministero non abbia preso ancora iniziativa alcuna sull'esercizio dell'azione penale, che si ha soltanto quando sia stata formulata l'imputazione nei modi indicati dall'art. 405 (Cass. III, n. 5314/1991).

Per gli stessi motivi, pertanto, nessun obbligo di tempestivo interrogatorio, né – in difetto – comminatoria di perenzione del titolo, intervengono quando la custodia in carcere venga disposta dopo la chiusura delle indagini preliminari ed il decreto che dispone il giudizio. A maggior ragione ciò non può verificarsi quando la custodia cautelare venga ordinata dopo una sentenza di condanna (Cass. S.U. , n. 18190/2009 ; Cass. I, n. 4016/1992).

Diversamente, se è ben vero che la richiesta di applicazione delle misure cautelari è ammissibile anche dopo la scadenza del termine per le indagini preliminari (Cass. I, n. 2316/1992; Cass. III, n. 12294/2001, che peraltro specifica che la scadenza del termine stabilito per le indagini preliminari non preclude il compimento di qualsiasi attività processuale, ma solo di quegli atti che per contenuto e funzione riguardano le indagini stesse, ovvero l'acquisizione delle prove, con la conseguenza che anche a termine scaduto, nel caso in cui il pubblico ministero non abbia ancora esercitato l'azione penale ed il procuratore generale quello di avocazione, il P. M. può richiedere ed il giudice provvedere all'applicazione delle misure cautelari ed, in particolare, del sequestro preventivo, atteso che questo non è atto ad efficacia probatoria), è tuttavia fermo in giurisprudenza il principio secondo cui il giudice dell'udienza preliminare, investito della richiesta del P.m. di rinvio a giudizio dell'imputato, non può emettere sentenza di non doversi procedere per la ritenuta sussistenza di una causa di non punibilità senza la previa fissazione della udienza in camera di consiglio (Cass. S.U. , n. 12283/2005 ; la Corte ha osservato che l'art. 129 non attribuisce al giudice un potere di giudizio ulteriore ed autonomo rispetto a quello già riconosciutogli dalle specifiche norme che regolano l'epilogo proscioglitivo nelle varie fasi e nei diversi gradi del processo – artt. 425, 469, 529, 530 e 531 –, ma enuncia una regola di condotta rivolta al giudice che, operando in ogni stato e grado del processo, presuppone un esercizio della giurisdizione con effettiva pienezza del contraddittorio).

La Cassazione ha inoltre evidenziato che l'esercizio dell'azione penale non si esaurisce con la formulazione dell'imputazione da parte del pubblico ministero e con la richiesta rivolta al giudice di disporre il rinvio dell'imputato al giudizio dibattimentale, abbracciando invece esso l'intera fase dell'udienza preliminare sino alla sua conclusione (Cass. I, n. 1011/1993).

Il c.d. termine di riflessione

L'art. 407, comma 2, prevede che il P.M. Il pubblico ministero esercita l'azione penale o richiede l'archiviazione entro tre mesi dalla scadenza del termine di cui all'articolo 405, comma 2, o, se ha disposto la notifica dell'avviso della conclusione delle indagini preliminari, entro tre mesi dalla scadenza dei termini di cui all'articolo 415-bis, commi 3 e 4. Il termine è di nove mesi nei casi di cui all'articolo 407, comma 2.

Il d.lg. n. 150/2022, in ossequio ai criteri direttivi delle lett. c) e d) dell'art. 1, comma 9, della legge delega (l. 27 settembre 2021, n. 134), ha modificato, in senso più rigido, la disciplina della durata dei termini per le indagini preliminari (nuovo comma 2 dell'art. 405 c.p.p.), qui dappresso sintetizzati: a) un anno; b) sei mesi, se si procede per una contravvenzione; c) un anno e sei mesi, se si procede per taluno dei delitti indicati nell'articolo 407, comma 2, c.p.p. La portata delle modifiche è chiara quanto impattante: viene ampliata la prima arcata temporale per quanto riguarda la generalità dei delitti, nonché le fattispecie criminose di cui all'art. 407, comma 2, c.p.p., senza che venga esteso il termine massimo, che rimane, rispettivamente, a diciotto mesi e a due anni; dall'altro lato, il termine massimo per le contravvenzioni viene ridotto a un anno. È stata altresì ridotta la possibilità di proroga dei termini, la quale può essere richiesta una sola volta e non più per giusta causa bensì per la complessità delle indagini [come prima previsto per le proroghe successive alla prima].

Orbene, trascorsi i suddetti termini, al pubblico ministero è tuttora riconosciuto un ulteriore lasso di tempo (il cd. termine di riflessione: nuovo art. 407-bis, commi 2 e 3, c.p.p.), entro il quale deve decidere se esercitare l'azione penale o richiedere l'archiviazione. Tale termine è pari a: a) tre mesi dalla scadenza del termine di cui all'art. 405, comma 2, c.p.p.; b) tre mesi dalla scadenza dei termini di cui all'art. 415-bis, comma 3 e 4, cit. se ha disposto la notifica dell'avviso della conclusione delle indagini preliminari; c) nove mesi nei casi di cui all'articolo 407, comma 2, c.p.p. [di molto inferiore a quello, di quindici mesi, prima previsto per alcune ipotesi: comma 2, lett. a), numeri 1), 3) e 4) dell'art. 407 cit.].

La disciplina transitoria relativa alla riforma “Cartabia”

L'art. 98, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 150 del 2022 ha previsto una disciplina transitoria. Si è posto infatti il problema – di rilevantissimo impatto pratico, perché involge centinaia di migliaia di fascicoli pendenti presso gli uffici requirenti ed involge aspetti organizzativo-gestionali delle Procure e del personale dell'amministrazione da impiegare per il disbrigo degli adempimenti – dell'individuazione dell'esatto momento temporale di applicazione della nuova disciplina de qua. Per quanto concerne la disciplina transitoria della riforma “Cartabia”, l'immediata applicazione, nei procedimenti pendenti, delle nuove disposizioni in materia di termini di durata delle indagini preliminari e di termini per l'esercizio dell'azione penale, nonché delle disposizioni concernenti i rimedi introdotti al fine di garantire l'effettivo rispetto dei termini suddetti, è suscettibile di sollevare consistenti problematiche sia in sede interpretativa sia sotto il profilo pratico-operativo. Infatti, in più sedi sono stati sollevati dubbi in merito alla possibilità di considerare immediatamente operative le nuove regole sulla durata delle indagini preliminari, tanto in relazione alla (asserita) novità della definizione di notizia di reato, quanto con riferimento alla più breve durata del termine per i reati contravvenzionali e alla limitazione ad una soltanto delle proroghe assentibili dal GIP. Allo stesso modo, appare oggettivamente opinabile che i nuovi rimedi alla stasi del procedimento possano immediatamente operare nei procedimenti in cui i termini di indagine (o, addirittura, i termini per l'assunzione delle determinazioni inerenti l'azione penale) siano già scaduti alla data di entrata in vigore del d.lgs. 150/2022: ciò anche e soprattutto in quanto, da un lato, il funzionamento di detti rimedi si fonda pure su flussi comunicativi, intercorrenti tra le segreterie dei pubblici ministeri e le procure generali, che hanno ad oggetto dati da acquisirsi, elaborarsi e trasmettersi in forma automatizzata; dall'altro, occorre scongiurare la possibilità che il pubblico ministero procedente si trovi costretto alla discovery degli atti senza averne potuto ottenere il differimento in presenza di esigenze ostative. Al fine di risolvere le incertezze interpretative e le altre problematiche prospettate è intervenuto l'art. 88-bis (Disposizioni transitorie in materia di indagini preliminari), d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv. con modd. in l. 30 dicembre 2022, n. 199, con cui si è ritenuto opportuno escludere dall'applicazione delle disposizioni in tema di indagini preliminari, dettate dagli articoli 335 -quater, 407-bis e 415-ter, c.p.p. Il co. 2 dell'art. 88-bis, in particolare, ha previsto che “Nei procedimenti di cui al comma 1 continuano ad applicarsi le disposizioni degli articoli 405,406,407,412 e 415-bis del codice di procedura penale e dell'articolo 127 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, nel testo vigente prima della data di entrata in vigore del presente decreto”.

Nel senso di una circoscritta ultrattività delle norme vigenti, hanno avuto rilievo dirimente sia la necessità di scongiurare le evidenti complicazioni di natura pratica derivanti dalla contestuale applicazione di regimi diversi nell'ambito d'un medesimo procedimento, sia la considerazione delle possibili ricadute negative sulle indagini in corso dell'attivazione - rispetto alle notitiae criminis connesse o collegate - dei nuovi rimedi introdotti e, segnatamente, dei meccanismi di discovery forzosa degli atti di indagine. L'intervento sulla materia de qua, rigorosamente circoscritto alla risoluzione delle problematiche di diritto transitorio, prescinde dagli esiti delle verifiche in corso circa eventuali correzioni da apportarsi al contenuto delle nuove norme in tema di indagini preliminari, anche con riferimento all'assetto delle competenze previste dalla riforma per l'adozione dei provvedimenti di autorizzazione al differimento del deposito di atti e delle connesse notifiche, alla conclusione delle indagini. L'avvenuta sterilizzazione di alcuni effetti problematici della riforma sui procedimenti di indagine in corso consente, nell'ottica del Legislatore, di portare a compimento le verifiche su menzionate ed elaborare eventuali modifiche della novella normativa entro un orizzonte temporale adeguato alla complessità e alla delicatezza delle tematiche che ne sono oggetto.

Termini di indagine e disciplina della sospensione feriale dei termini

È l'art. 240-bis, disp. att. (inserito dall'art. 1, d.lgs. 20 luglio 1990, n. 193) a stabilire che i termini di durata delle indagini preliminari non decorrono nel periodo feriale. La regola posta dalla l. 7 ottobre 1969, n. 742, infatti, nello stabilire che durante il periodo di sospensione feriale non decorrono i termini per le indagini preliminari, si applica anche ai termini di durata stabiliti dall'art. 405

Tale esegesi, del resto, è confermata dalla giurisprudenza della Cassazione, secondo cui i termini di durata delle indagini preliminari sono soggetti al regime di sospensione previsto dalla legge 7 ottobre 1969 n. 742 come modificata dall'art. 240-bis trans. Infatti, in virtù dell'art. 1 l. n. 742/1969, cit., nel periodo feriale rimangono sospesi, in via generale, tutti i termini che abbiano rilevanza processuale, e ciò in ogni fase del processo, senza alcuna esclusione (Cass. V, n. 2156/1992; Cass. IV, n. 32976/2009; Cass. IV, n. 6490/2021).

Quanto alle indagini in tema di criminalità organizzata, a fronte di un orientamento che ritiene che nei procedimenti per reati di criminalità organizzata non opera – ai sensi dell'art. 21-bis d.l. 8 giugno 1992 n. 306, conv., con modif., in l. 7 agosto 1992 n. 356, che ha modificato l'art. 240-bis trans., come introdotto dall'art. 1 d.lgs. 20 luglio 1990 n. 193 –, la sospensione dei termini delle indagini preliminari, atteso che il legislatore ha voluto così sottrarre all'indagato ed al suo difensore la possibilità di impedire al P.M. l'espletamento, nel periodo feriale, delle indagini relative a gravi reati (Cass. VI, n. 10775/1994; Cass. I, n. 4869/1994, la quale peraltro aggiunge che deve viceversa ritenersi rimessa alla valutazione dell'interessato e del suo difensore, ai sensi del comma primo dell'art. 2 della l. 7 ottobre 1969 n. 742, come sostituito dal citato art. 240 trans., la rinuncia alla sospensione dei termini nel procedimento davanti al Tribunale del riesame, che non ha incidenza sullo svolgimento e sulla prosecuzione delle indagini preliminari, poiché, in tal caso, non vi è alcuna possibilità di un uso distorto della facoltà di rinunziare alla sospensione stessa), altre decisioni invece stabiliscono che l'espressione «la sospensione dei termini delle indagini preliminari di cui al primo comma non opera nei procedimenti per reati di criminalità organizzata», deve intendersi riferito non solo ai termini fissati per il compimento delle anzidette indagini, ma a tutti quelli genericamente «procedurali» menzionati nel richiamato comma primo del citato art. 2 l. n. 742/1969 (Cass. I, n. 335/1993).

Si è tuttavia precisato che la sospensione feriale dei termini, prevista come regola anche per la fase delle indagini preliminari dall'art. 2 l. 7 ottobre 1969 n. 742, quale sostituito dall'art. 240-bis trans., è derogata, in base al comma secondo del detto articolo (introdotto dall'art. 21-bis d.l. 8 giugno 1992 n. 306, nel testo risultante dalla legge di conversione 7 agosto 1992 n. 356), unicamente quando si tratti di «procedimenti per reati di criminalità organizzata». Alla stregua del letterale tenore di tale disposizione deve quindi escludersi che quest'ultima possa trovare applicazione in procedimenti aventi ad oggetto reati diversi, ancorché gli stessi risultino comunque riferibili alle attività di associazioni criminose (Cass. I, n. 5086/1993; Cass. I, n. 3962/1997).

Estradizione ed esercizio dell’azione penale

La Cassazione, infine, ha chiarito che la disposizione di cui all’art. 14.1 della Convenzione europea di estradizione, resa esecutiva in Italia con l. 30 gennaio 1963, n. 300, secondo cui la persona estradata non può essere perseguita, giudicata o arrestata in vista dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza, né sottoposta a qualunque altra restrizione della sua libertà personale per un qualsiasi fatto anteriore alla consegna diverso da quello che ha dato luogo all’estradizione, deve essere intesa nel senso che per i fatti diversi da quelli per i quali è stata concessa l’estradizione e commessi prima della consegna è inibito l’esercizio dell’azione penale, salvo che sia sopravvenuta l’estradizione suppletiva disciplinata dagli artt. 12 e 14.1, lett. a), ovvero si sia verificata una delle cause di estinzione dell’estradizione previste dall’art. 14.1, lett. b), della Convenzione predetta, atteso che la clausola di specialità si configura come introduttiva di una condizione di procedibilità, la cui mancanza costituisce elemento ostativo all’esercizio dell’azione penale nelle forme tipiche fissate dall’art. 405, anche se non impedisce il compimento degli atti di indagine preliminare necessari ad assicurare le fonti di prova, eventualmente mediante il ricorso all’incidente probatorio (art. 346), l’esercizio dei poteri interruttivi della prescrizione purché compatibili con la fase antecedente all’esercizio dell’azione penale, nonché l’archiviazione della notizia di reato, che per sua natura resta estranea alla fase processuale (Cass. S.U., n. 8/2001, che ha annullato senza rinvio la sentenza con la quale il giudice di merito aveva disatteso l’eccezione di improcedibilità formulata dall’imputato e pronunciato condanna per un reato diverso da quello in ordine al quale era stata concessa l’estradizione sul rilievo, ritenuto erroneo, che il principio di specialità operi esclusivamente come limite alla possibilità di restrizione della libertà personale, anche in sede esecutiva, della persona estradata e non anche con riferimento alla possibilità di sottoporre la stessa a procedimento penale per fatti diversi da quelli contemplati nell’estradizione; Cass. IV, n. 24627/2004).

Ciò comporta, in altri termini, che la predetta clausola di specialità costituisce una condizione di procedibilità, in difetto della quale è inibito l’esercizio dell’azione penale.

Casistica

 

L’inizio dell’azione penale. Forme e termini

Con riferimento alla disciplina dettata dall'art. 407-bis, la stessa può così sintetizzarsi:

a ) la norma processuale detta le regole che il P.M. deve seguire per esercitare l'azione penale;

b ) il P.M. ha l'obbligo di formulare l'imputazione nei reati per i quali è prevista l'emissione del decreto di citazione diretta;

c ) in tutti gli altri casi deve procedere con la richiesta di rinvio a giudizio;

d ) il P.M. esercita l'azione penale o richiede l'archiviazione: a) entro tre mesi dalla scadenza del termine di cui all'art. 405, comma 2, c.p.p.; b) entro tre mesi dalla scadenza dei termini di cui all'art. 415-bis, comma 3 e 4, cit. se ha disposto la notifica dell'avviso della conclusione delle indagini preliminari; c) entro nove mesi nei casi di cui all'articolo 407, comma 2, c.p.p.

Bibliografia

Amato, Una rivoluzione “temporale” sui tempi del procedimento, in Gdir, 2022, n. 42; Bricchetti, Prime riflessioni sulla riforma Cartabia: durata delle indagini e controlli, in ilpenalista, 2022.

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