Il divieto di contestazioni a catena nella dimensione estradizionale

Luigi Ludovici
07 Febbraio 2023

Il periodo detentivo patito dal soggetto in forza di un precedente titolo cautelare reso in altra procedura estradizionale per il medesimo fatto può computarsi ex art. 297 comma 3 c.p.p. al fine di verificare l'osservanza dei termini di durata cautelare nell'ambito della nuova procedura?
Massima

L'art 297 c. 3 c.p.p. si applica anche nel caso di distinti titoli custodiali emessi ex art. 714 comma 2 c.p.p. nei confronti della medesima persona nell'ambito di diverse procedure di estradizione passiva pendenti aventi ad oggetto lo stesso fatto.

Il caso

In seguito ad arresto estradizionale operato nei confronti di un cittadino ucraino per la esecuzione di un ordine di cattura emesso dalle Autorità ucraine con riferimento ai reati di omicidio e di formazione ed utilizzazione di un falso passaporto biometrico ucraino, il Consigliere delegato della Corte d'Appello di Torino emetteva nei confronti dello stesso soggetto ordinanza applicativa della custodia in carcere ex art. 714 comma 2 c.p.p. Con successiva istanza, l'estradando chiedeva che venisse dichiarata l'estinzione della misura per intervenuta decorrenza dei termini di durata cautelare ex art. 297 comma 3 c.p.p., istanza che però veniva rigettata dalla Corte d'Appello sul rilievo che l'evento omicidiario oggetto di una precedente richiesta di estradizione e di un precedente periodo custodiale non era lo stesso di cui alla nuova ordinanza de libertate. L'ordinanza reiettiva veniva pertanto impugnata con ricorso per cassazione attraverso cui si denunciava, da un lato, la contraddittorietà estrinseca della motivazione nella parte in cui escludeva l'identità del fatto oggetto dei distinti titoli custodiali emessi nei confronti del ricorrente; dall'altro, la violazione degli artt. 714 e 717 c.p.p. dovendo farsi applicazione della regola di cui all'art. 297 comma 3 c.p.p. secondo cui la data di decorrenza dei termini del nuovo titolo custodiale doveva retrodatarsi al tempo di esecuzione di altra ordinanza cautelare più risalente in forza della quale il ricorrente, sia pure nell'ambito di una diversa procedura estradizionale, aveva già patito un periodo custodiale pari alla durata massima consentita.

I giudici della Sesta Sezione penale hanno accolto il ricorso affermando innanzitutto che, sulla base della documentazione in atti, il fatto omicidiario oggetto dell'attuale domanda di estradizione era effettivamente il medesimo cui si riferiva una precedente procedura estradizionale conclusasi con esito positivo. A fronte di ciò, la Suprema Corte ha dunque affermato che, anche in materia di estradizione viene in rilievo il principio generale del divieto di plurime contestazioni cautelari con applicazione della medesima misura coercitiva per “uno stesso fatto” ai sensi del disposto di cui all'art. 297 c.p.p. comma 3 c.p.p.

La questione

La questione involge, innanzitutto, il tema dei limiti al potere cautelare esercitabile a fini estradizionali nel caso in cui lo stesso soggetto, nell'ambito di distinte procedure di estradizione passiva succedutesi nel tempo, risulti destinatario di più titoli custodiali in relazione al medesimo fatto di reato. Il periodo detentivo patito dal soggetto in forza di un precedente titolo cautelare reso in altra procedura estradizionale per il medesimo fatto può computarsi ex art. 297 comma 3 c.p.p. al fine di verificare l'osservanza dei termini di durata cautelare nell'ambito della nuova procedura? I rapporti tra disciplina delle contestazioni a catena e procedimento di estradizione assumono peraltro rilevanza anche nell'ottica di meglio definire la portata dell'art. 297 comma 3 c.p.p. nell'ambito della sua sede naturale. Infatti, quanto all'ipotesi in cui l'ordinanza che si intende retrodatare sia stata emessa nell'ambito di un procedimento penale incardinato in Italia, l'interrogativo al quale si deve rispondere risulta essere il seguente: è da ostacolo all'applicazione dell'art. 297 comma 3 c.p.p. la circostanza che, in relazione al medesimo fatto di reato, il soggetto fosse già stato precedentemente ristretto in forza di altro titolo custodiale più risalente emesso però nell'ambito di una procedura estradizionale?

Le soluzioni giuridiche

Occorre preliminarmente dare atto che la tematica oggetto della decisione in commento non ha trovato particolare sviluppo a livello dottrinario e giurisprudenziale. Tra le poche decisioni che si rinvengono sull'argomento, quella più significativa è senza dubbio la n. 4274 del 20 ottobre 2001 ove la Corte di Cassazione – pur occupandosi di una fattispecie parzialmente difforme da quella oggetto della decisione che qui si commenta – ha affermato che «il periodo di custodia cautelare sofferto dal soggetto nell'ambito della procedura di estradizione poi rinunciata non può essere preso in considerazione ai fini del computo del temine massimo della custodia nel procedimento pendente a suo carico in Italia a seguito della richiesta del Ministro, data anche l'eterogeneità assoluta tra i due titoli custodiali per essere la misura emessa nel procedimento di estradizione finalizzata esclusivamente ad assicurare la custodia dell'estradando in vista della possibile consegna allo Stato estero richiedente; non è applicabile al caso l'art. 297 c.p.p. che presuppone l'esistenza di uno o più procedimenti penali in cui siano state adottate più misure cautelari per lo stesso fatto o per fatti connessi sotto i profili dalla norma stessa indicati, mentre nel caso si specie unica è stata la misura (Cass. pen., sez. VI, n. 42784, C.E.D. Cass., n. 220596) Sempre nell'ambito della stessa pronuncia, si è ulteriormente precisato che il richiamo contenuto nell'art. 714 comma 2 c.p.p. alle norme codicistiche riguardanti le misure coercitive “in quanto applicabili” non sarebbe comunque sufficiente a consentire l'applicazione del meccanismo della retrodatazione in relazione a misure cautelari emesse nell'ambito di procedimenti eterogenei quali quello di estradizione e quello relativo a reati per i quali si proceda in Italia ma potrebbe semmai essere invocato per estendere l'operatività dell'art. 297 comma 3 c.p.p. al caso di più misure coercitive emesse nello stesso procedimento di estradizione o in diversi procedimenti di estradizione contro la stessa persona».

Proprio la fattispecie da ultimo descritta è al centro della pronuncia che qui si commenta atteso che i due titoli custodiali da cui il ricorrente era stata nel tempo raggiunto avevano trovato rispettivamente origine in altrettanti procedimenti estradizionali attivati a suo carico dallo Stato ucraino. Dando continuità a quanto affermato in proposito dalla pregressa elaborazione giurisprundenziale, la Sesta Sezione della Corte di Cassazione ha dunque riconosciuto la piena applicabilità anche nel caso de quo del meccanismo di retrodatazione delle misure. I giudici di legittimità hanno infatti argomentato che, in assenza di una specifica normativa convenzionale o di diritto estradizionale interno secondo le pertinenti disposizioni del codice di rito, viene in rilievo il principio generale del divieto di plurime contestazioni cautelari con applicazione della medesima misura coercitiva per “uno stesso fatto” ai sensi del disposto di cui all'art. 297 comma 3 c.p.p. Nello specificare ulteriormente il ragionamento che permea l'interpretazione propugnata, la Corte ha poi rilevato che l'applicazione del congegno in esame in sede estradizionale, non incontrando preclusioni di carattere formale, troverebbe il proprio fondamento nel generale richiamo operato ex art. 714 comma 2 c.p.p. alle disposizioni del titolo I del libro IV del codice di rito, con esclusione delle sole disposizioni di cui agli artt. 273 e 280 c.p.p. non rilevanti nel caso di specie. Né sarebbe da ostacolo alla rimessione in libertà del soggetto il fatto che egli sarebbe stato destinatario di distinte domande estradizionali, atteso che i fatti costituenti oggetto del relativo petitum sono gli stessi e che su tali fatti il decorso massimo della misura coercitiva di tipo custodiale è già spirato nella precedente procedura, già conclusasi con esito positivo.

Osservazioni

La soluzione che, nella decisione in commento, la Corte di Cassazione offre alla quaestio iuris in esame, se considerata da un punto di vista di principio, appare ineccepibile. La normativa estradizionale, al pari di quella che regola il procedimento penale, deve contemperare due valori primari contrapposti, quali l'inviolabilità della libertà personale del soggetto nei cui confronti pende la domanda di estradizione, da un lato, e l'interesse generale alla consegna dello stesso allo Stato richiedente nel caso di esito favorevole del procedimento di estradizione, dall'altro. Il bilanciamento tra questi due valori è attuato attraverso la previsione di termini di durata massima delle misure cautelari applicabili durante lo svolgimento del procedimento di estradizione: se, infatti, lo status custodiae potesse perpetuarsi senza limiti di tempo fino all'adozione della sentenza di estradizione, ciò significherebbe attribuire al valore della libertà personale un rango inferiore all'interesse generale ad esso confliggente; si impatterebbe così sull'assetto costituzionale vigente dove invece c'è spazio per soluzioni che contemperino i due valori in gioco e non per amputazioni unilaterali e definitive dell'uno a beneficio dell'altro.

Se questo è lo scenario di fondo, non vi è dubbio che l'emissione, a distanza di tempo, di più provvedimenti restrittivi dello status libertatis nell'ambito dello stesso procedimento di estradizione rappresenta un fenomeno patologico da trattare facendo ricorso a criteri speciali di computo dei termini di durata cautelare. Infatti, se applicassimo meccanicamente le regole generali, all'esecuzione di una nuova ordinanza applicativa della misura corrisponderebbe sempre la decorrenza ex novo del termine di un anno – in ossequio al principio di autonoma decorrenza delle misure consacrato anche nell'art. 714 comma 4 c.p.p. -, con conseguente azzeramento del tempus custodiae fino a quel momento patito in forza del titolo precedente.

In un simile contesto, elevato è il rischio che il soggetto, per effetto della sommatoria dei diversi periodi detentivi sofferti in forza dei consecutivi provvedimenti cautelari emessi a suo carico, si veda privato della libertà personale per un tempo che complessivamente considerato è di gran lunga superiore a quello normativamente previsto. Il rischio de quo ricorre massimamente nell'ipotesi in cui le diverse ordinanze riguardino l'idem factum atteso che la durata del tempus custodiae è dettata dalla legge nell'ambito del singolo procedimento di estradizione che, a sua volta ha nel fatto di reato il proprio elemento identificativo. Tale assunto implica due corollari: se nell'originario procedimento di estradizione confluisce una nuova domanda di consegna per un fatto diverso, il procedimento, formalmente unico non potrà considerarsi tale dal punto di vista sostanziale; per converso, se – come nel caso di cui alla sentenza in commento - a carico dello stesso soggetto si instaura un procedimento di estradizione in relazione ad un fatto che in passato era già stato oggetto di altra domanda estradizionale già precedentemente vagliato dallo Stato italiano, il nuovo procedimento potrà considerarsi diverso dal precedente solo formalmente mentre su un piano sostanziale risulterà esserne soltanto una prosecuzione.

Arrivati a questo punto, dovrebbe allora apparire ormai chiaro che, essendo il procedimento estradizionale retto da regole che, dal punto di vista dei criteri ordinari di computo dei termini di durata delle misure cautelari, sono omologhe a quelle proprie del procedimento penale – alla cui disciplina compatibile l'art. 714 comma 2 c.p.p., peraltro, espressamente rinvia – anche in questa sede si avverte l'insopprimibile esigenza di poter ricorrere ad un meccanismo speciale di determinazione del dies a quo di decorrenza delle misure capace di scongiurare gli inconvenienti legati ad una applicazione rigida della disciplina ordinaria. Ed è proprio questa esigenza che ha indotto i giudici della Sesta Sezione a far ricadere la fattispecie sottoposta al loro scrutinio sotto il governo dell'art. 297 comma 3 c.p.p. la cui operatività nella dimensione estradizionale, se considerata in termini generali, suscita però qualche perplessità dal punto di vista della piena compatibilità normativa. Se infatti in relazione al caso qui considerato, l'osmosi tra retrodatazione dei termini cautelari e procedimento di estradizione non incontra nell'art. 297 comma 3 c.p.p. ostacoli formali che appaiono capaci di resistere alla vis espansiva impressa alla disposizione in esame dal meccanismo di rinvio “esterno” presente nell'art. 714 comma 2 c.p.p., lo stesso non sembra potersi affermare allorquando il fenomeno delle contestazioni a catena si correli all'emissione consecutiva di misure cautelari concernenti non l'idem factum ma fatti di reato tra loro distinti: in questo caso infatti è difficile comprendere come nella dimensione estradizione possa venire gestita la presenza e il ruolo che nell'architettura dell'art. 297 comma 3 c.p.p. assumono l'elemento del rinvio a giudizio e tutte le implicazioni ad esso correlate. Se non altro, dunque, da questo punto di vista, sembrerebbe opportuno un intervento normativo diretto a confezionare un meccanismo di retrodatazione pensato ad hoc per la materia dell'estradizione, così da superare gli inevitabili e non sempre risolvibili problemi che inevitabilmente comporta il rinvio a norme pensate per un contesto alieno. Allo stesso tempo, anche l'altro problema emerso in giurisprudenza concernente la possibilità di applicare l'art. 297 comma 3 c.p.p. per retrodatare l'ordinanza emessa nel procedimento penale alla data di emissione del provvedimento cautelare adottato in una precedente procedura estradizionale concernete il medesimo fatto di reato, non sembra trovare adeguata soluzione allo stato delle attuali coordinate normative. E' vero che l'estraneità dell'esigenza cautelare “estradizionale” dal catalogo dei pericula libertatis di cui all'art. 274 c.p.p. non vale certamente a giustificare ex se l'irrilevanza dello status custodiae così patito dal soggetto ai fini del computo di cui all'art. 303 c.p.p.: una simile impostazione non può essere accolta perché contrasta con l'ovvia considerazione che non basta certo mutare l'esigenza cautelare sottesa alla misura per escludere il vulnus che il fenomeno delle “contestazioni a catena” arreca al valore della libertà personale. Il problema è però un altro. A parte che l'imputabilità dello status custodiae estradizionale al decorso dei termini cautelari è formalmente affermata (art. 722 c.p.p.) soltanto con riferimento alle procedure attive e non anche a quelle passive. Il punto è che, specialmente con riferimento ai casi di plurime e dilazionate contestazioni di fatti diversi, l'estradizione rende sostanzialmente privi di significato quegli elementi strutturali e di disciplinai.e., unicità formale dei procedimenti; scissione arbitraria degli stessi; desumibilità dei fatti prima del rinvio a giudizio disposto nel procedimento ove era stata emessa la prima misura; desumibilità degli elementi giustificanti la seconda misura all'epoca di emissione della prima - cui invece l'art. 297 comma 3 c.p.p. correla e parametra le sue molteplici possibilità operative. Da qui, ancora una volta emerge la necessità che il legislatore intervenga per implementare ulteriormente la disciplina delle contestazioni a catena al fine di far confluire all'interno dell'art. 297 comma 3 c.p.p. anche quelle forme di artificioso prolungamento dello status custodiae che ben possono innestarsi nelle interazioni tra procedimento di estradizione e procedimento penale.

Riferimenti
  • Ludovici, La disciplina delle “contestazioni a catena, Padova, 2012;
  • Marzaduri, Libertà personale e garanzie giurisdizionali nel procedimento di estradizione passiva, Giuffrè, 1993.

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