Ancora sul caso Regeni: non è abnorme l'ordinanza di sospensione del processo

Paolo Grillo
13 Febbraio 2023

Ai fini della ricorrenza della condizione della volontaria sottrazione al procedimento penale, che se sussistente legittimerebbe la celebrazione del procedimento in absentia, occorre la prova di comportamenti positivi dell'imputato, dai quali desumere che egli – a conoscenza del processo a proprio carico – intenda sottrarvisi. Di conseguenza, non è abnorme l'ordinanza con la quale il giudice, nell'impossibilità di procedere a notifica a mani della vocatio in iudicium, disponeva la sospensione del processo.

Non è ancora il momento: si sospende il processo per la morte di Giulio Regeni. Siamo ai primi del 2016 quando del dottorando italiano Giulio Regeni, in quel momento in Egitto per i suoi studi, si perdono le tracce. Il suo corpo, orrendamente mutilato, fu rinvenuto il 3 febbraio: e subito si comprese che le cause della morte non erano certamente naturali. Torturato, selvaggiamente picchiato, il giovane morì per le conseguenze delle tremende lesioni infertegli. Nel mirino degli investigatori, poco tempo dopo, finirono alcuni membri di un'agenzia di sicurezza interna egiziana. Insomma, servizi segreti. Quattro persone risultano formalmente accusate dall'autorità giudiziaria italiana di sequestro di persona e omicidio ma, per il fatto che essi non si trovano non è possibile processarli. La storia del processo penale per la morte di Giulio Regeni, quindi, diventa una via crucis nel senso letterale del termine: tappe sempre più dolorose e, purtroppo, allo stato inconcludenti. Ma andiamo con ordine: a maggio del '21 il GUP di Roma, dopo avere saggiato la regolarità delle notifiche, disponeva procedersi in assenza: ad avviso di quel giudice era chiaro a tutti che i quattro agenti segreti fossero pienamente a conoscenza dell'esistenza del processo a proprio carico, tanto che gli stessi erano stati ripetutamente invitati ad eleggere domicilio in Italia. Il fatto che, molto coraggiosamente, non si fossero presentati a rendere conto del loro operato non poteva, quindi, che significare una cosa soltanto: si erano volontariamente dileguati per non farsi processare. Ma quella declaratoria di assenza non resse al vaglio della corte d'assise della Capitale, presso la quale – sebbene in absentia – erano stati spediti a giudizio i quattro imputati. Veniva così dichiarata nulla, insieme al decreto che disponeva il giudizio, e gli atti tornarono mestamente al GUP: a fondamento della decisione il consueto richiamo all'armamentario giurisprudenziale composto da alcune decisioni storiche della Corte EDU (prima tra tutte la “Sejdovic c. Italia” del 2004) e le recenti Sezioni Unite “Ismail” del 2020. I dati presuntivi sulla volontaria sottrazione al processo non contano, dice il complesso di principi evincibili dagli arresti di legittimità, mentre serve la prova di condotte positive orientate in tal senso.

Nel 2022 si ritenta la notifica, ma senza successo. A gennaio dell'anno scorso il GUP romano disponeva la notifica personale agli imputati dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare e della richiesta di rinvio a giudizio, e ordinava nuove ricerche dei quattro imputati. Ad aprile, però, ci si doveva arrendere e si sospendeva il processo: come era lecito attendersi, i quattro imputati erano ancora uccel di bosco. Il Procuratore della Repubblica non ci sta e proponeva ricorso per cassazione lamentando l'abnormità funzionale dell'ordinanza di sospensione del processo: la stasi che si era venuta a creare dipendeva, in buona sostanza, dalla condotta sfuggente degli imputati che, per l'appunto, non si facevano trovare pur sapendo benissimo cosa li attendeva. Nel ricorso, tra le altre cose, si invocava l'intervento delle Sezioni Unite per chiarire se è o meno affetto da abnormità il provvedimento con il quale il giudice, pur se è certo della conoscenza del procedimento, ordini la sospensione dello stesso poiché non si era potuta perfezionare la notifica personale dei relativi atti introduttivi; si sollevava, infine, questione di legittimità costituzionale della norma in tema di declaratoria di assenza nella parte in cui prevede la sospensione del processo anche nel caso di impossibilità non reversibile di notificare l'avviso dell'udienza all'imputato che sia comunque a conoscenza della vicenda processuale che lo riguarda.

Niente da fare: il processo va sospeso. La strenua lotta della Procura della Repubblica per far celebrare il processo per la morte di Giulio Regeni subisce, almeno per adesso, una battuta d'arresto. Secondo la Cassazione sono sempre validi gli insegnamenti delle sentenze emesse dalla Corte EDU e dalle Sezioni Unite che, in tema di declaratoria di assenza, privilegiano una effettiva prova di condotte positive sintomatiche della volontaria sottrazione al processo, onde poterlo celebrare in absentia. Nel caso che ci occupa abbiamo, secondo i giudici, soltanto elementi “negativi”, ossia il mancato perfezionamento delle notifiche per irreperibilità degli imputati. L'amara conclusione è appena edulcorata da un richiamo, contenuto tra le pagine della sentenza, che apre alla speranza e guarda anche alle vittime del reato (o, sarebbe meglio dire, ai loro congiunti): non bisogna celebrare un processo purché sia, ma ambire ad un giudizio che sia immune, in prospettiva futura, da vizi e censure. Speriamo soltanto di non dovere attendere troppo.

*Fonte: DirittoeGiustizia

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