Codice di Procedura Penale art. 554 bis - Udienza di comparizione predibattimentale a seguito di citazione diretta 1Udienza di comparizione predibattimentale a seguito di citazione diretta1 1. L'udienza di comparizione predibattimentale si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del pubblico ministero e del difensore dell'imputato. 2. Il giudice procede agli accertamenti relativi alla costituzione delle parti, ordinando la rinnovazione degli avvisi, delle citazioni, delle comunicazioni e delle notificazioni di cui dichiara la nullità. Se l'imputato non è presente si applicano le disposizioni di cui agli articoli 420, 420-bis, 420-ter, 420-quater, 420-quinquies e 420-sexies.
3. Le questioni indicate nell'articolo 491, commi 1 e 2, o quelle che la legge prevede siano proposte entro i termini di cui all'articolo 491, comma 1, sono precluse se non proposte subito dopo compiuto, per la prima volta, l'accertamento della costituzione delle parti e sono decise immediatamente. Esse non possono essere riproposte nell'udienza dibattimentale. Si applicano i commi 3, 4 e 5 dell'articolo 491. 4. Il giudice, quando il reato è perseguibile a querela, verifica se il querelante, ove presente, è disposto a rimettere la querela e il querelato ad accettare la remissione. 5. In caso di violazione della disposizione di cui all'articolo 552, comma 1, lettera c), il giudice, anche d'ufficio, sentite le parti, invita il pubblico ministero a riformulare l'imputazione e, ove lo stesso non vi provveda, dichiara, con ordinanza, la nullità dell'imputazione e dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero. 6. Al fine di consentire che il fatto, la definizione giuridica, le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, siano indicati in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti, il giudice, anche d'ufficio, sentite le parti, invita il pubblico ministero ad apportare le necessarie modifiche e, ove lo stesso non vi provveda, dispone, con ordinanza, la restituzione degli atti al pubblico ministero. Quando il pubblico ministero modifica l'imputazione, procede alla relativa contestazione e la modifica dell'imputazione è inserita nel verbale di udienza. Quando l'imputato non è presente in aula, neppure mediante collegamento a distanza, il giudice sospende il processo, rinvia a una nuova udienza e dispone che il verbale sia notificato all'imputato entro un termine non inferiore a dieci giorni dalla data della nuova udienza. 7. Se, a seguito della modifica dell'imputazione, il reato risulta attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale anziché monocratica, l'inosservanza delle disposizioni sulla composizione del giudice è rilevata o eccepita, a pena di decadenza, immediatamente dopo la nuova contestazione ovvero, nel caso indicato nell'ultimo periodo del comma 6, prima del compimento di ogni altro atto nella nuova udienza fissata a norma del medesimo comma. Se, a seguito della modifica, risulta un reato per il quale è prevista l'udienza preliminare e questa non si è tenuta, la relativa eccezione è proposta, a pena di decadenza, entro gli stessi termini indicati nel periodo che precede. 8. Il verbale dell'udienza predibattimentale è redatto in forma riassuntiva a norma dell'articolo 140, comma 2. [1] Articolo inserito dall'art. 32, comma 1, lett. d), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150. Per l'entrata in vigore delle modifiche disposte dal citato d.lgs. n. 150/2022, vedi art. 99-bis, come aggiunto dall'art. 6, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. Per l'applicazione del presente articolo v. quanto disposto dall'art. 89-bis d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, come inserito dall'art. 5-octies, comma 1, d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, conv., con modif., in l. 30 dicembre 2022, n. 199. InquadramentoLa c.d. “riforma Cartabia” (legge delega n. 134 del 2021 e d.lgs. n. 150 del 2022) ha ritenuto di introdurre, nei procedimenti monocratici con citazione diretta a giudizio ex art. 550 c.p.p., un'udienza “filtro”, finalizzata alla verifica della necessità o meno della celebrazione del dibattimento, sia per finalità deflattive, sia principalmente per evitare che gli imputati subiscano la sofferenza della celebrazione del dibattimento anche quando sia evidente che ne manchino le ragioni. Viene in tal modo drasticamente accantonata una delle principali innovazioni del nuovo codice del 1988, ovvero la mancata previsione della celebrazione dell'udienza preliminare per i reati meno gravi. Secondo la Relazione della Commissione Lattanzi, « La modifica è apparsa giustificata per un duplice ordine di ragioni, strettamente collegate tra loro e basate, da un lato, sulla constatazione dell'elevatissimo numero di esiti assolutori che si registra nei procedimenti in questione (l'incidenza delle condanne sui definiti, negli anni 2015- 2019, è pari in media al 41% del totale), dall'altro sull'esigenza logico-sistematica di affidare al controllo preventivo del giudice la corretta applicazione, da parte del pubblico ministero, del criterio di giudizio sotteso alla decisione di esercitare l'azione penale. Questa ultima ragione assume una importanza ancora maggiore a seguito del mutamento di tale criterio di giudizio, proposto dalla Commissione nell'art. 3, in cui si è previsto che il pubblico ministero debba chiedere l'archiviazione quando gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari “non sono tali da determinare la condanna” dell'imputato (lettera a; v. anche la correlata regola prevista nella lettera i-bis dello stesso art. 3). Il mutamento del criterio che il pubblico ministero deve applicare nella decisione di esercitare l'azione penale, mutamento reso necessario dalla esigenza di diminuire il numero di dibattimenti che si concludono con esiti assolutori, rischierebbe di restare senza effetto pratico se non fosse accompagnato da un controllo sulla sua osservanza, necessariamente affidato ad un giudice ». Di qui, « la scelta di introdurre un filtro giudiziale nei procedimenti a citazione diretta, i quali oggi comportano lo svolgimento di dibattimenti che, ispirati al sistema accusatorio, non possono non risultare impegnativi, in misura ben maggiore di quanto avveniva nel codice previgente, anche quando si definiscono con una pronunzia assolutoria »: rilievo certamente condivisibile, ma che meraviglia essere stato trascurato da chi aveva elaborato il codice di rito del 1988. Si è preferito di affidare questo innovativo compito di “filtro” ad un giudice del tribunale, in sede predibattimentale, diverso da quello che procederà, eventualmente, al futuro dibattimento, piuttosto che al giudice per le indagini preliminari per un triplice ordine di considerazioni: « Il giudice dibattimentale è quello che, nella sua tipica attività, applica le regole del giudizio sulla imputazione e quindi è più idoneo ad effettuare la valutazione sulla sufficienza o meno degli elementi raccolti dal pubblico ministero a determinare la condanna dell'imputato. Secondariamente, il numero dei giudici per le indagini è nettamente minore di quello dei giudici dibattimentali, onde la quantità, che comunque rimarrà elevata, delle richieste del pubblico ministero di disporre il giudizio potrà essere distribuita tra questi ultimi più equamente ed efficientemente che rispetto ai primi. Infine, non bisogna dimenticare che il filtro pone, a colui che deve effettuarlo, l'alternativa tra l'emanazione di un provvedimento non motivato (decreto che dispone il giudizio) e la redazione di una sentenza motivata (di non luogo a procedere). L'elevato carico di lavoro incombente sul singolo magistrato o altre possibili situazioni personali possono costituire ragioni idonee ad orientare, almeno nei casi dubbi, la sua scelta, forse anche inconsapevolmente, verso la strada meno impegnativa dal punto di vista lavorativo. Queste situazioni eventuali possono trovare una efficace controspinta, sul piano psicologico, quando la decisione meno faticosa (quella del rinvio a giudizio) sia effettuata, anziché da magistrati appartenenti ad una diversa ed estranea struttura organizzativa (come è, nei grandi tribunali, la sezione giudice per le indagini rispetto alle sezioni dibattimentali), da magistrati appartenenti alla medesima struttura e quindi soggetti ai giudizi di stima dei colleghi ». A prescindere dalla evidente atecnicità di tale considerazione, al più equiparabile ad una sorta di “gossip” giudiziario, sarebbe stato opportuno spiegare la ragione per la quale analoga considerazione non sia stata svolta per i reati di maggiore gravità, per i quali continua ad essere prevista la celebrazione dell'udienza preliminare davanti ad un giudice che appartiene ad una struttura organizzativa “diversa ed estranea” rispetto a quella dei giudici del dibattimento.
Le forme dell’udienza predibattimentaleL'udienza di comparizione predibattimentale si svolge in camera di consiglio (non quindi in pubblica udienza), con la partecipazione necessaria: - del pubblico ministero; - del difensore dell'imputato (se del caso, designato ai sensi dell'art. 97, comma 4, c.p.p.). Non è invece considerata necessaria la partecipazione della persona offesa. La novella ha ritenuto inopportuna la celebrazione di questa udienza predibattimentale su base meramente cartolare (come al contrario previsto nella esperienza tedesca) osservando che, « collocata nel contradditorio delle parti, la valutazione giurisdizionale potrà assolvere in modo più efficace alla funzione di filtro: escluso qualsiasi spazio istruttorio, l'udienza predibattimentale consentirà uno strategico controllo sulla validità dell'imputazione formulata e sulla sua rispondenza agli atti contenuti nel fascicolo, favorendo l'accesso ai riti premiali »; inoltre, « avuto riguardo alla natura delle questioni da trattarsi, si è ritenuto opportuno, anche al fine di garantire le esigenze di riservatezza delle parti, prevedere che l'udienza filtro abbia a svolgersi in camera di consiglio ». Invero, la mancata previsione della garanzia della pubblicità non sembra legittimare dubbi di costituzionalità, proprio in considerazione della limitata e peculiare serie di attività destinate ad essere svolte in udienza predibattimentale. L'opzione per l'udienza camerale « tiene nel debito conto il fatto che sono ancora possibili epiloghi procedimentali diversi dal rito ordinario (non luogo a procedere o definizioni con riti alternativi da celebrare in camera di consiglio) e che, pertanto, potrebbe sussistere un preciso interesse dell'imputato ad evitare il c.d. strepitus fori » (Natale 2022, 231). Le attività alle quali è deputata la costituzione delle partiLe attività e le verifiche da svolgersi nella nuova udienza predibattimentale comprendono, in primo luogo, la «instaurazione del contraddittorio sulla corretta descrizione e qualificazione giuridica del fatto» (così sul punto la relazione della Commissione Lattanzi). In udienza predibattimentale, il giudice deve, quindi, in primo luogo, verificare la regolare costituzione delle parti (cfr. sub art. 484 c.p.p.), ordinando, ex art. 143 disp. att. c.p.p., la rinnovazione degli avvisi, delle citazioni, delle comunicazioni e delle notificazioni eventualmente nulli, verificando altresì la sussistenza di eventuali impedimenti a comparire nonché, nel caso in cui l'imputato non sia comparso, la possibilità/necessità di procedere in absentia, nel rispetto delle relative disposizioni (ovvero degli artt. 420,420-bis, 420-ter, 420-quater, 420-quinquies e 420-sexies, cui si rinvia). L'art. 143 disp. att. c.p.p. stabilisce che « negli atti preliminari al dibattimento, in tutti i casi in cui occorre, per qualunque motivo, rinnovare la citazione a giudizio o la relativa notificazione, vi provvede il presidente ». In proposito, la giurisprudenza, superando gli intensi contrasti palesatisi in precedenza, aveva alfine chiarito che, nei casi di nullità della notificazione del decreto di citazione e di inosservanza del termine stabilito dall'art. 552 comma 3, alla rinnovazione della notificazione deve provvedere il giudice del dibattimento (Cass. S.U., n. 28807/2002:conforme, Cass. I, n. 39579/2014). E, nel caso di nullità della notificazione del decreto di citazione o di inosservanza del termine stabilito dall'art. 552, comma 3, sarebbe abnorme il provvedimento con il quale il giudice del dibattimento, invece di provvedere egli stesso a rinnovare la notificazione, restituisca gli atti al P.M. imponendogli la rinnovazione (Cass. S.U., n. 28807/2002cit.; conformi, fra le tantissime, Cass. II, n. 46640/2015 e Cass. III, n. 28779/2018, nonché Cass. IV, n. 37617/2004, relativa al procedimento dinanzi al giudice di pace). Un orientamento aveva, peraltro, osservato che non è abnorme il provvedimento del giudice dibattimentale il quale disponga la restituzione degli atti al P.m. nel caso in cui risultino del tutto omesse le attività di notificazione del decreto di citazione a giudizio previste dall'art. 553: « la regola generale in tema di citazione a giudizio fissata dall'art. 484 comma 2-bis c.p.p. (attraverso il rinvio all'art. 420-quater c.p.p. e, da questo, all'art. 420 comma 2), è che il giudice, tanto collegiale quanto monocratico, dopo aver provveduto agli accertamenti relativi alla costituzione delle parti, deve ordinare la rinnovazione degli avvisi, delle citazioni, delle comunicazioni e delle notificazioni di cui dichiara la nullità, e l'ordine è rivolto alla propria cancelleria e non al G.i.p. o al P.M. In questo caso, infatti, la trasmissione degli atti al giudice del dibattimento avviene in violazione dell'art. 553 e si giustifica la restituzione degli atti stessi al pubblico ministero perché curi lo svolgimento dell'attività indebitamente omessa » (Cass. VI, n. 21167/2007 e Cass. III, n. 6460/2008). Nel solco di tale ultimo filone giurisprudenziale si pongono anche Cass. IV, n. 27027/2015, secondo cui non è abnorme il provvedimento con cui il giudice del dibattimento, rilevata la mancanza della notifica all'imputato del decreto di citazione a giudizio, non vi provveda autonomamente, ma restituisca gli atti al pubblico ministero affinché vi adempia, costituendo, tale provvedimento, espressione di poteri riconosciuti al giudice dall'ordinamento e determinando, pertanto, un'ipotesi di regresso “consentito” del processo, e Cass. V, n. 52255/2014, secondo cui non è abnorme il provvedimento con cui il giudice di pace, rilevata la mancanza della notifica all'imputato della citazione a giudizio, non vi provveda autonomamente, ma restituisca gli atti al pubblico ministero affinché vi adempia, costituendo, tale provvedimento, espressione di poteri riconosciuti al giudice dall'ordinamento e determinando, pertanto, un'ipotesi di regresso “consentito” del processo: l'art. 143 disp. att. c.p.p. che regola infatti il caso di rinnovazione della citazione a giudizio il quale presuppone una citazione non omessa, ma soltanto viziata o irrituale. Da ultimo, si è anche ritenuto che non è abnorme il provvedimento con il quale il tribunale, rilevata la nullità della notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari e del decreto di citazione a giudizio rispetto ad alcuni dei coimputati, disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero anche per coloro nei cui confronti detta nullità non è ravvisabile sul presupposto della connessione esistente tra le condotte di tutti, atteso che detto provvedimento, per quanto illegittimo, costituisce comunque espressione di un potere riconosciuto al giudice dall'ordimento, né produce un'indebita stasi del procedimento, potendo il pubblico ministero procedere di nuovo all'esercizio dell'azione penale (Cass. II, n. 28302/2021). Una più compiuta disamina della questione è rinvenibile in Cass. II, n. 24633/2020: premessa l'illegittimità del provvedimento con il quale il giudice del dibattimento, rilevata l'omessa notifica al difensore del decreto di citazione a giudizio, disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero perché vi adempia, che viola l'art. 143 disp. att. c.p.p., si è ritenuto che detto provvedimento non è, comunque, abnorme, costituendo pur sempre espressione di poteri riconosciuti al giudice e non determinando la stasi del procedimento, poiché il pubblico ministero ben può rinnovare la notificazione dell'avviso; si è precisato che l'illegittimità di un provvedimento non giustifica di per sé la sua immediata impugnabilità in nome della categoria dell'abnormità, che altrimenti si risolverebbe in un agevole escamotage per bypassare il disposto dell'art. 568. L'orientamento non convince: nel momento in cui si riconosce al giudice del dibattimento il potere-dovere di rinnovare le notificazioni viziate, in attuazione dell'art. 143 disp. att. c.p.p., si riconosce al tempo stesso che il medesimo giudice non ha il potere di trasmettere gli atti al P.M. perché provveda a tale adempimento, che è di esclusiva competenza del predetto giudice. Merita, pertanto, condivisione l'opposto orientamento per il quale è abnorme il provvedimento con cui il giudice, dichiarata non rituale la citazione a giudizio per nullità della notificazione, disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero perché vi adempia, posto che in tal modo si determina una indebita regressione del procedimento, in quanto rientra nei poteri del giudice ordinare, in tal caso, la rinnovazione della citazione (Cass. I, n. 20772/2022). La novella ha recapito l'orientamento giurisprudenziale in precedenza dominante (Cass. S.U., n. 28807/2002) , attribuendo al giudice dell'udienza predibattimentale la competenza funzionale a disporre la rinnovazione delle citazioni necessarie. La costituzione di parte civile e le altre parti private Per espressa previsione dell’art. 79, comma 1, c.p.p., come novellato dal d.lgs. n. 150 del 2022, la costituzione di parte civile può avvenire, quando manchi l’udienza preliminare, “fino a che non siano compiuti gli adempimenti previsti dall’articolo 484 o dall’articolo 554-bis, comma 2”: in virtù di quest’ultimo riferimento, specificamente riguardante l’udienza predibattimentale nel procedimento con citazione diretta a giudizio, la predetta costituzione dovrà avvenire prima del compimento del controllo sulla regolare costituzione delle parti, quante volte esso avvenga (non si precisa, infatti, “per la prima volta”), e potrà successivamente costituire oggetto di questioni preliminari. Evidente il difetto di coordinamento con la disposizione che disciplina la deduzione di queste ultime, proponibili soltanto “subito dopo compiuto, per la prima volta, l’accertamento della costituzione delle parti”. Manca una disciplina ad hoc riguardante la verifica della corretta costituzione delle altre parti private (responsabile civile, persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria), in ordine alle quali sarà necessario fare rinvio alle disposizioni generali. Le questioni preliminari Immediatamente dopo il compimento, per la prima volta, dell’accertamento della regolare costituzione delle parti, in udienza predibattimentale vanno proposte e decise le questioni preliminari di cui all’art. 491, commi 1 e 2 (cui si rinvia, anche per l’interpretazione da dare all’avverbio “immediatamente”), che non potranno essere riproposte – per espressa previsione di legge - nell’udienza dibattimentale. Cionondimeno, riteniamo che in dibattimento, pur non potendo essere proposte questioni preliminari “nuove”, ovvero non tempestivamente proposte in udienza predibattimentale, possano melius re perpensa essere diversamente decise dal giudice, revocando/modificando l’ordinanza in precedenza emessa, quelle tempestivamente sollevate ed “immediatamente” (o quasi) decise: sarebbe, infatti, irragionevole pretendere che il giudice debba procedere fino all’emissione di una sentenza in ipotesi nulla, pur essendosi nelle more convinto di avere erroneamente rigettato una eccezione preliminare fondata. È espressamente prevista l’applicazione dei commi 3, 4 e 5 dell’art. 491, cui si rinvia. Entro il termine previsto dall’articolo 491, comma 1, sarà anche possibile, ex art. 24-bis c.p.p., rimettere, anche d’ufficio, alla Corte di cassazione la questione concernente la competenza per territorio. L’ordinanza con la quale siano decise, in ipotesi, erroneamente questioni preliminari sarà impugnabile unitamente alla sentenza, ex art. 586 c.p.p. La comparizione delle parti nei reati procedibili a querela di parte Nei casi in cui l’imputato è stato citato a giudizio per rispondere (deve ritenersi anche, o soltanto) di reati procedibili a querela di parte, in udienza predibattimentale il giudice è chiamato anche a verificare se il querelante, ove presente, sia disposto a rimettere la querela, nonché, in caso affermativo, se il querelato sia disposto ad accettare la remissione. L’inciso “se presente” lascia intendere che il giudice non è tenuto ad attivarsi per ottenere la presenza del querelante in aula, pur se nulla sembrerebbe vietargli di farlo, disponendone la comparizione in una udienza successiva; la disposizione tace del tutto con riguardo all’imputato, per la cui comparizione personale (soprattutto in caso di intervenuta remissione) riteniamo che il giudice, ove non si debba procedere in absentia, potrà comunque disporre un differimento. Gli interventi inerenti all’imputazione L'art. 554-bis, commi 5, 6, 7, assegna all'udienza predibattimentale (come già previsto per l'udienza preliminare) « il compito di definire l'oggetto del giudizio, consentendo al giudice e alle parti di esaminare l'imputazione articolata ai sensi dell'art. 552, comma 1, lettera c), sotto i plurimi profili connessi alla sua corrispondenza, in punto di fatto o di definizione giuridica, agli atti d'indagine » (così la Relazione della Commissione Lattanzi sul punto). Secondo la dottrina (Natale 2022, 235), in tal modo: - si garantisce all'imputato il diritto di confrontarsi e contraddire con una imputazione conforme a quanto previsto dall'art. 552, comma 1, lett. c), c.p.p.; - si definisce esattamente (in fatto ed in diritto) il perimetro dell'imputazione, prevenendo le evenienze che, nel corso del dibattimento, si renda necessario modificare l'imputazione ex artt. 516 e 517 c.p.p., e che, all'esito del dibattimento, si renda necessario trasmettere gli atti al P.M. ex art. 521, comma 2, c.p.p. Si eviterebbe, in tal modo, secondo la citata dottrina, il rischio di un inutile “allungamento” dei tempi processuali, in verità, a nostro avviso, in precedenza compensato proprio dalla mancata previsione dell'udienza predibattimentale, che inevitabilmente richiederà sempre e comunque, e non più soltanto occasionalmente, tempi di trattazione più ampi, anche perché legittima nuove iniziative difensive e nuove impugnazioni prima non consentite. Le nullità previste dall'art. 552 c.p.p. conservano natura di nullità relative (come tali, non rilevabili di ufficio, e deducibili entro i termini previsti dall'art. 491, comma 1, c.p.p., richiamato dall'art. 554-bis, comma 3), ad eccezione di quella riguardante la formulazione dell'imputazione, ex art. 552, comma 1, lett. c), c.p.p., per la quale la novella prevede una disciplina ad hoc. Prima della novella, un orientamento riteneva abnorme il provvedimento con cui il giudice del dibattimento dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero per genericità o indeterminatezza dell'imputazione, senza avergli previamente richiesto di precisarla, poiché, alla luce del principio costituzionale della ragionevole durata del processo, è configurabile il vizio dell'abnormità in ogni fattispecie di indebita regressione del procedimento in grado di alterarne l'ordinata sequenza logico-cronologica (Cass. VI, n. 7756/2016 e Cass. n. 27961/2016). L'orientamento assolutamente dominante riteneva, al contrario, che, in caso di genericità o indeterminatezza del fatto descritto nel capo di imputazione, il giudice del dibattimento deve dichiarare la nullità del decreto di citazione a giudizio, ai sensi dell'art. 552, comma 2, senza alcuna previa sollecitazione, rivolta al pubblico ministero, ad integrare o precisare la contestazione, in quanto non è estensibile alla fase dibattimentale il meccanismo correttivo che consente al giudice dell'udienza preliminare di sollecitare il pubblico ministero alle opportune precisazioni e integrazioni, indicandogli, con ordinanza interlocutoria, gli elementi di fatto e le ragioni giuridiche alla base del rilevato difetto dell'imputazione (Cass. V, n. 22140/2022; Cass. VI, n. 44394/2019 ; Cass. II, n. 23545/2019 ; Cass. III, n. 6044/2017 ) ; si è conseguentemente ritenuto che l'ordinanza con cui il giudice del dibattimento, anziché dichiarare la nullità del decreto che dispone il giudizio per indeterminatezza del fatto descritto nel capo di imputazione, invita il P.M. ad integrare oppure a precisare la contestazione è affetta da nullità di ordine generale a regime intermedio, che deve essere immediatamente eccepita dalla parte presente e che, in mancanza di tempestiva deduzione, è sanata ( Cass. II, n. 15897/2022 ). Si era precisato che non è abnorme (e quindi non è immediatamente ricorribile per cassazione), il provvedimento con cui il giudice del dibattimento dichiari la nullità del decreto di citazione a giudizio per insufficiente enunciazione del fatto oggetto dell'imputazione — ritualmente eccepita dalle parti nella trattazione delle questioni preliminari e rigettata —, in quanto il giudice può rilevare il difetto dell'imputazione anche successivamente, non operando la preclusione di cui all'art. 491, comma 1 (Cass. VI, n. 17238/2009). Trattasi di questioni non più rilevanti, perché superate dalla novella, secondo la quale il giudice, anche d'ufficio, nell'udienza predibattimentale, in presenza di violazioni della disposizione di cui all'articolo 552, comma 1, lett. c), c.p.p. (la quale richiede, nell'imputazione, “l'enunciazione del fatto, in forma chiara e precisa, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi articoli di legge”) che rendano nulla l'imputazione, sentite le parti, invita il pubblico ministero a riformulare l'imputazione: nel caso in cui il P.M. non vi provveda, il giudice, verosimilmente – anche nel silenzio della disposizione – alla scadenza del termine all'uopo fissato, e quindi, ragionevolmente, in udienza successiva (il P.M. di udienza sarà, infatti, nella maggior parte dei casi, diverso da quello che ha istruito il processo, cui dovrà essere dato modo di attivarsi), dichiarerà, con ordinanza, la nullità dell'imputazione, disponendo la restituzione degli atti al predetto P.M. (comma 5) Inoltre, al fine di consentire che il fatto, la definizione giuridica, le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, siano indicati in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti, il giudice, ancora una volta anche di ufficio e sentite le parti, invita il pubblico ministero a modificare, come necessario, l'imputazione e, ove lo stesso non vi provveda, dispone, con ordinanza, la restituzione degli atti al pubblico ministero (comma 6). Il comma 6 prevede, inoltre, che il P.M., nei casi in cui modifichi l'imputazione, proceda alla relativa contestazione, e che la modifica dell'imputazione sia inserita nel verbale di udienza; se l'imputato non è presente in aula, neppure mediante collegamento a distanza, il giudice dovrà sospendere il processo, rinviando ad una nuova udienza e disponendo che il verbale sia notificato all'imputato entro un termine non inferiore a dieci giorni dalla data della nuova udienza. Queste disposizioni non sono dettate per il caso affine di sanatoria della nullità dell'imputazione di cui al comma 5, in relazione al quale, peraltro, ugualmente si pone la necessità che: - il P.M. proceda alla relativa contestazione; - la modifica dell'imputazione sia inserita nel verbale di udienza; - se l'imputato non è presente in aula, neppure mediante collegamento a distanza, il giudice sospenda il processo, rinviando ad una nuova udienza e disponendo che il verbale sia notificato all'imputato entro un termine non inferiore a dieci giorni dalla data della nuova udienza. La lacuna ci appare doverosamente colmabile per analogia, non avendo senso ritenere che, nei casi di cui al comma 5, in difetto di disposizioni analoghe a quelle di cui al comma 6, « una volta che il pubblico ministero abbia provveduto a riformulare l'imputazione, il processo altro non possa fare che seguire il suo corso ordinario, passando alle scansioni successive » (Natale 2022, 237), senza procedere a nuova contestazione di un'imputazione non più affetta da nullità, senza verbalizzarla e senza renderne edotto l'imputato non presente in udienza. Se, a seguito della modifica dell'imputazione, il reato risulti attribuito alla cognizione del tribunale in composizione collegiale anziché monocratica (ipotesi che sembrerebbe potersi verificare soltanto nei casi di cui al comma 6), l'inosservanza delle disposizioni sulla composizione del giudice va rilevata, d'ufficio, oppure eccepita, dalla parte che vi abbia interesse, a pena di decadenza, immediatamente dopo la nuova contestazione ovvero, nel caso in cui l'imputato non sia presente in aula neppure a distanza, prima del compimento di ogni altro atto nella nuova udienza fissata a norma del medesimo comma. Se, a seguito della modifica, risulta un reato per il quale è prevista l'udienza preliminare e questa non si è tenuta, la relativa eccezione è proposta, a pena di decadenza, entro gli stessi termini indicati nel periodo che precede (comma 7). La dottrina (Natale 2022, 235 s.) ha osservato che la nullità riguardante la formulazione dell'imputazione in forma oscura od imprecisa conserva natura di nullità relativa ex art. 181 c.p.p., ma « l'art. 554-bis, comma 5, c.p.p. delinea una disciplina che si discosta significativamente da quella tipica delle nullità relative », ciò, in particolare, in forza della previsione del possibile intervento officioso del giudice, previsto anche per le modifiche dell'imputazione previste dal comma 6: in quest'ultimo caso, peraltro « non ci si trova di fronte ad una imputazione nulla – per mancata esposizione del fatto in forma chiara e precisa – ma ad una imputazione che, per qualche suo aspetto, il giudice (che ha a disposizione il fascicolo del P.M.) ritiene non collimante con gli atti. Anche in questo caso, il giudice perde il ruolo di passivo spettatore e – anche di ufficio, seppur sollecitando il contraddittorio delle parti – sollecita il pubblico ministero “ad apportare le necessarie modifiche”. Si tratta, nella sostanza, dello “sdoganamento" positivizzato delle modifiche all'imputazione c.d. patologiche (poiché fondate non su nuove emergenze, ma su atti gia presenti nel fascicolo del pubblico ministero) ». Sia in caso di riformulazione dell'imputazione ai sensi del comma 5, che di sua modifica ai sensi del comma 6, non è prevista la concessione di termini a difesa all'imputato presente in udienza predibattimentale: come condivisibilmente osservato dalla dottrina, ciò « renderà necessaria una accurata riflessione sotto il profilo della ragionevolezza del diverso regime che si ha in caso di modifiche dell'imputazione ex art. 519 c.p.p. e di modifiche dell'imputazione ex art. 554-bis, comma 6, c.p.p.: infatti, se in udienza pre-dibattimentale è escluso che il termine a difesa possa rivelarsi funzionale alla richiesta di nuove prove, è però certo che essa potrebbe rivelarsi funzionale per ben ponderate riflessioni dell'imputato sull'opportunità o meno di avanzare richiesta di definizione del procedimento con riti alternativi » (Natale 2022, 238). Ma il problema a nostro avviso esiste anche con riguardo ai casi di riformulazione dell'imputazione ai sensi del comma 5. Non riteniamo possano seriamente porsi problemi di incompatibilità al prosieguo della celebrazione dell'udienza predibattimentale del giudice che abbia sollecitato la riformulazione o la modifica dell'imputazione, a meno che l'imputato non intenda accedere a riti alternativi. Invero, la Corte costituzionale (n. 66/2019) ha già dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale - sollevata in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 6, § 1, Conv. EDU - dell'art. 34, comma 2, c.p.p., nella parte in cui non prevede che il GUP il quale, ravvisato nel corso della stessa udienza preliminare un fatto diverso da quello contestato, abbia invitato il pubblico ministero a procedere, nei confronti dello stesso imputato e per il medesimo fatto storico, alla modifica dell'imputazione divenga - una volta accolto l'invito - incompatibile a trattare la stessa udienza preliminare. Si è, in proposito, osservato che la Corte EDU ha escluso in più occasioni che le garanzie in tema di equo processo, di cui alla norma convenzionale evocata, siano riferibili all'udienza preliminare prevista dalla legge processuale italiana, fatto salvo il caso - non ricorrente nel giudizio principale - in cui vengano adottati riti alternativi che conferiscano al giudice di tale udienza il potere di pronunciarsi sul merito delle accuse. L'orientamento sembra bene attagliarsi alle nuove previsioni dell'art. 554-bis, commi 5 e 6, ma lascia ampi spazi per ritenere l'incompatibilità alla celebrazione dei riti alternativi del giudice che abbia esercitato i predetti poteri/doveri, profilo che la dottrina che ha esaminato la questione a prima lettura sembrerebbe non avere adeguatamente valutato (cfr. Natale 2022, 239, per il quale « sembrano potersi escludere – in tali casi – incompatibilità di sorta », sempre e comunque). Il verbaleIl verbale dell’udienza predibattimentale va redatto in forma riassuntiva a norma dell’articolo 140, comma 2, cui si rinvia. Profili di diritto intertemporaleAi sensi dell'art. 89-bis d. lgs. n. 150 del 2022 (introdotto dall'art. 5-octies l. n. 199 del 2022), le disposizioni di cui all'art. 554-bis si applicano nei procedimenti penali nei quali il decreto di citazione a giudizio è emesso in data successiva al 30/12/2022, data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022. BibliografiaGialuz, Per un processo penale più efficiente e giusto. Guida alla lettura della Riforma Cartabia, Sist. pen. 2022, 1/91; Natale, Il procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, in AA.VV., La riforma del sistema penale. Commento al d. lgs. 10 ottobre 2022 n. 150 (c.d. Riforma Cartabia), a cura di Bassi e Parodi, Milano 2022, 221-258. |